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Autore: scarlett666    13/03/2011    4 recensioni
...la catena degli Uchiha.
Da oggi comincia una nuova era, la mia strada è cambiata. Una strada che percorreranno i miei figli, e i figli dei loro figli, lastricata di sacrificio, dolore e crudeli rinunce, seguendo un destino fatto d’odio ed insaziabile sete di vendetta. Tutte le generazioni a venire saranno contaminate da questo male inarrestabile che li infetterà fin nel profondo dell’anima, oscurando ogni altro sentimento d’amore o comprensione.
Il loro credo ninja sarà sempre e solo il rancore.
Questa è la mia maledizione, fratello.
1-L'Eremita delle sei vie della trasmigrazione.
2-Madara e Izuna.
3-Madara e Hashirama.
4-La valle della fine.
5-Obito e Kakashi.
6-Obito e Kakashi, II° parte.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi, Obito Uchiha, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Obito e Kakashi


Obito e Kakashi

 
 

 
5- Ti odio, non ti sopporto…ti do la mia vita.
 
 

 
Correva, come sempre, disperatamente, a perdifiato.
Superava con rapidità le chiome verdeggianti saltando agilmente fra i rami frondosi. Macchie di luce attraversavano saettanti la sua figura che, slanciata in avanti, si affannava in una vera e propria corsa contro il tempo.
“Non va bene!” rantolò nel disperato tentativo di accelerare ulteriormente “Di questo passo stavolta verrò ucciso!”
Dannazione che nervoso.
Possibile che ogni volta fosse la stessa storia?
Un groviglio allo stomaco che non poteva far altro che peggiorare al solo pensiero di chi, con le braccia incrociate e l’aria decisamente seccata, lo stava sicuramente aspettando già da parecchio tempo.
Un caso senza speranza, stava senza alcun dubbio dicendo in quel preciso momento quello spocchioso del suo compagno di team, come se a lui non fosse dato sbagliare. Sempre dannatamente il primo della classe, quello veramente dotato, il genio, quello che avrebbe fatto strada.
Senza contare che oggi avrebbe anche dovuto sopportare quella sua aria di superiorità sprigionarsi da ogni singolo poro ancora di più del solito perché, come se avesse mai potuto dimenticarsene, oggi era quel giorno. Il giorno in cui lui sarebbe stato promosso al grado di jonin.
Ci mancava solo un altro pallone gonfiato fra le fila degli shinobi di Konoha.
Tzk.
Assolutamente ingiusto… ed immeritato.
Mostrò i denti in un’evidente smorfia dettata dal forte disappunto e dalla fatica che, in grosse gocce, gli rigava il volto e gli appiccicava le ciocche alle tempie.
“Chissà se farò in tempo?”
Sì, perché la vera punta di diamante del team, quello che in un futuro nemmeno tanto lontano avrebbe sicuramente brillato per le sue indiscutibili abilità di ninja, che si sarebbe contraddistinto in battaglia per il valore ed il grande coraggio, colui che sarebbe diventato l’eroe di Konoha era lui e lui solo: Obito Uchiha!
Se solo il suo sharingan non si rifiutasse tanto testardamente di comparire.
Ma ora non aveva assolutamente il tempo per perdersi in simili pensieri, la priorità al momento era una sola: correre.
Il più velocemente possibile, anche, o avrebbe rischiato di perdere la faccia pure quella mattina, davanti al ghigno saccente di quel baby-ninja-prodigio sorprendentemente sgodevole ed odioso che era l’Hatake. Ma come faceva a prendersi sempre così dannatamente sul serio?
Uh, non c’era affatto da stupirsi del fatto che alla sua età avesse già i capelli bianchi. A dirla tutta si sarebbe stupito nemmeno, in un giorno non molto lontano, di scoprirsi a fissarlo in viso, trovandovi un bel solco verticale proprio al centro della fronte.
Ah, sì, sarebbe stato proprio bene con le rughe, lo avrebbero fatto apparire tale e quale il vecchio tronfio che era!
 
 
Nuovamente immerso nel pensiero del suo tanto odiato rivale e compagno di team, con un molto poco rassicurante ghigno sul viso, il giovane genin correva incessantemente nella foresta, saltando con notevole agilità da un ramo all’altro dei secolari alberi che circondavano Konohagakure.
Come quasi ogni mattina era diretto al punto d’incontro del suo team e, come quasi ogni mattina, era in terribile ed ingiustificabile ritardo.
 
 
Ormai la radura era poco distante, poteva intravederne la luce accecante attraverso il fitto fogliame della boscaglia. Forse non era poi così tardi, ancora un piccolo sforzo e sarebbe arrivato, magari il sensei non era ancora arrivato, magari aveva avuto un contrattempo…
Dandosi una forte spinta con le gambe, con un ultimo balzo raggiunse il limite della foresta, deciso a planare sul luogo del ritrovo: un’apparizione sicuramente d’effetto. Tuttavia evidentemente qualcosa sfuggì ai suoi calcoli, ed invece di atterrare elegantemente al centro della radura come sarebbe stato confacente ad un membro del suo clan, cadde rovinosamente a terra, strisciando impietosamente sull’erba. Rapito dai suoi mille pensieri non si era accorto di una lunga liana posata proprio sull’ultimo ramo e, agganciandovisi con un piede, si era fatto trascinare a terra senza fare una piega, per finire, muso nel fango, proprio innanzi al suo team.
Alzando il capo vide il suo sensei seduto su una roccia poco lontano, lo sguardo assorto rivolto ad un cielo limpido e privo di nubi.
 
 
“Ho fatto in tempo?” chiese per nulla convinto fra un ansito e l’altro, più per proforma o per dire qualcosa che per reale necessità, data l’evidente presenza di entrambi i suoi compagni di team.
Un figura si stagliò improvvisamente in controluce frapponendosi tra loro “No, Obito, sei in ritardo!” fece notare in un moto di stizza proprio l’Hatake incrociando le braccia al petto.
Le sopracciglia marcatamente arcuate del compagno di squadra esprimevano ampiamente tutto il suo disappunto anche da sole.
“A che ora credevi fosse l’incontro?” chiese con una punta di rassegnazione chinandosi sul malcapitato.
“Se sei a tutti gli effetti un ninja, ci si aspetta che tu segua le regole!”
 
Non credeva alle sue orecchie, Kakashi lo stava sgridando, con tono pacato, se vogliamo anche un po’ esasperato, ma lo stava decisamente sgridando… e tutto questo davanti a Minato-sensei.
Ed ora?
Quale scusa poteva inventare per tamponare questo guaio e non perdere del tutto la faccia davanti al maestro ed a Rin?
Una valida motivazione, ecco, doveva trovare, o meglio, inventare una scusa plausibile per giustificare il proprio ritardo.
“Sì, beh…” prese a gesticolare in maniera piuttosto vistosa quasi alla ricerca della frase giusta ma, evidentemente stava annaspando nel vuoto più totale.

Grattandosi nervosamente la nuca sputò tutto d’un fiato.
“Nel venire qui una vecchia che portava un bagaglio mi ha chiesto indicazioni…” sudava freddo mentre quegli occhi neri ed inespressivi lo fissavano con sufficienza “…poi ho qualcosa in un occhio.”, fece in un ultimo ed infruttuoso tentativo.
“Ok! E’ una bugia, vero?” lo freddò tranquillamente il compagno mentre, con le mani sui fianchi lo guardava severamente dall’alto in basso.
“Ora basta, Kakashi.” lo dissuase con un leggero sorriso Minato che, dalla posizione in cui si trovava, si era voltato per guardare i suoi allievi bisticciare proprio come due bambini troppo cresciuti.
“Obito ha fornito le indicazioni alla vecchietta.”
“Le ho anche portato il bagaglio!” sentenziò convintissimo e tutto soddisfatto il colpevole mentre, ancora seduto a terra, sollevava sulla fronte l’ingombrante maschera arancione.
Enorme ma irrinunciabile, non se ne separava mai.
Boccetta di collirio in una mano, dilatò le palpebre dell’occhio destro con le dita dell’altra e cominciò a versarvi piccole gocce all’interno, strizzandole poi per il lieve bruciore. Una sorta di rituale che ripeteva ormai diverse volte al giorno da un po’ di tempo.
Il tutto mentre il compagno, per nulla soddisfatto dall’indulgenza del loro maestro, cercava di far comprendere le sue ragioni.
 
 
Erano dei giovani ninja ormai, ed allo stato attuale la prospettiva di un conflitto si mostrava all’orizzonte in maniera sempre più concreta. Il tempo dei battibecchi era finito, presto la  guerra li avrebbe messi alla prova, crudele e senza riguardi per le loro giovani vite, ed anche la missione di quel giorno li avrebbe impegnati molto duramente.
Ma ancora Minato non voleva turbare i loro animi, non in quel giorno così importante, e d’altra parte la tranquillità che si respirava in quella verdeggiante radura non poteva essere sciupata. Era una calma preziosa, portava serenità all’animo, colmava lo spirito e donava loro una ragione per andare avanti.
Per questa pace lui combatteva.
Quella era la pace per la quale si impegnava duramente, in essa trovava la forza necessaria a combattere, ogni singolo giorno della sua vita.
 
 
“Lei è troppo indulgente, sensei”, continuò lamentandosi l’Hatake,”non è possibile che Obito incontri ogni volta qualcuno in difficoltà!” Il suo sguardo si fece duro, s’incupì come adombrato da un grande dolore, i pugni stretti lungo il corpo mentre l’intero corpo si irrigidiva in un chiaro segno di malcelata rabbia.
“Coloro che infrangono le norme e le regole sono considerati feccia! Non è così?”

Minato sorrise all’infantile testardaggine del suo giovane allievo, rigido ed intransigente come solo un ragazzino sapeva essere. Cos’avrebbe potuto rispondere? Forse semplici parole avrebbero potuto mutare le sue convinzioni spingendolo ad abbandonare quel suo guscio di serietà ed inquadrata disciplina?
Ancora intento a sfregarsi gli occhi irritati, Obito rispose per lui: “Non hai un briciolo di gentilezza nel tuo cuore? Parli sempre e solo di norme e regole!” precisò con aria indignata volgendo un piccolo broncio in direzione opposta a Kakashi, “per te la cosa più importante è sapersi controllare.”
L’aria si stava decisamente scaldando e Rin, temendo l’ennesimo litigio fra i due, tentò di sedare gli animi con timida convinzione. “Ora smettetela, tutti e due. Siamo nello stesso team.” La sua espressione non dovette risultare particolarmente convincente, ma d’altra parte aveva sempre un certo timore nel mettersi fra loro quando discutevano. Il giovanissimo jonin infatti non desistette affatto e, dandole quasi totalmente le spalle la guardò sfuggente con la coda dell’occhio. “Sei troppo buona con Obito, Rin. E poi, per me, oggi è un giorno importante!”
Rin parve presa decisamente in contropiede e riuscì solamente a balbettare flebilmente “Hai… hai ragione.”
Obito sembrava non capire, li fissava per nulla convinto della situazione, qualcosa gli stava sfuggendo. Qualcosa di importante. Poi di slancio chiese “Cos’è che succedeva oggi?”
“A partire da oggi, Kakashi è un jonin come me.” Lo illuminò il sensei.
Giusto! Come aveva fatto a dimenticarsene così in fretta? In tutto quel trambusto gli era proprio passato di mente. E pensare che giusto pochi minuti fa si rodeva al pensiero del suo ghigno vittorioso, che tra l’altro con quella maschera non avrebbe mai visto.
 
 
“Per poter essere più efficienti ci divideremo in due team”, le parole di Minato lo riscossero dai suoi pensieri ed insieme cominciarono a dirigersi verso il loro obiettivo mentre il maestro proseguiva con i dettagli della missione, “dopotutto Konoha sta affrontando una carenza di shinobi mai vista prima.”
“Ci dividiamo allora?” chiese Obito dietro di lui.
“Sì, esatto. Kakashi sarà il capitano del trio formato con Obito e Rin. Io lavorerò da solo.”
Rin, quasi rassegnata, si girò verso il compagno “Ricordi che ne abbiamo parlato l’altro giorno, Obito… del fatto di prendere a Kakashi un regalo.” Il giovane Uchiha a quelle parole volse il capo risentito, quasi volesse far finta di non aver udito e prese a fissare con astio la nuca del compagno che, non curandosi affatto dei loro discorsi, procedeva a testa alta verso la meta.
“Mi dispiace” borbottò poi fra il dispiaciuto e l’infastidito “non stavo ascoltando”.
Proprio in quel momento Kakashi, che in cima al gruppo pareva non aver ascoltato nemmeno un parola del loro discorso, si voltò lievemente incenerendolo con lo sguardo.

Minato li fece fermare e, rovistando nella sacca ne estrasse un grosso kunai dalla forma piuttosto strana. “Questo è il mio regalo. Un kunai artigianale. E’ pesante ad ha una forma bizzarra, ma una volta che ti ci abitui è facile da usare” e così dicendo, dopo averlo fatto roteare in mano un paio di volte, lo lanciò al proprio allievo che lo afferrò saldamente osservandolo con interesse.
“Grazie.”
Anche Rin estrasse qualcosa dalla sua borsa e, tutta sorridente, lo porse al festeggiato.
“Questo è da parte mia. Ecco! Un kit di pronto soccorso personalizzato. Ho cambiato qualcosina, in modo che sia più facile da usare.”
Kakashi afferrò il pacchetto con una mano ringraziando la kunoichi-medico, mentre, voltandosi verso Obito, porgeva l’altra in evidente attesa.

“C-cos’è quella mano?” Domandò allarmato, spalancando gli occhi decisamente sorpreso da quel gesto. Poi comprese, e corrucciando le sopracciglia in un principio d’ira sbottò: “Non ho niente da darti!”
Innanzi a tutta quell’agitazione il compagno non parve fare una piega, e molto seraficamente lo freddò. “Beh, non importa. Tanto non sarebbe stato niente di utile. Le cose inutili sono solo un impiccio.” A quelle parole Obito esplose letteralmente e puntando il dito gridò, ormai fuori di sé: “Ancora non riesco a capire come abbia fatto tu a diventare jonin!”
“Proprio tu parli?” lo affrontò senza scomporsi.
“Io sono Obito Uchiha del clan Uchiha! Un giorno ti supererò, non appena il mio sharingan si risveglierà!”
Avevano ricominciato, ormai si fronteggiavano fissandosi negli occhi, entrambi con i pugni chiusi ed il capo ben alzato, la fiezza di due shinobi nello sguardo, la cocciutaggine di due marmocchi incapaci di relazionarsi normalmente.
“Voi Uchiha siete tutti guerrieri d’elite, vero?” l’istigò con malcelata ironia “Quindi non dovresti aver bisogno di contare su quello…”
“Come?” La scarsissima capacità di sopportazione dell’Uchiha era già da tempo giunta al suo limite, ed ora lo stava decisamente superando. Adesso era veramente arrabbiato. Come si permetteva di insultare lui ed il suo clan con quella sua brutta faccia da schiaffi? Cosa ne sapeva lui della sua stirpe e della grandezza della sua famiglia? Gliel’avrebbe fatta vedere lui, ma non un giorno, ora, adesso, immediatamente gli sarebbe saltato addosso e…
“Smettetela voi due!” Rin si mise nuovamente in mezzo a loro per dividerli, separali fisicamente con le proprie braccia, le mani appoggiate sul petto di entrambi.
“Posso iniziare a spiegarvi la missione?” li interruppe serio Minato. I tre si voltarono nello stesso momento, sul viso un’espressione seria e concentrata.
 
 
“Siamo vicini al confine.”
Facendo cenno ai sui allevi di avvicinarsi si inginocchiò e stese a terra una grande mappa raffigurante il territorio nemico. Rapidamente i giovani ninja lo raggiunsero e si posizionarono in cerchio attorno ad essa in totale silenzio.
“Capito? E’ questa linea.” Indicò seguendone il percorso con l’indice. “Mostra dove il Paese della Terra sta invadendo Kusagakure. I nostri nemici sono shinobi di Iwagakure, ci è stato riferito che in prima linea ci sarebbero già mille shinobi.”
“Hanno avanzato parecchio dall’ultima volta.” Affermò Obito fissando la sottile linea di confine sulla mappa.
“Il Paese del Fuoco confina con Kusa. Saremmo dovuti intervenire molto tempo fa.” Fece notare amaramente Kakashi.
Anche Rin sembrava piuttosto preoccupata, la situazione era tutt’altro che semplice, innanzi a loro si prospettava con ogni probabilità la missione più difficile e pericolosa che avessero mai affrontato sino a quel momento. “A giudicare dalla mole dell’avanzata devono avere un sistema di rinforzi molto efficace.” rifletté.
“Perciò la nostra missione è questa… il ponte Kannabi.”, continuò il Lampo Giallo, “Sconfiggere il nemico al fronte richiede un considerevole numero di shinobi. Ecco perché degli shinobi come noi, che si occupano di missioni di sabotaggio, sono obbligati a lavorare in piccoli team scelti.”
Rin e Kakashi si scambiarono uno sguardo fugace, poi lui chiese : “Ha detto il ponte? Non era una missione di infiltrazione?” Pareva confuso, il piccolo genio non riusciva ad afferrare il significato delle parole del suo maestro.
Fu allora che Minato chiarì, riassumendo in poche parole, quale fosse l’importantissimo obiettivo di quella missione.
“Team Kakashi, la vostra missione consiste nell’infiltrarvi nel territorio nemico da dietro. Distruggerete quel ponte, che viene usato per il trasporto di viveri e rinforzi ed una volta fatto, vi ritirerete immediatamente.”
I compagni si fissarono negli occhi con determinazione ed annuirono all’unisono.
“E lei, sensei?” domandò Obito.
“Io affronterò il nemico direttamente sul fronte della battaglia. In ogni caso, oggi il vostro capitano è Kakashi. Viaggeremo insieme fino al confine, ma da lì inizierà la vostra missione!”
 
 
Si inoltrarono senza indugi nel fitto della boscaglia, quella foresta in territorio nemico aveva un che di inquietante: enormi alberi secolari svettavano fra l’erba alta filtrando gran parte della luce e rendendo tutto piuttosto cupo. Numerosi uccelli, forse corvi, gracchiavano sinistramente attraversando l’aria, andando a posarsi sui rami infestati da sconosciute forme di vita molto simili a grossi funghi. Avanzare non era affatto un’impresa semplice, soprattutto per dei ninja giovani come loro, il nemico poteva celarsi ai loro occhi fin troppo facilmente. Avanzavano compatti, in formazione serrata, aguzzando lo sguardo con circospezione ad ogni minimo rumore sospetto.
Improvvisamente Kakashi, alla guida del team, si arrestò, facendo cenno agli altri di rimanere immobili con un gesto del braccio; Rin e Obito compresero subito la situazione, allertando i sensi si posero in ascolto silente.
Minato dietro di loro non poté fare a meno di sentirsi orgoglioso dei suoi allievi, si erano subito accorti della presenza di shinobi nemici in agguato fra gli alberi.
Proprio di fronte a loro infatti, al riparo di un grande tronco, un ninja di Iwa li stava osservando dal loro ingresso nella foresta.
“Se ne sono accorti… non sono male.”, pensò seccato fra sé e sé. Cercando di metterne a fuoco i lineamenti concentrò la sua attenzione sul loro caposquadra e, realizzandone l’identità spalancò gli occhi in un moto di allarmato stupore. “Ma quello…” già la paura lo stava cogliendo “No, non può essere… Per ora mi limiterò ad osservare.”

L’oggetto delle sue preoccupazioni si inginocchiò e, con un dito puntato al terreno, chiuse gli occhi concentrandosi profondamente. “Uno… no. State tutti in guardia, ce ne sono venti.” In poco tempo era riuscito a quantificare il numero di nemici in agguato fra i rami. “Anche se probabilmente saranno dei Kage Bunshin.”
“Credo che abbia ragione, sensei… ora li attacco.” Kakashi, acquattato accanto al maestro era deciso a liberarsi delle spie immediatamente. “Può coprirmi?”
“Non essere avventato Kakashi. E’ meglio se tu mi copri le spalle.”
Ma il giovane Jonin pareva non voler ascoltare i consigli del suo maestro e, proseguendo senza indugi, prese a comporre una complicata serie di sigilli.
“Sensei, oggi il capitano sono io! Voglio testare un nuovo jutsu sul quale ho lavorato.” Con la mano destra impugnò saldamente il polso della sinistra e da essa cominciarono a scaturire fasci di saette dal bagliore azzurro, talmente luminosi sa tingere i volti dei compagni che, in quel momento, lo stavano fissando a bocca aperta e con gli occhi sgranati per lo stupore.
“Ecco che arriva. Chidori!”
La luce andava intensificandosi rapidamente, un forte crepitio si diffuse nell’aria.
“Cos’è quel jutsu?”
“Che chakra incredibile!”
Entrambi non riuscivano a credere ai loro occhi.
“Eccomi!”
Tuttavia Minato non era convinto della bontà di quell’idea, Kakashi stava decisamente sottostimando la situazione e, pur non potendo impedirglielo esplicitamente in quanto parigrado, cercò di dissuaderlo ponendogli un braccio davanti, l’espressione grave di già conosce il prevedibile svolgersi degli eventi.
“Non importa quanti sono, con questo jutsu posso abbatterli in un lampo. E’ come il vostro soprannome. E poi…” continuava a fissarlo dritto negli occhi. “Sensei, l’ha detto lei. Al momento il capitano sono io. La regola dice che il team deve obbedire agli ordini del capitano, sensei!”
A quelle parole anche Minato si rassegnò e, ritirando il braccio, lasciò andare il ragazzo che, con un lampo accecante si lanciò immediatamente all’attacco.
 
Era di una velocità impressionante, correva fra gli alberi cercando di identificare la posizione del nemico, il quale non aspettandosi di certo un attacco frontale aveva preso a bersagliarlo con una fitta pioggia di kunai, nel vano tentativo di fermarlo. Una mossa inutile, dato che dalle retrovie Minato gli stava coprendo le spalle intercettando ogni colpo prima che potesse andare a segno.
Tzk, che stupido! Lanciare quei kunai mi ha permesso di localizzare la sua posizione.
Con estrema rapidità raggiunse lo shinobi di Iwa sull’albero dietro al quale si era appostato e lo colpì col chidori. Immediatamente quello scomparve in una nube di fumo.
“Dannazione! E’ un Kage Bunshin.”
Si voltò scrutando nell’ombra senza tuttavia vedere alcun movimento sospetto.
“Passiamo al prossimo allora!” e con un salto abbandonò l’albero ormai squarciato dal combattimento per proseguire la ricerca, nel palmo sinistro le scariche elettriche crepitavano ancora illuminando la sua figura.
Anche Obito e Rin, nel frattempo, stavano perlustrando la zona con circospezione, alla ricerca del ninja-spia. Non era facile orientarsi nell’intrico della foresta e la luce pareva sempre più fievole.
Improvvisamente dal terreno apparve una delle copie nemiche, avvolto da spire di fumo si slanciò su Obito con l’evidente intento di attaccarlo, ma Minato con un rapidissimo colpo di kunai lo dissipò in un istante.
“Non abbassare la guardia!” ammonì il suo allievo che, ancora in preda al panico per l’improvviso attacco annuì quasi con le lacrime agli occhi.
 
Kakashi al contrario pareva inarrestabile, correva a perdifiato da un ramo all’altro distruggendo i cloni del nemico con la sua nuova tecnica. Fissava dritto il suo obiettivo senza alcuna distrazione, era orami giunto al diciottesimo.
Troppo concentrato evidentemente, poiché non si accorse di una lunga lama che da sinistra lo stava attaccando proprio al fianco.
“Vantati poco moccioso!” urlò giunto ormai a pochi centimetri da lui. Kakashi non ebbe nemmeno il tempo di reagire, e sicuramente sarebbe stato ferito gravemente se in un rapidissimo flash il suo sensei non l’avesse affettato per la vita e prontamente allontanato dall’arma, riuscendo in una mirabolante acrobazia facendo perno con la mano proprio sul piede della spia. Purtroppo ciò non risparmiò l’Hatake dall’essere colpito, anche se fortunatamente se la cavò riportando una ferita al braccio piuttosto lieve, quasi di striscio. Bisognava comunque tornare dagli altri, immediatamente.
Appoggiato ad un tronco poco distante lo shinobi di Iwa li spiava cercando di riprendere fiato.
Ho bloccato a malapena l’attacco di quel marmocchio, ma i movimenti del biondo sono…
Credeva di essere in salvo, li osservava al sicuro mentre, radunatisi, si organizzavano probabilmente per un secondo attacco.
Povero illuso.
Quanto si sbagliava.
“L’ho marchiato…”
Minato lasciò andare lo zaino e quando questo toccò terra il suo proprietario non si trovava più accanto ai suoi allievi.
Sfruttando il momento in cui aveva tratto in salvo Kakashi, nel far leva sul piede era riuscito ad apporvi in suo marchio per il teletrasporto ed in quel momento era proprio lì, alle spalle del nemico, con un kunai puntato alla sua gola. Quest’ultimo, preso completamente in contropiede, spalancò gli occhi realizzando finalmente con chi aveva avuto la terribile sfortuna di aver a che fare.

“Non posso crederci… tu sei… il Lampo Giallo di Konoha?” Era atterrito. Puro terrore trasudava da ogni suo poro colando sul viso insieme al sudore che orami impregnava completamente la divisa. “A noi del paese della Terra…” a stento riusciva a pronunciare anche semplici parole “I nostri capi avevano detto di scappare, se ti avessimo incontrato.” Il suo ultimo pensiero fu: “Ora capisco il perché.”
 

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“La ferita di Kakashi è seria…”
Rin stava cercando ormai da un po’ di alleviare il dolore del compagno, nonostante il salvataggio in extremis quel taglio non appariva affatto cosa da poco. Le sue abilità di ninja medico erano ancora piuttosto acerbe, se ne rendeva conto, ma cercava ogni volta di dare il massimo per aiutare gli altri membri del team. Kakashi in particolare era un ninja coraggioso e fortissimo già alla sua età; nonostante il forte dolore che sicuramente in quel momento stava provando, si limitava infatti a stringere lievemente le palpebre, non emettendo nemmeno un lamento.
Minato atterrò accanto a loro proprio in quel momento: “Ci ritireremo e ci riorganizzeremo.”
Obito non poteva credere a quella assurda situazione, avevano veramente rischiato di mandare tutto all’aria, e se avessero fallito la missione sarebbe stata tutta colpa di quel testardo presuntuoso dell’Hatake.
“E tutto perché hai ignorato gli avvertimenti del sensei e sei andato alla carica!” gli gridò dritto in faccia agitando i pugni
Kakashi, ancora seduto a terra ed affidato alle cure di Rin, lo squadrò con sufficienza.
“Non voglio sentire cose del genere. Non da un Uchiha d’elite che poco fa se la faceva sotto dalla paura!” sottolineò pungente.
Fu per Obito una vera stilettata e nuovamente si ritrovò ad arrancare alla disperata ricerca di una motivazione per giustificare agli occhi del suo perfetto ed irritantissimo compagno il suo precedente attacco di codardia.
“Mi-mi è entrata della polvere nell’occhio e ho iniziato a lacrimare, tutto qui!”
Si stava innervosendo troppo, sapeva che non andava  bene, ma la frustrazione del doversi confrontare ogni volta con quel perfetto mini-jonin era ormai divenuta insostenibile.
“Conosci la regola n. 25 del Codice di Condotta degli shinobi? La regola dice che uno shinobi non deve mai versare lacrime!”
“Ehi… smettetela, voi due…” anche Rin non sapeva più che dire, stavano giungendo veramente ad un punto di non ritorno.
“Ora smettetela entrambi.” Minato, che sino a quel momento era rimasto in disparte ad assistere alla scena, nella speranza che da soli capissero quando fermarsi, si decise ad intervenire. Non vi era rabbia nel suo sguardo, ma una serietà severa e quasi cupa, pareva deluso dai suoi allievi, stanco del loro continuo istigarsi e litigare. Uno spettacolo veramente raro ed inquietante, per quegli occhi che da sempre li avevano guardati con serenità ed affetto paterno.
“Kakashi, le norme e le regole sono  senza dubbio importanti, ma non contano solo quelle. Non te l’ho insegnato? A volte è necessario improvvisare contro i nemici.”
Il giovane shinobi, punto nel vivo, distolse lo sguardo e chinò il capo, prendendo a fissarsi le mani che, quasi inerti, sfioravano l’erba.
“Visto, scemo?” rincarò il rivale.
“Obito, ce n’è anche per te!”
Sentendosi richiamare scattò sull’attenti per poi fissare il suo sensei con aria interdetta ad alquanto smarrita.
“E’ impossibile che ti vada povere negli occhi, con quella maschera Se vuoi acquistare sicurezza non limitarti a parlare, agisci.”
Obito incredulo sbattè le palpebre nervosamente come a non voler dar credito ai suoi occhi; deglutì più volte a vuoto. Non aveva mai visto il maestro così serio.
“E un’altra cosa... Kakashi. Non dovresti più usare quel jutsu. Da quel che ho visto, nel tuo attacco ti concentri molto su forza e velocità, ma ti muovi così in fretta da non poter notare il contrattacco dell’avversario. E’ ancora un jutsu imperfetto.”
Kakashi pareva perso.
Tutto l’impegno che aveva messo nel perfezionare la sua tecnica per quell’occasione, dimostrare in quel modo di esser degno del suo grado di jonin, di essere al’altezza del suo sensei… tutto inutile.

Un jutsu imperfetto, gli aveva detto.
Ma Minato non aveva ancora finito.
“Prima di dividerci, vi dirò un’altra cosa. Per uno shinobi, la cosa più importante è il lavoro di squadra.”
 
Obito ancora stingeva i denti, i pugni serrati ed il fantasma della sua viltà che gli avvolgeva lo stomaco in una dolorosa stretta.
Un codardo indegno del suo clan.
Un Uchiha senza valore.
 
Kakashi fuggiva gli sguardi, l’umiliazione e la vergogna erano troppe; le sue regole lo avevano tradito, aveva deluso il suo maestro.
L’orgoglio che sanguinava.
L’orgoglio di un adulto ed il bisogno di accettazione di un bambino.
 
Rin fissava il terreno, mortificata per i compagni e dolorosamente consapevole della sua impotenza.
 
 
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Minato aveva deciso di fare il turno di guardia per primo, in modo da lasciar riposare i ragazzi: il giorno successivo sarebbe stato molto impegnativo e non potevano permettersi di esser stanchi ancora prima di cominciare. Come avevano potuto constatare quello stesso pomeriggio, anche una minia distrazione poteva comportare rischi altissimi per la riuscita della missione, ma soprattutto per la loro incolumità.
Seduto su una grossa formazione rocciosa scrutava di tanto in tanto il cielo, ora l’orizzonte, poi nuovamente la distesa stellata, sensibile al minimo rumore sospetto. I ragazzi dormivano proprio dietro di lui, avvolti nel loro sacchi a pelo.
 
“Sensei…” Obito si era alzato dal suo giaciglio e, stando attento a non svegliare gli altri, silenziosamente aveva raggiunto il suo maestro.
“Cosa c’è?” domandò Minato intuendo subito quali preoccupazioni celava quel velo di tristezza che era sceso sul volto del suo allievo.
“Lo so… che il lavoro di squadra è importante” cominciò pensieroso, “però… Kakashi mi critica sempre per la mia mancanza di disciplina, quindi…” esitò un attimo.
Ciò che stava per confidare era senza dubbio il più grosso peso che il suo cuore aveva dovuto sopportare ed ammetterlo davanti a qualcuno era quanto di più difficile e gravoso avesse mai fatto. “Insomma, io so di essere la pecora nera del prestigioso clan degli Uchiha… e riconosco che Kakashi è un tipo straordinario.” Sospirò nel tentativo di riprendere un attimo fiato, il coraggio gli stava nuovamente sfuggendo fra le dita.
Ma Minato lo precedette, comprendendo perfettamente il significato delle sue parole.
Avevano bisogno di capirsi più a fondo, guardarsi dentro, vedere attraverso le reciproche apparenze ed andare oltre le stupide incomprensioni.
“Kakashi è il figlio di  uno shinobi prodigioso, Hatake Sakumo-san, temuto con il nome di Zanna Bianca di Konoha. Neppure il nome dei tre sannin era tanto temuto. Ha passato la sua infanzia all’ombra di un tale prodigio, quindi immagino che a volte, quando ti da dello scarso, non lo faccia apposta…”
“Zanna Bianca…” questo nome non era nuovo al giovane ninja “E’ vero, ne ho sentito parlare anche io. E’ l’eroe che è morto proteggendo il villaggio. Kakashi non ne ha mai parlato.”
“Fu un grand’uomo, rispettato da tutti al villaggio, e ovviamente anche da Kakashi.”
Poi tacque.
Una lunga pausa piena d’attesa.
Obito attendeva con impazienza pendendo letteralmente dalle labbra del sensei.

“E fu così fino a quell’incidente…”
“Incidente?” Allora aveva percepito bene.
Quella strana tensione nel silenzio non poteva preannunciare nulla di buono.

“Forse non dovrei raccontarti una cosa del genere… ma essendo nello stesso team di Kakashi voglio che tu sappia.”
“Cosa accadde?” Ora era palesemente allarmato, la preoccupazione che già turbava i suoi lineamenti ancora piuttosto infantili si accentuò ulteriormente increspandogli le sopracciglia e la fronte.
“Il padre di Kakashi, Sakumo-sama si tolse la vita dopo esser stato diffamato.”
Un mattone.
Un’enorme pietra cadde in quell’esatto istante sulla sua testa, che aveva preso a vorticare priva di controllo.
“Cinque anni fa” continuò fissando l’orizzonte il sensei “era a capo di una missione difficilissima e si infiltrò in territorio nemico. Dovette fare una scelta. La missione o la vita dei suoi compagni… Ovviamente, secondo le regole del villaggio, la decisione giusta sarebbe stata completare la missione. Invece la sospese e salvò i suoi compagni. Questo causò altre gravi perdite per il Paese del Fuoco e per il villaggio e la colpa ricadde su di lui.”
Obito ascoltava ogni parola sempre più allibito.
“Persino i compagni che aveva salvato lo attaccarono. Quel trauma colpì duramente Sakumo, sia fisicamente che emotivamente. Ed infine… si tolse la vita.”
I’Uchiha sentì addosso il dolore del compagno, chiuse gli occhi e, cominciando a comprenderne le asperità, vide un bambino inerme ed impaurito, tremante innanzi al corpo rannicchiato e senza vita del proprio eroe, di suo padre.
“Da quel momento Kakashi non disse più una parola su suo padre e iniziò ad attenersi rigorosamente ad ogni norma e ad ogni regola.”
Un silenzio grave, pesante rendeva l’aria di quella notte stellata quasi irrespirabile, colmo di dolore, di lacrime mai versate, di insostenibile sofferenza dalla quale fuggire, nascondersi e difendersi. Regole, norme, leggi: barriere solide e concrete dietro alle quali trincerarsi per fuggire i propri fantasmi, per trovare un po’ d’ordine, una ragionevole dose di sicurezza.
“Obito… cerca di capirlo, anche solo un po’. Le intenzioni di Kakashi sono buone.”
 
 
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Il mattino successivo Minato era pronto per partire alla volta del fronte, lasciando ai suoi tre allievi l’incombenza della missione di sabotaggio.
Rin stava diligentemente cambiando i bendaggi della spalla di Kakashi, notando con piacere che le ferita stava rimarginandosi senza complicazioni.
“Sta guarendo bene, però non devi sforzarti troppo, o la ferita si riaprirà.”
 
Giunti in prossimità della linea di confine il sensei lasciò loro le ultime indicazioni :”Da questo punto ci separeremo. Buona fortuna a tutti.”
I tre giovani ninja, allineati di fronte al loro maestro, annuirono all’unisono, pronti a dar prova delle loro abilità. “L’altro giorno il nemico facevo sorveglianza da solo, ma da qui in poi incontreremo dei team. Fate attenzione…”
Da quel punto in poi sarebbe stata ancora più dura, i nemici sarebbero stati più numerosi e difficili da affrontare. La consapevolezza di questo pericolo li fece sobbalzare un attimo, avvertivano il peso e la responsabilità sulle loro spalle.
“Andiamo!” Urlò alzando un braccio al cielo in segno di incoraggiamento.
“Sissignore!” rispose in un’unica voce il neoformato team Kakashi.
 
Oltre la foresta si estendeva un’immensa palude, disseminata di canneti, fango ed insidiose acque stagnanti. Il trio di Konoha correva sicuro evitando le trappole che i nemici di Iwa avevano sparso con furbizia, forti della fiducia che il sensei aveva riposto in loro, pareva che nulla potesse fermarli, procedevano veloci prestando attenzione al minimo movimento sospetto.
Poco lontano, due shinobi-spia osservavano la loro avanzata nascosti da una fila di grosse rocce. L’espressione crudele e le vistose cicatrici che segnavano i loro volti non parevano presagire nulla di buono.
“Ehi, Mahiru è partito per la ricognizione da un bel po’ e non è ancora tornato.”
“Non penserai che quei marmocchi l’abbiano eliminato, vero?” domandò perplesso il ninja dalla voluminosa chioma castana.
“Beh, ora glielo chiedo!” rispose il primo, mentre con la semplice composizione di un sigillo di rese intangibile.
“Ninpou, meisaigakure!”

 
Kakashi, avvertendo un’insolita increspatura nello specchio d’acqua che stavano attraversando, annusò l’aria e subito si arrestò, facendo cenno ai suoi di fare lo stesso. Improvvisamente, dall’alto cominciarono a piovere grossi proiettili di bambù, velocissimi ed affilati come kunai.
Obito, senza perdere tempo si mise in posizione e lanciò una palla di fuoco suprema contro di essi, i quali, incendiandosi, persero velocità e caddero nell’acqua.
“Katon: Gokakyuu no jutsu!”
Nello stesso momento, alle spalle di Rin, uno dei due ninja nemici si stava lentamente avvicinando del tutto indisturbato, mentre tutta l’attenzione di Kakashi e Obito veniva catturata dall’attacco frontale del secondo shinobi che, dotato di due lunghe lame che uscivano dalle maniche si stava avvicinando pericolosamente. Solo all’ultimo si ritrasse, lasciando i due di Konoha decisamente perplessi. Un finto attacco dunque. Ma a quale scopo?
Solo allora avvertirono la presenza di quell’uomo altro e dai lunghi capelli neri che afferrava Rin dopo averla tramortita.
“Ci prendiamo lei.”
Disse ghignando mentre spariva in una nube di fumo insieme al compagni ed alla loro amica.
“Fermo! Maledizione!”
Senza pensare Obito si lanciò subito al loro inseguimento, istintivo, terrorizzato per la sorte della compagna.
“Obito! Non inseguirli!” cercò prontamente di fermalo Kakashi.
Cosa?” berciò allibito il compagno “Ti rendi conto di quello che hai detto?”
“Sì.” Rispose apparentemente calmo e controllato “Noi due continueremo questa missione.”
“E Rin? Che ne sarà di Rin?” gridò esasperato dal comportamento del jonin.
“Rin viene dopo. Il nemico vuole scoprire i nostri piani. Non la uccideranno subito. E per fortuna Rin è un ninja medico, quindi anche se verrà fatta prigioniera, la tratteranno bene, a patto che curi i loro feriti. Il problema sarebbe se il nemico venisse a sapere della nostra strategia. Se ottenessero quelle informazioni aumenterebbero immediatamente la sorveglianza sul ponte, rendendo la nostra missione molto più difficile.”
Obito ormai digrignava i denti dalla rabbia.
Quale razza di egoista dal cuore congelato avrebbe potuto pensarla a quel modo?
Tremava, tanta era la voglia di farlo rinsavire a suon di pugni.

“Stai dando per scontata l’incolumità di Rin basandoti su supposizioni! E se invece fossero dei criminali a cui non frega niente? Ora come ora, salvare Rin è più importante della missione!”
Erano nuovamente l’uno di fronte all’altro, come due mondi opposti, paralleli ed inconciliabili, due visioni incompatibili, cuore e disciplina, impetuosi sentimenti e fredda razionalità.
Lo scontro era inevitabile, la comprensione troppo lontana dai loro cuori.
“Uno shinobi deve essere disposto a sacrificare un compagno per portare a termine la missione. Sono queste le regole.” Perseverava, cieco, nelle proprie convinzioni.
“Non portando a termine questa missione, probabilmente la guerra andrà avanti, e molte altre vite verrebbero sacrificate.”

Obito non riusciva veramente a capacitarsi di come l’Hatake riuscisse ad essere così insensibile nei confronti della loro compagna, preziosa alleata di tante missioni.
“E’ solo una supposizione! E per una cosa del genere, saresti disposto ad abbandonare un compagno, che ha rischiato la vita insieme a te? Quando eravamo feriti Rin ci ha salvato la vita con i suoi ninjutsu medici! Non fosse stato per lei adesso saremmo morti entrambi!”
“Era il compito di Rin.”
In quell’esatto momento Obito scoppiò, e sputò in faccia al compagno tutto il disprezzo che nutriva nel confronti suoi e di tutte le sue stupide regole… colpendolo duramente con un pugno in pieno viso e facendolo volare in terra.
“A conti fatti, non mi piaci per niente!” ansimò in preda all’adrenalia.
“Non mi interessa. Io sono il capitano, tu mi obbedirai. Fine.”
Sibilò Kakashi pulendosi il sangue dal labbro spaccato con la manica della divisa.
“A prescindere dalla situazione, al fine di tenere insieme il team, una persona dà gli ordini. E’ per questo che esiste la regola per la quale i membri del gruppo, devono obbedire al capitano.”
Si sollevò sulle braccia per fissarlo dritto negli occhi.
“Obito, tu non sei abbastanza forte. E’ per questo che hanno scelto me, come capitano di questo team.”
Il compagno si chinò prontamente verso di lui e, afferrandolo per gli spallacci dello zaino, lo sollevò di peso, tutta la rabbia che nutriva nei suoi confronti fiammeggiava ben evidente nei suoi occhi neri.
“Allora perché non provi a salvare Rin?” ringhiò a pochi centimetri dal viso dell’altro “Sei il capitano, dovresti essere abbastanza forte da salvare i tuoi compagni, non è così?”
“Se cedi alle tue emozioni, anche solo per un istante, e fallisci la missione, te ne pentirai in seguito.”
Stupito da un tale ragionamento Obito allentò la presa sul compagno e strinse gli occhi, il viso contratto nella realizzazione del suo stato di impotenza.
“E’ per questo che il codice degli shinobi non consente nessun sentimento. Lo dovresti sapere.”
“Rin…” non riusciva quasi a parlare, forse era del tutti inutile tentar di far capire qualcosa a chi è completamente sordo.
“Rin era preoccupata per la tua salute, per questo ti ha dato quel kit di pronto soccorso. Ha persino cucito un amuleto protettivo al suo interno!” tirò nuovamente a sé il jonin quasi a sollevarlo sulle punte.

“I kit medici ed i ninjutsu medici, sono degli strumenti eccellenti che Konoha ha sviluppato per incrementare la possibilità di successo delle nostre missioni. Però… te l’ho detto ieri, no? Le cose inutili sono solo un impiccio.”
“Le cose inutili?” sibilò fra i denti tirandolo sempre di più.
“Per portare a termine la sua missione, uno shinobi necessita di risorse utili. Cose come le emozioni sono inutili.”
L’aveva perduto.
Quel minimo, sottile ed infinitesimale aggancio, l’aveva perduto.

“Stai dicendo sul serio?” poco più che un sussurro, “Credi davvero in quello che hai detto?”
Kakashi impallidì.
Tutto d’un tratto le sue argomentazioni non gli parvero più così convincenti, lo sguardo tradiva dolore, sofferenza, una tacita supplica.
 
In quel momento vide la schiena di un uomo, ampia, dritta e fiera, le spalle di uno shinobi d’onore dai capelli d’argento, un jonin retto e giusto, le spalle di suo padre. Poi la figura scomparve, si dissolse nel nulla, lasciando dietro di sé un’arma, la stessa Tanto che ora recava sulla schiena un giovanissimo ninja, poco più che un ragazzino, e quel ragazzino non era altri che lui.
 
Tristi ricordi, un antico dolore a lungo soppresso, relegato in un angolo buio della sua mente razionale, organizzata rigidamente in comparti stagni, inattaccabili. Almeno sino ad ora.
Come un’ondata riaffioravano sentimenti e sensazioni che impetuosi travolgevano e demolivano le barriere logiche del suo cuore.
Eppure no, non doveva cedere.
“Sì… ci credo.”
Obito lasciò la presa, rassegnato.
Basta, ormai non ne valeva più la pena, si sarebbe arreso.
“Lascia perdere. Io e te siamo stati come il bianco e il nero fin dal principio. Io vado a salvare Rin.”
E voltandosi, prese ad incamminarsi verso il fitto della boscaglia.

Kakashi tentava ancora di convincerlo dell’inoppugnabilità delle sue ragioni.
“Non capisci niente. Non pensi a cosa può succedere, infrangendo le regole…”
Si fermò, sempre di spalle.
Forse un ultimo tentativo…
 “Io credo che Zanna Bianca sia stato un vero eroe.”
Dietro di lui il giovane jonin rimase impietrito.
Si sarebbe aspettato urla, insulti, un altro pugno forse, ma di certo non quelle parole.
“Di sicuro nel mondo degli shinobi quelli che violano le norme e le regole sono considerati feccia.”
Mentre parlava, lentamente voltò il capo, voleva che le sue parole giungessero dritte fin dentro al compagno, voleva colpirlo nel profondo, imprimergli a fuoco nel petto il suo pensiero.
E proprio lì, nelle profondità del suo animo lacerato, quelle frasi lo incisero indelebilmente, forse squarciando quella cortina che lo rendeva cieco, forse semplicemente legittimando i suoi tormenti.
“Però…” continuò sempre più sicuro l’Uchiha, “quelli che abbandonano i propri compagni, sono peggio della feccia! In ogni caso sarò spazzatura, quindi scelgo di infrangere le regole. E se questo non fa di me un vero shinobi, allora distruggerò questo ideale di shinobi!”
 
Chiusero gli occhi nello stesso momento, insieme si voltarono, e sempre insieme si allontanarono dalla radura, ma in direzioni diverse, opposte ed inconciliabili.
Lentamente e a capo chino, ognuno con i propri fantasmi a gravare sulle fragili spalle.
 
 
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Fine primo tempo! ^,^
 
 
 
 
Ehm, ehm… ebbene sì, sono solo a metà (me tapina, che lavoraccio)!
Seriamente, questo capitolo è stato piacevole da scrivere ma veramente eterno… ho temuto di non uscirne viva.
In realtà le cose che temo sono molte, in primis il fatto che la qualità sia scadentissima.
D’altra parte è la prima volta che scrivo basandomi pari-pari su una puntata dell’anime, per l’esattezza la 119 dello Shippuden.
E’ una filler, ma era veramente perfetta per descrivere la storia di Obito, unico Uchiha veramente ingenuo e di cuore puro, a mio avviso.
Sì, è vero che anche Itachi non è cattivo -per carità, io lo adoro- però dovete darmi atto del fatto che questo Obito è veramente adorabile… fa tanto Naruto.
Infatti il problema principale, oltre ad essere il motivo che mi ha bloccata per un tempo spropositato, è che ad una prima interpretazione, Obito e Kakashi mi sembravano terribilmente simili a Naruto e Sasuke!
Alla fine però credo di esserne venuta a capo, voi che dite?
A me le differenze paiono abbastanza evidenti, dai. *si auto-incoraggia*
Che altro… ci sono come sempre un paio di termini jappi, ma credo che metterò la legenda alla fine della parte finale.
Mi rendo conto che per ora Kakashi sembra abbastanza bastardo (finesse) ma d’altra parte così è, vi assicuro che è tutto fatto in modo da rendere la ff il più realistica possibile.
Persino i dialoghi sono l’esatta trasposizione di quelli dell’anime. Giuro. ^.^’
Detto questo vi saluto, un bacione a tutti ed un forte abbraccio a tutti coloro che seguono, ricordano, preferiscono, ma soprattutto recensiscono.
Un grazie sincero.
   
 
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