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Autore: Akane    16/01/2006    0 recensioni
“Per il cameriere biondo che si chiama Marco:
‘Guarda, se avessi un colpo, un’opportunità per prendere qualcosa che hai sempre voluto, un momento, lo cattureresti o lo lasceresti scivolar via?’
…io vorrei catturare te…
Ciao Sherikel”
(di recente l'ho rivisitata un po' e questa è la versione migliorata...)
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARTE SECONDA:
LA SVOLTA

" A lungo andare logora, questo comportamento… bisogna solo considerare di più gli altri, non concentrarci su noi stessi ma metterci nei panni degli altri. Tutti hanno problemi, hai ragione… per non scoppiare e soffrire serve una valvola di sfogo che non faccia male a chi ci sta intorno, altrimenti ci si auto compatisce e non va bene così… "

Nella mia storia platonica con Marco ero arrivata tutto sommato ad un buon punto, ormai ci conoscevamo, lui mi salutava sempre ed io ovviamente ricambiavo, veniva a servirci per primo, sempre lui, senza mai farci aspettare e quando lui non c’era al contrario dovevamo attendere secoli e secoli. Ben presto fu considerato il mio cameriere personale, tuttavia continuavo sempre a fare le mie figuracce mega: come ad esempio una volta che per fermarlo e chiedergli ancora qualcosa oltre alla prima rata di birra, allungai un braccio sbarrandogli la strada e schioccando istintivamente le dita… fu imbarazzante!

Lui si fermò e mi guardò ridendo di gusto rifacendo il gesto poi mi disse che era un modo originale di chiamarlo al che io divenni rossa, era uno dei pochi in grado di farmi andare in caos… ora sono così sfacciata che non succede più nemmeno quello!
Un’altra in cui mi feci notare fu quando chiesi alle 22.00 di sera un cappuccino: fu traumatico per me sapere da lui che in un pub a quell’ora non si facevano cappuccini, ma solo caffé macchiati o lisci!
Insistetti, anzi fu divertente perché quando mi spiegò che non ne facevano ma che se volevo mi portava uno macchiato, lo guardai allibita, poi shockata, infine insistente. Dissi così delusa e capricciosa:
- Ma io voglio il cappuccino! -
Lui mi guardò ridendo così realizzai un volta di più quanto fosse affascinante e quanto io riuscissi a farlo divertire!
Un’altra volta ancora mi capitò, scendendo dalle scale mobili dello spiazzo davanti al locale, di alzare lo sguardo e vedere proprio il mio angelo affacciato che guardava giù. Quando mi vide mi salutò sorridente ed io invece di ricambiarlo radiosa e fare bella figura, inciampai sugli scalini, quasi caddi e al posto del: ‘ciao’ , dissi:
- Merda! -
Ormai ero un caso disperato, entrambi sapevamo che almeno una volta a serata dovevo fare qualcosa di strano e imprevedibile, anche se a dire il vero la fama che mi ero fatta mi stava bene.

La pausa estiva mi lasciò traumatizzata, in crisi d’astinenza!
Si trattarono di due settimane nelle quali andai in Sicilia dai miei parenti; non vedendolo per tutto quel tempo infinito e non facendocela più, volevo assolutamente tornare da lui il prima possibile.
Sfiga volle, però, che proprio l’ultimo giorno di vacanza io mi storsi la caviglia sopra una vecchia storta.
Avevo il piede fasciato e la stampella per evitare di sforzarlo (il viaggio di ritorno in treno fu un trauma immenso, ma non paragonabile a quello della lontananza da Marco!); ebbene una volta tornata a casa riuscii ad andare da lui e quando finalmente fui nel suo locale venne subito al nostro tavolo.
Io ero lì che già mi beavo della sua bellezza, aveva i capelli un pochino più lunghi, mossi e sistemati con una leggera spruzzata di gel per domarli sulla fronte. Salutò allegro, non ho mai capito come faceva ad essere sempre così allegro, e ci chiese dove eravamo finiti poiché eravamo stati via a lungo:
- In vacanza, in Sicilia… ma come vedi siamo tornati! -
Come per dire: ‘non ti libererai mai di noi!’
Dopo di ché notò la mia stampella e mi chiese mostrando della preoccupazione o forse semplice interesse:
- Cosa è successo? -
Io non credevo che si stesse rivolgendo veramente e direttamente a me, cioè non al gruppo in generale ma proprio esclusivamente a me, mi sembrava impossibile però non mi feci cogliere impreparata e dissi:
- Una caduta in vacanza… mi sono storta la caviglia, ma ormai ci sono abituata! -
Per me ogni cosa uscisse dal suo sguardo o dalla sua voce era sinonimo di divino quindi pendevo dalle sue labbra, mi fece un incoraggiamento e un augurio di guarigione, poi fece il suo lavoro e abbandonò il tavolo.
Ebbene, solo per quello rimasi tutta la serata in una nuvoletta, tutta sognante… figurarsi se quasi non svenni quando, un paio di volte dopo, i miei amici mi dissero maliziosamente ironici:
- Si ma hai notato che ogni volta che deve prendere oppure portarci, si infila sempre nello spazio vicino a te? E se non c’è se lo crea lui! -
Io ovviamente questo l’avevo notato, ma sentirmelo dire da loro fu molto più soddisfacente.
Dopo di quello presi a chiamarlo per nome e lui rispondeva naturale, come fosse normale, senza seccarsi o quant’altro; ne ero molto felice, ovviamente.

Una sera davo le spalle alla sala e immersa nei discorsi con gli altri non facevo attenzione a nessuno, improvvisamente vidi il viso di Marco vicino a me che spuntava per chiedere cosa volessimo da bere quella sera, io saltai nella sedia appiattendomi contro il muro dietro di me senza però staccargli gli occhi di dosso: troppo improvviso, inaspettato… troppo bello!
Solo brevemente vidi lo sguardo di Stefania davanti a me che ci guardava attenta, come se avesse capito qualcosa. Altre volte si piazzava lì facendomi prendere gli stessi spaventi, al colmo della gioia ma sempre spaventi erano…
- Ma Stefania, che c’è che lo guardi così? -
Le chiesi infine. Lei, molto attenta a questi particolari, m’illuminò d‘immenso:
- Ma non vedi come siamo messi? Là, all’opposto della tua posizione, c’è un posto libero dove è più comodo mettersi per i camerieri, infatti gli altri che ci hanno lasciato da bere andavano da quella parte. Lì vicino a te non c’è spazio, siete messi stretti… ma lui ogni volta si infila proprio lì! Non è strano? -
- E’ vero… molto indicativo… -
Rispose un’altra mentre io ponderavo su quanto appreso e luccicavo di luce mia:
Era vero, sì!
- Fantastico! -
Conclusi battendo le mani e sprizzando scintille elettriche da ogni parte di me stessa.
Le cose in un certo senso andavano avanti, progredivano bene. Nonostante fosse iniziata in quel modo deludente aspettando ed avendo pazienza le cose non erano andate così male.
Il problema si presentò, però, proprio a quel punto del nostro strano rapporto: come smuoverlo?
Qual era il passo decisivo per diventare più di quello che eravamo? Di fatto ancora nulla… conoscenti, sicuramente non amici; insomma, eravamo ancora un cameriere e una cliente e la cosa comunque mi intristiva un po’, mi seccava. Era bello come stava andando, ma sarebbe stato tutto superficiale.
Mi sembrava sempre irraggiungibile, di un altro pianeta e a onor del vero in quel periodo non splendevo molto, cioè c’era qualcosa che non andava.
Un po’ con gli amici, un po’ i soliti litigi col padre che bene o male tutti hanno, un po’ con me stessa che sentivo il bisogno di una persona accanto solo per me, da cui rifugiarmi, sentire e avere.
Accadde proprio lì.
Quella settimana avevo avuto una litigata furiosa con mio padre dove mi ero arrabbiata molto con lui, non è che io abbia mai avuto problemi in famiglia ma diciamo che mi scontro spesso con lui per i nostri tipi di caratteri.
Quindi in quell’occasione in cui avevo bisogno di distrarmi e rilassarmi, finì con una ciliegina sulla torta: litigai anche con Stefania e Cristian.
Non spiego il motivo, diciamo che era un periodo nero per tutti e loro non venivano incontro a qualcuno che poteva star male ugualmente; sarebbe lungo spiegare e difficile, posso però dire che in seguito facemmo pace subito.
Tuttavia quella sera mi bastò abbondantemente per credere che fra noi fosse tutto finito e per farmi piangere di rabbia come una fontana, contro ogni mia volontà ed orgoglio… e finire da sola al mio pub preferito, dove stavo bene e potevo riprendermi!
Non avevo voglia di tornare a casa, dare spiegazioni, stare con altri che cercavano di tirarmi su… avevo solo voglia di stare sola per cui me ne andai al mio rifugio.
Non era giorno di piena, anche se di gente ce n’era in media quantità.
Avevo gli occhi rossi gonfi di lacrime che ero riuscita a fermare, un espressione tetra e dura, incenerivo chiunque mi si avvicinasse.
Mi misi in un tavolo singolo nell’angolo della solita sala senza guardare in faccia nessuno, riflettevo ancora sulle parole che ci eravamo detti poco prima, su cosa avrei dovuto e potuto fare, sulle colpe e sui meriti, quindi non vidi arrivare Marco.
All’inizio con la sua aria allegra disse con un fondo di stupore nel vedermi sola:
- Ehilà, come mai sola, oggi? -
Io alzai di scatto la testa verso di lui, non mi aspettavo il suo arrivo per cui non mi preoccupai di mostrare un espressione meno irata, lo vidi irrigidirsi impercettibilmente. Sicuramente rimase impressionato da me e dallo stato in cui ero, tanto più che avevo dei semplici pantaloni sportivi e scoloriti, una felpa nera col cappuccio e i capelli spettinati: poco presentabile insomma, meno del solito.
- Cosa è successo? -
Mi chiese subito con un inclinazione della voce meno allegra, più seria e gentile; volevo illudermi che fosse veramente interessato, che altri al posto suo non mi avrebbero chiesto nulla, volevo far finta che almeno lui, quella sera, fosse dalla mia parte e potesse tirarmi su senza essere invadente o darmi fastidio.
Mi trovai un po’ smarrita, non sapevo cosa dire e cosa fare, tirai su col naso come una bambina e sentii subito, appena provai a parlare, il nodo riformarsi e le lacrime che premevano di nuovo… dovevo dire che avevo litigato con la mia migliore amica e che forse era tutto finito, un amicizia durata anni, dovevo dire anche che non credevo più ai sentimenti che legano le persone (famiglia esclusa poiché io con la mia ci stavo bene ad ogni modo).
- Ecco… momentaccio… -
Riuscii a dire solo quello mantenendo una voce meno strozzata e inclinata al pianto, sapevo che riparlarne con qualcuno mi avrebbe provocato di nuovo dolore.
Lui accennò ad un sorriso che non saprei interpretare, forse di incoraggiamento; penso che capì che non era il caso di insistere, si vedeva subito che ero ‘nera’, così con più dolcezza mi disse:
- Capita… forza… -
Provai a fare quel che si dice un sorriso di ringraziamento, ma mi salì solo una smorfia malinconica.
Credo che quella sera mi ‘vide’ per la prima volta.
Nacque un certo imbarazzo perché nemmeno lui sapeva cosa fare:
- Cosa ti porto? -
- Una birra… bionda… -
Sorrise ricordandosi quella volta in cui io non ero stata precisa e mi aveva chiesto di che tipo la volessi mettendoci anche un bel ‘verde’ di mezzo, sapeva che anche io mi riferivo alla stessa cosa e se riuscivo a fare riferimenti di quel tipo, me lo dissi anche io, non ero poi tanto male, tuttavia ancora non me la sentivo di sorridere come facevo sempre per lui.
Non mi tirai su subito, però ammetto che se ci riuscii fu merito di Marco; riflettei che per una volta potevo averlo tutto per me e piangermi addosso sarebbe stato uno spreco, così mi diedi della stupida e trovai in me, come al solito, la forza di andare avanti, di vivere a modo mio in maniera stravagante.
Non feci espressioni gioiose, ma smisi di avere quell’aria da funerale, quando mi portò la birra gli chiesi dell’acqua così mi bagnai il fazzoletto di carta mettendomelo sugli occhi, non mi truccavo mai normalmente, quella sera men che meno!
Mi stavo ravvivando con calma e si notava… come si notava anche che ogni volta che lui passava mi guardava ammiccando amichevolmente al mio indirizzo. Penso di avergli fatto una certa impressione abituato ormai a vedermi in atteggiamenti buffi e divertenti, poco seri, insomma. Sicuramente aveva subito una specie di shock, rendendosi conto solo ora che avevo molto ancora da mostrare e che potevo essere più interessante di quel che sembrava d’impatto. Per lo meno ragionando su quella sera, immagino andò così.
Accantonai del tutto i miei problemi decisa a mandare tutti al diavolo, non li avrei ascoltati più Cristian e Stefania a meno che non si fossero scusati, ma anche in quel caso ero intenzionata a lasciar stare.
Di natura sono forte e nonostante i momenti down che capitano a tutti nella vita mi riprendo sempre in fretta o da sola o aiutata da qualcuno, detesto perdere troppo tempo a star male o per altri o per sciocchezze, io non credo ci siano mai motivi abbastanza grandi per piangere sulla propria vita, ma solo su quella degli altri quando si vedono bambini per strada che muoiono di fame o malattia, quando si sente parlare dell’Africa o dell’India, oppure quando si sente che una nuova guerra è iniziata. Io credo che vada bene star male per le stupidaggini che ci succedono, ma non rimanerci lì a lungo altrimenti la sofferenza di chi sta veramente male viene sprecata e dimenticata.
Con questa filosofia mi rialzo in fretta e trovo la forza dentro di me, credendo nella persona che sono senza demoralizzarmi con confronti e cose simili. Io so quello che sono, non gli altri e fare affidamento su qualcuno va bene ma fino ad un certo punto, perché devo sapere andare per la mia strada con la mia mentalità senza farmi influenzare.
Sono consigli di una persona preziosa che io stessa detti ad essa quando stava male.
Altre volte Marco mi chiese, passando davanti, se volessi qualcos’altro e quando finii la birra domandai un Gin Lemon, avevo sete ma non volevo acqua o succhi.
Mi sentivo decisamente meglio e quando mi portò da bere si sedette al mio tavolo. Potrei morire anche ora a ricordarlo, per me fu una sorpresa enorme che mi fece dimenticare del tutto quello che mi aveva demoralizzato e fatto arrabbiare quella sera.
Avevo lì davanti a me Marco che sorseggiava una birra e fumava una sigaretta.
Come inizio fece quello che sapeva far meglio: sorrise ed io andai sempre più in confusione!
- Ho un attimo di pausa, posso stare qui? -
Io trattenei il respiro quando lui parlò proprio diretto a me, ok, l’aveva già fatto ma da così vicino, cioè seduto di fronte a me, mai. Desiderai all’istante che il momento non finisse più.
- Si, prego… -
Arrossii solo in un primo momento, anche se ero sempre sognante non credevo ancora che rimanesse lì davanti a me. Non mi spiegai il motivo per cui lo fece ma ora penso di poterlo giustificare come curiosità nei miei confronti, prima di allora probabilmente si era limitato a definirmi pazza e strana, ora c’era qualcosa che l’aveva attirato ed io la definii solo sana curiosità… anche se non mi sembrava il tipo che gli piaceva farsi corteggiare o che stuzzicava chi gli moriva chiaramente dietro.
Tirò una boccata di fumo (eravamo nella sala fumatori ma io non fumavo e non fumo tutt’ora… ero lì perché ormai quello era il nostro posto) ed io notai come la sigaretta gli stesse bene fra le dita e poi fra le labbra. In generale ritengo che ci sono tipi che sono più belli quando fumano, non lo so, forse a livello di estetica… è una cosa complicata che non capisco seppure sono io a pensarlo. Io detesto il fumo, non ho mai tirato nemmeno una volta e avendo problemi respiratori, a volte, preferisco evitarlo, ma siccome tutti i miei amici fumano alla fine sono abituata anche a quello e riconosco che in alcune persone la sigaretta alla mano sta bene.
Marco è fra questi. Guardavo quindi assorbita la sua mano, le due dita affusolate che reggevano disinvolte la Camel, aveva delle belle mani e lo notai solo in quel momento che potevo vederle bene e con calma; a me piacciono le mani e le guardo sempre nei ragazzi. Ce ne sono di belle, curate, d’artista, con le unghie sistemate e non mangiate, le dita sottili ma non troppo, con un apparenza forte, non pelose o troppo venose o nodose, semplicemente belle. Quelle le adoro ed erano proprio le sue.
Prendendomi ancora una volta alla sprovvista cominciò a parlarmi, aveva un tono calmo ma con una sfumatura d‘interesse:
- Come va’? -
Io mi scossi dalla contemplazione delle mani:
- Vuoi? -
Mi chiese poi notandolo:
- No, non fumo… guardavo come la tieni… comunque sto piuttosto meglio, grazie! -
Avevo un tono di voce basso e non allegro come avrei voluto, avevo pianto molto quella sera e anche gridato quindi non avevo voglia di mostrare stati d’animo che ancora non sentivo, inoltre anche fisicamente ero stanca e spossata ma non volevo andarmene a casa, per nessuna ragione.
Mi sembrava di stare in un posto sospeso a metà fra la vita reale e quella finta, dove potevo stare bene senza far nulla, dove nessuno mi rompeva e mi portava ai miei doveri.
- Come mai sei nella sala fumatori, allora? -
Chiese senza capire.
- Ormai questi sono i miei angoli preferiti, ci mettiamo sempre qua con gli altri e sto bene qui… -
Lui fece un cenno affermativo, aveva uno sguardo diretto al mio, mi scrutava cercando di capire cosa mi passasse per la testa… almeno così mi sembrava.
Man mano che parlavamo la confusione e l’agitazione iniziale scemava, mi sentivo sempre più a mio agio e tranquilla e riuscivo a fare qualche piccolo sorrisino tirato, lui in compenso aveva quelle sue espressioni che andavano dalla seria alla divertita, cercava di tirarmi su ma non potevo dirgli che mi bastava che rimanesse lì e per me era a posto!
Lanciò uno sguardo al mio cellulare sul tavolo, notando che era spento, non volevo che nessuno mi rompesse, tanto a casa sapevano che ero da Stefania, lei pensava fossi a casa… quindi non mi preoccupai di nessuno, non volevo che mi rintracciassero.
- Allora, è un momentaccio, eh? -
Introdusse il discorso senza nemmeno sapere bene come fare, apprezzai il tentativo e pensai che forse riuscivo a parlarne senza rimettermi a piangere come una stupida, mi sentivo sempre scema quando piangevo, lo ritenevo un inutile segno di debolezza, io non lo ero e quindi era assurdo farlo!
Parlai con un sorriso di scusa inspiegabile che mi venne naturale e un tono basso, lui si appoggiò al tavolo per sentire e sorseggiò la sua birra.
- Si, capita… è una settimana nera… ho litigato con mio padre giorni fa, quindi il mio umore si è guastato per quello, poi è un periodo che coi miei amici non va‘. Io e la mia migliore amica ci stiamo allontanando e stasera abbiamo litigato di nuovo, ci siamo dette cose brutte, sai come succede, no? Una tira l’altra… e tutti rimangono male, poi. Contando che personalmente non sto troppo bene di natura, ora, per via di problemi personali legati a nulla se non a me stessa, è stato facile per me scoppiare… -
Mi ascoltò in silenzio e serio, non so quanto capì dal mio discorso confuso ma alla fine la voce mi tremò così decisi che bastava. Distolsi lo sguardo dal suo, io guardavo e guardo sempre negli occhi le persone quando parlo o quando parlano loro però in certi momenti non ci riesco, il suo sguardo era troppo diretto e penetrante, mi stava prestando attenzione ed era motivo d’imbarazzo in quell’attimo.
- Non preoccuparti, capisco sai… se sei tu per prima a non star bene è ovvio che finisce così, sono gli altri che ti sono intorno a dover capire… quelli che ti sono veramente legati… -
Mi sorprese il suo discorso, aveva tutta l’aria di qualcosa di serio e profondo.
- Si, è vero ma non penso di dovermi giustificare così, la colpa è mia come degli altri. Io devo saper accantonare i miei problemi quando sono con gli altri, tutti ne hanno e non è giusto poi prendersela con chi non c’entra… vero è comunque che anche lei, la mia amica, ha fatto esattamente la stessa cosa. Sai, il suo problema è che pensa che solo lei ha guai e che gli altri abbiano sciocchezze trascurabili… io vorrei farle capire che nel mondo ci sono cose peggiori della sua e che ognuno ha le magagne, ma questo non lo comprende. Quando fa la parte della vittima mi manda in bestia perché non considera gli altri e non si accorge se con chi si sfoga sta bene o male… -
Di natura io quando parlo faccio caos e non utilizzo un buon vocabolario, ma il fatto stesso di non dire parolacce nel discorso era una grande vittoria visto che di norma parlo come uno scaricatore di porto!
Mi resi conto di aver parlato troppo e me ne scusai imbarazzandomi ancora, però avevo rialzato lo sguardo, mi prendeva il discorso e mi sembrava uno sfogo personale… che avvenisse con lui mi faceva felice. Mi sentivo più leggera rispetto che se ne avessi parlato con qualcun altro.
- A lungo andare logora, questo comportamento… bisogna solo considerare di più gli altri, non concentrarci su noi stessi ma metterci nei panni degli altri. Tutti hanno problemi, hai ragione… per non scoppiare e soffrire serve una valvola di sfogo che non faccia male a chi ci sta intorno, altrimenti ci si auto compatisce e non va bene così… -
Marco sembrava aver capito appieno il discorso ed eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, la pensavamo uguale e andammo avanti a parlare di queste cose anche dopo la sua sigaretta e la birra, peccato però che fu richiamato al dovere e non poté rimanere oltre. Si vedeva che era un po’ dispiaciuto, penso che fosse stato bene e il risultato era divino anche per me, potevo dire di stare bene e non mi sembrava vero.
Quella sera me ne andai quando il locale chiuse, fui l’ultima e tornai alla macchina accompagnata da lui; non parlammo molto nel tragitto, diciamo che godemmo semplicemente l’uno della compagnia dell’altra. Sentivamo che si era creato qualcosa di nuovo, di diverso rispetto a prima… ci guardavamo con occhi diversi, la svolta che serviva era avvenuta, me ne resi conto a casa.
Per questo ora sono così contenta al solo parlarne, sono arrivata a questo punto della nostra storia, non stiamo insieme, non è successo veramente nulla di grandioso, ma a me sembra stupendo anche solo il momento in cui sono, quel qualcosa che aspettavo cambiasse fra noi è successo ed ora devo solo aspettare la sua prossima mossa.
Non vedo l’ora di rivederlo.



   
 
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