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Autore: emmahp7    12/03/2011    12 recensioni
Le parole d'amore, che sono sempre le stesse, prendono il sapore delle labbra da cui escono. - Guy de Maupassant -
Storia classificatasi terza nella categoria Canon e vincitrice del Premio Miglior Canon Pairing nel contest "Tutto l'amore che ho" indetto da PaytonSawyer sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Autore: Emmahp7

 

 

Le parole d’amore, che sono sempre le stesse, prendono il sapore delle labbra da cui escono. – Guy de Maupassant –

 

Breve nota introduttiva: La storia si svolge un anno dopo la sconfitta di Voldemort. Ron ha frequentato l’Accademia per Auror assieme ad Harry, Hermione è tornata ad Hogwarts per terminare gli studi. Siamo nel giorno in cui si festeggia il buon esito dei M.A.G.O. La Rowling non ha mai descritto questo evento, così ho immaginato potesse svolgersi una cerimonia di diploma. Magari non c’era bisogno che lo precisassi, perché dovrebbe essere deducibile nel racconto, ma nel caso non dovessi essere stata abbastanza brava, questo è quanto.

Attenzione: storia ad alto tasso glicemico. Altamente sconsigliata ai diabetici. Leggete a vostro rischio e pericolo!

 

 

 

Dedicata a Nadi – così non sarai più gelosa – e a Chicca: siete entrate nel mio mondo sfondandone la porta, e non mi dispiace affatto!

 

 

 

 

 

Il sapore delle fragole

 

 

 

 

I remember

We were walking up to strawberry swing

I can’t wait until the morning

Wouldn’t wanna change a thing

[…]

It’s such a perfect day

 

Strawberry swing – Coldplay –

 

 

 

L’aveva seguita con lo sguardo durante tutta la cerimonia per i M.A.G.O. Non l’aveva persa di vista neppure un secondo.

Era strano osservarla da lontano.

Lui ricordava le loro figure vicine, una accanto all’altra, mano nella mano. Da sempre. Ed ora a separarli c’era un fiume di persone: visi eccitati, accaldati dall’estate imminente, occhi gonfi di pianto e cuori dilatati dall’orgoglio per quei ragazzi che avevano finalmente terminato il loro percorso di studi e che si apprestavano a diventare adulti.

Quel giorno, tuttavia, per Ron, quella gente quasi non esisteva.

C’erano solo lui, seduto in un angolo, in fondo alla schiera di sedie bianche rivolte verso coloro che avrebbero ottenuto il tanto atteso M.A.G.O., e lei, fiera nella sua divisa da Caposcuola, con i capelli oppressi in una treccia talmente tanto stretta che i suoi ricci crespi non osavano saltar fuori. Gliel’avrebbe sciolta non appena l’avesse raggiunta.

L’aveva guardata muoversi sul palco allestito per l’occasione.

Aveva riscoperto i consueti piccoli gesti che lei tirava fuori per scacciare l’ansia, mascherati da una troppo ostentata sicurezza. Era certo che nessuno li avesse notati, ma per lui erano evidenti, risaltavano tra i sorrisi affettati e le strette di mano di circostanza: la punta del piede che batteva a terra con un ritmo tutto suo, il modo insistente con cui lisciava le pieghe della veste, il continuo inumidire le labbra, le piccole rughe che si creavano tra le sopracciglia mentre, ne era convinto, lei ripeteva a mente il discorso che aveva riscritto non meno di cinque volte.

Hermione era in preda alla frenesia.

Ron era riuscito a percepirne l’agitazione come se l’avesse provata lui stesso. Una goccia di sudore freddo gli era scivolata lungo la schiena facendolo rabbrividire. Si era imposto di respirare e rilassarsi: non era lui quello che doveva parlare di fronte alla comunità magica riunita nel parco di Hogwarts. Era Hermione, e non avrebbe avuto problemi.

Aveva sbuffato forte, guadagnandosi un’occhiataccia da sua madre seduta un paio di file più avanti. Era tornato anche lui col pensiero a quel tanto agognato discorso imparato forzatamente a memoria. Negli ultimi due mesi, lei, l’aveva ripetuto così spesso da farlo diventare una sorta di lunga filastrocca, di quelle che ti s’insinuano nel cervello e ti tormentano per giorni. Durante i loro incontri ad Hogsmeade, a volte, Hermione glielo aveva soffiato tra le labbra mentre la baciava; e lui lo aveva amato ed odiato quel discorso, amato la passione che lei metteva in tutto ciò che faceva, odiato il tempo che era stata costretta a togliere a lui.

Poi era arrivato il momento di parlare.

Hermione aveva camminato fino al centro del palco, il mormorio della folla era cessato di botto.

Il cuore di Ron aveva preso a galoppare irragionevolmente, quasi ci fosse stato lui lì davanti. Hermione aveva chiuso gli occhi e liberato un respiro profondo. Aveva iniziato a parlare. La sua voce, magicamente amplificata, aveva riempito le orecchie dei partecipanti, le parole erano uscite chiare e decise, il nervosismo era scomparso e lei non aveva avuto la minima incertezza.

Ron si era sorpreso a fissarla ammirato e rapito come quando, pochi anni prima, la ascoltava esporre i concetti imparati sui libri di scuola. Quando pensava che fosse perfetta e irraggiungibile.

Il discorso era scivolato tra i volti attenti della gente, senza intoppi, andando a sfiorare le cicatrici ancora fresche lasciate negli animi dalla guerra da troppo poco passata, ma evitando di tormentarle. Le frasi si erano soffermate sulle persone che non potevano essere presenti, ma che, in qualche modo, continuavano ad esistere tra i ricordi, tra le lacrime. Infine aveva toccato quei temi imprescindibili che tutti attendevano: il lavoro, diventare adulti, il futuro.

Un lungo applauso commosso aveva decretato la fine della cerimonia.

Le persone si erano scapicollate per stringerle la mano, per congratularsi con lei. Ron aveva sorriso mentre notava le sue guance prendere colore, lusingata dai complimenti.

Si era voltato solo un attimo. Richiamato dal saluto di Dean Thomas. Quando aveva riportato gli occhi nel punto in cui erano prima, lei era scomparsa.

L’aveva cercata tra la gente, tra gli abbracci entusiastici dei genitori verso i figli diplomati, tra le felicitazioni dei professori, tra le sedie lasciate ormai vuote. Sembrava essersi dissolta nell’aria come una bolla di sapone.

Una lieve nota di panico si era insinuata nel suo animo, ma quando, nel tentativo di rintracciarla, si era imbattuto nella sagoma del castello che si stagliava nell’azzurro del cielo, una strana consapevolezza gli aveva suggerito dove trovare ciò che cercava.

 

 

Hogwarts pareva non cambiare mai, eppure, la sua immagine, riusciva a stupirla sempre come la prima volta.

Hermione fece scorrere lo sguardo sul maestoso ingresso, sulle torri che si disegnavano tra le piccole nubi bianche che punteggiavano il cielo, sulle mura di pietra che avevano protetto il suo sonno per tanti anni. La magia impregnava l’aria attorno come fosse elettricità, ne distingueva la forza mentre sfrigolava tra le sue dita. Si sentiva potente in quel luogo, in grado di fare qualsiasi cosa. La stessa sensazione che aveva riconosciuto crescere dentro di lei il primo giorno che aveva calpestato quel terreno, otto anni prima.

Una parola le affiorò alle labbra, la raccolse e la ingoiò nel timore irrazionale che, se l’avesse pronunciata, l’avrebbe persa: casa.

Il sole aveva da poco superato lo zenit, i raggi caldi le lambiva piacevolmente la nuca.

Hermione abbassò la testa per goderne a pieno il tepore e qualcosa, muovendosi sull’erba, entrò nel suo campo visivo.

Un’ombra si allungava lentamente accanto alla sua. Ne studiò l’ondeggiare nel cammino, riconobbe i suoi contorni. Attese che lo spazio che intercorreva tra la propria ombra e quella del visitatore si comprimesse fino a diventare inesistente, finché le figure disegnate sul prato si fondessero in una sola, poi sorrise.

Lui era alle sue spalle, lei non si voltò, ma percepì il calore familiare del suo corpo riscaldarla più del sole stesso.

Così come il sole, lui le sfiorò la nuca con le dita.

Hermione socchiuse gli occhi. Solo quando le fu di fianco, capì che era arrivata lì per incontrarlo.

Si erano aspettati tutto l’anno. Lei ad Hogwarts, lui a Londra.

Hermione aveva imparato ad assaporare il gusto dolce-amaro della nostalgia. Aveva contato i giorni che la separavano da lui sempre con maggiore impazienza. Aveva scoperto di volersi abbandonare tra le sue braccia e, quando lui non c’era, che poteva continuare a sognare nel ricordo di quegli abbracci. Il pensiero dei suoi sorrisi aveva indugiato tra i compiti, le lezioni, tra le responsabilità dell’essere studentessa, l’aveva aiutata a gestire il tempo nell’attesa di un nuovo incontro. Si era abituata all’idea di non riuscire a non amare le giornate che trascorreva fuori dalla scuola, perché le passava con lui.

Ron armeggiò con la sua pettinatura. Le districò i capelli dalla costrizione dell’intreccio.

Lei immaginò i suoi ricci allargarsi e ritrovare spazio attorno al capo, osservò la cute rilassarsi dopo essere stata tirata tutto il giorno.

Le massaggiò la testa scompigliandole la chioma.

Un sospiro di sollievo si liberò involontario dalla bocca di Hermione. Era quello di cui aveva bisogno.

Ron era quello di cui aveva bisogno.

Girò il volto per cercare i suoi occhi e incontrò il suo sorriso.

«Cominciavano a chiedersi dove fossi finita» esordì lui.

«Anche tu?» disse lei, a metà tra una domanda e un’affermazione.

«No, io lo sapevo».

Hermione distinse la smania di accorciare la distanza che li separava, premere insistentemente dentro di sé, ma represse l’impulso di buttargli le braccia al collo e strofinare il viso sul suo petto. Era sempre così quando non si vedevano per un po’ di tempo: si creava una sorta di strana insicurezza nei loro gesti, come se, ogni volta, dovessero re-imparare a conoscersi, come se dovessero ricominciare dall’inizio.

«Com’era il discorso?» si limitò a chiedere.

«Perfetto» la rassicurò Ron.

Hermione scosse la testa: «Ho saltato una parte…»

Lui fece spallucce: «E ne hai aggiunta un’altra altrettanto commovente, mia madre non smetteva di piangere».

«Tua madre piangeva per l’emozione di vedere Ginny col diploma in mano».

«No. Per quello è una settimana che piange». Hermione sorrise e Ron continuò: «Oggi era in lacrime per il tuo discorso. Pendevano tutti dalle tue labbra. Non ho mai visto Lumacorno gongolare a quel modo, penso che voglia adottarti».

Hermione alzò gli occhi al cielo: «Non esagerare…»

«Non scherzo, Hermione» proseguì lui. «Non faceva che ripetere quanto fossi brillante. La strega più dotata degli ultimi vent’anni!» annunciò cercando d’imitare il vecchio professore, senza riuscire a nascondere una nota d’orgoglio nella voce che lei colse compiaciuta.

«Non essere così indisponente col professor Lumacorno, l’ho sorpreso a superare tre file di sedie per venire a stringerti la mano».

«Già». Ron non poté trattenere una smorfia disgustata. «Pensa che ricordava esattamente il mio nome. Ha persino detto che vuole una mia foto».

Hermione soffocò una risata. «Non sei contento? Ti metterà nella sua collezione assieme alle altre celebrità».

«Non vedevo l’ora. Pensa, ho solo dovuto distruggere un pezzo dell’anima di Voldemort per ottenere questo onore!» concluse lui arricciando le labbra.

Sorrisero entrambi, uno verso l’altro, quasi imbarazzati di ritrovarsi soli dopo tanto tempo.

«Ti stai perdendo il meglio» le riferì Ron indicando, con un cenno della testa, la direzione da dove era arrivato. «La McGranitt e il Ministro Shacklebolt hanno preso di mira Harry, vogliono che anche lui tenga un discorso prima della fine della giornata. E’ divertente vedere come cerca di mimetizzarsi tra la folla utilizzando i trucchi che abbiamo imparato all’Accademia per Auror, fallendo miseramente nel suo intento…»

Hermione annuì, ma il suo sorriso si appannò di malinconia. Riportò lo sguardo al castello.

«Avevo bisogno di un attimo per me. Volevo salutare un vecchio amico…» sospirò.

Anche Ron fissò l’edificio riportato all’antico splendore dopo l’ultima battaglia contro Voldemort. Era passato un anno.

«Se vuoi, ti lascio sola» le sussurrò, quasi avesse paura di disturbarla.

«No» Hermione gli prese la mano senza guardarlo. «Rimani con me».

 

 

Ron decise di non continuare a dare ascolto alla sua goffaggine che gli suggeriva di evitare di starle troppo vicino. Le scivolò nuovamente alle spalle, mantenendo il contatto con le sue dita, le cinse i fianchi e abbassò il viso all’altezza di quello di lei. Hermione si appoggiò a lui. Guancia contro guancia.

Aveva sognato di prenderla tra le braccia dal primo momento in cui l’aveva vista quella mattina. Invece era stato capace di rivolgerle solo un timido cenno di saluto da lontano, poi lei era stata fagocitata dalla cerimonia per i M.A.G.O. e lui aveva dovuto mettersi da parte e aspettare.

Ora che riusciva a riconoscere di nuovo il profumo dei suoi capelli, si sentiva in pace col mondo.

«C’è così tanto di me lì dentro, così tanto di noi» disse piano Hermione, riferendosi ad Hogwarts. «Tanto da ricordare, tanto da dimenticare…»

Ron captò la tristezza insinuarsi tra le parole, strinse di più Hermione, si aggrappò a lei per non esserne sopraffatto a sua volta. Sebbene avesse lasciato la scuola per realizzare il sogno di diventare Auror, nonostante avesse intravisto Hogwarts solo da lontano nell’ultimo anno - quando arrivava ad Hogsmeade per vedere Hermione - Ron era convinto che, finché ci fosse stata lei, una parte di sé avrebbe continuato a vivere in quelle mura. Adesso che anche Hermione se ne andava, lui avvertiva il legame che aveva con il castello allentarsi. Sbuffò per scacciare l’amarezza che, per un istante, gli aveva serrato la gola.

Hermione nascose il viso nel suo collo. «Non voglio dire addio ad Hogwarts».

Ron le baciò la fronte, voleva consolarla e consolare sé stesso. «Allora non farlo» suggerì.

Lei si scostò un poco. «Come?»

«Non devi dirgli addio» spostò lo sguardo sull’edificio, come se volesse parlare direttamente con esso. «Sai, in fondo, penso che nessuno di noi possa davvero dire addio ad Hogwarts, in un modo o nell’altro rimarrà nelle nostre vite. Dì “arrivederci”, agli amici si dice “arrivederci”».

Hermione si voltò a guardarlo, sembrava colpita. «Davvero?»

Ron annuì, poi riportò gli occhi nei suoi.

«E da quando sei così saggio?» lo canzonò lei.

Lui finse di pensarci su. «Da quando frequento una ragazza piuttosto saccente…» e bisbigliandole in un orecchio: «Credo mi abbia attaccato la sua malattia…»

Percepì Hermione rabbrividire mentre le sue labbra le sfioravano la pelle del lobo.

«Che malattia?» chiese lei, infilando il mento nel colletto della divisa.

«Quella di dire la cosa giusta al momento giusto».

Hermione rise. Anche Ron sorrise, era riuscito ad arrestare il flusso della nostalgia.

«Mmm… sembra grave. Dovrei essere gelosa di questa ragazza?» scherzò lei.

«Forse. Io l’ho aspettata per un anno intero».

«Spero ne sia valsa la pena».

Ron assentì ancora. «Lei ne varrebbe sempre la pena, anche se dovessi aspettarne mille di anni!»

 

 

Ed Hermione si arrese.

Sapeva che prima o poi, Ron, l’avrebbe travolta.

Si crogiolò in quel momento di debolezza e stabilì che non voleva più arginare quello che provava per lui.

Ron era una tempesta che spazzava via ogni cosa sotto il suo incedere, era un vortice che divorava quello che si trovava davanti.

E lei voleva annegare. Voleva che lui le togliesse il respiro. Voleva perdersi.

Forse era già perduta.

Ron era il caos, lei l’ordine. Non poteva esistere senza di lui.

Le parole fuggirono via dalle sue labbra e lei neanche tentò di riacciuffarle.

«Sono innamorata di te».

 

 

Ron doveva aver capito male. Doveva, senza dubbio, aver capito male.

Si staccò un poco da lei, mentre il suo cuore sbatteva impazzito contro le costole come se volesse uscirgli dal petto.

«Che hai detto?» domandò con un filo di voce.

Lei si limitò a guardarlo con un sorriso appena accennato sulle labbra. Aveva le guance tinte di un rosa più intenso di un attimo prima, gli occhi scintillanti, raggianti, gli occhi di una donna decisa. Della sua donna.

Non aspettò che rispondesse.

Le prese il viso fra le mani e la baciò con foga.

La strinse con violenza, senza preoccuparsi di poterle fare male.

Non voleva trattenersi.

Non poteva trattenersi, soprattutto mentre Hermione rispondeva al bacio con la stessa veemenza.

Gli si mozzò il fiato in gola.

Si obbligò a calmarsi per poter riprendere aria. Si distanziò dalla sua bocca solo di un millimetro, lei non gli permise di allontanarsi di più, lo trattenne attaccato a sé e continuò ad accarezzargli le labbra con le sue dolcemente, finché il respiro non divenne più regolare.

La ascoltò ridacchiare felice contro le sue labbra mentre era ancora in balìa del suo bacio.

«Sono innamorata di te, Ron» ripeté Hermione.

Anche Ron sorrise stavolta, stando attendo a non slegare le loro bocche, la pregò: « Dillo ancora! »

«Ti amo» soffiò lei.

Non era la prima volta che si sentiva rivolgere quelle parole.

Lavanda glielo aveva ripetuto continuamente quando stavano insieme. Glielo aveva detto con leggerezza, come se non avesse importanza; lo aveva urlato ai quattro venti, come se fosse una cosa da condividere con chiunque; l’aveva dichiarato ogni giorno della loro breve relazione, come se fosse una lezione fastidiosa da imparare a memoria.

Ma Hermione non era Lavanda e le parole d’amore, anche se sono sempre le stesse, prendono il sapore delle labbra da cui escono.

Fragole.

Quando assaggiava le labbra di Hermione, Ron, pensava alle fragole: al loro gusto acidulo all’inizio, che diventava tanto dolce fino a renderti dipendente dal loro nettare; alla consistenza morbida e succosa della polpa che ti portava a sospirare di piacere; a quella voglia di assaporarne ancora e ancora l’essenza fino ad estinguere la fame che, Ron ne era certo, non sarebbe mai passata. Così come era sicuro che non gli sarebbe mai passata la voglia di ascoltare quelle parole ripetute da quelle labbra.

Tutto il suo corpo fu percorso da una scarica elettrica.

Si sentì vivo come non lo era mai stato. Avrebbe potuto restare in quell’istante, con Hermione stretta addosso a lui che gli confessava che l’amava, per sempre.

 

 

Ron la baciò come non aveva mai fatto prima.

Hermione non aveva bisogno di ascoltare le stesse parole che aveva appena pronunciato, lui era capace di dimostrarle che  provava lo stesso sentimento semplicemente con quell’abbraccio.

Le sue mani l’accarezzavano e lei capiva di essere al sicuro, il respiro di lui si fondeva col suo e lei sapeva di essere protetta, invulnerabile.

La sollevò da terra come durante il loro primo bacio. Hermione si sentì felice e leggera, non poté trattenersi dal ridere mentre lui la faceva girare tenendola tra le braccia.

Un giro. Due giri. Anche Ron rideva.

Si fermò davanti alla facciata del castello e le permise di poggiare i piedi a terra. Indirizzò lo sguardo all’edificio e disse serio: «Grazie per esserti occupato di lei».

Hermione lasciò una carezza sul suo viso, allora si voltò anche lei verso Hogwarts. Si preparò a congedarsi dal luogo che era stato una parte così ampia della sua vita, in cui aveva imparato a credere in sé stessa, dove aveva appreso che poteva diventare straordinaria, che era stato testimone della sua crescita. Premuta contro il fianco di Ron, sapeva di essere finalmente pronta.

«Che succederà ora? Che farò da domani?» chiese, forse a lui, forse al castello stesso come ultimo monito.

«Non credo che avrai problemi, faranno la fila di fronte alla tua porta per offrirti un lavoro» rispose Ron.

«Chissà...» fece spallucce. «Ma non ti preoccupa un po’, il futuro

Era strano pensare che poteva davvero esserci qualcosa dopo, che non finiva tutto una volta superati i cancelli, che c’era ancora da vivere ed era così tanto da vivere. Hermione vide davanti a sé una strada bianca, immacolata, che nessuno ancora aveva percorso, quella strada sarebbe stata segnata dalle sue decisioni, dalle sue scelte.

Ron le sorrise incoraggiante. «Assolutamente no. Io so che sapore ha il futuro».

Hermione aggrottò le sopracciglia nello sforzo di capire. «Che sapore ha?»

Ron si chinò su di lei e le rubò un bacio a fior di labbra; fece schioccare la lingua come se avesse in bocca qualcosa di gustoso. «Il sapore delle fragole».

Lei sorrise e gli prese la mano.

Le bastava.

Era serena. Il domani era incerto, ma aveva la sicurezza che Ron le sarebbe rimasto accanto. «Andiamo, penso che questo sia un buon giorno per concludere un’avventura».

S’incamminarono verso gli amici che li aspettavano, verso la vita che li reclamava.

«Io credo che sia un buon giorno per iniziarne una nuova» precisò Ron.

Hermione si girò un’ultima volta in direzione del castello, soffermò lo sguardo sugli alberi intorno, sul Lago Nero, sulla Foresta Proibita, sul cielo limpido, infine lo puntò sulla mano di lui che stringeva la sua.

Era tutto quello di cui aveva bisogno.

«Sì, un giorno perfetto!»

 

 

 

 

 

 

Se qualcuno di voi mi aveva dato per dispersa, scusatemi. Avrei voglia di scrivere a tutte le ore del giorno e della notte, ma la stanchezza a volte la fa da padrona e non mi lascia spazio, tanto meno ispirazione. Ma per la gioia di qualcuno ( sai che sto parlando di te, vero?? ) e probabilmente la disperazione di qualcun altro, sono tornata e credo che mi rivedrete presto. Promessa! ( o minaccia? )

Questa storia è stata concepita per il contest “Tutto l’amore che ho” indetto da PaytonSawer sul forum di EFP.

No, non sto diventando troppo romantica, no, no, no, no… beh, magari solo un pochino! D'altronde il tema era l’amore e la coppia su cui dovevo scrivere era la mia preferita, quindi mi sono data alla pazza gioia!

Qui di seguito trovate il giudizio di Payton che mi ha riempito d’orgoglio.

Ovviamente se anche voi avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate mi farete felice, qualsiasi sia il vostro commento è ben accetto e mi aiuterà a fare sempre meglio, quindi non esitate!

Grazie a coloro che continuano a leggere le mie storie, a recensirle e a metterle nelle preferite/ricordate/seguite. Siete fantastici!

A presto.

 

Emmahp7

 

Terze classificate a pari merito

Emmahp7- Il sapore delle fragole


Grammatica: 10
Stile e lessico: 8.5
Originalità: 14.5
IC e caratterizzazione: 10
Gradimento personale: 10
Trattamento del tema: 5
Bonus coppia: 1
Bonus frase: 1

Tot: 60 / 62 punti

 

Mi hai fatto amare le Ronmione come mai nella mia vita, con questa shot. Io sono ‘nata’ come Dramionista, ma sono le storie come le tue che, prima o poi, mi convertiranno del tutto.

La caratterizzazione dei personaggi è impeccabile, leggendo la tua shot avevo la sensazione d’essere nel mezzo di uno dei diciannove anni di cui la Rowling non ci ha parlato. Perfino Harry Potter, è bene caratterizzato, il che non mi porta che ha farti tanti, tanti complimenti. La tua storia e quella di Lilyblack sono quelle che più mi hanno emozionata, nel gruppo Canon.

Anche l’originalità è molto buona. Parli di un momento abbastanza fruttato nelle ff, ma lo fai in un modo completamente nuovo.

L’unico punto che stona è che a volte lo stile risulta pesante, inceppa la lettura. Ti faccio un esempio.

“Quando assaggiava le labbra di Hermione, Ron, pensava alle fragole: al loro gusto acidulo all’inizio, che diventava tanto dolce fino a renderti dipendente dal loro nettare;”

 

Le virgole che separano il nome di Ron rallentano notevolmente la lettura, stonano.

“Quando assaggiava le labbra di Hermione, Ron pensava alle fragole” sarebbe stato più fluido e piacevole. Ho preso questa frase come esempio, ma sono molti i punti in cui ho trovato questi ‘blocchi’, ed è un peccato, perché non permettono di godersi pienamente la splendida storia che hai scritto.

Comunque, posso solo farti tanti complimenti, perché hai scritto una storia splendida.

Grazie d’aver partecipato. Payton

Miglior Canon Pairing – Emmahp7
Una storia troppo bella per non essere premiata


 

   
 
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