CAP.
1
Un
giorno, quando tutto ricominciò …
Lei era seduta in una panchina di un piccolo parco cittadino nel cuore di
Londra. Osservava sua figlia correre e giocare con gli altri bambini e nel
frattempo chiacchierava con una sua amica.
Lui passeggiava per lo stesso parco, con aria assorta, in cerca di cosa non lo
sapeva, forse un giornale lasciato su una panchina, giusto per tenersi
informato, anche se non gli andava poi troppo di leggere ancora di attentati, assassinati, guerre e roba simile, forse
invece era solo per occupare il tempo e non fermarsi a pensare. Aveva l’aria
trasandata, la barba incolta, jeans strappati e una maglietta di qualche gruppo
rock in voga tra i babbani, con l’aria di non aver
visto una lavanderia da parecchio tempo.
Il sole splendeva ormai basso nel cielo e la frescura di un autunno imminente
cominciava a farsi sentire.
Non lo riconobbe subito, osservò per un attimo il tizio “originale” prima che
il suo cuore perdesse un paio di battiti e lo stomaco
facesse una capriola.
Lui sembrava non essersene accorto, o almeno è questa
l’impressione che diede.
Non poteva far finta di niente, anche se una parte di lei
avrebbe voluto lasciarlo passare e andar via, l’altra voleva riabbracciarlo,
poi aveva l’aria di non passarsela troppo bene, probabilmente aveva bisogno di
aiuto.
Mille domande le assillavano la testa, il perché era scomparso, cos’aveva fatto
in tutti quegli anni, perché non si era più fatto sentire da quel giorno. Ma si alzò, chiedendo all’amica di guardare per un attimo
sua figlia e si diresse a passo sicuro verso l’uomo, che ora raccoglieva da
terra una rivista.
Gli arrivò alle spalle.
“Ciao” come una semplice parola potesse esprimere
tante domande non era dato a sapere, ma conteneva in se tutta l’angoscia dei
lunghi anni in cui non l’aveva più visto, la rabbia, la frustrazione, la
solitudine ed infine la gioia di rivederlo.
Lui quasi trasalì, probabilmente non l’aveva sentita
avvicinarsi, o più probabilmente perché aveva riconosciuto il timbro della
voce. Rimase un attimo piegato sulle ginocchia, lì dov’era, chinato per
raccogliere quel giornale. Poi, cercando di riacquistare un po’ di dignità, si
risollevò e si girò verso la donna sforzandosi di rispondere.
“Ciao” il tono era distaccato, quasi non gli importasse
chi aveva di fronte. Ma gli occhi tradivano il suo
stato d’animo.
C’era così tanto in sospeso che non sapeva nemmeno da
dove cominciare.
“Come stai?” avrebbe voluto abbracciarlo e nello stesso tempo prenderlo a
calci.
Lui abbassò la testa osservandosi le scarpe “Benone” disse rialzando lo sguardo su di lei. Non
avrebbe mai voluto farsi vedere così da lei, ma forse non era
un caso che si trovasse in quel parco … forse il destino … ah, ma cosa sto
dicendo! Io non credo più in queste cose … eppure in un angolino
recondito del suo cervello sapeva esattamente cosa l’aveva spinto a tornare a
Londra, il bisogno di lei … oppure era un altro il motivo? Un motivo che solo
una persona oltre a lui conosceva e che temeva più della morte stessa … era
stato quello a richiamarlo? Poi per un secondo si perse negli occhi della donna
… no, doveva essere stata la sua mancanza a farlo
riavvicinare a casa, per rivederla ancora una volta … anche solo da lontano
perché non avrebbe mai osato avvicinarla. Ma era stata lei ad avvicinarsi.
“Ti và un caffé?” da seduta avrebbe ragionato meglio,
ed era meglio che si sedesse in fretta, le gambe cominciavano a tremare.
“Dovrei passare da casa a cambiarmi” lui indicò la sua tenuta sporca, sempre
con quel tono finto distaccato.
“Non importa, ci penso io …” lei capì l’imbarazzo, lo trascinò dietro un angolo
e con un gesto rapido si sfilò dai capelli il bastoncino di legno scuro che li
teneva puntati sulla testa in un’elegante crocchia.
"Recucio” gli strappi sui
jeans magicamente scomparvero. “Gratta e netta” in un baleno scomparvero anche
le macchie.
Poi la donna si accorse dello sguardo enigmatico che l’uomo rivolgeva alla
bacchetta e sorrise.
“Bè, le tasche degli abiti babbani
non sono grosse come quelle della divisa di Hogwarts!”
disse quasi a giustificazione per quel piccolo vezzo, si era sempre detta che così poteva averla sottomano invece che cercarla a
tentoni nella borsa, ma in fondo le piaceva come le stavano su i capelli.
Lui, invece, non aveva fatto più uso della magia, aveva quasi dimenticato quali
comodità potesse offrire, certo era più economico di
una lavanderia a gettoni, mai più si era ripromesso il giorno in cui … cancellò
ancora una volta dalla mente quel pensiero … prima o poi avrebbe dovuto
arrendersi a ciò che era stato e accettarlo, ma gli era impossibile nonostante
gli anni trascorsi, quasi ad auto-punirsi il suo pensiero tornava di continuo a
quel giorno … la magia stava bene senza di lui e lui senza magia, continuò a
ripetersi.
“Ora possiamo andare?” con un cenno del capo lui assentì.
Si sedettero poco lontano, in un deor da dove poteva
anche tener d’occhio la piccola scalmanata.
Ordinarono in silenzio due caffè e dei biscottini di
pasta frolla.
Si sarebbe aspettata che fosse lui per primo a parlare, a spiegarle, le bastava anche un semplice scusa, anche se era convinta che
buona parte della colpa andasse imputata solo a se stessa. Ma quello che la
premeva di più era vederlo in quello stato, l’aveva immaginato in diverse
situazioni, persino morto, ma mai avrebbe pensato che potesse ridursi così.
“Dove sei stato?” Hermione riuscì
a stento a trattenere le lacrime, ma il ghiaccio era rotto come quel sottile
equilibrio che l’aveva tenuta insieme tutti quegli anni.
Notò che qualche filo d’argento aveva iniziato a comparire tra i capelli ramati
dell’uomo e qualche ruga d’espressione faceva da contorno ai suoi ancor
splendidi occhi, sembrava invecchiato prima del tempo e dimostrava molto di più
dei suoi trentun’anni.
Invece di risponderle Ron le fece un’altra domanda
“Come sta mia sorella?”, anche se fu un po’ delusa dal
fatto che non le avesse chiesto come stava lei, capiva il motivo. Ron e Ginny erano
stati molto legati un tempo, chissà quant’è
che non la vedeva.
"Bene, continua la sua vita, come tutti qui” il tono della voce era stato
volutamente duro. Forse per fargli provare almeno un po’ di
quel senso di colpa che non mostrava di avere.
Ma non lo prese bene “Herm
…” fece una piccola pausa, in cui Hermione sperò che
le dicesse qualcosa, le desse un motivo, invece aggiunse “niente … devo andare,
ci si vede in giro”.
Cercò ancora di ricacciare le lacrime indietro dopo lo schiaffo ricevuto “Non
osare alzarti da quella sedia Ronald Weasley!” disse con la voce rotta dai singhiozzi. Ron abbassò leggermente la testa e nascose un piccolo
sorriso, non era cambiata dai tempi della scuola,
sempre con quel fare autoritario, anche, e soprattutto, nei momenti di crisi.
Continuava a non parlare, ma almeno sembrava aver gettato via quella maschera di indifferenza di poco prima, pensò Hermione.
Ron osservò la bambina dai folti capelli castani.
“Come si chiama?” con un cenno della testa Ron indicò
il parco.
“Lily” Hermione si tranquillizzò un attimo “come la
mamma di Harry” ma a sentire quel nome lo sguardo di Ron si rabbuiò. Hermione se ne accorse e cambiò argomento. Per non rivangare il passato gli chiese cosa faceva adesso, forse per lui era ancora
troppo doloroso parlarne.
“Lavoro in un cantiere poco distante da qui” parlarono del più e del meno,
quattro chiacchiere da conoscenti che non si incontrano da qualche tempo. Non più la complicità da migliori amici, non più l’ingenuità dei
ragazzini, perché erano poco più che tali quando lui aveva deciso di andarsene.
“Scusami, ora devo proprio andare” fu Ron per primo
ad interrompere quel tormento. Hermione aveva mille
domande, ma non sapeva se gliele avrebbe mai poste.
Lui si alzò prima che lei potesse fermarlo di nuovo.
“Ron aspetta … “ Hermione gli corse dietro prima che sparisse dietro un angolo “domani
sono a pranzo alla Tana … ti prego, vieni!” Ron si
voltò dall’altra parte “Non posso permettermi ferie, mi licenzierebbero in
tronco. Ciao” detto questo Hermione lo lasciò
allontanarsi, senza porre resistenza, senza insistere. Ora ne
aveva avuto conferma, anche se per un attimo le sembrava di averlo
ritrovato, il Ron che conosceva lei era veramente
morto e calde lacrime finalmente le fluirono sulle guance.