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Autore: Maybe Charlie Knows    19/03/2011    5 recensioni
"Perché no? In fondo, è pur sempre qualcosa che ti riguarda… - non sapeva bene come etichettare ciò che aveva scoperto leggendo un giornale che gli altri avevano ignorato. Era qualcosa che aveva preso forma nella sua mente nel momento meno appropriato per le scoperte, e su cui poi aveva rimuginato per ventiquattro ore prima di trovarsi Adrien davanti. Quelle parole sbiadite sulla carta stracciata avevano dato un senso talmente grande da lasciarlo di stucco, incapace di decidere cosa fare. Aveva la possibilità di prenderla alla sprovvista e vincerla, per una volta, eppure… - Appunto. E’, come dici tu, un mio segreto. Qualcosa che mi riguarda. Il che vuol dire che lo so già, e che quindi non ho bisogno che sia tu a farmelo sapere. – sul volto pallido coperto di minuscole efelidi si aprì uno di quei sorrisi che Duff aveva temuto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Naive

 

 

 

 

 

Naive

 

Capitolo 20 – Fly, fall, burn

 

 

 

 

 

 

I've been locked inside

  your Heart-Shaped box for weeks,
  I was drawn into your magnet tar pit trap .

 

(Nirvana – Heart Shaped Box)

 

- Non ci posso credere – a Linda sarebbe tanto piaciuto sprofondare nel letto candido, su cui l’avevano obbligata a stendersi, e scomparire da quella stanza. Il viavai che aveva reso la stanza affollata nelle due ore precedenti, e che le aveva procurato una crisi di claustrofobia, era appena stato sostituito da un vuoto ancora più opprimente. – Non ci posso credere – Linda sospirò. Michelle era seduta sul bordo del suo letto, e le stringeva la mano come se fosse stata sul punto di morire. Steven, sbucato fuori da chissà dove, non sembrava essere in grado di stare fermo: girovagava incessantemente per la stanza, gettando guardinghe e del tutto inutili occhiate fuori dalla finestra. La gentile e rugosa infermiera che le aveva disinfettato il taglio sul sopracciglio, che si era procurata cadendo a terra, era appena uscita dalla stanza. – Non ci posso propr… - da quando era arrivata a scuola trafelata, Michelle non aveva fatto altro che ribadire la propria incredulità, forte del supporto di Steven che continuava ad annuire alle sue frasi. Linda maledisse mentalmente lo sciagurato anonimo che aveva deciso di fare una telefonata al magazzino dei ragazzi. Aveva aggiunto all’agonia che rappresentava l’attesa del ritorno dei suoi genitori, in quel momento nell’ufficio della vicepreside, anche quella dell’arrivo di Maxie, Axl o chissà chi altri. – L’ho capito, che non ci puoi credere – disse mesta, appoggiando il capo ai cuscini del letto.

 

- Ma, insomma, non ci posso credere! – squittì Michelle, vagamente offesa, saltando in piedi ed unendosi a Steven in quella specie di danza tribale attorno al suo letto. Se non fosse stato per l’incredibile stanchezza e la sua naturale pazienza, Linda sarebbe scoppiata in un pianto esasperato. – Chi l’avrebbe detto… Lei! Non ci posso credere! – la figura in ombra, seduta in un angolo remoto della stanza, ebbe un sobbalzo quando l’agitata brunetta citò in causa colei che aveva spedito Linda in infermeria. La povera vittima invece, che era stata consolata da alcune decine di studenti a lei sconosciuti nelle ore precedenti, non mostrò alcuna reazione. – Nessuno se lo sarebbe immaginato – decretò con un cipiglio saggio Steven, incrociando le braccia e gettando un’occhiata di traverso a Duff, il quale però teneva lo sguardo incollato al muro. L’amico non si era mosso da quando erano giunti in quella stanzetta, senza proferire alcuna parola. Con un sospiro, il batterista scostò gli occhi dall’altro, per poi riprendere il proprio buffo avanti-indietro. Michelle lo imitò.

 

- Sono arrivata appena ho potuto! Quel cazzone guida come nonna Marshall! Cosa ti ha fatto?! – probabilmente nemmeno la stessa Maxie aveva compreso ciò che le era uscito di bocca, data la velocità della sua voce. La ragazza aveva spalancato le porte dell’infermeria, precipitandosi al letto e gridando come una matta. Linda provò il forte impulso di chiedere gli occhi e fingere di dormire, giusto per sfuggire a quello che sarebbe stato l’ennesimo interrogatorio, ma si trattenne. – Quello che vedi, Maxie. – rispose a bassa voce, indicando svogliatamente la ferita sul sopracciglio che ancora bruciava per il disinfettante. – Io non guido come la tua stupida nonna! – la protesta di Axl si perse nei meandri della mente della brunetta, che con un certo sforzo riuscì anche ad ignorare le imprecazioni della biondina. Nella stanza si scatenò un nuovo brusio, dettato dalle voci nervose dei presenti. Ancora mezza distesa sullo scomodo letto, Linda sollevò lo sguardo soltanto per cercare quello di Duff, invano. Il ragazzo sembrava completamente estraneo alla situazione, con un’espressione dura sul volto dai lineamenti dolci. Loro erano gli unici a non parlare, perché entrambi sapevano che non sarebbe servito a nulla.

 

- Vorrei sapere come cazzo fai a stare così calma! – se l’aspettava. Da quando era cominciato quel lungo quarto d’ora di assurde strilla e frasi sconnesse, Linda non aveva fatto altro che attendere che qualcuno le ponesse quella fatidica domanda. E la morettina poteva persino affermare di aver previsto che la mittente di quella domanda sarebbe stata Maxie. Aveva sentito i vividi occhi azzurri dell’amica bruciare sull’espressione assorta del proprio viso, sin da quando era entrata nella stanza seguita da Axl, il quale non nascondeva certo la sua voglia di lasciare quel posto. Linda era anche certa di aver sentito, per qualche secondo, il risentimento della biondina sulla pelle. Il perché di quel sentimento non era difficile da immaginare. – Non sai fare altro che stare lì, in silenzio, come una bambola rotta! Reagisci! O ti va bene che lei ti abbia fatto questo? –. Linda alzò lo sguardo ad incrociare quello dell’amica, stringendo i denti. Delusione, ecco cosa leggeva negli occhi di Maxie. – Adrien fa solo una gran pena. E questo mi rende molto più reattiva di te. – qualcosa, nell’immagine che tutti avevano sempre avuto della vecchia Linda, si spezzò. Il suono doloroso di quel nuovo distacco si riversò nello stupore di Maxie e di tutti i presenti, negli occhi sgranati del ragazzo seduto qualche metro più in là. Ma Linda parve non farci caso. Era stanca che tutti le ripetessero quanto Adrien fosse malata ma che nessuno lo capisse realmente, nascondendo la sua reale essenza dietro insulti facili e pronomi.

 

- Marshall! L’infermeria non è un pub! – mai, prima di allora, aveva adorato la vecchia infermiera della scuola così tanto. Proprio nel momento in cui era stata sul punto di arrossire ed abbassare lo sguardo davanti al silenzio generale, ecco comparire l’arzilla signora, pronta a metterla involontariamente al riparo da danni ben più grandi della mancanza di riposo. – Vi voglio tutti fuori di qui! La signorina Johnson ha bisogno di riposo! – a nulla servirono le proteste di Michelle e Steven. L’infermiera era irremovibile, la stanza doveva essere vuota prima dell’arrivo dei genitori di Linda. Con la scusa di dover prestare attenzioni alle raccomandazioni della signora sul suo taglio al sopracciglio, Linda distolse lo sguardo da Maxie, la quale era ferma nel punto in cui la risposta inaspettata della ragazza l’aveva immobilizzata. Non aveva voglia di leggerle negli occhi azzurri il dispiacere per la durezza con cui si era preoccupata per lei. L’avrebbe perdonata senza attendere scuse verbali che non sarebbero arrivate, ma solo dopo. In quel momento, Linda aveva solo bisogno di un po’ di silenzio. E di una conferma in particolare. – Colpisci duro, Lindie – per poco non si lasciò scappare un sussultò quando si trovò la figura di Axl davanti. Il ghigno sul volto del ragazzo era leggero, ma dalle presenza comunque ingombrante. Imitando un pugile, sferrò un paio di pugni a vuoto, guardandola beffardo senza lasciar intendere il motivo di quei gesti. La moretta lo fissò allontanarsi insieme a Maxie, la quale le aveva già dato le spalle, e pensò che l’unica persona in grado di capire quel ragazzo sarebbe sempre stata Izzy. Sospirò.

 

- Cazzo, che seccatura di donna… - sbuffò Michelle, lanciandosi un’occhiata alle spalle come per controllare che la combriccola non l’avesse lasciata sola. Poi si voltò di nuovo verso la ragazza, con un sorriso benevolo sugli occhi ma lo sguardo assente, come se la sua testa in quel momento fosse stata concentrata su un luogo distante, in una dimensione onirica. Linda le lanciò uno sguardo perplesso, in attesa di una qualche spiegazione o anche solo di una parola, cercando di non pensare né a Maxie né a… beh, a tutto il resto. – Dai, insomma. Passerà. – come se si fosse trattato di una strana malattia. Sensuale e provocante nei panni di spogliarellista, agli occhi di Linda Michelle sarebbe sempre risultata una persona un po’ buffa, troppo bella nella propria semplicità nascosta per un mondo come quello. – Ci vediamo piccola. – non fece neanche caso all’odiato soprannome, quella volta: l’amica le diede un buffetto sulla spalla, non compassionevole, soltanto gentile, prima di catapultarsi fuori. – Sono in ritardo! Mi dispiace! Ma che succede…? – La voce baritonale e veloce di Slash si spense nel suono dello strillo acuto della brunetta. Il ragazzo, trafelato dopo una corsa che doveva aver messo a dura prova i deboli polmoni, cercando di varcare la soglia dell’infermeria, aveva investito Michelle col proprio corpo. – Scimmione! Scimmione! Sei in ritardo, sì! Ti ho chiamato ore fa, e spero che tu abbia una buona scusa per… - il battibecco si perse nei corridoi della Renton. Amaramente Linda si chiese quanto tempo ci avrebbero impiegato per tornare insieme.

 

Rimaneva solo una persona nella stanza, che aveva alimentato una goccia alla volta il carico di aspettativa che vibrava nelle vene di Linda. – McKagan, tu non andare. Il preside vuole parlarti. – si limitò ad aggiungere la vecchia infermiera, indifferente, prima di tornare a sistemare alcuni farmaci negli scaffali. Se, quando la stanza era stata piena di gente, la ragazza aveva cercato di evitare di guardare Duff, adesso che erano rimasti soli non poteva farne a meno. Gli ingranaggi della sua mente razionale cercavano le parole giuste da dire, ma una piccola ed importante parte del suo cuore si chiedeva se esse esistessero, se ci fosse qualcosa di giusto da fare con quell’enigma di ragazzo. Con la testa appoggiata alla finestra e lo sguardo al cielo, i contorni del suo corpo apparivano indefiniti, inafferrabili. E, tutto sommato, Linda non si sentiva tenuta a dire alcunché. – Ho bisogno di aria nuova. – la ragazza aveva appena formulato quel pensiero, quando dalla bocca di Duff uscì quella frase. Probabilmente, nessuno dei due afferrò immediatamente le molteplici verità nascoste in quelle poche lettere. Il futuro sembrava ancora una minaccia, più che una promessa, ma Linda seppe subito che, qualunque cosa sarebbe successa, almeno per un po’ avrebbero goduto di un momento di pausa. Tutti e due. Duff si alzò e, a dispetto di tutto, uscì dalla stanza.

 

Il locale era esattamente come se lo ricordava: il fumo creava una sorta di nebbia sul soffitto, e la poca aria che rimaneva doveva essere divisa fra tutti gli avventori che affollano lo stretto ambiente. L’odore di sudore e di birra diventava sopportabile solo con l’abitudine, ed Adrien Miller poteva vantarsi di non sentire alcuna puzza. Non dopo tutti i mesi trascorsi in quel tugurio, che era stato teatro di uno dei suoi più grandi segreti. La ragazzo portò il bicchiere alle labbra, mentre sentiva addosso gli sguardi lascivi di un paio di barbuti balordi seduti all’angolo. Accavallò le gambe, bene attenta a non distogliere lo sguardo dalla crepa che percorreva tutto il muro dietro il bancone. Un’espressione seccata, o una manifestazione di apprezzamento, tutti questi segni rassicurano una persona indipendentemente dal profitto che ne trae. Il vuoto negli occhi di Adrien avrebbe fatto scappare a gambe levate i due uomini, privandola di ogni divertimento. E questo lei lo sapeva benissimo.

 

Quel pomeriggio ogni passo che l’aveva portata fuori dal cancello della scuola aveva privato il suo corpo di peso, come se stesse galleggiando nell’aria. Aveva continuato a camminare, finché non si era ritrovata a correre fra la folla di Los Angeles, anche quando aveva oltrepassato il punto in cui aveva lasciato la propria moto. Lo scorrere del tempo era stato scandito dal rumore dei propri passi sul cemento, mentre il resto del mondo scendeva nel più completo silenzio. Si era resa conto che forse avrebbe dovuto fermarsi un’eternità dopo il calcio all’addome della piccola Linda, eterea come un fantasma fra le persone che la guardavano con diffidenza. Adrien sapeva di aver provato un’infinita quantità di emozioni, che avevano stravolto non solo il suo animo e anche il suo fisico. Ma non se ne rendeva conto: ogni volta che provava a setacciare i propri sentimenti alla ricerca di qualcosa che la sconvolgesse, trovava solo un educato stupore per il modo in cui il suo corpo aveva perso il controllo, spingendola a fare tutta quella strada di corsa. Anche il quel momento, seduta sullo sgabello dello sporco pub, sentiva il cuore vuoto e un strano ronzio nel cervello.

 

Tornata a casa, aveva provato a telefonare a Meredith, una, due, tre volte, finché non aveva riposto la cornetta del telefono una volta per tutte. Era rimasta chissà quanto a fissare il proprio riflesso nello specchio, immobile nell’ingresso della dependance, avvertendo unicamente la spiacevole sensazione di essere immateriale. Poi aveva preso le chiavi della moto e se n’era andata ancora. Non aveva pensato di raggiungere quel posto, le sue dita attorno ai comandi della moto avevano agito da sole. E il barlume di coscienza che ancora brillava in lei, in quel momento, le stava suggerendo di andarsene. La figura di Robin Keenan, che la sua mente creava seduta e sorridente sullo sgabello al suo fianco, era troppo vivida. I colori che illuminavano l’ologramma della donna le pizzicavano gli occhi, prima che Adrien sbattesse le palpebre e cancellasse la fantasia. “Che cosa strana” pensò, sorseggiando il drink ad alta gradazione. Aguzzando l’udito, si accorse che i due uomini che l’avevano puntata stavano parlando dello stratagemma migliore per rimorchiarla. Con un gesto veloce della mano, afferrò l’orlo della propria gonna di jeans, sollevandolo a scoprire le cosce oltre il limite della decenza. Riempire il vuoto che la feriva più di qualsiasi esplosione di emozioni era una priorità dettata dalle regole che si era imposta. Lascia che annusi l’osso, poi toglilo di scatto quando tenta di morderlo.

 

- Adrien! Sei proprio tu? – una voce trillante richiamò la sua attenzione, emergendo dal brusio e dalla mediocre musica degli altoparlanti. Adrien non riuscì a reprimere una smorfia, prima di voltarsi a vedere chi fosse intervenuto a guastarle il divertimento: se i due uomini agivano secondo il copione di qualsiasi essere maschile, come era probabile che accadesse, spaventati dall’entrata in scena di una nuova figura in quel momento erano prossimi alla ritirata. Addio passatempo. – Da quanto tempo! – la ragazza che le stava venendo incontro non aveva un’aria particolarmente familiare. Carina, vestita secondo i dettami della moda giovanile, in apparenza solare, era il genere di persona che Adrien amava classificare nelle banalità. “Non come Robin”. Non ricordava di averla mai incontrata prima d’ora. – Ciao! – trillò, sfoderando il proprio migliore sorriso entusiasta. Lo sguardo spiritato, la voce diabolica che aveva fatto tremare Duff McKagan quel pomeriggio, tutti quei dettagli della vera lei erano scomparsi. La nuova arrivata, dai tratti orientali e sicuramente molto carina, si sporse per baciarla sulle guance. Se anche aveva fatto fuggire i suoi corteggiatori, poteva rivelarsi un’alternativa, un nuovo modo per trascorrere la serata. – Qua ci lavora Naz! Ti ricordi di Naz? Oh sarà così contenta di… -.

 

Bastò un movimento di quella svampita, un impercettibile spostamento che permise alla rossa di guardare oltre la sua spalla. Non fece nemmeno in tempo a chiedersi chi diavolo fosse Naz. La persona che era appena entrata nel suo campo visivo era l’ultima che si aspettava di trovare non in un luogo del genere, ma in un momento del genere. Istintivamente sorrise, prima ancora di comprendere la ragione per il neonato entusiasmo. Tutto stava per diventare molto più intrigante. – Scusa… - mormorò, interrompendo il monologo della propria interlocutrice. Questa le rivolse uno sguardo perplesso, a cui rispose con un sorrisetto tirato, di cortesia, prima di appoggiarle il proprio bicchiere quasi vuoto fra le mani e superarla con pochi passi. Non si curò di prendere visione dell’espressione scandalizzata della moretta, non gliene importava nulla. La figura che aveva individuato se ne stava seduto sopra uno dei tavolini, attorniato da sbruffoni e eccentrici individui che brindavano a chissà cosa con ettolitri di birra. Chissà perché non era accompagnato dalla sua squadretta, si chiese Adrien. Sarebbe stato interessante trovare lui, scoprire le emozioni che sicuramente avrebbe saputo suscitare in lui. Vedere come dopo tutto era ancora succube della sua presenza. Perché doveva essere succube di lei. Era inimmaginabile il contrario. Ma Adrien si sarebbe accontentata dell’unico dei suoi amici che ancora non era passato per il suo letto.

 

Izzy inarcò un sopracciglio quando la vide arrivare, il passo da modella in contrasto con ogni elemento di quella bettola. Portò il boccale colmo di birra alla bocca senza perderla di vista, assicurandosi che avesse puntato proprio lui, che quel sorriso da seduttrice fosse riservato alla sua persona. L’espressione sul viso del moretto era indecifrabile. – Ciao! Ma che cosa ci fai qui? – non poteva suonare più falsa e pretenziosa agli occhi del ragazzo. Prima che avesse il tempo di risponderle, una serie di esclamazioni volgari si levò da parte degli amici di bevute che erano in sua compagnia. Izzy non perse neanche un bagliore emanato dalla scintilla che scattava in quegli occhi grigi, appena un complimento, educato o meno, giungeva alle orecchie della rossa. Era qualcosa che andava al di là della semplice vanità. Ingurgitando un nuovo sorso di birra fresca, Izzy si domandò come mai quella strana ragazza si fosse fatta vedere, nonostante la probabilità che la notizia degli eventi pomeridiani l’avesse raggiunto era alta. “Povera, piccola Linda”. – Un giro. – rispose semplicemente dopo un lungo silenzio.

 

- Ti dispiace se mi unisco alla comitiva? – per un attimo, il sorriso affascinante di Adrien Miller parve vacillare sotto le lampade al neon di bassa qualità, sotto gli occhi di tutti i presenti. Fu una stoccata di disagio che mandò in confusione chi già era caduto ai suoi piedi, prima che la gravità che l’orbita della ragazza esercitava lo acchiappasse nuovamente. C’era una strana smorfia sul volto di Izzy, un sorriso storto che nascondeva un’indecifrabile mistero. Che scioglieva, letteralmente, e non nell’accezione positiva del termine. La rossa era abituata a provare quelle sensazioni osservandole riflesse negli occhi delle proprie vittime. – Certo che no. – si limitò a rispondere il moretto, ammiccando all’indirizzo della ragazza. Il sollievo che quel piccolo gesto generò fu quasi travolgente. No, non c’era alcun dubbio. Come tutti gli altri: Izzy Stradlin sarebbe stato una nuova tacca alla sua collezione, un altro uomo che l’avrebbe amata nonostante tutto. Dopo che ebbe preso posto al tavolo e che ebbe incantato qualche balordo con un paio di astuti giochi di parole, lo sfiorarsi delle loro mani le diede l’inequivocabile risposta. Quella notte, Adrien si sarebbe fatta amare da Izzy. Come tutti da gli altri. Come da Duff.

 

- L’avresti fatto anche tu? – Axl si sarebbe incazzato. Si sarebbe incazzato a morte, e probabilmente una volta riuniti tutti in magazzino gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi. Ma diamine, se ne era valsa la pena: con la macchina che aveva fregato al suo migliore amico, avrebbe potuto portare la ragazza seduta sul sedile anteriore del passeggero in capo al mondo. E, conoscendosi, Slash sapeva che, con la giuste dose di alcol nello stomaco, avrebbe potuto portarla anche sulla luna. – Cosa? – purtroppo per lui, l’esaminatrice statale che l’aveva bocciato all’esame di guida qualche anno prima aveva ogni ragione del mondo. Bastavano le labbra sensuali di Michelle Young a distrarlo: in quel momento, ogni occhi del riccio stavano rincorrendo le linee dell’abito aderente della ragazza, mentre la suddetta, in u impeto di disperazione all’ennesimo semaforo rosso ignorato, teneva le mani strette attorno alla cintura di sicurezza. Lo sguardo bruno di Michelle era però carico di determinazione. – Avresti fatto anche tu… tutto questo… per lei? – le parole sembravano morirle in gola. Slash aggrottò le sopracciglia scure.

 

- Non picchierei mai una signora! – sbottò offeso, portando per la prima volta da quando erano partiti lo sguardo sulla strada intasata di macchine. Quelle domande ipnotiche di Michelle non lo stavano aiutando a ricordare dove fosse quel ristorante carino e chiccoso dove avrebbe voluto portarla. Se anche gli era sembrato che quel mastino travestito da bambola avesse abbassato la guardia e scordato la disastrosa fine della loro storia, pensò Slash, non era così. – Non sto parlando di quello! – strillò la ragazza, spazientita dall’incapacità del riccio di capire le sue parole. Il ragazzo fu certo che il proprio padiglione auricolare non sarebbe più stato lo stesso. – E spiegati, cazzo! – sbraitò, spedendo gentilmente a quel paese ogni buon proposito di comportarsi come un galantuomo. Le donne! Avrebbero sempre adottato la tecnica migliore per mandarlo nel pallone, ad ogni suo tentativo di redimersi dai propri errori. – Rallenta! – gridò in risposta Michelle, dopo un’ardita manovra del ragazzo con cui sorpassarono un grosso camion sgusciando nel traffico, ben sopra i limiti di velocità consentiti.

 

- Dico, come Duff… Avresti fatto come lui? – non appena l’atmosfera da corsa clandestina si calmò, ecco che Michelle decise di avanzare la domanda. Poche parole elusive bastarono per vedere sbiancare le nocche delle grandi mani di Slash, strette sul volante come se fosse stato il suo unico appiglio. La ragazza deglutì, riflettendo a lungo prima di continuare, mentre edifici tutti uguali e facce sorridenti scorrevano sfocate dietro i finestrini. I raggi del sole sul punto di tramontare colpirono i loro visi e il loro silenzio. – Ameresti… una ragazza così tanto da ignorare ogni suo difetto? – ormai avevano perso ogni chiarezza sui soggetti di quelle frasi. I diversi significati nascosti in una domanda, pronunciata dalla brunetta in un tono di circostanza, erano dolorosi se associati ai ricordi di un pomeriggio non troppo lontano, in cui Slash aveva sottolineato come non fosse portato per le relazioni. Il ragazzo si azzardò a gettare un’occhiata alla propria interlocutrice, trovando gli occhi neri di questa fissi sulla strada davanti a loro. Velocemente, il riccio scostò il proprio sguardo prima di dare a Michelle un buon motivo per incatenarsi a lui ancora di più. Comprendere che quella ragazza aveva bisogno di sentirsi dire la verità non sarebbe mai equivalso ad una dichiarazione da romanzo rosa. Slash non le avrebbe mai donato tutto l’affetto profondo di cui lei sentiva necessità, sarebbe stato in grado soltanto di provarci. Ed ogni cosa che il ragazzo non disse valse più di mille parole. – Ti va se ci facciamo una pizza? -.

 

Oh, era meraviglioso. Era meraviglioso sentire il proprio stomaco vuoto riempirsi di alcol, così come il deserto nel suo cuore si stava riempiendo di tutte quella sensazioni che le erano mancate quel pomeriggio. Soddisfazione. Euforia. Amore. Un amore diverso da quello di cui tutti gli altri si accontentavano, dettato da quell’incontrollabile consapevolezza che tutti i presenti erano ai suoi piedi. Adrien chiuse gli occhi, reclinò il capo all’indietro e, sorridendo, convertì la propria adrenalina in un grido liberatorio. – Così, piccola! – rispose qualcuno, mentre rialzando le palpebre la ragazza trovava attorno a lei la stanza girare. La musica che pompavano gli altoparlanti era soltanto una delle tante sostanze che l’avevano spinta ad alzarsi in piedi sul tavolo ed iniziare a ballare. In quel momento, continuando a volteggiare su sé stessa al centro della scarsa illuminazione della stanza, non ricordava nemmeno come erano arrivati a quella festa. Quasi per sbaglio, incrociò lo sguardo divertito di Izzy che, seduto in qualche sfocato angolo di una stanza semisconosciuta, la indicò ad alcuni ragazzi con cui stava chiacchierando. L’ammiccare malizioso del ragazzo a tutti quelli sconosciuti parve rinvigorirla. Gettando l’ennesima bottiglia di birra svuota alle proprie spalle, incurante della marea di gente che come lei stava ballando, Adrien riprese a volteggiare, il sorriso sulle labbra.

 

Izzy inarcò le sopracciglia, mentre uno dei tanti spacciatori d’hashish della festa gli urlava qualcosa nelle orecchie senza comunque farsi comprendere. Nel buio della stanza, rischiarata soltanto da alcune luci al neon provenienti da chissà dove, la marea di capelli di un rosso sbiadito si agitava fuori tempo: ponendo attenzione alla scarsa qualità della canzone tipicamente pop che stava spaccando loro i timpani, il ragazzo si domandò se non fosse un bene il deleterio senso del ritmo di Adrien. – Sono cinquanta dollari a pezzo! – il moretto si voltò di scatto verso il brutte ceffo al proprio fianco, che mostrò un sorriso che da tempo non vedeva il dentifricio non appena Izzy fece un cenno affermativo con il capo. Quasi di pari passo con quello della benzina, il prezzo della droga aumentava sempre di più. – E’ una fregatura! – gridò il chitarrista, pur prendendo a frugare nelle proprie tasche alla ricerca di qualche bigliettone. Lo spacciatore, che era anche il proprietario della casa in cui si stava svolgendo la festa, sembrò leccarsi i baffi alla vista dei dollari che il moretto si era guadagnato col sudore, insieme al resto del gruppo. Denaro, droga, amore, ognuno è schiavo di qualche particolare croce.

 

Dopo che entrambi ebbero intascato le proprie ricchezze, Izzy tornò a guardare la figura al centro dell’attenzione generale. Era facile abbandonarsi all’energia ingannevole di quel corpo che ondeggiava, cadere nella scatola a forma di cuore dove Adrien custodiva tutti i propri burattini. Ricordò come, sin dal primo momento in cui l’aveva vista, non gli era piaciuta quella scintilla strana che la ragazza serbava nello sguardo. Nell’affrontare un mondo sprecato e i fallimenti continui tipici della vita, ognuno di loro si dimostrava tremendamente arrabbiato, furioso anche senza un motivo consistente. Persone come Michelle, vittime di una punizione immeritata, come Axl o Maxie, facili all’ira per natura, persino come la piccola Linda, che però soffocava i propri sentimenti attraverso la differenza; come Duff, pieno di una forte delusione che lo accomunava a tanti altri della loro generazione: era la rabbia a muovere tutta quella gente. Ma non Adrien. Appena Izzy si trovò abbastanza vicino al tavolo per farsi udire dalla ragazza, questa si lasciò cadere all’indietro: con riflessi pronti il moretto la afferrò, imprecando rudemente quando per poco non persero l’equilibrio. – Portami via. – il chitarrista non seppe mai se Adrien pronunciò veramente quella parole, mentre gli allacciava le braccia la collo. Ma gli chiarì definitivamente che quella ragazza non ce l’aveva realmente con qualcuno, era solo disperata.

 

Izzy Stradlin non era un santo, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Doveva probabilmente ancora nascere la persona in grado di incastrarlo in qualche schema morale. E quando Adrien avvicinò a quello del ragazzo il proprio delicato faccino, che nascondeva tanti segreti ma non mutava in bellezza, non si fece pregare ad accontentare il forte desiderio della ragazza di sentirsi amata. Se la rossa era abituata ad accontentare uno sconosciuto, pur di colmare la voragine che celava nel proprio cuore, non erano certo affari suoi. Lui era giovane, disinibito, e con in corpo qualche ettolitro di superalcolici vari, e quella strana ragazza era più ingenua di quanto la gente pensasse. Guidato dalle indicazioni ricevuto in precedenza dallo spacciatore, risalì facilmente le scale di una casa ancora avvolta nelle tenebre, dalle forme e colori a loro sconosciute. Adrien non accennava ad allentare la stretta delle braccia attorno alle spalle del moretto, la testa nascosta nel collo di Izzy in un gesto simile a quello dei bimbi, negli attimi di smarrimento. Il ragazzo si rese conto di essere turbato dal pensiero di trovare sul viso sconvolgente di Adrien un’espressione semplicemente diversa, ma quel pensiero scomparve non appena trovò una stanza da letto, stranamente libera. I sentimenti di una delle tante non sarebbero mai stati affari suoi.

 

Mentre Izzy la spogliava degli ultimi indumenti, entrambi distesi su un letto sconosciuto, Adrien dovette reprimere l’impulso di sorridere per l’enorme, balsamica soddisfazione che stava provando in quel momento. Non avrebbe più avuto bisogno di preoccuparsi, di perdere il controllo su sé stessa, di commettere gli sbagli di quel pomeriggio: Izzy le avrebbe donato sé stesso, come tutti gli altri, sarebbe caduto nella sua tela. Doveva farlo. Sì, sarebbe successo, pensava Adrien mentre si compiaceva della foga con cui il ragazzo la toccava. Sarebbe stato come se nulla fosse accaduto, come se Reese Miller non fosse mai esistito, come con… “Duff”. Il cambiamento fu impercettibile quanto improvviso: il buio, che da sempre si era dimostrato confidente ed amante della rossa, permise ad Izzy di non accorgersi della mascella contratta della ragazza, mentre questa si trovava incapace di bloccare la sequenza dei propri pensieri. Duff si era arreso: l’amara verità la colpì con tutta la forza possibile, mentre con lentezza quasi atemporale distoglieva lo sguardo dal volto distorto di Izzy, appoggiando la guancia sul cuscino maleodorante. Non avrebbe versato alcuna lacrima: dentro di lei, la tredicenne ormai morta stava già piangendo.

 

Fu guardando il muro alla propria destra, l’intonaco grigio nella penombra, che con il resto del proprio corpo si aggrappò ad Izzy. Forse Adrien sperava di aver trovato qualcun altro che non la lasciasse più, qualcun altro che apprezzasse i lati peggiori della sua personalità come lei aveva amato quelli del fratello scomparso. Ma tutto attorno a lei era troppo freddo: quella volta, aveva perso sul serio. – Dove vai? – non si accorse quasi dell’attimo preciso in cui Izzy si allontanò dal suo corpo. Semplicemente, quando Adrien si decise ad scostare lo sguardo dalle crepe nel muro, trovò il ragazzo seduto sul bordo del letto, intento ad infilarsi la maglietta. Il moretto si volse a guardarla, le sopracciglia aggrottate e le labbra assottigliate da chissà quale sentimento. – Credevi che sarei rimasto qui per sempre? – era stata una domanda pronunciata con così tanta spontaneità da risultare stridente con l’espressione del chitarrista. Nel volto di Izzy, la ragazza vide soltanto un’immensa pietà: quella smorfia continuò a perseguitarla anche dopo che lui se ne fu andato. Si strinse in quelle lenzuola, distante da quel luogo mille miglia, ad ascoltare i rumori della festa che si spegneva. Sapeva benissimo che le chiavi della moto erano custodite in una delle tasche della minigonna, abbandonata ai piedi del letto, ma non si alzò. Voleva fingere di non essere il mostro orribile che era diventata, un attimo in più. – Buonanotte, Duff -.

 

A non troppi chilometri di distanza, Duff McKagan si stava spiacevolmente rendendo conto che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno. Con un sospiro, si rigirò sullo scomodo divano, constatando amaramente che le proprie lunghe gambe sporgevano di tutto il polpaccio oltre il bordo del mobile. Il magazzino era deserto: chissà dov’erano gli altri. Imbucati in qualche rave party, o a casa di qualche ragazza carina alla quale avevano straparlato di amore eterno. Il ragazzo sbuffò. Si sentiva infinitamente debole, per non essere in grado d’ignorare il tuffo al cuore che lo scuoteva non appena qualche ricordo di troppo s’insinuava fra i suoi pensieri. “Questa è la fine, vecchio mio” la sensazione di essere stata trasformata nell’eroina di qualche soap opera gli riempi il palato di un retrogusto amaro, che nulla aveva a che fare con l’ironia di quell’affermazione. Avrebbe potuto ripetersi infinite volte che quel giorno era stato in realtà l’inizio di qualcosa di nuovo: l’unica emozione che in quel momento poteva riempirgli il cuore era quell’inesorabile delusione. La felicità sarebbe arrivata: in quel momento c’era solo tutto i cocci dell’uomo che aveva cercato di essere, al fianco di Adrien. – Buonanotte -.

 

So much hate

  for the ones we love?

 

(Placebo – Running up that hill)

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

Okay, sono di frettissima. Vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo di questa storia, che è finalmente giunta al termine J nonostante sia durata meno di Love will tear us apart, vi giuro che avevo smesso di sperare di poter cliccare “Completa”. E’ stato molto difficile scrivere di Adrien, della sua storia morbosa e complicata con Duff, di come lei abbia rovinato le vite di tutti. Ma sono contenta di aver portato a termine questo lavoro, perché mi ha aiutata a maturare il mio stile di autrice. Per lo meno, io mi sento così: cresciuta in queste righe, pronta per una nuova sfida. Dopo questa storia, mi prenderò un periodo di pausa e mi asterrò da scrivere fan fiction. Ma non vi preoccupate (!), tornerò: ho un sacco di altre storie da scrivere J (Aiuto N.d.Voi).

Parliamo delle citazioni in questo capitolo: non sono proprio riuscita a fare a meno di ficcare un’altra frase di Palahniuk, nella parte dedicata a Linda e Duff. “Da quand’è che il futuro è passato da essere una promessa a essere una minaccia?” da Invisible Monsters: ormai posso dire che Shannon MacFarland è la mia maggiore fonte d’ispirazione. Squilibrata proprio come Adrien. Axl che imita un pugile, poi, è una omaggio a Fight Club.

Avete riconosciuto, vero, la ragazza che avvicina al bar avvicina Adrien? xD

Michelle e Slash non torneranno insieme: il fatto è che il ragazzo non accetterà mai il lavoro di Micha. Preserveranno però un rapporto di amicizia. Oddio, troppi spoiler del prossimo capitolo!

Naive è direttamente consecutiva a Love will tear us apart: siamo nel maggio 1985, e fra qualche giorno Izzy troverà Naz vomitante nel vicolo di un locale di periferia. L’Izzy malvagio che avete visto in questo capitolo è il lato oscuro dello stesso ragazzo che perderà la testa per Naz, semplicemente Adrien non gli piace. Le persone possono essere crudeli.

Io vi amo. Anche per questa storia, mi avete donato una fiducia immensa e io ve ne sono immensamente grata. Giuro, ho adorato tutte le vostre recensioni e spero di non avervi davvero deluso! Grazie. Grazie, grazie, grazie.

 

 

 

Bye

 

 

 

 

 

 

  
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