Disneyland Acid Trip
1. Sleeping Beauty
Sometimes when we're young, and
always on the run
It gets so dark and I
know that place yeah-ee-yeah!
So don't be too
concerned, you got a lot to learn
Well so do I and we've
got plenty of time yeah-ee-yeah!
Don't fall off the track
yet with so many races to go
Hold on!
[Unbound, the wild ride - Avenged Sevenfold]
Aurora sedeva al bancone del bar con una bottiglia
di birra in mano. I
suoi lunghi capelli cadevano in un’onda dorata sulla sua
schiena, le lunghe
gambe pallide erano accavallate con grazia e i luminosi occhi verdi
fissavano
il vuoto. Svuotò d’un sorso il suo drink,
sbattendo il contenitore vuoto sul
ripiano ligneo.
«Un’altra,
per favore.»
Il
barman le portò ciò che aveva richiesto e lei
ringraziò con un sorriso
luminoso. Mentre sorseggiava la seconda birra della serata,
osservò con
circospezione la sala affollata. Odiava il sabato sera. C’era
sempre troppa
confusione, si sentiva a disagio. Finita anche la seconda bottiglia, la
giovane
donna si alzò dal suo posto, pagando e uscendo in fretta dal
locale. Camminando
verso la sua auto, la sua presenza attirava l’attenzione di
parecchi uomini
presenti sul marciapiede affollato, che si voltavano verso la sua
figura
avvolta in un abitino blu aderente e scollato. Salì sulla
sua cabriolet nera
decappottabile, guidando verso lidi migliori. Sapeva dove avrebbe
potuto
trovare un posto dove divertirsi e non pensare al fatto che
l’indomani avrebbe
compiuto diciannove anni. Cosa che la terrorizzava.
Aurora
era nata con una grave malattia genetica di tipo terminale. I medici le
avevano
diagnosticato questa rara patologia quando aveva all’incirca
tre anni,
dicendole che entro i diciotto sarebbe caduta in un coma irreversibile.
I suoi
genitori non le avevano tenuto nascosto nulla, dicendole da subito,
quando
poteva capire realmente di cosa si trattasse, che era affetta da quella
malattia. La ragazza non si era mai fatta troppi problemi al riguardo,
aveva
deciso di vivere la vita fino in fondo, invece di rinchiudersi tra le
mura di
un ospedale e sottoporsi a delle cure palliative che avrebbero soltanto
allungato la sua agonia. Aurora non era diventata una suorina devota ad
un dio
inesistente, non si era rinchiusa in casa alla ricerca di protezione.
Aveva
deciso di darsi all’alcol e alle feste, di divertirsi e
godersi la vita, finché
era in tempo. Aveva praticato parecchi sport estremi e, nonostante
tutto, tra
lo stupore generale aveva compiuto e sorpassato i diciotto anni senza
manifestare sintomi della malattia. E dunque, avvicinandosi ai
diciannove, il
terrore l’aveva colta.
L’automobile
percorreva a gran velocità le vie cittadine, ingombre dal
traffico del sabato
sera. Ah, quanto odiava i sabati. Per fortuna la giovane donna
conosceva
parecchie scorciatoie. Prese dunque una stradina laterale per evitare
un
incrocio che sicuramente sarebbe stato bloccato dalle macchine, e si
diresse
verso la sua destinazione. La traversa era buia, pochissimi lampioni ai
lati
della strada. Una stranissima sensazione colpì la
guidatrice, che si sentì osservata.
Volse lo sguardo al marciapiede, ma non vide anima viva. O almeno, nel
buio non
le parve di riuscire a distinguere nessun essere vivente. In quei pochi
istanti
in cui i suoi occhi si erano rivolti altrove, però, qualcosa
aveva urtato il
suo mezzo, finendo contro il parabrezza e rotolando poi per terra, nel
momento
in cui la donna frenò di colpo. Col respiro affannoso,
aspettò qualche secondo
prima di scendere dall’auto. Che cazzo aveva investito?
Una
figura scura giaceva sul terreno. Non riusciva a capire se fosse un
essere
umano o un animale, vedeva soltanto il luccichio sinistro del sangue
sull’asfalto
e sulla carrozzeria.
«Oh
dei.» fu l’unica cosa che riuscì a
mormorare a fior di labbra. Si sporse verso
la sagoma accartocciata davanti a lei, quando questa emise un gemito.
«Sei
vivo?» Non sapeva nemmeno se fosse un uomo, che diavolo! Per
quanto ne sapeva
poteva aver investito un grosso cane!
«Prima
mi investi a duecento all’ora e poi mi chiedi anche se sono
vivo?!»
La
voce era flebile ma con una nota ben percepibile di sarcasmo. La
ragazza trasse
un profondo respiro di sollievo. Se parlava significava che era vivo,
no?
«M-mi
dispiace, non era mia intenzione. Sei apparso
all’improvviso…»
La
persona si mise a sedere, massaggiandosi la testa.
«Penso
di avere un taglio piuttosto profondo sulla nuca ed un trauma cranico.
Spero
almeno che avrai la decenza di accompagnarmi in ospedale.»
Aurora
si alzò dalla posizione accovacciata in cui si trovava per
verificare le
condizioni di chi aveva investito, dando a questi la mano in modo da
aiutarlo a
trarsi in piedi. Lo fece accomodare sul sedile del passeggero, dandogli
qualche
fazzolettino per tamponarsi la ferita alla testa, e poi mise in moto.
«Che
cazzo… Le ferite alla testa sono quelle che sanguinano di
più.» esclamò il
ragazzo, sussultando mentre cercava di asciugare il sangue che gli
usciva
copioso.
«Già…
Senti… Io… Mi dispiace tanto.»
«Non
preoccuparti, non è tutta colpa tua. Sono stato imprudente
nell’attraversare
senza rendermi conto che stava giungendo una macchina.»
La
donna gli dedicò un’occhiata, per poi riportare lo
sguardo sulla strada.
«Posso
sapere perché ti porti dietro un fucile?»
L’uomo
al suo fianco, infatti, aveva un fucile di precisione appoggiato sulle
ginocchia.
«Ero
a caccia.»
«A
caccia di cosa?» A caccia nel pieno centro della
città?!
«Cacciavo
un lupo cattivo.»
Aurora
non si voltò di nuovo nella sua direzione, pensando tra
sé che quel tipo doveva
essere completamente matto, oppure il suo trauma cranico era peggiore
di quanto
pensasse.
Parcheggiarono
davanti al pronto soccorso, la ragazza gli impose di lasciare
l’arma da fuoco
sul sedile della sua auto. Non volevano di certo scatenare il panico.
La
dottoressa che visitò Brian, così si chiamava lo
strano individuo che aveva
investito, disse che aveva un lieve trauma cranico e che necessitava di
qualche
punto dietro la nuca. Dopo che l’ebbero ricucito con quindici
punti, gli ebbero
dato qualche medicina ed ebbero controllato che non ci fossero altri
problemi,
lo dimisero. Erano passate circa due ore ed ormai la mezzanotte si
avvicinava
inesorabilmente.
«Perché
così tesa?»
La
domanda la colse alla sprovvista, così che voltò
lo sguardo verso il ragazzo
che camminava al suo fianco verso la sua automobile. I suoi occhi verdi
incontrarono quelli castani e pieni di curiosità di lui.
«Non
sono tesa.» ribatté stizzita. Adesso un perfetto
sconosciuto si rendeva conto
dei suoi stati d’animo come fosse una vecchia amica?
«Ahah,
sì, e io sono Cappuccetto Rosso.»
Aurora
gli lanciò un’occhiataccia, mentre apriva la
macchina con il telecomando e
saliva a bordo.
«Non
sono fatti tuoi.» affermò, quando Brian fu salito
ed ebbe chiuso la portiera.
«Ok,
chiedo venia.»
«Invece
di dire stronzate, perché non mi spieghi dove devo
lasciarti?»
«Mmh.
Visto che il lupo ormai sarà fuggito, penso che tu possa
accompagnarmi a casa
mia.» Le diede le indicazioni per giungerci, mentre lei
rimuginava sulla sua
sanità mentale. Un lupo in pieno centro città,
certo. Mentre attraversavano a
tutta birra una strada poco trafficata, il ragazzo le chiese di
fermarsi. Lei
accostò, senza nemmeno domandarsi più cosa
diavolo stesse facendo. Si era
rassegnata alla sua pazzia. Lo vide scendere dall’auto col
fucile sottobraccio,
aggirandosi con circospezione lì intorno. I suoi corti
capelli biondi
rilucevano alla luce dei lampioni, mentre camminava in completo
silenzio. La
ragazza si accese una sigaretta, sbuffando. E lei che si sarebbe voluta
divertire, quella sera! Che cazzo! Fece uscire il fumo dalla bocca,
fissando il
cielo scuro in cui spiccava qualche stella. Si scorgevano solo
perché si
trovavano in periferia, eppure erano comunque offuscate dalle luci
cittadine.
Uno sparo risuonò nell’aria. Aurora si
voltò di scatto, guardando fuori dal
finestrino. Brian stava tornando indietro, trascinandosi appresso un
altro
uomo. Non riusciva a vederlo bene, ma le pareva zoppicasse. Che gli
avesse
sparato a una gamba? La donna scese dall’automobile
avviandosi verso di lui.
«Ma
che cazz…»
«Hai
visto bellezza? Ho trovato il mio lupo.»
Aurora
lo guardò con aria stupita. Che diamine andava cianciando?
Poi scorse dietro i
due uomini un’altra figura. Una ragazzina vestita di rosso
camminava dietro di
loro. Aveva all’incirca quindici anni, a prima vista, capelli
corti e neri,
pelle color porcellana.
«Ti
spiace se lo carico in macchina e facciamo un salto al
commissariato?»
La
donna fece un gesto noncurante. Poco le importava, ormai la sua serata
era
andata a puttane. Rimase però ferma sul marciapiede, mentre
Brian caricava il “lupo”
sulla macchina, osservando la ragazza che era arrivata a un passo da
lei. C’era
qualcosa di terribilmente sbagliato in quella fanciulla vestita di
rosso.
Camminava con grazia, aveva lineamenti delicati, occhi scuri e vivaci.
Eppure
quel viso da bambola era deturpato da un’espressione feroce,
un ghigno malvagio
le piegava le labbra. Un brivido corse lungo la schiena di Aurora. Chi
diavolo
era quella persona?
«Ciao,
io sono Akane.»
Saaaalve a tutti quanti, eccomi qui con questa stranissima original. Come mi è venuta in mente? NON NE HO IDEA! Ahahah. Spero soltanto vi piaccia, sarà una storia piuttosto particolare che penso di portare avanti per un po' di tempo. Vedremo come si evolveranno le cose :D Un grazie ai miei adorati Avenged Sevenfold per avermi dato l'ispirazione per il titolo. *A*
Hope you'll enjoy!.