Scie di innumerevoli lacrime rigano
il tuo candido volto. Lacrime scivolate senza resistenza dai
tuoi occhi e accolte solo dal freddo pavimento. La tua bocca leggermente
aperta. Le labbra rosse stanno già perdendo il loro abbagliante colore. Il tuo
viso è una maschera di disperazione. Ed è tutta colpa
mia.
Sono stato io.
Sono stato io a cancellare il sorriso dal tuo sublime volto.
Sono stato io a farti versare quelle lacrime.
Sono stato io a farti vivere gli ultimi attimi della tua
vita in una terribile ed esasperante angoscia.
Il tuo corpo, il tuo volto sono
intatti, sembri solo addormentata. Dio, come sei bella! La morte ha avuto pietà
di te? Ti ha lasciato così bella come se fossi viva per torturarmi?
Mi merito di peggio.
I tuoi occhi sembrano fissarmi. Abbasso lo sguardo. Non
posso. Non posso guardarti. Non posso guardare i tuoi occhi
carichi di disprezzo e terrore che fissano, come un giudice severo, l’imputato
colpevole e reo confesso che con il cuore in mano e la voce strozzata, cerca di
difendersi appellandosi a quell’unica attenuante:
quella di essere stato uno sciocco.
Uno sciocco e ingenuo ragazzo accecato dal suo odio verso il
mondo, che sembrava riuscisse a scacciare l’amore per
te. Mi sono innamorato subito, dalla prima volta che ti vidi
seduta sull’erba a studiare con un’amica. Eri bellissima. Volevo avvicinarmi
ma, imbranato come sono, finii per rintanarmi dietro
un albero come un ladro o una spia. E così ho sempre
fatto per sette anni. Mi nascondevo e ti osservavo da lontano con la
consapevolezza che se mi fossi avvicinato avrei potuto
rovinare tutto. Assaporavo quei momenti pronto ad
abbassare lo sguardo non appena i tuoi occhi accennavano a vagare verso il
luogo in cui mi trovavo; se per sbaglio mi accorgevo che mi guardavi, facevo
finta di niente, vergognandomi del mio pallore, dei miei capelli, dei miei
vestiti...
E poi...Poi hai incominciato a
parlare con Potter. Non era la prima volta, certo: già
da tempo gli parlavi, ma i tuoi atteggiamenti nei suoi
confronti erano sempre colmi di un certo disprezzo. Invece,
verso la fine dell’ultimo anno, incominciai a notare un cambiamento nei tuoi
modi, nell’espressione del tuo volto, nel tuo comportamento quando c’era lui.
Eri innamorata. Eri innamorata di James Potter. Non volevo accettarlo. Non riuscivo. Non potevo
neanche più stare nascosto ad adorarti nell’ombra perchè ormai eri continuamente in sua compagnia. E lui mi scopriva sempre! Appena mi vedeva mi umiliava e
ridicolizzava davanti a tutti...ma soprattutto davanti a te. Mi
feriva costantemente e gratuitamente. Calpestava i miei sentimenti come
si schiaccia, quasi istintivamente, una mosca
fastidiosa. Mi mortificava solo perchè non ero un Grifondoro come lui, perchè non
sapevo volare come lui; perchè non avevo quel suo
carattere estroverso e coraggioso; perchè i compagni mi isolavano e non avevo amici; perchè
a casa non avevo due bellissimi e spensierati genitori pronti ad accogliermi e
viziarmi; perchè non avevo una persona che mi amasse
come tu amavi lui. Io cercavo di reagire, ma quasi mai ci riuscivo. E così ho commesso il mio primo e più grave errore: ho
attaccato te per ferire lui. Non puoi immaginare il rimorso e il pentimento che
mi consumavano l’anima ogni volta. Era come se avessi
preso un coltello e me lo fossi conficcato nel cuore e da esso
grosse lacrime sgorgavano.
Ho sviluppato così un astio e una ripugnanza profondi per me
stesso e per il gioioso e illusorio mondo che mi circondava. Tu eri l’unica che
non riuscissi a soffocare con il mio odio. Ho cercato
l’unico ambiente possibile che mi potesse accogliere e
che mi potesse permettere di dar sfogo alla mia rabbia. Questo è stato il mio
secondo errore. Mi sono votato alla causa di Voldemort.
Ho visto morire compagni di scuola e professori sotto i miei impassibili e
oscurati occhi. Non mi dava gioia. Non mi dava neanche un briciolo di
soddisfazione. Ma lo facevo perchè
il mio odio, così, si placava momentaneamente. Cosa valeva la
vita di una persona che aveva avuto tutto dalla vita, che aveva raggiunto
quella felicità che io, suo freddo boia, non avrei mai potuto sperare di
raggiungere. La speranza è l’oppio dei popoli. Non ho mai creduto in essa. E’ solo un abbaglio e illude le persone che sperano
solo perchè non riescono ad affrontare e ad accettare
la dura realtà. Io l’ho accettata, ne ho preso coscienza e così non ho più
sperato.
Poi ho udito una rivelazione per cui
da questa dannata notte mi pentirò fino alla fine della mia ignobile esistenza.
Ho assistito alla tua condanna a morte e sono stato io a pronunciarla, o è come
se fossi stato io. E’ uscita dalla mia bocca ignara e peccatrice mentre un
ghigno maligno si andava abbozzando su quella dello spregevole individuo di
fronte a me.
Questo è stato il mio terzo grosso errore. E la banale e insulsa giustificazione che ti porto è che non
sapevo si riferisse a tuo figlio.
Io sono la causa del tuo sonno eterno. Io ho decretato la
tua morte fisica e la mia spirituale. Io che ti amo come la pallida luna ama la stella più luminosa e bella.
Io, il tuo giustiziere.
Sento dei rumori, qualcuno sta
arrivando. Il piccolo Harry piange nella culla. Ma non posso vedere come sta; non posso allontanarmi da te.
Sono gli ultimi istanti in cui posso ammirarti come uno sciocco essere umano
contempla un angelo. Sono gli ultimi attimi in cui, inginocchiato come il più
malvagio peccatore davanti alla sua vittima, posso bramare il tuo perdono.
Amore, perdonami, perchè ho
pronunciato la tua sentenza di morte, perchè non hai
potuto abbracciare tuo marito per un’ultima volta e non potrai più farlo. Perdonami perchè tuo figlio crescerà
senza di te, perchè non credo riuscirò mai a guardarlo
negli occhi. Perdonami, perchè ti ho ferita, perchè ero accecato dall’odio.
Perdonami perchè esisto, perchè
se non ci fossi stato probabilmente tu staresti dando
il bacio della buona notte a tuo figlio. Perdonami perchè
amo un angelo e non ne sono degno.
L’uomo, chino sul corpo senza vita di Lily Potter, si alzò. Si allontanò a passi brevi e calcolati
dalla stanza. Raggiunse l’ingresso da cui era entrato qualche
minuto prima col cuore in gola. Uscì. Quella sensazione non era ancora
svanita e sapeva che non l’avrebbe mai abbandonato. A testa alta si allontanò,
mentre la brezza serale gli accarezzava il viso.