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Autore: csgiovanna    12/03/2011    1 recensioni
Il dolore per la perdita della sua famiglia potrebbe davvero aver spinto Patrick Jane a compiere un folle gesto? E' questo il dilemma che Teresa Lisbon dovrà affrontare mettendo in discussione molte delle sue certezze.
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi con un nuovo capitolo... In cui la protagonista assoluta è Teresa Lisbon...Ma il buon Patrick Jane non manca mai... Tanti nuovi indizi ma anche nuove domande...


Flashback - 10 giorni prima


Era uno di quei pomeriggi noiosi in cui al CBI non si muoveva foglia e Lisbon pregava, disperatamente, che il telefono squillasse per salvarla dalla montagna di scartoffie che la circondava. Si augurava di poter abbandonare quell’attività al più presto, anche se questo poteva significare solamente una cosa: era stato commesso un omicidio. Non si augurava certamente che qualcuno venisse ucciso, ma odiava davvero la burocrazia.
Sospirò, quindi chiuse l’ennesimo dossier. Un lieve bussare attirò la sua attenzione: un uomo sulla quarantina, con i capelli scuri e gli occhi verdi, la stava fissando sorridente dalla soglia del suo ufficio.
“Senatore Robertson” - sussurrò lei ricambiando il sorriso.
“Agente Lisbon...non ci davamo del tu, Teresa?”- rispose allargando ancor più il sorriso e facendo un passo verso di lei.
Lisbon si alzò dalla scrivania e gli strinse la mano.
“Sono felice di rivederti Alec. Come stai?”
“Il piacere è mio, anche se avrei preferito rivederti in un’occasione diversa. E’ passato tanto tempo...”- disse abbassando lo sguardo.
Lisbon annuì, improvvisamente seria.
“Ho saputo. Mi dispiace tanto...”- si limitò a dire appoggiando la mano sulla sua spalla.
Il Senatore inclinò la testa e sorrise appena.
“Sapevo che poteva finire così, ma non ho mai perso la speranza”- si limitò a dire. Lisbon annuì.
“Quindi ora sei a capo di uno dei migliori team di Sacramento!”- esclamò poi, cambiando discorso.
“Così dicono” - commentò arrossendo lievemente. I complimenti la mettevano sempre in imbarazzo.
“Non c’è da stupirsi, Teresa! Sei sempre stato un ottimo poliziotto...e non solo” - gli occhi verdi scintillarono maliziosi.
Lei ridacchiò lievemente a disagio. Stava seduta sul bordo delle sua scrivania e accompagnava le parole con piccoli movimenti delle mani.
“Teresa sarai presente martedì?” - chiese, tornando improvvisamente serio.
“Farò il possibile, Alec.” - si limitò a dire.
“Se non ci sarai, non so se sarò in grado di restare...” - le confidò.
Lisbon annuì e cercò di confortarlo sfiorandogli con delicatezza il braccio. L’uomo le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle. Lei si irrigidì, il volto in fiamme.
Improvvisamente la porta si spalancò.
“Hey Lisbon, che ne dici di una pausa?” - Jane entrò senza bussare. Una tazza di caffè in una mano ed un sacchetto nell’altra, il solito sorriso sul viso. Si fermò di colpo notando Lisbon e Robertson. I due al suo ingresso si erano allontanati velocemente, imbarazzati.
“Diavolo Jane, ma non bussi mai?” - lo apostrofò lei strappandogli, letteralmente dalle mani, il caffè e i muffin. Era arrossita.
Lui la stava fissando con un’espressione indecifrabile sul volto.
“Hum... lei dev’essere il famoso consulente, Patrick Jane, giusto? - intervenne prontamente Robertson, allungando una mano.
“Così dicono.”- Patrick lo fissò, gli strinse la mano, poi tornò a guardare Lisbon.
Robertson sospirò, quindi si strinse nelle spalle e sorrise a Teresa, che continuava a borbottare rimproveri in direzione del consulente.
“Hem, forse e’ meglio che vada. Ti chiamo io, Teresa.” - si affrettò a dire - è stato un piacere sig. Jane”- e uscì dall’ufficio.
Patrick lo salutò con un cenno.
“Certo, Alec. Ciao.”
Lisbon si girò verso Jane con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono.
Perché aveva accettato di lavorare con lui? Si chiese per l’ennesima volta. Perché non risolveva il problema una volta per tutte e gli sparava? Ah certo, si disse, cercando di calmarsi... Perché LUI chiude i casi, Teresa. Ecco perché.
“Non mi dire che quel tipo ti stava chiedendo di uscire?” - le disse con il suo solito sorriso.
Lisbon alzò un sopracciglio - “Non sono affari tuoi Jane! - esclamò alzando leggermente la voce - e comunque, cosa ci sarebbe di tanto strano se un uomo affascinante ed intelligente come quel tipo mi chiedesse di uscire?”
Jane sorrise divertito - “Non ci sarebbe nulla di strano, mia cara Lisbon. Ma potresti avere di meglio. E comunque quello non è il tuo tipo” - concluse alzando le spalle.
“E da quando TU sapresti qual’è il mio genere d’uomo? No, non lo voglio sapere”- sbottò lei.
Patrick inclinò la testa, fece una smorfia come se le avesse chiesto una cosa ovvia, quindi sorrise.
“Comunque, non era qui per questo - si affrettò a dire Teresa - si tratta di un vecchio caso di cui mi sono occupata diversi anni fa. Prima che tu entrassi nel team.”
“Robertson non era ancora Senatore. E’ una storia davvero molto, molto brutta.” - in quel preciso momento Lisbon ricordò che Jane e Alec avevano davvero molto in comune.
“Robertson... mi dice qualcosa” - disse lui.
“E’ probabile. I giornali ne hanno parlato per mesi. Il figlio adottivo del più promettente procuratore distrettuale della California e di una stella del cinema, Jennifer Courtney Hall, uccide a sangue freddo la madre, incinta di sei mesi, e la fidanzatina. E poi tenta di uccidere il patrigno quando viene scoperto...”
“Greg è stato condannato a morte. Martedì eseguiranno la condanna.- sussurrò - così Alec perderà anche lui. Era tutto quello che gli restava della sua famiglia, nonostante tutto sperava nella grazia. Era qui per chiedermi di essere presente.”
“Oh... capisco. E’ davvero una brutta storia.” - Jane era serio, un’ombra fugace gli attraversò lo sguardo. Teresa lo fissò preoccupata.
“Comunque continua a non essere il tuo tipo!” - teneva le mani in tasca e la fissava con un sorrisetto ironico, ora.
“Ma davvero? Illuminami, perché non lo sarebbe?” - lo incalzò sarcastica.
“Beh, Lisbon...Tu non sei una preda, ma una cacciatrice - le disse sorridendo malizioso - ti piacciono i mascalzoni, non i bravi ragazzi. Un uomo per interessarti e sedurti deve essere sfuggente, misterioso, irraggiungibile. Il principe azzurro non fa per te.”
Lisbon aprì la bocca per ribattere ma la richiuse subito.
Era così trasparente?
“E poi - aggiunse sulla soglia del suo ufficio - tu preferisci i biondi!” - e uscì ridacchiando.
“Ti piacerebbe!” - sbuffò lanciandogli una matita.
Lisbon ridacchiò nervosa. Jane aveva la capacità di farle perdere la pazienza. Come poteva essere così, così...così Jane? Tutto quello che aveva detto sui suoi gusti in fatto di uomini era assurdo ed incredibilmente corretto. Era sempre stato così. Un ragazzo per piacerle doveva essere un bastardo egoista. Più era impossibile ed irraggiungibile e più lei si innamorava.
Sorrise suo malgrado. Jane la conosceva così bene. Salvo per un punto.
Non le piacevano affatto i biondi,  non gli erano mai piaciuti.
Non le piacevano i biondi, era vero, si disse riordinando nervosamente i fascicoli sulla sua scrivania.
Perché, in realtà, gliene piaceva solo uno.

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Ritorno al presente

Lisbon era chiusa nel suo ufficio da qualche ora con le veneziane completamente chiuse. Tamburellava nervosamente le dita sulla scrivania mentre tentava di mettere ordine ai suoi pensieri. Sentiva il rumore del team all’esterno e questo, in qualche modo, la confortava dandole una sensazione di normalità e sicurezza. Sospirò, se chiudeva gli occhi e non pensava, poteva illudersi che quella fosse una di quelle giornate in cui Jane stava disteso sul suo divano mentre lei compilava pile di rapporti. Invece, erano passati solo quattro giorni da quella terribile sera.
“Niente... - sussurrò rifugiando la testa tra le mani - non abbiamo ancora niente!”
Avevano passato al setaccio la vita di Jane, ma ogni pista che avevano percorso aveva portato ad un nulla di fatto.
Tutto era appeso ad un filo.
Si sentiva impotente e sconfitta. Sapeva che, se non avessero chiuso il caso entro poche ore, il colpevole sarebbe riuscito a farla franca. E lei non poteva permetterlo.
Strinse i pugni. Era stanca. Da quanto non dormiva?
Avrebbe tanto voluto che lui fosse lì, disteso sul divano che le aveva regalato fingendo di dormire. Si aspettava che da un momento all’altro sarebbe sbucato nel suo ufficio con quello sguardo malizioso e l’irresistibile sorriso.
Il cellulare iniziò a vibrare, lei guardò il numero con un sorriso appena accennato - “Alec... Ciao - ammutolì quando si rese conto che dall’altro capo del telefono non c’era il senatore Robertson - Si, certo agente Hudson. Arrivo subito” - chiuse il telefono e iniziò a riavviarsi nervosamente i capelli.
Cosa stava succedendo? Prima Jane ed ora... Alec era scomparso. Perché stava succedendo tutto questo? Si sentiva come se stesse per andare in mille pezzi.
Teresa non puoi arrenderti ora, si disse stringendo i pugni. Quindi si alzò e uscì dall’ufficio.
Van Pelt le sorrise, poteva leggere sul suo volto la preoccupazione. Rispose con un sorriso appena accennato, quindi si rivolse a Cho.
“Devo allontanarmi dall’ufficio per un po’. Il Senatore Roberston è scomparso e l’FBI ha chiesto di incontrarmi nella sua abitazione. Prendi tu il comando qui, e chiamami se ci sono novità. Qualsiasi novità”. - precisò.
L’uomo annuì senza chiedere ulteriori spiegazioni al suo capo, quindi Teresa si precipitò fuori dal CBI.

La residenza del Senatore si trovava poco fuori il centro città. Era un palazzo elegante ma piuttosto sobrio, con un ampio giardino ricco di fiori e piante. Entrando nel vialetto Lisbon ricordò che Alec era un appassionato di botanica e lo aveva curato personalmente. Teresa sorrise al ricordo.
Un uomo di colore sulla trentina, che scoprì essere l’agente Hudson, le venne incontro appena scese dall’auto. Le strinse la mano e le fece strada all’interno dell’edificio.
Gli uomini della scientifica stavano analizzando il salone, altri agenti si muovevano per le stanze alla ricerca di indizi.
“Non ci sono segni di efrazione o di lotta. Potrebbe trattarsi di allontanamento volontario, ma non escludiamo il rapimento. L’auto non c’è, ma non manca altro. Inoltre abbiamo trovato questo - e accennò al telefonino all’interno di una busta in plastica -  era abbandonato sul pavimento e l’ultimo messaggio che stava scrivendo era per lei.” - disse l’agente - Come mi hai detto tu tempo fa, i ricordi sono un dono immenso...E’ stato bello rivederti, che ne dici se...”- concluse Hudson guardandola negli occhi incuriosito.
Lisbon sorrise appena e sostenne il suo sguardo -“Non avevo una relazione con il Senatore, se è questo che sta pensando. Siamo stati ottimi amici per molto tempo...e lo siamo ancora.”
L’agente annuì e non fece commenti.
“Quando è scomparso?” - chiese lei.
L’agente sollevò un soppraciglio - “Le ultime persone che lo hanno visto sono stati gli agenti della sicurezza, tre giorni fa. Stando a quanto dice la segretaria - sbirciò i suoi appunti - Susan Breit, il Senatore voleva restare da solo un paio di giorni. Stamane la donna ha provato a contattarlo al cellulare per ore, quindi preoccupata è venuta qui...”
Lisbon aveva un brutto presentimento, ma si rifiutava di dar retta al suo istinto. Potevano esserci mille ragioni per cui Alec aveva abbandonato il cellulare, non doveva essere per forza successo qualcosa di grave. Poi ebbe un’illuminazione. Se voleva restare solo, dopo che Greg era stato giustiziato, c’era solo un posto dove Alec poteva andare.
“Forse so dov’è” - esclamò sorridendo - Andiamo”.

La villa del Senatore a Folsom Lake era in una posizione davvero suggestiva: nel cuore della riserva, circondata dal verde e con una vista mozzafiato sulle acque del lago. Teresa era stata lì una sola volta, una sera d’estate dopo la conclusione del caso, un ricordo dolce e malinconico che era impresso ancora nella sua mente e, probabilmente, anche in quella di Alec. Dopo quella lontana notte le loro strade si erano divise.
“Non è il tuo tipo” - improvvisamente ricordò la frase di Jane. Allontanò l’immagine sorridente del biondo consulente e si guardò intorno alla ricerca dell’auto o di un qualsiasi altro segnale che le indicasse la presenza del Senatore all’interno.
Lei e Houdson si scambiarono uno sguardo d’intesa quando finalmente notarono, dietro ad un gruppo di arbusti, il SUV nero. Insieme salirono le scale che portavano all’ingresso.
Teresa aveva il cuore in gola: il presentimento che aveva provato poco prima era di nuovo lì nella sua mente, e la implorava di ascoltarlo. Chiuse gli occhi per proteggersi dal sole e inspirò l’aria pulita, cercando di allontanare l’ansia.
“Entriamo - le disse l’agente dell’FBI, impugnando la pistola.
Lisbon annuì e sfilò dalla fondina la sua Glock. La serratura si aprì facilmente e i due entrarono all’interno con circospezione. L’ingresso era silenzioso e deserto, osservò Teresa, guardandosi intorno nervosa. Troppo silenzioso.
“Alec, sei qui?” - esclamò avanzando nell’atrio, Hudson la seguiva a poca distanza.
Entrarono in quello che era il salone principale, un’ampia vetrata dava su una splendida terrazza e degli ampi divani bianchi pieni di cuscini colorati disegnavano in maniera armonica lo spazio. Tutto era perfettamente in ordine. Di Alec però non c’era traccia.
“Proseguiamo” - le disse l’agente dando un’occhiata fuori dalla finestra e spostandosi verso le scale poco distanti.
Controllarono tutto l’edificio, ma del Senatore Robertson non v’era traccia.
“Nulla. E’ come se si fosse volatilizzato, eppure l’auto è qui” - le disse Hudson scuotendo la testa.
Teresa a quell’affermazione ebbe un sussulto, quindi si precipitò fuori dalla villa. L’agente dell’FBI la seguì a ruota arrivando alla sua stessa conclusione. Il SUV.
Come potevano essere stati così stupidi? Il SUV era ancora parcheggiato dietro gli arbusti e non era stato controllato. Teresa correva veloce verso il mezzo, la pistola ancora in pugno.
Un riflesso improvviso l’accecò bloccando la sua corsa, si voltò in direzione del bagliore. Proveniva da un punto in alto, sulla collina di fronte alla villa. Si accucciò temendo si trattasse del riflesso di un’arma. Un istinto che salvò la sua vita e quella dell’agente dell’FBI.
Vide l’esplosione prima ancora di sentirne il fragore. Lo spostamento d’aria la fece rotolare dietro ad un gruppo di cespugli, cercò di proteggersi il volto con le mani. Sentì Hudson urlarle qualcosa.
“Alec!” - riuscì ad gridare lei, sollevando appena la testa in direzione dei resti del SUV.
L’agente dell’FBI le fu presto accanto e si assicurò che lei stesse bene.
“Agente Lisbon, è tutto ok?”
Lei non rispose, fissava l’auto in fiamme senza riuscire a dire una parola.
“Si...sono ancora tutta intera, e lei? - rispose infine con voce incerta.
Lui la fece allontanare di qualche metro, quindi le controllò il taglio che le sanguinava dalla fronte.
“Merda!- esclamò lei rifugiando la testa tra le mani - chi diavolo ha potuto fare questo?”
L’agente di colore non rispose, afferrò il cellulare per chiamare rinforzi.
“Questo è proprio un gran casino...un gran casino” - ringhiò poi tra i denti.
Teresa non riusciva a crederci. Le sembrava di trovarsi in un incubo. Cosa stava accadendo?
La sua vita stava andando in pezzi, si disse trattenendo a stento la rabbia.

Era seduta su una barella fuori dell’ambulanza ed un paramedico le curava la ferita sulla fronte, mentre un giovanissimo agente dell’FBI stava raccogliendo la sua testimonianza.
“Quindi non avete controllato l’auto al vostro arrivo”- le stava dicendo il giovane - e non potete dire con certezza che Alec Robertson fosse all’interno”.
“E’ esatto” - rispose lei spostando di colpo la testa. La medicazione le bruciava un po’.
“Avete notato auto o altri mezzi al vostro arrivo?”
Lei scosse il capo poi ricordò - “Aspetti. Poco prima di arrivare alla villa, abbiamo incrociato un giovane motociclista. L’ho notato perché era completamente vestito di nero e con un casco integrale. Con questo caldo mi sono meravigliata dell’abbigliamento.”
“E’ vero l’ho notato anch’io, ma era una donna” - intervenne Hudson che l’aveva raggiunta in quel momento. Lei lo fissò, la corporatura del motociclista in effetti poteva far pensare ad una donna.
“Poco prima dell’esplosione sono stata abbagliata da qualcosa. Pensavo fosse un’arma, ma pensandoci meglio potrebbe essere stato il riflesso di uno specchietto.”
Il giovane agente prese nota, quindi si allontanò. Hudson le sorrise.
“Agente Lisbon, per ora è tutto. La faccio accompagnare a casa. So che è un momento molto difficile per lei e per la sua squadra e che vorrebbe essere con loro. Mi dispiace di averla coinvolta in tutto questo.”
Lisbon sorrise grata per le sue parole.- “Grazie agente Hudson.”
“Micheal” - disse lui stringendole la mano.
“Grazie Micheal...”.
Improvvisamente il cellulare di Teresa iniziò a vibrare, era Rigsby.
Trattenne il respiro, temeva potessero essere altre brutte notizie.
“Lisbon” - rispose con voce tremante - C..certo...- sorrise alla prima buona notizia che riceveva da quattro giorni a questa parte - Rigsby, tu non sai quantoavevo bisogno di ricevere questa notizia...Arrivo subito e...Grazie”- e chiuse la conversazione.
Guardò i resti del SUV, era travolta da emozioni contrastanti. Avrebbe voluto poter piangere per Alec, ma allo stesso tempo ringraziava Dio per quella telefonata.
   
 
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