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Autore: Cicciolgeiri    12/03/2011    2 recensioni
Dimenticate tutto ciò che sapete sul mondo degli dei dell'Olimpo e calatevi nei panni di Steve Johnson, il figlio del divino Zeus, e di quelli dei suoi amici Grover Underwood, Silfide Black ed Annabeth Chase.
Ade, dopo millenni di umiliazioni e soprusi, decide di vendicarsi degli Dei dell'Olimpo attuando un terribile piano di distruzione insieme ad Eris, dea della discordia: rapire e sacrificare tutte le divinità per aumentare il suo potere.
In un mondo in cui nulla è come sembra, ce la faranno i nostri amici a salvare il mondo dalla furia di Ade?
Ma soprattutto, Steve riuscirà a capire di chi potersi fidare veramente?
Nuove avventure, antichi nemici ed impavidi eroi si intrecciano in una disperata lotta contro il tempo per la salvezza del mondo ... e dell'Olimpo.
(...)- Volete spiegarmi cosa sta succedendo? - sbottai io. Odiavo sentirmi escluso. - Che cosa sarebbero questi calzari nella foresta? -
-
Altari, babbuino! - esclamò Silfide, - sono dei templi eretti nel bosco per i nostri genitori. Una volta ogni tanto tutti noi dobbiamo farci una scampagnata nella foresta per rendere loro grazie - simulò un conato di vomito. - Sai che noia … ecco perché mi porto le tenaglie! - aggiunse perfidamente, ritrovando subito il buon umore.
- Non puoi farlo - disse Grover serio. - Hermes e gli altri dei si arrabbierebbero come ippopotami con l’ernia, lo sai -.
Lei fece schioccare la lingua con strafottenza. - Tzé, sai quanto me ne importa! - ribatté.
Io chiesi: - Cosa vuoi farci, con delle tenaglie? -
- Sopra ogni altare c’è la statua della divinità a cui è stato dedicato - spiegò Silfide. - La statua di Hermes è senza mutande, quindi ha praticamente i gioielli esposti a qualunque tipo di intemperie - ammiccò furbescamente, - e di tenaglie -.
Io la guardai stralunato.
- Mi stai dicendo che vuoi castrare la statua di tuo padre? - dissi.
Lei sghignazzò.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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mavim
Grazie tante per i complimenti e non c’è neppure bisogno che ti dica che la tua recensione mi ha fatto tantissimo piacere, vero??
LOL
Spero che continuerai a seguire questa fic, perché più i capitoli andranno avanti più mi distaccherò dal film. Ovviamente per alcune cose prenderò molti spunti da esso, ma la storia di Steve è parecchio diversa da quella dei libri o del film, lo scoprirai presto …
xD
Spero che anche questo chappy ti sia sembrato carino e sono contenta che Silfide e Steve ti piacciano xD Piacciono molto anche a me, se devo essere sincera °__°

piccolalettrice
Grazie mille per la tua recensione, che è stata la prima quindi mi ha resa ancora più stra-felice del solito *__* Hai ragione, a primo acchitto questa fic può sembrare una mera scopiazzatura del film (anche, perché, in un certo senso, lo è davvero lol), ma fidati se ti dico che, più le cose andranno avanti, più l trama si differenzierà drasticamente da quella dei libri o dei film, anche per quanto riguarda le storie dei personaggi che siamo abituati a conoscere.
Nei prossimi chappy, Annabeth sarà più agguerrita che mai, te lo prometto, e sono contenta che Silfide e Steve ti abbiano fatto una buona impressione (i figli di Hermes sono sempre i personaggi migliore, xD )
Spero continuerai a seguire questa ff, xxx


Il fatto che fossi riuscito a rubare la bandiera aveva fatto andare tutto il Campo in fibrillazione; essendo figlio di Zeus, attorno a me si erano create molte (troppe) aspettative e, acciuffando quel quadratino di stoffa rosso, era come se mi fossi dimostrato all’altezza di tutte le fantasticherie dei miei compagni campeggiatori, che mi vedevano come una sorta di celebrità.
Naturalmente non tutti: i figli di Ares mi lanciavano occhiate omicide ogni volta che passavo loro a tiro e pensavo di non stare troppo simpatico neppure ai figli di Atena, soprattutto alla loro capogruppo.
Ed era davvero un peccato, perché Annabeth era … be’, era un fenomeno.
Non solo era bellissima e intelligente, ma era anche la migliore stratega del campo, una tosta insomma. E il fatto che io fossi stato così sfacciatamente fortunato da batterla proprio non le andava giù.
<< Le passerà >> mi assicurò Grover a colazione, la mattina dopo la partita di Caccia alla Bandiera. I ragazzi mangiavano sotto un grande padiglione in cima alla collina più alta ed il mio amico satiro si era seduto accanto a me, dato che io ero l’unico occupante del mio tavolo. Zeus non aveva altri figli.
A giudicare dalla folla che c’era tutt’intorno, invece, il resto dell’Olimpo doveva darsi un bel daffare coi mortali: Efesto era praticamente pieno, da Ares c’era qualcuno che mangiava in piedi e per Hermes avevano dovuto addirittura affiancare due tavoli per farci entrare tutti.
Visto che avevo fatto guadagnare a tutta la squadra Blu l’esonero di due settimane per il servizio mensa, c’erano alcuni che mi veneravano ed altri che avrebbero venduto la nonna ad Ade pur di mettermi le mani addosso, tipo Clarisse, l’enorme figlia di Ares che aveva tentato di scotennarmi il giorno prima, e che adesso serviva ravanelli lessi al banco della mensa, con tanto di retina per capelli in testa.
Una visione raccapricciante ed esilarante al tempo stesso, ma più che altro preoccupante, poiché Clarisse mi fissava con la stessa intensità di un toro da rodeo con una spina conficcata in una chiappa e aveva spezzato già due mestoli da cucina tenendomi gli occhi addosso; mi dissi che si stava allenando in vista del giorno in cui quella stessa sorte sarebbe toccata al mio collo.
<< Non ne sono tanto sicuro >> ribattei ingurgitando il mio latte e cereali, << Clarisse vuole uccidermi. E nemmeno Annabeth mi sembra una che dimentica in fretta >>.
Le lanciai un’occhiata: stava seduta con gli altri figli di Atena ad un lungo tavolo un po’ più in là e pareva rigida come se avesse ingoiato un manico di scopa. Ero pronto a scommettere che non aveva chiuso occhio, proprio come me, anche se per motivi diversi.
<< Annabeth è una brava ragazza, è in gamba. E poi le piaci >> disse Grover con un sorrisetto.
Io mi strozzai con quello che avevo in bocca e per poco non feci la doccia al satiro.
<< Eh? >> gracchiai quando riuscii a riprendere fiato.
<< Sì >> mi assicurò lui, << insomma tu sei un degno avversario, e poi, diciamocelo, sei belloccio >> a quelle parole sbattei più volte le palpebre, incredulo. << Fidati, alle ragazze piacciono quelli che suscitano in loro sentimenti contrastanti >> Grover fece le virgolette con le dita e mi strizzò l’occhio con fare cameratesco, come per dire che lui la sapeva lunga in fatto di donne.
<< Sarà >> mugugnai io poco convinto. Brandire una spada contro qualcuno non mi sembrava esattamente il modo per fargli capire che provavi interesse nei suoi confronti. Non un interesse amoroso, perlomeno.
Proprio in quel momento al tavolo di Zeus venne a sedersi Silfide.
<< Ciao, Steve! >> mi salutò allegramente, con un largo sorriso.
<< Ehi >> borbottai al suo indirizzo, troppo depresso per fingere di non esserlo.
<< Ciao, Silf! >> esclamò Grover a voce un po’ più alta del necessario.
<< Sì >> biascicò lei degnandolo appena di uno sguardo, per poi tornare a dedicarsi a me. << Che ti prende, biondo? >> esclamò scompigliandomi i capelli. << I festeggiamenti in tuo onore non sono durati abbastanza? O pensavi che sarebbe stato tutto rose e viole? >>.
<< Si dice “rose e fiori” >> la corresse Grover, risentito. Pareva offeso dalla sua totale mancanza di attenzione nei suoi confronti.
Ah. Quella sottospecie di somaro poteva anche darsi tutte le arie che voleva, ma in fatto di ragazze era una frana quasi quanto me! Gli lanciai un’occhiata di traverso che lui ignorò accuratamente.
<< E’ uguale >> lo liquidò Silfide agitando una mano, poi si rivolse a me. << Sei triste perché Annabeth Occhioni da Cerbiatto Chase non ti calcola, vero? >> mi rifilò una gomitata tra le costole. << Eh, bellimbusto? >>
<< Sta zitta >> mugugnai di malavoglia. << Non è per quello, sai che me ne importa >> mentii spudoratamente, al che toccò a Grover rifilarmi un’occhiataccia. << E’ solo che sono un po’ stanco. Sai, confuso, più che altro. E’ successo tutto così in fretta … >>
Silfide annuì con fare comprensivo, e sembrava stesse per dire qualcosa di saggio, poi invece esclamò:
<< Ehi, Luke mi ha detto che oggi dobbiamo andare a fare visita agli altari dei nostri genitori, nella foresta. Io mi porto le tenaglie >> ghignò malvagiamente.
<< Eh? >> commentai io. Luke Castellan era il capitano della squadra Blu, capo casa dei ragazzi di Hermes, nonché tipo piuttosto ganzo, se devo essere sincero. L’avevo conosciuto la sera prima durante la cena in mio onore e avevo notato che praticamente tutte le attenzioni femminili del Campo erano rivolte a lui.
Grover disse, con la voce di un’ottava più alta del solito: << Tu ci vai con Luke? >>
Silfide si strinse nelle spalle.
<< Boh! >> disse. << E’ mio fratello, no? Tecnicamente io dovrei andarci con tutti loro >> rispose.
Grover si mordicchiò il labbro.
<< E … e se invece vieni con noi? >> propose, indicando sé stesso e me. << Insomma, io accompagno Steve, perché lui è l’unico figlio di Zeus, e poi non sa nemmeno dov’è il suo altare … >>
<< … o tantomeno cosa sia >> aggiunsi acidamente, ma il satiro mi ignorò.
<< E poi tu sei svelta, ti puoi fare una corsetta e andare a rendere omaggio ad Hermes quando ti pare, no? >> concluse speranzoso.
Silfide parve sorpresa e si grattò la testa, pensierosa.
<< Ok >> disse alla fine, << se proprio ci tieni … >>
Grover emise un sospiro di sollievo ben udibile che tentò prontamente di camuffare in un colpo di tosse, ma con scarsi risultati.
<< Volete spiegarmi cosa sta succedendo? >> sbottai io. Odiavo sentirmi escluso. << Che cosa sarebbero questi calzari nella foresta? >>
<< Altari, babbuino! >> esclamò Silfide, tirandomi in fronte una crosta di pane col burro, che io non riuscii a schivare. << Sono dei templi, sai luoghi di culto, eretti nel bosco per i nostri genitori. Una volta ogni tanto tutti noi dobbiamo farci una scampagnata nel bosco per rendere loro grazie >> simulò un conato di vomito. << Sai che noia … ecco perché mi porto le tenaglie! >> aggiunse perfidamente, ritrovando subito il buon umore.
<< Non puoi farlo >> disse Grover serio. << Hermes e gli altri dei si arrabbierebbero come ippopotami con l’ernia, lo sai >>.
Lei fece schioccare la lingua con strafottenza. << Tzé, sai quanto me ne importa! >> ribatté.
Io, che stavo cercando di togliermi il burro dai capelli col risultato di impiastricciarmi ancora di più, chiesi: << Cosa vuoi farci, con delle tenaglie? >>
<< Sopra ogni altare c’è la statua della divinità a cui è stato dedicato >> spiegò Silfide. << La statua di Hermes è senza mutande, quindi ha praticamente i gioielli esposti a qualunque tipo di intemperie >> ammiccò furbescamente, << e di tenaglie >>.
Io la guardai stralunato.
<< Mi stai dicendo che vuoi castrare la statua di tuo padre? >> dissi.
Lei sghignazzò. << E’ tipico di lui mettersi in mostra. E’ un esibizionista, come tutti gli dei. Sarà divertente! Sai quante risate ci faremo! >> tamburellò con i palmi delle mani sul tavolo, ritmando “ We will rock you” dei Queen.
Io non ero tanto sicuro che Hermes avrebbe trovato la distruzione dei suoi attributi così spassosa, ma dato che non me ne importava poi tanto, lasciai che fosse Grover a tentare di dissuadere Silfide dai suoi progetti di demolizione. I due passarono il quarto d’ora successivo a battibeccare furiosamente, finché il suono del corno da guerra non ci richiamò tutti a più importanti occupazioni.
Abbandonammo il padiglione della mensa e ci dirigemmo verso l’arena a valle, dove Chirone ci stava aspettando per dare inizio alla spedizione nel bosco.
<< Ragazzi, in seguito ad alcune notizie di cui mi è giunta voce di recente >> iniziò il centauro non appena ci fummo tutti raccolti attorno a lui, << ho deciso di organizzare una visita agli altari degli Dei per ottenere la loro protezione >>.
Mi venne in mente mia madre: forse Chirone voleva ingraziarsi gli abitanti dell’Olimpo per tentare l’impresa di salvarla protetto dai loro favori.
<< Ade ha un suo altare? >> chiesi a Grover in un sussurro.
<< Sì >> rispose lui a mezza bocca, << è ai piedi della collina a Nord, quella dove c’è anche l’altare di tuo padre, ma non ci va mai nessuno. Perché? >>
<< Niente >> dissi io. Ma in realtà avevo un piano, o meglio: volevo fare una cosa.
Dopo qualche raccomandazione e dopo averci fatto prometter che nessuno di noi avrebbe in alcun modo tentato di danneggiare gli altari (<< Perché mi fissa? >> sibilò Silfide sorpresa ), Chirone ci lasciò andare per la nostra strada.
Io, Grover e Silfide ci addentrammo nel bosco, diretti all’altare di Zeus che, disse Grover, era il più lontano.
E ti pareva.
Mentre arrancavamo nel bosco, una ghenga di ragazzi chiassosi ci raggiunse; alla loro testa c’era Luke Castellan con un sorriso sbilenco dipinto sul volto affilato.
Alla sua vista Grover si irrigidì.
<< Ciao, ragazzi >> ci salutò. << Silf, che fai? >> le chiese. << Noi andiamo alla collina Ovest, da Hermes, vieni con noi? >>
<< Vi raggiungo dopo >> rispose lei. << Devo fare da guida a Steve >> mi indicò con un cenno del capo.
<< Già >> assicurai io, un po’ impacciato, perché mi sentivo addosso gli occhi di tutti i figli di Hermes; ed erano gli occhi luccicanti di una combriccola di spilungoni che parevano morire dalla voglia di frugarmi nelle tasche o infilarmi un petardo nelle mutande. O forse prima l’uno e poi l’altro.
Luke inarcò le sopracciglia con fare comprensivo.
<< Oh, ok >> disse. << Ma, Grover … non te ne puoi occupare tu? Dopotutto sei tu il suo Custode >>.
Grover, dal canto suo, sembrava pietrificato. Se prima avevo avuto solo l’impressione che tra lui e Luke non corresse buon sangue, adesso ne avevo la certezza: il mio amico satiro aveva nocche e mascella serrate ed un lieve tremore che non riusciva a controllare gli agitava il codino da capra.
<< Sì, sono io >> rispose a denti stretti. << Ma Silfide si è offerta di aiutarmi. Dovrai fare a meno di lei per un po’, Luke >> ridusse gli occhi ad un paio di fessure di pura malevolenza caprina.
Luke inarcò un sopracciglio; Silfide le alzò tutt’e due, allibita.
<< Ehi, hai mangiato pesante? >> gli chiese. << Sembra che tu stia per fartela addosso >>.
<< O per riempire di pugni qualcuno >> disse Luke con un sorrisetto enigmatico.
Io mi schiarii la gola.
Quell’imbarazzante silenzio fu rotto da un rumore di cespugli smossi; io, Grover e i figli di Hermes ci voltammo nella direzione da cui proveniva il suono e scorgemmo emergere dalla vegetazione Clarisse, della casa di Ares, ed un altro ragazzo dai capelli ramati che non conoscevo.
<< Guarda, guarda >> cantilenò Clarisse sfoderando la zagaglia, << borsaioli, una pecora e un parafulmine >> ci schernì. Il ragazzo dai capelli rossi ghignò in un modo che non si addiceva affatto al suo bel volto e che lo fece somigliare orribilmente ad un maiale malefico.
<< Cacc-larisse >> ribatté Luke, facendo correre, con studiata disinvoltura, la mano all’elsa del suo pugnale. << E un figlio del Pollo. Com’è che ti chiami? >> finse di pensarci su.
<< Credo che il suo nome abbia qualcosa a che fare con Troia … >> suggerì Silfide sogghignando, mentre anche lei afferrava l’arma che portava appesa alla cintura. << Oh, sì! Elena >>.
Risate generali.
<< Mi chiamo Eleno! >> ribatté il ragazzo con rabbia. << E, tu, piedi di fata, prova di nuovo ad insultare mio padre e giuro che sarà l’ultima cosa che farai >>.
Luke sfoderò il pugnale: << Fammi vedere, Elena! >> lo pungolò.
Il ragazzo si lanciò in avanti con la daga sguainata, mugghiando come un toro, pronto ad avventarsi su Luke, che però lo schivò senza difficoltà e gli fece lo sgambetto; Eleno inciampò e finì troppo vicino a Silfide, che gli assestò un calcio e lo rilanciò a Luke.
I due continuarono a passarselo così per un po’, quasi fosse soltanto una pallina da tennis antipatica, finché Clarisse non decise d’intervenire.
Si gettò su di me facendo roteare sopra la testa la sua lancia, io mi abbassai appena in tempo per schivarla, ma il colpo giunse a Grover che venne ferito di striscio al volto.
<< Ehi! Ma dico, sei impazzita? >> le urlai io. Ero pronto a difendere a spada tratta (nel vero senso della parola) il mio migliore amico, ma non ce ne fu affatto bisogno: Grover spiccò un balzo facendo guizzare gli zoccoli e, belando furiosamente, si avventò contro la figlia di Ares, con la quale ingaggiò una specie di incontro di wrestling per strapparle di mano la lancia.
<< Brutta balena che non sei altro, non lo sai quanto vale questa faccia? >> le urlò contro, indicandosi da solo. << Ci ho messo mesi per farmi crescere il pizzetto, prova a radermi a tradimento un’altra volta e sappi che non risponderò delle mie azioni! >>
Clarisse cercò di divincolarsi. << Togliti di dosso, montone! >> grugnì, poi gli rifilò un gran calcio che lo fece volare indietro e si rimise in piedi.
Stavolta scattai al fianco di Grover e lo aiutai a rimettersi sugli zoccoli, dopodiché sguainai il mio gladio e iniziammo a fronteggiarla fianco a fianco; intanto Silfide, Luke e gli altri ragazzi di Hermes avevano smesso di giocare a ping pong con Eleno, ma in compenso l’avevano issato su un albero a testa in giù e lo stavano punzecchiando con le loro spade.
<< Clarisse! >> piagnucolò il figlio di Apollo, dimenandosi come un salame impazzito. << Mi avevi detto … ahi! … che sarebbe stato facile batterli! Che così sarei … smettila, ahi … potuto entrare nel fan club di Ares! Aiutami … ahio … AIUTO! >>
<< Chiudi il becco! >> gli intimò Clarisse, mentre cercava di tenere testa a me e a Grover.
<< Clarisse, che volevi fare, eh? >> le chiesi tra una stoccata e un’altra.
<< Te l’ho detto, Johnson! >> ribatté lei, tentando un affondo che fu prontamente deviato da un colpo di zoccolo di Grover. << Ti faccio a polpette e ti servo a mensa! >> e mi colpì forte con la sua lancia ad una spalla.
Io barcollai all’indietro, ma qualcuno mi acchiappò al volo e mi rimise in carreggiata: mi voltai appena in tempo per vedere Annabeth: bellissima, fatale e con la spada sguainata.
Rimasi di stucco.
<< La retina non ti dona! >> disse a Clarisse, disarmandola con un solo movimento del polso.
La figlia di Ares rimase sorpresa quanto me; cercò di battere la ritirata, ma da dietro, a circondarla, giunsero Luke e Silfide. Era in trappola.
<< Perché, esiste davvero qualcosa che le doni? >> la schernì Silfide. << A parte il grugno da maiale, intendo >>.
Clarisse scoprì i denti ed emise una sorta di grugnito d’avvertimento, davvero simile a quello di un maiale.
<< Non è leale, in cinque contro una >> biascicò con rabbia.
<< E’ stato leale seguire loro ed attaccarli alle spalle mentre stavano dirigendosi agli altari per rendere grazie? >> chiese Annabeth freddamente, fissandola con due grigie lame di ghiaccio al posto degli occhi.
Se avesse guardato me così, mi sarei messo a frignare.
Clarisse sbuffò. << Fatti gli affari tuoi, Chase. Ho un conto in sospeso con il figlio di Zeus. E adesso anche con tutti gli altri >> aggiunse minacciosa.
<< Tremo come una foglia >> disse Luke reprimendo uno sbadiglio.
<< Anch’io ho un conto in sospeso con Steve >> ribatté Annabeth. Sentirle pronunciare il mio nome mi mandò in fibrillazione, ma continuai a tenere sotto tiro Clarisse, spinto da chissà quale primordiale istinto di conservazione. << Ma non per questo gli ho teso un agguato. In verità tutta la squadra Rossa vorrebbe regolare i conti con lui, ma oggi è un giorno di tregua. Non avresti dovuto farlo: arrenditi o ne pagherai le conseguenze >>.
<< Non venire a farmi la ramanzina! >> abbaiò Clarisse, ma non sembrava più tanto minacciosa: doveva essersi resa improvvisamente conto di essere circondata da cinque persone armate di spade, pugnali e zoccoli e di non star loro esattamente simpatica.
<< Tregua >> accordò di malumore. << Me ne vado, a patto che tiriate giù da lì Eleno >> ed accennò al poveretto che penzolava dall’albero.
Se devo essere sincero, io mi ero dimenticato di lui; comunque sia, i figli di Hermes lo tirarono giù, e il ragazzetto corse via barcollando, senza degnare Clarisse di uno sguardo.
<< Bene, ora sloggia anche tu, prima che cambiamo idea >> le intimò Luke, agitando un pugnale in direzione della foresta per farla avviare.
Clarisse sputò nella sua direzione, ad un soffio dalla sua scarpa, poi ci fulminò tutti quanti con un’occhiata dardeggiante di odio allo stato puro, e se ne andò, scomparendo tra gli alberi come un’orsa in armatura.
Lo ammetto: se fosse dipeso da me, le sarei corso dietro e gliele avrei date di santa ragione, ma non mi sembrava leale attaccarla alle spalle, tantomeno dopo che ci eravamo accordati per una tregua.
Lei non si meritava tanta lealtà, eppure le parole di Annabeth mi avevano davvero ispirato, così rimasi al mio posto.
<< Grazie >> dissi, rivolgendomi alla figlia di Atena. << Se non fosse stato per te, probabilmente Clarisse mi avrebbe spedito in Infermeria in una tabacchiera >>.
Lei abbozzò un sorriso.
<< Di niente. Ora siamo pari, presumo. Ma sappi che non sarò così gentile, quando ci rincontreremo sul campo di battaglia >>.
Mi pareva giusto, così annuii, sentendomi invadere da una strana sensazione di calore e sollievo.
<< Che ne dite se proseguiamo verso l’altare di Zeus tutti insieme? >> propose Luke, rinfoderando i suoi pugnali da lancio. << Sarà, ma io di Clarisse proprio non mi fido >>.
<< Mi sembra un’ottima idea >> accordò Silfide, poi si voltò verso la figlia di Atena. << Annabeth? >>
Lei annuì. << D’accordo, basta che ci sbrighiamo >>.
Così, Silfide e Luke congedarono il resto della loro casa e si accodarono a me, Annabeth (cioè, proprio ANNABETH) e Grover, che non sembrava esattamente al settimo cielo, e tuttavia decise di camuffare la vera ragione del suo malumore (una ragione alta, aitante e bionda di nome Luke) facendo finta che il taglio procuratogli da Clarisse fosse parecchio doloroso.
Il tragitto nella foresta non ci preservò altre sorprese e ben presto iniziammo a chiacchierare del più e del meno.
<< Se non faceste tutti parte della squadra avversaria, direi che ve la cavate piuttosto bene nel combattimento >> disse Annabeth.
<< Non essere orgogliosa, capitano >> la rimbrottò Silfide amichevolmente, << lo sappiamo che ti sei divertita! >> esclamò, dandole una pacca sulla spalla.
<< Che cosa può esserci di più divertente di Clarisse il grizzly e di Elena di Troia messe insieme? >> sghignazzò Luke.
Tutti, eccetto Grover, scoppiammo a ridere; il satiro mi rifilò una gomitata tra le costole per farmi smettere ed io mi zitti all’istante, intercettando la sua occhiata omicida.
Io e quel caprone dovevamo farci quattro chiacchiere in solitaria, e al più presto, ma al momento ero troppo elettrizzato per avere Annabeth che trotterellava tranquillamente al mio fianco, senza tenermi puntata una spada alla gola, e rideva con me e non di me.
Fu fantastico.
Ci stavamo godendo talmente tanto quell’escursione nel bosco, che fu quasi un peccato raggiungere l’altare di Zeus: esso si trovava sulla collina più alta del Campo Mezzosangue, in una posizione dalla quale incombeva su qualsiasi altra costruzione nel raggio di miglia e miglia in modo molto maestoso. Il simulacro consisteva in un’imponente tavola di marmo candido con su incise delle iscrizione in greco ed in latino che non mi diedi neppure la pena di leggere, e sopra il blocco di marmo era stata eretta la statua di un uomo alto e possente, con un lunga tunica che gli arrivava fino ai piedi, una rigogliosa barba scarmigliata da un vento di tempesta ed una folgore nella mano sinistra.
Sembrava mi fissasse con quei suoi ciechi occhi di marmo. Quello era mio padre.
<< Wow, ti somiglia >> commentò Silfide, facendo correre lo sguardo da me alla statua.
Era vero, ma non sapevo cosa dire, così mi limitai a stringermi nelle spalle e a chiedere:
<< Come faccio ad onorare il suo altare? >>
<< Puoi offrirgli un tributo >> rispose Annabeth, e quando mi rivolse la parola il mio stomaco si annodò peggio di un pitone, << sai: cibo, armi o qualche oggetto speciale. Oppure puoi fare un voto, e se lo rispetterai lui accoglierà la tua richiesta >>.
Forse non era una domanda molto appropriata, ma proprio non seppi trattenermi e le chiesi: << Tu hai mai fatto un voto a tua madre? >>
<< Una volta >> rispose lapidaria.
Luke, Grover e Silfide si scambiarono uno sguardo che non riuscii a decifrare.
<< Ed ha funzionato? >> insistetti.
<< Più o meno >> gli occhi di Annabeth si persero in lontananza, giù per la collina, verso le placide acque del lago.
Poi si riscosse all’improvviso.
<< E’ meglio che vada >> disse, << non vorrei rimanere troppo indietro … a quest’ora, gli altri della mia casa avranno già reso omaggio ad Atena >> e, detto questo, corse via, senza neppure salutare.
Io mi voltai a guardare Grover, Silfide e Luke ed allargai le braccia, come a dire: “ ma che cavolo le è preso?”
I tre si scambiarono nuovamente quello sguardo carico di tensione.
<< Ho detto qualcosa di sbagliato? >> domandai. << Coraggio, sputate il rospo >>.
<< Ehm … >> mugugnò Silfide. Luke si passò una mano dietro il collo, a disagio.
Grover si lasciò sfuggire un lieve belato.
<< Ne approfitto per fare una visita all’altare di Pan >> annunciò fingendo disinvoltura, << è … è proprio qui vicino >> si schiarì la gola, << ad un paio di miglia >> aggiunse sottovoce. Dopodiché anche lui girò sui tacchi (pardon, zoccoli) e sparì tra gli alberi.
Io e i figli di Hermes eravamo rimasti soli.
<< Anche voi volete piantarmi in asso? >> chiesi acidamente.
<< Sì >> rispose Luke.
<< Be’, hai bisogno di calma e tranquillità, no? >> aggiunse Silfide. << E’ una cosa molto zen … inspira … espira … inspira … espira … >>
<< Ooooom >> fece Luke unendo le punte degli indici con quelle dei pollici. << Ooooom … andiamocene, svelta … ooooom >>.
E pure loro si diedero alla macchia, dapprima arretrando lentamente con la scusa di fare i maestri di yoga, poi correndo a tutta birra.
Sospirai e mi voltai a guardare il volto della statua di Zeus: era bianco ed impassibile. Severo, perfino; e mi scrutava da sotto le sopracciglia cespugliose.
<< Be’ … >> iniziai, un po’ impacciato. << Ehm … Salve, padre >> mi chiesi se suonassi abbastanza rispettoso. << E’ la prima volta che ci parliamo, eh? >> ridacchiai stupidamente. La statua non si mosse. << Già >>.
Rimasi lì a ciondolare senza sapere cosa fare di preciso, poi decisi di seguire il consiglio di Annabeth e di fare un voto a Zeus; così mi inginocchiai e sistemai sull’altare il mio gladio, come pegno per mio padre.
<< Ti offro in dono la mia unica arma, padre >> annunciai, sentendomi di colpo molto ispirato. << E’ la sola che io abbia usato in questo Campo per difendermi, e grazie ad essa ho vinto la prova di ieri. Spero che per te sia abbastanza >> feci una pausa, alla ricerca delle parole giuste.
<< Divino Zeus >> dissi alla fine, << ti chiedo aiuto ed invoco la tua protezione, ma non per me: vorrei che tu proteggessi la mamma. La donna che hai amato. Spero che tu tenga ancora a lei, almeno abbastanza per non farla uccidere da Ade >> serrai la mandibola, lottando contro il fastidioso pizzicorino che aveva iniziato a tormentarmi gli occhi.
<< In cambio, ti assicuro che … >> mi resi conto, allora, di non sapere cosa mio padre volesse da me. << Farò tutto ciò che tu riterrai opportuno per me. Qualsiasi cosa, sul serio! Ma ti prego, fai che la mamma sia salva >> mi alzai di nuovo in piedi e lanciai un ultimo sguardo alla statua di mio padre.
Dopodiché, senza il mio gladio, aggirai l’altare di Zeus e inizia a scendere la ripida collina, diretto all’altare del mio zio preferito: Ade.
Quando vi arrivai, mi ritrovai davanti uno spettacolo piuttosto desolante: il simulacro del dio degli inferi era praticamente uguale a quello di mio padre, con l’unica differenza che era scolpito nel marmo nero, decadente e grigiastro, macchiato dall’umidità e da chissà cos’altro, ed ogni singolo centimetro di pietra era ricoperto da un fitto groviglio di piante rampicanti che nascondeva completamente la statua del dio alla vista.
<< Non ti si fila nessuno, eh? >> mormorai, dinnanzi a quella vista così deprimente.
Ade mi diede l’idea di uno che faceva il cattivo per attirare l’attenzione, di qualcuno sempre escluso dai suoi parenti, che se la spassavano sull’Olimpo, mentre lui era costretto in un putrido buco pieno zeppo di morti puzzolenti.
Se non avesse rapito mia madre, mi avrebbe fatto quasi pena.
<< Voglio farti un servizietto, Divino Ade >> annunciai, frugandomi nella tasca. << Non so perché ce l’hai con me, ma sappi che non mi piegherò mai ai tuoi voleri. Ridammi mia madre sana e salva, dopodiché sbrigateli da solo i tuoi problemi con tuo fratello: io non voglio averci niente a che fare, ok? >> aggrottai la fronte e lanciai uno sguardo truce in direzione di quelli che dovevano essere gli occhi della statua, ma non potei esserne sicuro, perché erano ricoperti dall’erica.
Sfilai dalla tasca dei pantaloni il contenitore del frammento di Folgore Olimpica, e lo aprii.
Il piccolo fulmine prese a danzarmi allegramente tra le mani, come se fosse felice di rivedermi.
<< Ci siamo, sorella >> dissi, rivolto alla saetta. << Distruggi le erbacce che infestano l’altare di Ade >> le ordinai.
Mi sembrava stupido mettermi a parlare con un fulmine, eppure una parte di me mi diceva che era esattamente ciò che dovevo fare. E, infatti, quando parlai, le parole mi uscirono di bocca in greco antico.
Rimasi colpito.
All’inizio non accadde nulla, ma poi la Folgore ebbe un fremito e, con un rombo di tuono, si avventò sull’altare di Ade come una gatto selvatico.
Le erbacce presero fuoco, esplosero e si dissolsero in coriandoli di luce sfrigolanti. Io mi affrettai a riavvitare il contenitore, sorpreso da tanta potenza.
Adesso potevo vedere bene l’altare di Ade, che scintillava di una strana luce crepuscolare: il padrone degli inferi somigliava in modo sorprendente a suo fratello Zeus, eppure sembrava molto più vecchio e stanco e, anche la sua controparte statuaria, aveva profonde occhiaie che gli incorniciavano gli occhi malevoli e incavati.
<< Credo che così possa andare >> soggiunsi, infilando di nuovo il contenitore della folgore nella tasca dei pantaloni. << Con me basta parlare, per risolvere un problema, voglio che tu lo sappia. Ma sappi anche questo >> aggiunsi, cercando di sembrare più minaccioso possibile, << torci un solo capello a mia mamma, e giuro che scendo all’inferno, o dove cavolo abiti, e ti prendo a calci nelle Olimpiche chiappe, sono stato chiaro? >>
E, detto questo, girai sui tacchi e risalii su per la collina, molto soddisfatto per le mie doti da giardiniere.
 
 
 

 

  
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