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Autore: A Dream Called Death    15/03/2011    3 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Quella stessa sera presi l'aereo per Birmingham.
Il cuore a mille, poco c'era da fare per fermarlo.
Non mi davo pace, il pensiero della sparizione di Jane mi risuonava
come un tuono nell'anima.
Continuavo a pormi sempre le stesse domande.
Perchè?
Tutto per causa mia?
Era stato solo un fottuto errore?
Il mio errore, una stupida maledetta distrazione.
In un attimo tutto era cambiato: la mia vita, tutto quello che ci
girava attorno: tutto era cambiato ed io tristemente fallivo nell'intento
di riportare tutto alla normalità.
Ma d'altronde, cos'è la normalità?
Più mi ponevo domande, meno trovavo risposte.
Continuavo a vaccillare, tra il pensiero fisso della donna che mi
attanagliava il cuore ed il ricordo dell'ormai passato amore per Adrienne.
Non riuscivo a paragonarli, quei due sentimenti.
Era come se non ci fosse termine di paragone tra loro.
Io amavo Jane, lei.
Regnava tra i miei pensieri, il ricordo ancora bruciante della notte
trascorsa a Berlino e la speranza che tutto potesse ripetersi non una,
ma un'infinità di volte.
Ed io l'amavo, Jane.
Atterrai in Inghilterra quella notte e senza pensarci un secondo
mi diressi a casa del padre di Jane.
Non sapevo esattamente cosa dire a quell'uomo.
Come avrebbe reagito all'idea che io, Billie Joe Armstrong, fossi
innamorato di sua figlia? Come avrebbe reagito sapendo che avevo
percorso chilometri e chilometri per lei, solo per lei?
Ancora non sapevo cosa mi attendesse, ma ero convinto più che mai
di portare a termine la mia opera, il mio percorso: avevo cinque giorni
di tempo e sicuramente non li avrei mandati a puttane piangendomi addosso.
Dovevo agire, farmi forza in qualche modo.
Mi diressi a Redditch.
Riconobbi subito la villa dei Rosenberg, non passava di certo
inosservata: le luci erano accese, sicuramente suo padre doveva trovarsi in casa.
Venne, infatti, ad aprirmi poco dopo.
-Billie Joe? Che...che ci fai qui?- chiese, mezzo sconvolto, correndomi
incontro lungo il giardino.
Non potei evitarlo.
Quasi spontaneamente, forse per pietà o appoggio morale, andai verso
di lui e lo abbracciai. Senza un vero motivo, senza un perchè.
Lui scambiò quell'abbraccio per rassicurazione, nonostante tutto lo vivemmo
in religioso silenzio, entrambi chiusi nel nostro acuto ma diverso dolore.
-Io... io sono corso qui, non potevo starmene a guardare- dissi.
-E il tour? Dove sono i tuoi colleghi? E gli assistenti?- chiese, guardandosi attorno.
-Sono rimasti a Berlino, la prego non mi faccia altre domande-.
-Entra pure in casa-.
Annuii.
Entrammo in casa e rividi la stessa identica scena vissuta quell'ultima notte.
Ci recammo in soggiorno e John mi fece accomodare sul divano.
-John... mi dica tutto quello che è successo- dissi.
-Devo dirti la verità, ragazzo?-.
Annuii.
-Sono disperato, non so più cosa fare ne cosa pensare- iniziò lui.
A chi lo dice, pensai.
-Non sa dove potrebbe essere andata?- chiesi.
-Se lo sapessi sarei corso da lei, non credi?-.
Anche questo era dannatamente vero.
Tutto era dannatamente vero.
Cazzo.
-Non potrebbe... non potrebbe essere andata da qualche amico, conoscente o...-.
-Jane non ha amici. Non ne ha mai avuti, gli unici amici che le fanno
compagnia sono i suoi libri- disse John, con gli occhi lucidi.
-Perchè?- chiesi.
Si alzò in piedi ed iniziò a camminare.
-Sai, Billie... Ho portato Jane da vari psichiatri. Specialisti, certo, bravi e di
grande fama... Eppure, nemmeno il più titolato tra loro è riuscito a darmi una
cura per la sua malattia-.
-Una cura?- domandai, guardandolo dritto negli occhi.
Annuì.
-Una cura per cosa?-.
-Per il male di vivere, Billie-.
Sospirai.
-Ha sempre sofferto di questo male. E non me ne ha mai parlato, in realtà...
Non credo che ne avesse mai parlato con nessno-.
Si girò a fissarmi.
-Perchè mi sta dicendo tutto questo?- chiesi.
Sorrise nuovamente, malinconico.
-Billie... devo ritrovarla, se lasciata sola...-.
Ma non finì la frase.
Mi alzai.
-Cosa?- chiesi, subito dopo, attendendo risposta.
-Se lasciata sola, lei... Lei si abbandona a se stessa. Si lascia morire...-.

   
 
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