E a tutte, dico proprio tutte, le meravigliose donne che lo abitano.
E perchè no (spero che la Prof me lo conceda) anche al cecchino,
pronto a combattere, prima per lei, ma anche per noi.
Hermione fissava nel buio le cortine di velluto bordeaux del baldacchino; sentiva i capelli appiccicati al collo, nonostante per dormire li tenesse legati dietro la nuca in una coda morbida, per evitare che la infastidissero nel sonno e che le tenessero troppo caldo. Si era addormentata appena toccato il cuscino, quando era rientrata ai dormitori dopo la lite con Ron.
Era convinta che non avrebbe dormito per notti, che sarebbe stata a girarsi e rigirarsi ore prima di riuscire a trovare la calma necessaria anche solo a prendere sonno, invece era crollata subito. Aveva quasi perso i sensi, dormendo un sonno senza sogni per un tempo che non avrebbe saputo definire.
Aveva riaperto gli occhi che era ancora buio ed ascoltava il respiro regolare delle sue compagne di stanza, profondamente addormentate a qualche metro da lei.
Nella penombra della stanza riusciva appena a distinguere le sagome delle ragazze, degli oggetti poggiati sui comodini, la sedia con i vestiti di Lavanda accatastati uno sull'altro, il baule di Calì, sui cui era poggiato un pacchetto, ancora chiuso, la sua camicia ordinatamente appesa al baldacchino del suo letto. Ombre o poco più, illuminate dalla tenue luce della falce di luna calante nel cielo.
A tentoni si era allungata verso il comodino, tastando alla ricerca dell'orologio: le 4.30 del mattino.
Doveva dormire ancora.
Aveva di nuovo chiuso gli occhi, ripetendosi come in una cantilena, che era presto, che poteva ancora
dormire. Il ticchettio della pioggia sottile sul vetro.
Dormi.
Lo scricchiolio del pavimento di legno.
Dormi.
Un tuono in lontananza.
Dormi, Hermione.
Il sommesso sussultare del respiro di Lavanda.
Devi dormire.
Il battito stesso del suo cuore faceva troppo rumore per permetterle di addormentarsi.
Era stato troppo facile.
Aveva scalciato indietro le coperte, liberando le gambe per cercare di recuperare il respiro; era troppo calda quella stanza. Si era messa a sedere sul letto, con le gambe incrociate ed aveva sollevato i capelli sulla nuca, nella speranza di trovare un po' d'aria, ma non era valso a nulla.
Si era alzata stizzita dal letto, per andare alla finestra, che aveva aperto con un gesto secco.
L'aria fresca della notte si era insinuata nello spiraglio tra le ante, una mano gelida che le accarezzava il collo, lasciato scoperto dalla camicia da notte di cotone.
Aveva assaporato quel respiro come se tutti i precedenti le fossero stati negati, lasciando che la pioggerellina sottile le colpisse le mani, abbandonate sul davanzale della finestra. La pelle d'oca aveva coperto le braccia e il petto, ma quel freddo l'aiutava a mantenere un controllo che nel calore del letto le era sembrato venire
meno.
Aveva lasciato Ron.
L'aveva lasciato e si era lanciata giù da un balconcino sulle scale, facendogli prendere un colpo.
Aveva aspettato per anni che lui si accorgesse di lei, prima che lei fosse una ragazza, poi che fosse intelligente, stimolante, interessante per lui. E in pochi mesi tutto si era dissolto.
Le mani che stringevano il davanzale, quasi fino a sentire male alle articolazioni.
Il viso di Ron, a pochi centimetri dal suo, livido di rabbia.
La mascella che si stringeva, facendole digrignare i denti, fino a sentirli scricchiolare, uno contro l'altro.
Le sue parole cattive, la sua arroganza.
Si era appoggiata alla finestra con la vita, sporgendosi per cercare ancora aria, per cercare il contatto con le gocce fredde di pioggia che le scorrevano sul viso, per scacciare il ricordo di quel momento, della sua voce.
Un grugnito stizzito l'aveva richiamata all'interno della stanza. Si era girata, i capelli umidi, il viso tirato, verso l'origine di quel rumore e aveva visto Calì, seduta sul letto, che la guardava perplessa.
Hermione si era scostata dalla finestra, girandosi verso il suo letto, come per nascondere il suo turbamento alla compagna.
Calì si era stretta nelle coperte, risistemandosi sul cuscino.
Si era affettata alla finestra e aveva chiuso le ante con delicatezza, sperando di non svegliare le altre ragazze e si era di nuovo infilata a letto. In breve aveva ricominciato ad avere caldo, a sentirsi inquieta, a rigirarsi tra le coltri.
Si era scoperta di nuovo, restando con le gambe poggiate sul cumulo di lenzuola e cuscini che aveva calciato in fondo al letto, gli occhi chiusi. Si era concentrata sul suo respiro, alla ricerca di qualcosa che le conciliasse il sonno.
Non pensare a niente.
Sentiva ogni piega delle lenzuola ed ogni avvallamento del materasso; il cuscino dietro la nuca e l'elastico che le fermava la coda premere alla base del collo.
L'espressione stranita di Ron dopo il loro primo bacio, il sorriso colpevole come quello di un bambino disobbediente che le rivolgeva quando copiava i compiti di nascosto, le sue mani sui fianchi, le carezze tra i capelli.
Non avrebbe avuto più nulla di questo da lui. Probabilmente, dopo quella notte, non avrebbe avuto proprio niente.
Aveva fatto la scelta giusta.
Uno sbuffo impaziente, una sprimacciata al cuscino, poi era tornata di nuovo sdraiata, a farsi avvolgere da pensieri molesti.
Per ore aveva lasciato vagare la mente per qualche attimo, cercando poi di riacciuffarla e farla tacere, sincronizzandola al ritmo del suo cuore o al rumore della pioggia, ma alla fine si era assopita con lo sguardo aggrottato e la sensazione delle mani di Ron che le stringevano le spalle, dei suoi piedi che non toccavano terra.
Era la cosa giusta.
La bacchetta si era posata con un tocco leggero e deciso sulla testa del cagnolino, che stava fermo sul banco di Hermione non tanto per volontà, quanto perchè la ragazza l'aveva impastoiato al primo cenno di movimento, mentre cercava di trasfigurarlo in porcellino, secondo le istruzioni della Professoressa McGranitt.
La bestiola aveva levato il suo sguardo verso l'aguzzina, che lo fissava con piglio concentrato e mormorava tra sé per mantenere la concentrazione, mentre agitava la bacchetta a mezz'aria.
Quando stava per essere raggiunto da un secondo colpo ed aveva già abbassato gli occhietti, in attesa di chissà quale sciagura, il braccio della strega era stato bloccato a mezz'aria da un biglietto che si era posato sul banco, davanti ai suoi occhi, dopo aver volteggiato per coprire la piccola distanza che lo separava dal banco di Harry.
L'aveva fatto evanescere con un incantesimo non verbale, senza nemmeno voltarsi un secondo verso l'amico, che la guardava supplichevole, cercando di attirare la sua attenzione.
Aveva sbuffato leggermente, scrollando le spalle, stizzita ed aveva ripreso con il tentativo di trasformazione del cucciolo, che la guardava sempre più spaurito.
Ma il Ragazzo Sopravvissuto non aveva la minima intenzione di demordere e continuava a sbracciarsi, per quanto la situazione lo permettesse, per cercare di ottenere almeno un cenno di assenso dall'amica, che non faceva altro che ignorarlo.
Aveva bisbigliato sporgendosi verso il banco della ragazza, che aveva alzato gli occhi al cielo.
Gli aveva risposto esasperata, voltandosi verso di lui soltanto un secondo, cercando di non perdere di vista il suo cagnolino, che in quel momento di maialesco aveva solo delle meravigliose orecchie rosa ed un codino a ricciolo, sul corpo pezzato in bianco e beige.
La conversazione si era svolta in bisbigli soffocati e si era conclusa con uno sbuffo, l'ennesimo, di Hermione, che era tornata a rivolgere la sua totale attenzione alla trasfigurazione della bestiola che aveva risposto al successivo colpo di bacchetta con quello che voleva essere un latrato, ma che si era trasformato in una specie di basso grugnito.
La ragazza aveva proseguito concentrata per tutta la lezione, al termine della quale si era presentata alla cattedra della McGranitt con il suo maialino tra le braccia, completamente soddisfatta del lavoro svolto, per posarlo nel piccolo recinto dove ibridi tra suini e canidi più o meno vicini all'una o all'altra specie, la guardavano terrorizzati. Lo sguardo orgoglioso della docente era stato una bella ricompensa per lo sforzo, specie in quella giornata che aveva tutte le premesse per non essere delle migliori.
Mentre usciva dalla classe era stata raggiunta da una manata sulla spalla, decisamente poco aggraziata.
Il ragazzo l'aveva presa per un braccio, allontanandola dagli altri studenti che si affollavano sull'uscita dell'aula. Hermione era riuscita a vedere con la coda dell'occhio Ron che si allontanava, con la testa incassata nelle spalle, il libro stretto tra le braccia, lanciandole un'occhiata di sfuggita.
Harry aveva seguito il suo sguardo, raggiungendo la schiena dell'amico.
Hermione era arretrata, mettendo un passo tra lei e Harry e scrollando via dal braccio la mano del ragazzo che ancora la teneva.
Scuoteva la testa, come per scacciare anche solo il pensiero di affrontare quella discussione.
La ragazza aveva fatto un altro passo indietro, mettendo altra distanza tra lei e le parole di Harry.
Inaspettatamente, Hermione aveva riso; una risata amara, ma tintinnante, come piccole campanelle.
Aveva parlato alla schiena della ragazza, che alla fine si era voltata, guardandolo da sopra la spalla.
Con passo svelto era scomparsa dietro l'angolo, per poi mettersi a correre, una volta sicura di non essere vista. Solo un po' di pace, le serviva solo un po' di pace.
Aveva corso per i corridoi, ricacciando in gola le lacrime per parecchi minuti ed quasi arrivata al portone che si apriva sul parco, quando la voce di Ginny l'aveva fermata.
Merlino, che ho fatto di male?
La rossa l'aveva raggiunta di corsa e si era fermata di fronte a lei. L'aveva fissata in viso per qualche secondo, con un'espressione indagatrice, quasi un presagio del migliaio di domande che stava per fare e a cui Hermione non aveva alcuna voglia di rispondere. E l'aveva abbracciata, appendendosi alle sue spalle con il suo corpicino sottile, ma con un impeto tale da prendere Hermione di sorpresa, facendola indietreggiare.
Glielo aveva chiesto mentre le accarezzava i capelli, che le scorrevano setosi tra le dita.
Un sorriso aveva fatto capolino sul viso di Hermione, nonostante non avesse nessuna voglia di affrontare quel momento. Gin sapeva capirla bene, come pochi altri ci riuscivano.
L'amica aveva sciolto l'abbraccio e le stringeva la mano.
Di nuovo.
Non era possibile, probabilmente era uno scherzo.
Si era passata una mano sugli occhi, esausta.
Ginny si era subito affrettata a stringerle la mano, spalancando gli occhioni scuri su di lei.
Si era coperta la bocca con entrambe le mani, strappandole un risolino.
Si era trovata avviluppata in un altro abbraccio, che si era però dissolto ancor prima che se ne rendesse conto. Quando aveva guardato verso il corridoio aveva visto solo i suoi capelli rossi sparire dietro una colonna.
Era uscita dal portone, lentamente, schermandosi gli occhi con una mano per proteggerli dalla luce che li aveva colpiti.
La giornata era limpida, la sovrastava un cielo azzurro in cui solo qualche straccio di nuvola veniva portato a spasso da una brezza fresca, presagio dell'autunno in arrivo. Qualche foglia già aveva iniziato a cadere.
Hermione si era stretta la sciarpa rosso e oro intorno al collo e si era diretta nel parco, alla ricerca di silenzio e di un po' di tranquillità, evidentemente difficili da trovare in quella scuola.
Non aveva ancora affrontato Ron, dopo la lite; non si erano più incontrati direttamente, né c'era stata l'occasione di parlare. Doveva ammettere di aver fatto tutto il possibile per evitare quelle occasioni, ma non riusciva a colpevolizzarsi per questo.
Una volta tanto sentiva il bisogno di nascondersi un po', di aggirare il problema, almeno per il momento. Il grosso della questione era stato affrontato e proprio non riusciva a vedere il motivo per cui proprio ora doveva mettersi a discutere di nuovo e ripetere quello che aveva già detto. La faccenda era chiusa, per lei e faceva già abbastanza male così.
Aveva lasciato vagare lo sguardo tra gli alberi che si chinavano sul limitare del lago, proiettando ombre danzanti sulla superficie dell'acqua ed aveva visto una figurina rannicchiata contro un tronco.
Si teneva le ginocchia con le braccia e le spalle erano scosse dai singhiozzi, mentre il viso restava coperto da una cascata di capelli biondi, lisci.
Hermione le si era avvicinata lentamente, indecisa se parlarle o lasciarla tranquilla a sfogarsi, ma alla fine la sua anima da Caposcuola aveva vinto, ricordandole che forse stava piangendo per via di un'ingiustizia e che era suo dovere intervenire o, perlomeno, accertarsi che fosse tutto a posto.
Si era piegata sulle ginocchia, posando una mano sulla spalla della ragazza, che aveva alzato gli occhi, rivelandole due iridi azzurro intenso, reso ancora più brillante dalle lacrime che continuavano a sgorgare.
La ragazza aveva annuito, tirando su vigorosamente con il naso ed aveva stretto la mano di Hermione, con decisione, continuando a guardarla negli occhi.
Un'alzata di spalle di Hermione era stata la prima risposta.
Hermione la fissava confusa. Cosa poteva impedire a una ragazza di dirle cosa non andava? Era una Caposcuola, forse era quello il problema? Poteva di trattarsi di qualcosa per cui avrebbe rischiato una punizione? Aveva fatto qualcosa di sbagliato?
Qualcosa nel cervello della Caposcuola fece contatto. Plin. Aveva sentito distintamente la lampadina accendersi. Ginny e i suoi pettegolezzi il primo giorno di lezioni, lodi alla sua amica impicciona.
In risposta i singhiozzi della ragazza si erano fatti ancora più forti.
Lo sguardo che le aveva rivolto era angosciato, la piccola mano a stringerle il maglione della divisa, che Hermione sentiva strattonare.
Gli occhioni della ragazzina si erano allargati per lo stupore di non essere stata capita al volo, poi aveva abbassato la voce, assumendo un tono quasi cospiratorio.
Hermione era sempre più confusa, non riusciva a cogliere il punto della questione. Quale convenienza poteva esserci nell'essere stupida?
La ragazzina aveva smesso di piangere, ma continuava a tirare su con il naso di quando in quando e la guardava da sotto in su, imbarazzata.
Hermione aveva scosso la testa perplessa. Quella ragazza si stava costruendo castelli sul niente, ma la colpa probabilmente non era soltanto sua. Era giovane e Neville probabilmente si stava approfittando della sua ingenuità per tenere il piede in due scarpe.
Aveva giusto un paio di cosette da ricordare, al caro Nev.
Uno scalpiccio dietro le spalle aveva fatto perdere a Hermione le ultime parole pronunciate dalla ragazza. Si era girata a guardare da dove provenisse il rumore ed aveva visto una figura con i capelli scuri, con la sciarpa di Corvonero avvolta davanti al viso.
La ragazza si era avvicinata di corsa e si era seduta accanto Quinn, per abbracciarla.
Hermione aveva annuito, provando istantaneamente simpatia per la ragazza appena arrivata.
Il sopracciglio della Gryffindor si era elevato senza che nemmeno riuscisse a controllarlo.
Gliel'aveva chiesto d'istinto, ma la reazione della ragazza le aveva instillato più dubbi di quanti ne avesse fugati. Lo scintillio negli occhi che le si era acceso, accompagnato dal ghigno che le si andava dipingendo in volto non sembravano avere niente della disperazione di pochi minuti prima.
Si era alzata in piedi, prendendo la mano della sua amica.
Hermione le aveva osservate di spalle, mentre confabulavano tra loro tornando verso la scuola, poi aveva alzato le spalle. Doveva parlarne con Neville, appena possibile. Quella situazione non le piaceva granchè, né per come Nev si stava comportando, né per quello che la ragazzina sembrava aver fatto intendere con l'ultima frase. Forse era il caso di tenerla d'occhio.
Liz e Quinn erano sedute sul letto della prima, nel dormitorio di Ravenclaw, le cortine del baldacchino tirate, lo spazio chiuso illuminato da un fuocherello portatile viola, acceso dentro un barattolo.
Quinn si mordicchiava un dito, continuando a muovere l'altra mano sul copriletto, in uno scivolare insistente di stoffa.
Liz si era aperta in un sorriso diabolico, che le era valso l'attenzione totale dell'amica.
Quinn aveva alzato gli occhi sul viso di Liz; le stava suggerendo qualcosa, probabilmente la soluzione ce l'aveva già in mente, ma voleva che fosse lei ad arrivarci.
- Potremmo agire sul contorno, potrei... Si! Potrei eliminare le avversarie... -
Erano rimaste tutta la sera, nella penombra di quel baldacchino. Quando era arrivata l'ora di dormire il copriletto di Quinn era coperto di fogli scarabocchiati di appunti e disegni e la giovane Ravenclaw si era addormentata con l'aria serena di chi aveva molti meravigliosi progetti per l'indomani.
*****
Capelli castani scompigliati dal vento, che si era fatto più impetuoso con lo scendere della sera; la sciarpa che svolazzava dietro le sue spalle.
Hermione sedeva davanti al Memoriale, di nuovo.
In quelle prime settimane di lezione la tomba di Fred e degli altri studenti caduti era diventata un rifugio sicuro per lei, una sorta di confessionale, dove era andata ogni volta che aveva bisogno di stare sola, di pensare, di confidarsi.
La foto sorridente di Fred era sempre lì, pronta ad ascoltarla senza giudicare, senza cercare di convincerla a tornare sui suoi passi, a forzarla su strade che sembravano più semplici ma che non l'avevano resa davvero felice.
Anche quel pomeriggio aveva raccontato tutto: la lite, Harry, Ginny. Tutte le scuse che aveva ascoltato e tutte quelle che già sapeva sarebbero arrivate.
Si era liberata di tutto, come se affidare al vento e alle pietre che la circondavano i suoi problemi potesse in qualche modo sollevarla dall'incombenza di affrontarli.
Era rimasta seduta sul marmo freddo per un tempo che non avrebbe saputo definire, finchè non aveva sentito le gambe intorpidirsi e non si era trovata costretta a nascondere le mani nelle pieghe della sciarpa, nel tentativo di scaldarle un po'.
Aveva spostato lo sguardo sulle lapidi, a una a una, come faceva spesso, fino a quella di Vincent Tiger, per l'ennesima volta. L'aveva trovata vuota. Come sempre.
Niente era cambiato dai primi giorni.
Hermione si era alzata in piedi ed aveva preso una piccola candela, che era poggiata accanto alla foto di Fred. La fiammella si era spenta nello spostamento d'aria, mentre la ragazza camminava da una lapide all'altra, ma con un “Incendio” mormorato aveva ricominciato a saltellare sullo stoppino.
L'aveva posata con delicatezza accanto al viso di Vincent.
Aveva detto a se stessa e a lui.
Si era allontanata con un sospiro, ignara dello sguardo che le fissava insistentemente la nuca.
*****
La penombra e l'odore delle candele.
Blaise si godeva il piacere dell'ozio, affondato in una delle morbide poltrone della Sala Comune di Slytherin, assaporando sul palato il sapore della sigaretta fumata solo qualche minuto prima, affacciato ad una finestra del primo piano.
Stava ascoltando ad occhi chiusi i rumori attutiti che provenivano dai dormitori, come fossero una nenia che accompagnava il suo momento di pace; i passi pesanti di Goyle sui gradini, un baule trascinato sul pavimento, borbottii indistinti di persone che forse stavano studiando o forse dicevano solo sciocchezze, lo schiocco di un ciocco di legna nel camino.
Niente di meglio, dopo una giornata di lezioni di una sigaretta e del tramestio silenzioso di una Sala Comune. Erano passate quasi tre settimane dall'inizio della scuola e già si sentiva stanco come se fossero vicini a Natale.
Aveva aperto un solo occhio, di certo non per vedere a chi appartenesse quella voce fin troppo familiare, ma per dimostrare il fastidio provato per l'interruzione del suo momento di relax.
Draco si era seduto nella poltrona accanto a quella dell'amico, un gomito poggiato al bracciolo, le gambe distese in avanti, in una posizione scomposta, apparentemente rilassata, che stonava nettamente con il suo tono di voce.
Sorrideva, Blaise, mentre si rivolgeva in tono sgarbato all'amico di sempre.
Blaise si era stropicciato gli occhi con pollice e indice, come per scacciare un'immagine fastidiosa che vi si era impressa. Draco non sapeva insegnare; sarebbe stato meglio dire che Draco era meravigliosamente bravo ad insegnare, ma che detestava farlo, ma il diretto interessato avrebbe sicuramente negato.
Ce la metteva tutta per essere inflessibile, per dare l'impressione di essere rigido, impaziente; chissà cosa gli passava per la mente mentre insegnava, ma quando puntualmente non riusciva nel suo intento di sembrare un mostro, ne usciva un ragazzo paziente, con un talento reale nel riuscire a spiegare con semplicità ogni concetto. Ma lui non se ne convinceva e ogni volta che si trovava nelle condizioni di studiare con qualcuno o di aiutarlo con i compiti il suo umore arrivava puntualmente a somigliare a quello di una belva affamata.
La risata di Draco sarebbe stata una risposta più che sufficiente, ma lui aveva continuato.
Il sopracciglio di Draco probabilmente sarebbe potuto uscire dalla sua testa, se l'avesse potuto sollevare solo di un millimetro in più.
Draco si era lasciato andare stancamente contro lo schienale della poltrona, poggiando i piedi sulla seduta di quella di Blaise. Lo sguardo dell'amico era scattato rapidamente verso il passaggio segreto d'ingresso.
Glielo aveva detto indicando con un'alzata del capo dietro la sua schiena.
Draco si era girato per vedere cosa poteva succedere ancora, dopo quella giornata perfetta.
Pansy.
Blaise aveva ragione. Se qualcosa può andar male, lo farà.
*****
Si era lasciato convincere a seguirla nella sua stanza. Gli aveva detto di dovergli parlare, di avere delle cose importanti da raccontargli, cose che gli sarebbero di certo interessate e lui se l'era bevuta come un allocco. O meglio, aveva voluto bersela.
Era per questo che adesso era seduto sul suo letto, le spalle contro la testiera, nella stanza vuota, con Pansy che blaterava parole inutili su quanto le fosse mancato, su quanto avesse sofferto a saperlo a Malfoy Manor, solo, con l'Oscuro Signore in casa sua a disporre di lui come voleva.
Si era accorto con quanta devozione lei gli fosse stata accanto, con quanto amore si fosse sacrificata per non perderlo, quando al sesto anno aveva affrontato la missione cui Voldemort l'aveva destinato. Nemmeno si era accorta di niente o comunque non aveva dato segni di preoccupazione per le sue sparizioni, per le ore che passava in quella Stanza delle Necessità o per le occhiaie sempre più profonde che comparivano sul suo viso. Per non parlare dell'ultimo anno trascorso: mentre Draco era sempre più tormentato, nelle scelte compiute, per sua volontà o no, Pansy si crogiolava nell'apparente normalità di una Hogwarts comunque aperta, nella sua presenza a scuola per la maggior parte dell'anno, nei privilegi che Slytherin aveva acquisito sotto il controllo dei Carrow.
E fuori infuriava la guerra. Draco non aveva mai temuto tanto per la sua vita come in quel periodo e Pansy aveva avuto la delicatezza di un rinoceronte, soffermando lo sguardo e le mani su quel Marchio che lui non aveva chiesto, ma che si trovava a portare, l'ultima volta che era stata nel suo letto. Lo guardava con un'espressione indefinibile, aveva un che di morboso.
L'aveva allontanata malamente, quell'ultima volta, prima delle vacanze di Pasqua, prima che Potter venisse catturato, prima che sua zia torturasse la Mezzosangue, prima che venisse messo davanti ad una scelta e scegliesse, sebbene soltanto nella sua mente, per quel momento, di lasciare che il Bambino Sopravvissuto potesse provare a continuare per la sua strada.
Aveva mentito, aveva finto di non riconoscerlo. Era stato un impulso, guidato da quei momenti in cui era rimasto al buio, nella sua stanza al Manor, a sentire le grida dei prigionieri che venivano torturati dai Mangiamorte nella sua cantina, a sentire il Marchio bruciare.
Non era quella la vita che voleva. E se avesse condannato Potter quella era la vita che avrebbe vissuto, per sempre.
Le labbra di Pansy sul collo, una mano a sfiorargli la mandibola, in una carezza delicata. Il profumo di magnolia che aveva sempre avuto l'aveva avvolto istantaneamente, nel breve attimo che la ragazza aveva sfruttato per avvicinarlo. Era sempre riuscita a stordirlo, ogni volta che la respirava. Quel profumo era talmente intenso, a tratti anche troppo prepotente, che a volte vi si perdeva, altre riusciva a dargli la nausea. Come lei.
Aria, fresca, pulita.
Si era allontanato un poco, un ghigno strafottente sul viso.
Un morso giocoso sulla spalla, la mano di lei che gli scorreva sul torace, ad insinuarsi tra i bottoni della camicia, senza slacciarli. Le aveva preso il viso in una mano, sollevandolo verso di sé, mentre con l'altra le scostava i capelli dagli occhi.
Si era sporta verso di lui, poggiando le labbra sulle sue. Morbide, dolci, tentatrici, come quel tocco che scendeva leggero verso la sua cintura.
No. Doveva dirgli qualcosa? L'avrebbe detta ora.
Poi, forse, avrebbe anche potuto cedere. In fondo ci sarebbe stato niente di male a concedersi un po' di distrazione.
Le dita di Pansy che con sapiente falsa ingenuità scivolavano dentro l'orlo dei pantaloni, tirando la stoffa un poco verso di sé.
Le teneva ancora il mento in una mano, mentre la guardava fissa negli occhi.
Pansy aveva alzato gli occhi al cielo e si era tirata indietro, pur continuando ad accarezzargli la spalla e il torace.
Draco aveva assunto un'espressione vagamente infastidita.
Era vero, lei era lì perchè aveva saputo da qualche voce che Draco andava spesso al Memoriale e lei aveva deciso di andare a cercarlo lì, voleva aspettarlo e provare a parlare con lui, dopo il periodo passato separati e quello le sembrava un buon modo per avvicinarlo.
Soltanto quel sopracciglio alzato e quel baluginio canzonatorio nel suo sguardo.
Draco percepiva il tono di scherno con cui aveva descritto quello che la Granger stava facendo e aveva pensato a sé stesso, seduto davanti alla foto di Tiger, che raccontava la sua giornata o che sfogava i suoi momenti no.
Era diventato matto. Matto come una Mezzosangue Grifondoro con cui sarebbe stato obbligato a passare pomeriggi interi. Siamo a cavallo, Draco, che meraviglia.
Aveva trovato una candela rossa, sulla tomba di Tiger, il giorno precedente.
Si era domandato chi potesse averla lasciata ed aveva chiesto anche a Blaise se fosse stato lui o se sapesse chi potesse essere stato. Blaise l'aveva guardato annoiato e gli aveva risposto di no, ad entrambe le domande, aggiungendo anche che non capiva cosa gli importasse di una candela.
Non gli sarebbe importato di una candela, infatti, non fosse che era stata proprio lei a lasciarla.
Lei. Una degli altri, anzi, una di quelli alla testa di quel gruppo di vincenti, di quelli che potevano camminare a testa alta nella gloria dell'essere sempre stati nel giusto.
Una di quelli che non aveva mai guardato Tiger se non con disprezzo, come lui aveva fatto con loro. Non era mai corso buon sangue tra loro. Il sangue era sempre stato la chiave di quei rapporti e mai, mai avevano parlato d'altro.
E ora lei portava candeline sulla tomba del nemico?
Sulla lapide di quello che aveva scagliato l'Ardemonio nella Stanza delle Necessità, rischiando di ucciderli tutti?
Era solo un'ipocrita e non le avrebbe permesso di sentirsi così compassionevole e buona facendo la recita con una candela sulla tomba del suo amico. Chiunque, ma non lei.
Draco aveva allontanato Pansy con un braccio e si era alzato dal letto.
Le aveva fatto cenno di andarsene con la mano, mentre si allacciava i primi bottoni della camicia, che lei gli aveva slacciato, davanti allo specchio ed annodava la cravatta verde e argento. Aveva indossato il maglioncino della divisa e si era voltato verso di lei.
E l'aveva lasciata indietro, mentre a passo di carica si dirigeva verso il parco.
Non avrebbe tollerato questa cosa. Non poteva.
*****
Sapeva che l'avrebbe trovata da quelle parti, se lo sentiva.
L'aveva incrociata sulla strada per il Memoriale, mentre probabilmente tornava indietro dal suo sfoggio di carità per i defunti.
Hermione si era vista arrivare incontro Malfoy, con un passo deciso, quasi frettoloso e gli aveva lasciato spazio sul sentiero per farlo passare. Non aveva voglia di battibeccare, quel pomeriggio.
Non con il sole che stava per tramontare e quella luce offuscata dietro le nuvole. Non quando le prime foglie iniziavano a cadere sulla riva e sulla superficie dell'acqua, creando quel paesaggio magico che tanto amava. Ma soprattutto, non quando sapeva che avrebbe dovuto lavorare a contatto con lui per i prossimi mesi per i corsi per i ragazzi dei GUFO.
Non avrebbe permesso ai vecchi contrasti e alle sciocchezze degli anni precedenti di intralciare le lezioni a dei ragazzi che non avevano niente a che vedere con loro.
Ma lui si era diretto dritto verso di lei, prendendo la bacchetta dalla cintola dei calzoni e puntandogliela dritta in faccia.
Hermione era indietreggiata sui suoi passi, verso il ciglio del sentiero, fino a sentire dietro le spalle il tronco di un albero. Con lentezza calcolata aveva messo mano alla sua bacchetta, mentre Malfoy la fissava con gli occhi iniettati di odio.
Era la personificazione della calma, quando gli aveva risposto.
Aveva le labbra strette, lui, gli occhi ridotti ad una fessura e da quello spiraglio sulla sua mente si intravedeva la rabbia che covava.
Lo aveva sibilato, avvicinandosi di un paio di passi ed abbassando il braccio che reggeva la bacchetta, pur tenendola sotto tiro, anche se in modo meno plateale.
Hermione sentiva la punta del legno sfiorarle l'addome.
Hermione aveva sgranato gli occhi.
Di cosa stavano parlando? Non aveva nemmeno capito quale fosse il motivo di tanta rabbia; Malfoy non aveva mai fatto altro che disprezzarla, questo si, ma non l'aveva mai attaccata così frontalmente. I dispetti, gli insulti a mezza bocca in corridoio, ma non si era mai presentato davanti a lei impugnando la bacchetta, nemmeno durante la battaglia, quando avrebbe potuto, anzi dovuto farlo.
Le aveva fatto un inchino, piegando il braccio che teneva la bacchetta sotto il busto e perdendo la mira su di lei. Hermione aveva allora estratto la bacchetta, su cui fino ad allora aveva solo tenuto la mano.
Aveva parlato alzando la bacchetta verso di lui, che aveva fatto un passo indietro.
Si erano misurati con lo sguardo per qualche secondo. Le bacchette alzate uno contro l'altra, la mano di Draco che tremava impercettibilmente, il petto di Hermione che si alzava ed abbassava rapido, al ritmo di un respiro affrettato per la rabbia.
Ad Hermione era sfuggito un risolino sarcastico.
La voce sempre più bassa, affettava uno sdegno che non aveva la minima intenzione di nascondere.
Il ragazzo aveva distolto per un attimo lo sguardo.
Un attimo in cui Hermione era riuscita a intravedere un'incrinatura sulla maschera di strafottenza che indossava dal primo momento in cui era entrato in quella scuola. Ma era stato solo un riflesso, immediatamente nascosto da un'ombra scura.
La voce era quasi scomparsa, nel pronunciare quella frase, prima di abbassare per la seconda volta la bacchetta e andarsene.
Ad Hermione era sfuggito uno sbuffo dalle labbra, mentre guardava quel ragazzo allontanarsi.
Forse, aveva pensato, in qualche recondita parte di lui, anche Malfoy stava soffrendo per qualcosa.
Note:
-
Il titolo è una canzone dei Nirvana, album In Utero, del 1993.
-
Harry che fa “pubblicità” a Ron. E' un tipico atteggiamento maschile, quello di spalleggiarsi a vicenda, oltretutto la smania del Bambino Sopravvissuto di avere tutto sotto controllo e come piace a lui potrebbe tranquillamente averlo indotto ad impicciarsi.
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La voglia di sviare e nascondersi un po' di Hermione potrebbe non essere completamente IC, essendo lei l'incarnazione del coraggio e della determinazione, ma ho pensato che, come ha passato ani nell'ombra, aspettando e sperando che Ron si accorgesse di lei, avrebbe anche potuto sentire il bisogno di pensare da sola, di non affrontare tutto e subito.
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Quinn Davies, lo ribadisco, è un personaggio completamente originale, è la sorella virtuale di Roger Davies, così come originale è la sua amica Elizabeth, detta Liz.
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Neville, Quinn e il tradimento. Io vi avevo avvertiti che il mio Nev sarebbe stato OOC. In realtà, giusto per difendere il mio amato Nev, lui e Quinn non sono fidanzati e lui non le ha promesso niente, quindi, in linea puramente teorica, lui non sta tradendo nessuno. Che poi possa aver dato adito a pensieri è un'altra questione, ma insomma, non può essere responsabile dei castelli in aria altrui. XD
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Filtri d'amore. La stessa Rowling ne ha parlato e li ha utilizzati nell'episodio che ha coinvolto Romilda Vane e Ron, che si era spazzolato i cioccolatini destinati a Pottah (che poi rifilare un filtro a Pottah, boh). Ma devo ammettere che quando penso ai filtri d'ammore la mia mente va a Savannah e alla sua meravigliosa The Ground beneath Her Feet. Non me la sentivo neanche di parlare di filtri d'amore senza citarla, mi pareva quasi un oltraggio. <3
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I corsi per i GUFO non esistono, lo so. E' una mia arbitraria invenzione. Volevo che ci fosse un modo per avvicinarli e farli conoscere. Si, è un escamotage da fyccina. Fucilatemi! XD
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Pansy. Non la odio, anzi in realtà la mia intenzione originaria era quella di riabilitarla un po', ma è uscita così da sola. Una cretina. Mi dispiace assai, ma il criceto nel mio cranio ha deciso che Pansy è odiosa e superficiale, come nei migliori clichè.
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La lite. <3
Amo profondamente vederli affrontarsi a bacchetta spianata. Fa così tensione sessuale repressa... *.*
Bene, con questo ho concluso con le note e posso passare alla pubblica fustigazione:
Scusatemi,
scusatemi, scusatemi.
So che non posto da troppo tempo, che sono
svanita nel nulla e che, come se non bastasse ho postato anche altre
cose nel mezzo. Perdonatemi vi prego. A mia discolpa ho da dire che
in ospedale mi tengono sostanzialmente in ostaggio e che gli esami e
la tesi mi occupano il poco tempo rimasto. Non odiatemi. <3
Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI.