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Autore: Fiamma Drakon    17/03/2011    1 recensioni
Erika cercò di districarsi dalle lamiere contorte del mezzo, senza riuscirci.
Della piramide che aveva gelosamente custodito, nessuna traccia.
Le lacrime le pungevano gli occhi e il fumo le impediva di respirare. Gli occhiali erano volati chissà dove a seguito dell’impatto e tutto il mondo circostante le appariva come una sfocata chiazza di colori.
Tossì, lacrimando.
«Papà! Papà!» chiamò, piangendo e imprecando tra sé.
Ma io, come diavolo ci sono finita in questo inferno...?!

[Linguaggio colorito; possibile cambio di rating]
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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11_La Setta dei Corvi Stettero tutto il giorno nascosti nella caverna di Marcus. Le ore trascorrevano con lentezza inesorabile e Alan era sempre più agitato: non era tipo da starsene con le mani in mano per tutta una giornata, ma il padrone di casa era stato chiaro. Se fossero usciti, con ogni probabilità i loro inseguitori li avrebbero trovati di nuovo, e a quel punto chissà dove li avrebbero portati.
Erika aveva passato il giorno leggendo i libri di Marcus che quest’ultimo aveva reputato adatti a lei. Al contrario del redivivo, non si era annoiata affatto: la lettura la impegnava sempre piacevolmente per ore.
Nel tardo pomeriggio, suo padre aveva iniziato ad agitarsi fuor di maniera e poco c’era mancato che lui e il ragazzo-corvo arrivassero addirittura alle mani.
Maschilità alle stelle... aveva commentato Erika tranquillamente, avvertendo una tensione carica di virilità attorno a sé, quasi palpabile tant’era addensata nell’aria.
Solo intorno alle otto e mezza - quando il sole era ormai definitivamente sparito oltre l’orizzonte - si erano decisi ad uscire allo scoperto.
Le violacee striature crepuscolari erano bellissime e contribuivano in modo quasi determinante a dare al cimitero un’atmosfera cupa e... be’, molto da cimitero. Le scure sagome delle statue si stagliavano contro la volta celeste in tutta la loro macabra meraviglia.
Erika iniziava ad essere stufa di tutte quelle tombe, ma aveva la netta impressione che avrebbe dovuto farci l’abitudine: sembrava che, dovunque si spostassero, avrebbero sempre dovuto “alloggiare” in qualche cimitero. La cosa non la entusiasmava per niente, però iniziava a non temere più di aggirarsi per i sepolcreti di notte.
Suo padre e Marcus le camminavano affianco e sembravano pronti a far fuoco e fiamme un’altra volta, al minimo cenno di provocazione, anche implicita.
Tra tutti e due mi piacerebbe sapere chi è il più infantile... rifletté la ragazza, avvertendo la tensione che si era venuta a ricreare tra i due.
A quanto sembrava, non andavano molto d’accordo, per non dire affatto: Alan pareva avercela con il ragazzo perché gli aveva fregato la piramide da sotto il naso lasciandolo a morire, mentre Marcus pareva avercela col redivivo solo per smania di restituirgli l’astio.
Con quella medesima ostilità che permeava l’aria, serpeggiando pronta ad esplodere, il terzetto percorse tutto il tragitto fino all’uscita del cimitero.
Quando fu il momento di salire in auto, al vedere i due uomini scambiarsi altre occhiate fulminanti, Erika non riuscì più a trattenersi e sbottò inviperita: «Smettetela di fare i bambini!!! Non abbiamo tempo per queste cazzate, chiaro?!».
Rimasero ambedue di sasso: non sembrava proprio un tipo così... autoritario.
Ignorando i loro sguardi scettici, la ragazza li superò con un’unica, rapida falcata e si sedette al lato del guidatore, intimando a suo padre con il solo sguardo di prendere posto sui sedili posteriori.
Lui non osò contraddirla: vedeva una sorta di fiamma rabbiosa arderle negli occhi e sapeva che era una pessima idea provare a disobbedire.
Penso che abbia preso pure questo da sua madre... commentò tra sé, richiudendosi alle spalle lo sportello.
«Allora, dove si trova la sede della tua Setta?» chiese la giovane Reagh, rivolta a Marcus.
«Non è molto lontana da qui» disse lui, senza rispondere più precisamente alla domanda postagli.
Mise in moto e partì.
Durante tutto il viaggio, un silenzio teso come una corda di violino s’impadronì dell’abitacolo, dissuadendo sia Marcus che Alan dal tentare di far partire una discussione su un qualsiasi argomento: pareva che Erika, se fossero giunti ad un nuovo diverbio, fosse pronta a divorarseli vivi.
Il tragitto durò poco più di mezz’ora.
Quando il ragazzo-corvo parcheggiò davanti alle macerie di una vecchia villa sperduta in mezzo al niente, il crepuscolo aveva già lasciato il posto alla notte vera e propria e le stelle iniziavano ad accendere il cielo notturno con la loro minuscola luce diamantina.
Erika scese dall’auto e si sbatté lo sportello alle spalle, osservando assorta la struttura che aveva innanzi: anche al buio riusciva chiaramente a distinguere la miriade di crepe che s’intrecciavano sulla parete. Le finestre erano grandi e rotte, anche se la maggior parte era stata sfondata di netto. La porta era a due ante, come dimostravano i battenti spaccati a metà e abbandonati contro gli stipiti.
La ragazza sbatté più volte le palpebre, senza perdere di vista la loro meta: si sentiva... strana, quella notte. Non capiva perché, ma avvertiva il proprio inconscio come se fosse... nero.
«È qui che sta la Setta?» domandò Alan a Marcus.
«Sì» rispose quest’ultimo in tono di sfida.
La piccola alchimista si fece avanti per prima, in silenzio.
«Com’è accogliente...» commentò in tono sarcastico e lugubre, calpestando le ante stroncate della porta.
«Deve essere così, altrimenti potrebbe venire in mente a chiunque di entrare a curiosare...» tentò di giustificarsi il moro, un po’ perplesso da quel suo strano commento.
Erika calciò via con nonchalance un pezzo di legno caduto da chissà dove, quindi si volse ai due uomini dietro di lei.
«Be’, che ci fate lì impalati?! Andiamo!» li rimproverò, irritata, penetrando per prima l’oscurità della casa.
«A-aspetta! È pericoloso!» esclamò Marcus, correndole appresso, seguito immediatamente da Alan.
Dentro di sé, la ragazza si sentiva decisamente a disagio, come se ci fosse qualcosa in lei che non fosse come avrebbe dovuto essere.
Era come se ci fosse una sorta di... “parte oscura” nel suo subconscio che pungolava l’altra in continuazione, dandole fastidio, irritandola.
Non aveva niente contro Marcus - men che meno contro suo padre - ma non riusciva ad essere come al solito: quella cosa strana e buia dentro di lei la faceva sentire diversa e non a suo agio con se stessa.
Era una sensazione senza dubbio bizzarra, oltre che spiacevole.
Il moro l’affiancò in un batter d’occhio e la superò, guidandola attraverso l’ampio atrio che stava letteralmente cadendo a pezzi e che puzzava di legno muffito, diretto dall’altra parte dell’entrata, dov’era una porta chiusa.
«Ecco, ci siamo...» disse semplicemente il ragazzo-corvo, fermandosi dinanzi a quell’uscio.
Sembrava l’unica cosa intatta in tutta la casa.
«E adesso? Aspettiamo la manna dal cielo?» domandò Erika, incrociando le braccia sul petto in un certo atteggiamento irritato.
Marcus, per tutta risposta, bussò. I suoi due ospiti notarono che lo fece in modo preciso, quasi calcolato: due colpetti leggeri e veloci e uno più forte e lento.
Seguì un silenzio d’attesa in cui nessuno dei tre si mosse né fiatò.
Infine, dopo svariati minuti d’attesa, l’uscio si aprì cigolando e il giovane moro vi scivolò all’interno.
Lo sentirono confabulare a bassa voce con qualcuno, quindi riemerse.
«Venite. Potete entrare» disse, aprendo un poco di più la porta.
Dietro di lui c’era una ragazza dagli occhi circondati da una quantità spropositata di trucco e molto pallida, con lunghe ciglia nere e le labbra scarlatte, simili al sangue. I capelli, nerissimi, erano corti e raccolti sulla sommità della testa da due code sbarazzine.
Al vedere i due ospiti inattesi, indietreggiò un po’.
«Non preoccuparti Roxy: non vogliono farti del male» la rassicurò Marcus, anche se dall’espressione scura dipinta sul viso di Erika sembrava proprio il contrario.
Roxy, cercando di riporre fiducia nelle parole del ragazzo, si fece coraggio e disse: «Non penso che Zaira sarà contenta di questa... “visita”».
«Be’, per me puoi pensare quel che ca...!»
«Erika, per favore...» la interruppe suo padre, spingendola giù per la scalinata.
Iniziava a dargli sui nervi quello stranissimo atteggiamento da parte della figlia, totalmente incongruente con il suo comportamento consueto.
Nell’inoltrarsi, notarono che lungo le pareti erano appese fiaccole che gettavano una vivida luce tremolante tutt’attorno, rischiarando loro il passaggio.
Menomale: almeno si vede dove si cammina! sbottò tra sé la piccola alchimista, seguendo i profili di Roxy e Marcus.
Dietro di lei, Alan mandava occhiate sospettose in ogni dove: la sua vista era decisamente più utile con un po’ di luce, ma ancora non era perfetta.
Accidenti ai decimi di vista che ho perso! Mi sento spaesato e dà un fastidio tremendo vedere ombre confuse al posto di cose nitide!!
Continuarono a scendere per un lasso di tempo che Alan quantificò in minuti, finché la scala non terminò in un lungo e stretto corridoio entro il quale dovettero procedere uno alla volta, in fila, per la scarsità di spazio.
Erika si sentiva schiacciare dalle pareti attorno a lei e aveva la sensazione di star soffocando: non riusciva a sopportare i luoghi piccoli e stretti. Aveva avuto una brutta esperienza con un armadio da piccola.
Quando ormai era prossima a svenire o mandare le sue guide a quel paese e fare marcia indietro a velocità supersonica, il corridoio sboccò in un’ampia sala rotonda fortemente illuminata da un grosso lampadario che pendeva dal soffitto a volta che sosteneva una decina, forse più, di grossi ceri accesi. Le pareti - lungo le quali erano disposte decine e decine di scaffalature - erano incuneate sotto delle balconate anonime che attorniavano tutto il circolo centrale.
L’architettura era semplice, e forse proprio per questo ancora più bella.
Roxy e Marcus li guidarono fino al margine del grande e particolare cerchio che era tracciato sul pavimento e che ad Erika ricordò in modo forse troppo forte un vero e proprio cerchio per rituali alchemici.
Probabilmente è proprio qui che hanno luogo i loro riti.
«Aspettate qui, vi prego: vado a riferire a Zaira del vostro ar...»
«Non c’è bisogno, Roxy!».
Una forte voce femminile, carica di autorità e vita, riecheggiò contro le pareti e arrivò fino a loro vibrando.
Erika alzò gli occhi in contemporanea a suo padre, giusto in tempo per vedere una ragazza - anzi, una quasi donna - affacciarsi con decisione dalla balconata destra.
Aveva i capelli corti e neri, spettinati, un po’ da maschio, così come il giubbotto di pelle che la faceva somigliare ad una motociclista. Ai suoi lobi Erika riuscì a distinguere un paio di quelli che dovevano essere cerchietti d’argento, così come il piercing a lato del sopracciglio destro.
L’espressione era piena di vitalità ed anche carica di giovanile aggressività. Sembrava essere in grado di affrontare le più grandi imprese del mondo senza scomporsi minimamente, ma anzi, con una grinta senza pari.
Il resto della figura era coperta dal balcone.
«Ehilà, Marcus! È da un po’ che non ti si vede in giro»
«Sono stato impegnato in altre faccende» replicò lui come se niente fosse.
«Già, già... immagino. E i tuoi ospiti, chi sono?» continuò Zaira.
«Erika e suo padre, Alan».
La giovane alchimista scorse fugacemente un lampo negli occhi della donna, che scavalcò con un abile salto il balcone e, fendendo il vuoto sottostante, atterrò infine sul pavimento senza neppure un graffio.
«Piacere, io sono Zaira e sono il capo di questa Setta dei Corvi» si presentò, avvicinandosi e tendendo una mano verso padre e figlia.
Quest’ultima avvertì un rimestio davvero sgradevole di quella cosa oscura che le si era venuta a formare dentro e che adesso, chissà perché, visualizzava mentalmente come una sostanza nera e vischiosa, simile alla pece, che le inondava l’anima.
Comunque, qualsiasi cosa essa fosse, si stava agitando come se fosse vicina ad un qualcosa che la metteva in allarme. La ragazza si spaventò solo a pensarla come una cosa dotata di coscienza propria; tuttavia aveva la netta impressione che fosse proprio così: una seconda entità interna a lei, forse addirittura una parte a sé stante del suo inconscio.
Fatto stava, però, che pareva si stesse innervosendo - se così si poteva definire la strana sensazione di pericolo e il desiderio di violenza che si stavano dando battaglia in lei - sempre più ogni passo che Zaira faceva verso di loro.
«Zaira... siamo venuti per chiederti una cosa... un favore» intervenne Marcus.
 A quelle parole la donna si volse a lui, arrestando la sua avanzata, permettendo così ad Erika di allontanarsi un poco prima che il desiderio che le cresceva dentro la spingesse ad avventarsi contro di lei e scuoiarla viva ad unghiate.
La “marea nera” calmò i suoi bollenti spiriti.
«Sì? Be’, allora penso che sia una cosa importante»
«Lo è, in effetti» s’intromise Alan.
«In questo caso, Roxy?»
«A-ah, sì?» disse la ragazza, avanzando goffamente di mezzo passo.
Zaira le sorrise.
«Va’ dagli altri»
«S-sì, come vuoi» esclamò in ultimo la ragazzina, quindi se ne andò velocemente.
Appena furono soli, Zaira prese a camminare attorno a loro, lentamente, le braccia incrociate sul petto e l’espressione assorta di chi attende pazientemente.
«Allora, che cosa volete sapere?» chiese, senza tanti preamboli.
Un istante di silenzio, durante il quale Erika si guardò intorno, ispezionando con cura le librerie, mentre il moro proseguiva: «Vorremmo sapere qualcosa sulla Piramide di Jupiter».
Mentre Marcus pronunciava quelle parole, la piccola alchimista scorse un pacato scintillio rosso tra i libri che c’erano in uno scaffale all’altro capo della sala.
Prendila, Erika! È quella!
Senza stare a chiedersi cosa fosse la voce sibilante che aveva appena udito nella sua testa, ma realizzando quasi subito a cosa si stesse riferendo, il primo pensiero che formulò - e che non riuscì a completare - fu: se quella è qui allora...!
Si sentì gelare letteralmente il sangue nelle vene e si volse di scatto verso Marcus per avvertirlo della sua scoperta, ma fu interrotta da Zaira, la quale, in quel medesimo istante, rise sguaiatamente, rivolgendo il viso al soffitto.
Sembrava aver improvvisamente perso il senno.
«Zair...?» esordì il ragazzo-corvo, perplesso ed intimorito.
«Marcus... avresti dovuto scegliere meglio le compagnie da frequentare» lo rimproverò la donna con voce lenta e tono contenuto, risultando per questo ancor più minacciosa.
Estrasse una pistola e la puntò contro di loro.





Angolino autrice
Ecco finalmente l'aggiornamento >///< perdonate il ritardo, ma inizio ad essere sovraccarica di cose da fare anche - soprattutto - a causa della scuola çOç
Anyway, ecco il capitolo ù-ù sperando che piaccia ^^'''
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
   
 
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