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Autore: crissi    20/03/2011    23 recensioni
La notte del tradimento. Il generale vuole punire la figlia ribelle con le sue stesse mani. Ma Andrè prende in mano il suo destino, cogliendo l’occasione, e la storia cambia. Nel bene, nel male, da questo momento dell’anime, che sfrutto come punto di partenza, cambia tutto; cambiano anche quei fatti che avrei voluto lasciare, perché basilari, anche per quei personaggi che sarebbero stati bene dove stavano, ma che non volevo perdere per strada.
Ho pensato alla frase conclusiva di Alain nell’anime: Oscar ed Andrè erano stati felici perché non avevano visto gli orrori della rivoluzione. Quindi, se non fossero morti, come avrebbero affrontato quegli orrori?
Nuovi luoghi, nuovi personaggi, un nuovo destino. Perché il destino è anche il risultato delle scelte compiute e Andrè ed Oscar hanno scelto diversamente. CON "FAN ART"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IL MIO DOVERE cap. 13


IL MIO DOVERE Cap. 13

Oscar, come da programma, li raggiunse che era quasi l’una.
Vestita di scuro era sgattaiolata da un angolo all’altro, riparandosi dalla luna che, sebbene non piena ed oscurata da provvidenziali nubi, aumentava il rischio ad ogni passo.
Si acquattò accanto a loro, nascosti dietro il muro di un giardino in abbandono, in silenziosa e rassegnata attesa.

- Il generale? – bisbigliò Victor.
- Al suo posto, secondo i piani. Le guardie?
- Decisamente ridotte di numero e svogliate. La sorveglianza, come avevamo previsto, è stata concentrata alla Conciergerie. I prigionieri sono stati privati di domestici ed i commissari al piano terra sono dimezzati: quattro. Mezz’ora fa… cantavano già... Direi che ormai saranno intontiti al punto giusto. Possiamo procedere. Tra poco la ronda oltrepasserà l’angolo del perimetro e ripasseranno davanti al cancello solo tra un ora. Non avremo un minuto di più.

I compari annuirono e per un istante solo gli sbuffi dei loro respiri contro il freddo testimoniarono la loro presenza.
Quando il campanile più vicino batté un singolo colpo spettrale, Girodelle si sporse a controllare e scorse il drappello della ronda scomparire dietro l’angolo.
Si rivolse loro con un secco cenno del capo e per primo uscì allo scoperto.
Oscar si alzò, pronta a sua volta a tuffarsi nella via, ma André l’afferrò per un polso e la trattenne.
Alzò lo sguardo nel suo.
Uno di quei suoi sguardi che raccontavano tutto.
Non c’era bisogno lo spiegasse a parole, sapeva cosa voleva ricordarle.
Lei allungò la mano a carezzargli il viso, tranquillizzandolo.
Sì, certo, ricordava la promessa che gli aveva fatto.
Ne avevano parlato la notte prima, quando non riuscivano a prendere sonno e si erano stretti nella stessa branda, là sottoterra, dove rischiavano di finire per sempre..
Sapevano di rischiare la vita. Lo sapevano fin dall’inizio, ma…
Ora avevano una loro vita, vera, piena in un mondo che nulla aveva a che fare con quell’incubo.
E il rischio, compreso con la ragione, era apparso improvvisamente inaccettabile al loro cuore.

“Se dovessi trovarmi in difficoltà, mi lascerai indietro”, aveva detto André e non le aveva permesso di parlare se non per prometterglielo.
“Lo stesso vale per te”, aveva poi affermato Oscar con la stessa perentorietà.
“No, a te non accadrà nulla. Non lo permetterò”
Oscar aveva sorriso per quella arroganza tutta maschile che per anni aveva cercato di imitare.
Ma non aveva obiettato. Si era limitata a nascondere il viso contro la sua spalla, trovando sollievo all’umidità opprimente di quella caverna.
E, come poche volte aveva fatto in vita sua, si era messa a pregare per tutti loro.

***

L’uomo avanzò deciso sotto le torce dell’ingresso. Il viso illuminato da queste era quello di Montout, il lanternaio che li conosceva tutti, nome e cognome, ma il passo era decisamente diverso e se la guardia lo avesse notato, il suo destino avrebbe potuto essere diverso.
- Ehilà! – esclamò Girodelle affacciandosi con fare spavaldo al portone del recinto, mentre alzava la mano in un gesto di saluto, tenendo la destra dietro di sé.
- Ehilà! – rispose gioviale la guardia che in un attimo si trovò la mano sinistra di Victor stretta sulla bocca ad impedirgli l’urlo di sorpresa e quello immediatamente successivo di dolore per quel pugnale che gli stava affondando nel ventre con decisione.
Un altro colpo feroce, profondo, ed il malcapitato emise un ultimo rantolo, con lo sguardo ancora sorpreso su Girodelle.
“Tutti, a un tratto. Senza pietà. Questa è una guerra e siamo solo soldati con un dovere da compiere”

L’altra guardia si mosse verso Victor, ma André arrivatole alle spalle, avvolse un braccio attorno alla gola e strinse, facendo perdere i sensi all’uomo che seguì nel lento accasciarsi al suolo.
Nel mezzo di loro, Oscar si mosse felinamente, come quella di un tempo, come se non fossero trascorsi anni dalla sua ultima azione.
Avanzò dritta, decisa, fioretto saldo in mano, occhi puntati sulla sua vittima predestinata, un uomo confuso, ma abbastanza sveglio da poter provare terrore quando la punta della lama si piantò sulla gola.
- Chiavi, cappello e giacca… - ordinò lei, chiara e pacata.
La guardia, intontita dall’oppio, posò la mano sull’anello delle chiavi ed allungò il braccio dritto davanti a sé, pensando a che demone infernale fosse quella creatura di nero vestita, con quell’alone abbagliante, d’oro e di luna, e quei due gelidi occhi.

Sì, un angelo caduto! Solo quello poteva essere e pregò che non fosse lì per lui…

André prese il mazzo. Si fece indicare fra le tante quella per aprire il primo cancello, da un uomo sempre più inebetito, che non riusciva a distogliere lo sguardo terrorizzato da Oscar, mentre sfilava tremante la giacca dell’uniforme che André infilava velocemente.
Lei, aiutata dalla decisa spinta sulla lama, lo guidò oltre l’inferriata aperta da André, mandandolo a sbattere contro la porta della guardiola interna ed obbligandolo subito ad acquattarsi in basso come lei, tenendolo per la camicia e poggiando il ferro freddo e tagliente alla sua guancia .
L’addetto al secondo cancello, che poteva essere aperto solo dall’interno, si affacciò allo spioncino udendo quel tonfo sordo, ma vide solo André, con un cappello storto, una casacca mal messa, col viso nascosto dietro ad una bottiglia vuota che agitava sul naso del compare al di là delle sbarre.
- Viva la rivoluzione!… - biascicò André in perfetto stile ubriaco fradicio e si chinò fingendo un conato di vomito proprio sull’ingresso.
- Maledizione… no! – esclamò il collega. E si affrettò ad aprire, preoccupato da cosa sarebbe potuto accadere alla sua testa se una delle tante ispezioni a sorpresa fosse capitata in quel momento.
Appena aperta la porta si trovò ai piedi Oscar e la guardia ammutolita, ma prima che potesse superare la sorpresa e reagire a cosa stava accadendo, un destro di André lo aveva già mandato al tappeto.
Oscar spinse il suo ostaggio stralunato in uno sgabuzzino, obbligandolo a portarsi dietro il corpo del secondo guardiano steso da André che, impossessatosi del secondo anello di chiavi, aveva cominciato a provarle, una dopo l’altra nella toppa della seconda inferriata.

Victor, che aveva appena finito di trascinare lì i corpi delle due guardie del cancello, quella svenuta e quella cadavere, lì stipò nell’angusto loculo, ma solo dopo aver recuperato altre due giubbe e cappelli, ed aver legato ed imbavagliato l’unico ancora cosciente, chiuse la porta e spinse il chiavistello.
Il cigolare di una inferriata li informò che André aveva già trovato la chiave giusta.
Ora che tutti avevano un improvvisata uniforme addosso, dovevano solo attraversare il cortile a passo svelto, ma senza farsi notare dalle ronde sulle mura del castello.
Un gruppetto di guardie semi assonnate attorno ad un fuoco, poco distanti dal piccolo ingresso alla torre, non fecero caso a loro e le bottiglie vuote ai loro piedi lasciavano ben capire perché.
I tre si appiattirono contro le mura del palazzo, celati nell’ombra a riprender fiato.
André infilò una chiave nel portoncino medievale e girò piano, spostandosi velocemente per consentire a Girodelle di aprire d’un colpo la porta.
Alle sue spalle Oscar avanzò infilzando il primo dei due commissari di guardia, malauguratamente per lui, di turno al pian terreno.
E poi, via, verso le scale a chiocciola della torre dove li aspettavano ben sette posti di guardia.
Al primo ammezzato trovavano un giovane soldato, forse il più diligente e ancora sveglio incontrato fino a quel momento.
Ma l’attimo di indecisione davanti alle uniformi dei colleghi e l’evidente inesperienza, gli costò la vita.
Avvenne tutto in modo stranamente silenzioso: un solo colpo alla gola inferto da Girodelle e molto, molto sangue.
Il solo rumore fu quello della spada che scivolò di mano al defunto, riecheggiando metallicamente sui gradini.
Restarono in allarme per un istante, ma nessuna reazione, nessun altro rumore si udì, quindi ripresero a salire.
Si fermarono accanto alla porta aperta che dava nella sala delle guardie al primo piano, dalla quale non giungevano rumori, se non il tranquillo russare di coloro che non erano in servizio.
Cautamente, Girodelle si sporse per accostarla e André provò qualche chiave di quelle sottratte al primo commissario, mentre Oscar proteggeva loro le spalle.
Chiusa la porta, si permisero un leggero sospiro di sollievo, ora che il grosso degli armati all’interno del palazzo era impossibilitato a nuocere. Almeno, lo era temporaneamente.
Purtroppo, la guardia del secondo ammezzato stava scendendo insospettita dai rumori di poco prima.
Fine dell’effetto sorpresa…
Lo sguardo che scambiò con Oscar, levò i dubbi al soldato, il quale non cascò nel loro improvvisato travestimento.
- Intrusi nella torre! – gridò quello nell’istante stesso che la lama si incrociava con quella di Oscar.
Victor e André si lanciarono verso il secondo piano, per intercettare le guardie rimanenti ed ingaggiar duello, mentre Oscar, un colpo dopo l’altro stava già mettendo in difficoltà il suo avversario.
Nonostante tutto, era un piacere scoprire di non aver perso … la mano!

Un fendente finale e via, su al secondo piano, dove il rumore di spade era inconfondibile ed un cadavere giaceva già sugli ultimi scalini prima del pianerottolo.
Quando li raggiunse, Girodelle la guardò sollevato, quindi reagì con rinnovato vigore all’assalto del suo corpulento avversario, stroncandolo.
Lei passò a dar man forte ad André, alle prese con una guardia ed il secondo commissario, quello che deteneva le chiavi delle celle.
Girodelle salì la rampa verso il terzo piano, lasciandoli a vedersela con le guardie del secondo. Lo udirono incrociare le lame con l’ultimo dei soldati di guardia e poco dopo il cadavere di quello rotolò giù per la scala.

André, affondata la lama nel petto del suo avversario, il secondo commissario, si inginocchiò a frugargli nelle tasche, mentre Oscar finiva di vedersela con l’altro, tanto agguerrito quanto rozzo. I suoi riflessi erano lenti per via dell’oppio, ma la forza dei fendenti era comunque notevole. A lame incrociate e visi vicini tanto da sentirne l’alito pestilenziale, lo spinse con un colpo così deciso che quello perse l’equilibrio e, inciampando nel cadavere dell’altro, rovinò giù per la scala.
Udì il secco schiocco di un cranio che si frantumava contro lo spigolo del gradino.
“Decisamente sfortunato…”, pensò.

Udì André bestemmiare pesantemente, mentre passava le chiavi della cella del terzo piano a Girodelle, il quale spariva nuovamente sulle scale, senza indagare oltre il motivo dell’esclamazione del moro.
- Maledizione…
- Cosa c’è? – chiese lei.
- Non trovo la chiave della botola… - borbottò continuando a frugare nelle tasche del cadavere - Ha le chiavi delle due porte, ma non quella della stanza murata! – esclamò.
Udirono l’orologio di un campanile battere i colpi del terzo quarto.
- Non possiamo perder altro tempo… Alle due arriva il cambio della guardia. André…
Aprirono la prima porta, in ferro, ed entrarono nell’appartamento buio e deserto che era stato del Re.
Quindi aprirono la seconda, in legno e si impietrirono. Sul fondo della stanza si vedeva chiaramente il muro edificato in quei giorni.
Una piccola porticina chiusa a chiave era l’unico accesso alla stanza, oltre alla sportello traverso il quale venivano passate le vivande.
Mentre André si chinava ad esaminare i cardini e la serratura della porticina, Oscar si affacciò allo spioncino di vetro, rinforzato dalle sbarre e guardò attraverso.
Dall’altra parte solo il buio totale.
Posò le mani sulla parete per guardare meglio e avvertì l’umidità sotto i polpastrelli dovuta all’intonaco steso da pochi giorni.
- André…
- Niente da fare, Oscar – borbottò lui – I cardini sono protetti. Senza chiave, questa non si può aprire.
- Il muro è ancora fresco… - aggiunse lei.
Lui si alzò ed andò a posare la mano accanto a quella della moglie.
- E allora? – chiese sospettando cosa stava per dirgli.
- Allora?… Lo buttiamo giù!
- Oscar…- mormorò dubbioso.
- Solo quel che serve! – insistette - Sono magra, basteranno pochi mattoni…
- E va bene, proviamo! – si arrese conscio che lei non avrebbe ceduto.
Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse risultare utile.
- Maestà… Maestà, mi sentite?… - cominciò a chiamare lei, picchiando sul vetro, temendo il peggio non vedendo niente al di là di quello.
Sì udì uno schianto, provenire dall’anticamera, di qualcosa che veniva fracassato contro la parete e dei calci.
André tornò portandosi appresso la gamba massiccia di un tavolo e cominciò a colpire i mattoni.

- Ma che succede? Non avete ancora fatto! – esclamò Girodelle che arrivava dal piano superiore con le donne che in quei pochi minuti si erano cambiate indossando gli abiti maschili che aveva portato per loro nella sua bisaccia.
- Abbiamo dovuto cambiare piano. – spiegò Oscar prendendo un’altra lampada ad olio dall’anticamera dell’appartamento.
Girodelle si inginocchiò per aiutare André a levare i mattoni che cominciavano a cadere, usando i coltelli per scalzarli.

Fare tutto quel rumore era stato un grosso rischio, per via delle guardie intontite e addormentate che avevano rinchiuso al primo piano, ma soprattutto per quelle di ronda all’esterno.
Ma non c’era stata alternativa.

Maria Teresa e la zia si stringevano l’un l’altra, con lo sguardo fisso ai tre, lanciando occhiate allarmate alle loro spalle, ma nessun rumore faceva temere l’arrivo di altre guardie su per quella scala.
Non ancora.

Oscar si inginocchiò tra i due uomini, spinse la lampada al di là del muro e, con cautela si infilò nel varco.
Posò le mani sul pavimento, spostando un paio di mattoni e dei calcinacci, e fece forza per portare i fianchi oltre la parete.
Piano, riuscì a rizzarsi ed alzò la luce davanti a sé.
Pensò che mai aveva visto un buio così pesto.
Pensò che lì, in quelle tenebre infernali, c’era lui, il Delfino: un bambino di otto anni.
- Maestà! – chiamò.
Non un respiro.
- Altezza?…
Non un alito.
Illuminò il centro della stanza e vide qualcosa di piccolo e raggomitolato su un materasso buttato sul pavimento.
- Charles?… - mormorò avvicinandosi.
Gli illuminò il volto, pallido quanto quello della morte stessa. Aveva gli occhi aperti, ma non reagiva alla luce.
- Oh, mio Dio … Charles, cosa ti hanno fatto!? … - mormorò carezzandogli il capo.
- Il tempo stringe, rischiamo di saltare l’appuntamento col generale! – ringhiò la voce impaziente di Girodelle.
- Andrà tutto bene!… Stiamo uscendo. – rispose Oscar dall’altro lato del muro. - Dovete venire con me, Charles… - bisbigliò al piccolo, prendendolo tra le braccia e sollevandolo.
- Fai in fretta… Passami il bambino! – disse André chinandosi a guardare dentro.
Oscar lo infilò nel varco per i piedi, tenendogli sollevati da terra il capo e le spalle.
André lo prese per le gambe e tirò delicatamente fino ad estrarlo.
Girodelle lo sollevò e lo portò alla sorella ed alla zia, che faticavano a riconoscerlo, poiché non lo vedevano da mesi.
Oscar infilò le braccia nel varco ed André la tirò piano, rendendo l’uscita decisamente più agevole di quanto fosse stato l’entrare.
Quindi, senza altre esitazioni, si lanciarono per le scale, precedendo Girodelle col bimbo al collo e le due donne.

Ripercorsero il tragitto dell’andata, ma stavolta di corsa.
Una delle guardie ancora assonnate accampate nel cortile, ma meno confusa delle altre, venne colta da un dubbio vedendoli passare a passo lesto.
- Ehi, voi! – gridò.
Non la degnarono di uno sguardo.
- Ehi! – gridò ancora.
Ma ormai erano già ai cancelli.
I campanili battevano le due: la ronda stava già arrivando.
Corsero per la piazza senza pensare a mimetizzarsi.
Oramai solo la velocità poteva porli in salvo.
Svoltarono in una strada e sentirono ai cancelli la guardia che cercava di attirare l’attenzione del drappello di soldati.
Dovevano percorrere più di un miglio per raggiungere il luogo dell’appuntamento ed Oscar cominciò a dubitare nella riuscita dell’operazione.

Le due donne non camminavano da tanto ed incespicavano spesso.
Girodelle le passò Charles e si occupò di sorreggere Madame Elisabette, mentre André assisteva Maria Teresa.
Alle loro spalle il vociare si era trasformato in colpi di fucile ed una campana, suonata all’impazzata, dava l’allarme.
Tra poco le strade si sarebbero riempite di soldati armati ed illuminate a giorno.
No, le cose stavano andando niente affatto bene.

Si appiattirono contro un muro, respirando affannosamente e piegandosi in due per i crampi alla milza.
- Non manca molto – constatò Victor – Possiamo farcela. – disse fissandoli.
- Dobbiamo farcela… - rincarò Oscar, sollevando e sistemandosi meglio un inerme Charles sulla spalla.
- E allora… non perdiamo tempo in ciance! – li rimproverò André, rituffandosi per la via con Maria Teresa.

Ormai poche centinaia di metri li separavano dalla loro destinazione: il Lungosenna era lì.
Corsero ad una delle scalinate che portavano sulla passeggiata del lungofiume, la scesero di corsa e si infilarono sotto il ponte appena in tempo. Sul viale del livello superiore si sentivano correre uomini, un gran vociare.
Ora, come aveva previsto il generale, visto che la fuga era stata scoperta, le porte della città sarebbero state chiuse, impedendo a chiunque di entrare o di uscire.
Si guardarono nel buio, coi loro respiri affannosi coperti dal frastuono dell’acqua che lambiva i piloni del ponte.
Non potevano farcela…
Questione di minuti, forse solo istanti e qualcuno sarebbe sceso a controllare…
- Forse no… - bisbigliò Girodelle, con un sospiro ottimista, replicando al silenzioso dubbio di tutti, indicando la grossa ombra che discendeva la corrente ignorata da tutti.

Era una chiatta per il trasporto di sabbia e ghiaia. Una delle tante che percorrevano la Senna nel senso della corrente, lente, silenziose, buie, ignorate …
La videro accostare, strusciando appena contro l’argine.
Un uomo ritto in piedi accanto al manovratore, nero come tutto il resto, stava facendo loro dei cenni. Era il generale.
Bene, era giunto il momento di giocarsi il tutto per tutto!
Girodelle spinse una esitante madame Elisabette verso il bordo del marciapiede e cominciarono a camminare veloci, cercando di tenere la velocità della chiatta.
Il generale allungò le mani, arrivando a sfiorare quelle della donna e mentre l’afferrava per le braccia, Victor la prendeva per la vita e la spingeva oltre il bordo, dando forza al suo salto.
André, subito dietro di loro, fece la stessa cosa con Maria Teresa che atterrava con un capitombolo sulla barca.
Girodelle saltò a sua volta e si volse per prendere Charles dalle braccia di Oscar.
Fece appena in tempo ad afferrarlo che il sibilo di un proiettile li sfiorò.
E fu panico perché oramai erano sprovvisti di riparo.
Il fragore dello sparo passò in secondo piano rispetto alle grida del soldato.
- Allarme! Allarme! Sono qui! – gridava dalla cima della scalinata, mentre si affannava per ricaricare e cominciava a scendere gli scalini.
André spinse Oscar verso la chiatta.
- Tu vai! Io resto e li distraggo! – esclamò, afferrando la spada, preparandosi ad affrontare l’impossibile.
- Se resti tu, resto anch’io! – esclamò Oscar, facendo lo stesso.
- Non erano questi gli accordi! – ringhiò nervosamente André, mentre la distanza tra loro e la guardia diminuiva.
La chiatta prendeva velocità.
Il soldato era riuscito a ricaricare e stava alzando l’arma su di loro quando, un’ombra alle sue spalle calò il moschetto secondo un utilizzo improprio, ma efficace, sul cranio del malcapitato, che rovinò privo di sensi.

D’altronde, Alain era sempre stato tipo di maniere spicce e modi impropri.

Il gigante sollevò il soldato e lo tuffò al di là del muricciolo, dove avrebbe riposato sull’erba sottostante.
Beh, …sempre se fosse riuscito a risvegliarsi dopo quella botta!

- Mai sottovalutare la potenza di una bella legnata…- gli sentirono dire.
Poi, mentre la luce della luna affacciatasi tra le nubi, lo rischiarò per un istante, sorrise loro e li salutò col suo solito irriverente e sgangherato gesto militare, sillabando un silenzioso “au revoir”.
Quindi risalì la scalinata di corsa.
Oscar e André si misero a correre lungo il percorso della chiatta e, quando furono abbastanza sicuri, si lanciarono in un salto, atterrando dolorosamente sul ponte.
Mentre raggiungevano gli altri nascosti sotto un telone, udirono Alain gridare “Di là, di là! … Sono andati di là!

Era così! Ora avevano un altro debito verso Alain Soisson!
E sorrisero fra sé, immaginando che non sarebbe passato molto che il gigante si sarebbe presentato alla loro porta, pretendendo giustamente di veder saldato fino all’ultimo centesimo il loro debito di riconoscenza.
Erano assolutamente certi di questo.
Gli sarebbe costato parecchio in vino e in bistecche, ma quel grosso amico valeva davvero tutto l’oro del mondo!

***

La confusione creata da Alain fece sì che nessuno si accorgesse del modo da loro utilizzato per uscire da Parigi.
Sfruttarono la via fluviale per alcune miglia al di fuori della città, quindi accostarono in un ansa, contro il molo di una cava di ghiaia.
Jarjayes saldò il manovratore e li guidò dove un complice li attendeva con cavalcature fresche, viveri, denaro.
Ora le loro strade si sarebbero separate.
Il generale, con Victor e le donne, avrebbe puntato a nord, verso il Belgio.
Oscar e André, col piccolo Charles, avrebbero dovuto deviare ad ovest, verso la Manica, ed avrebbero percorso una via che conoscevano bene.
- Non fidatevi di nessuno. – si raccomandò il generale, mentre loro gettavano le uniformi e indossavano indumenti meno appariscenti. Consegnò un lasciapassare nelle mani di Oscar.
- E’ quello per Charles. – spiegò – Lo cercheranno. Lo cercheranno tanto.
- Lo so… - mormorò Oscar, consapevole che lei ed André avrebbero dovuto guardarsi le spalle per il resto della vita.

André stava finendo di preparare i loro cavalli. Charles non era in grado di reggersi autonomamente in sella, quindi lo avrebbero tenuto a turno, lui ed Oscar.
Jarjayes gli si avvicinò. Si guardarono un istante, imbarazzati.
- Questo non è un addio, André. – esordì il generale - Ci rivedremo. Ne sono certo. Volevo che tu sapessi… André, se fossi stato nobile, ecco, sarei stato il primo a caldeggiare la vostra unione. Sapevo che avresti potuto renderla felice e … Beh, tu l’hai resa felice, André.
- Grazie, signore … - mormorò il genero, sollevato da quelle parole che mettevano una pietra sopra a quella notte di temporale in cui lo aveva minacciato con una pistola.
- Dentro di me, ho sempre saputo che tu l’avresti fatto. Fin dal tuo primo giorno a palazzo, quando la guardasti come la più stupenda delle meraviglie. Sono contento per voi e spero non ti accada nulla di male, figliolo. Lo spero davvero…
Si volse a guardare la figlia che era stata a sentire.
Allungò due dita sulla sua guancia e con le nocche l’accarezzò, asciugando le sue lacrime di commozione.
- Sono sempre stato orgoglioso di te. Sempre!
La trasse contro il suo petto e le baciò la fronte.
- So che non vi serve e che è un po’ in ritardo, ma … – prese le loro mani e, secondo la tradizione, le unì, tenendole tra le sue - Avete la mia benedizione, figli miei...

Girodelle stava aiutando Madame Elisabette e Maria Teresa a montare a cavallo.
- E’ tardi! – ricordò loro con tono brusco.
André gli si avvicinò. Lo fissò un istante negli occhi, quindi gli porse la mano, che Victor accettò di stringere.
- Sapete di essere un uomo dannatamente fortunato? – disse piano il conte, trattenendogli la mano nel saluto, energicamente, con rabbia velata.
- Me lo ripeto ogni mattina, quando mi sveglio con lei tra le braccia. – mormorò come piccola rivincita – Ma è una fortuna che mi sono conquistato.
Girodelle strinse ancora la mano e la lasciò di colpo, annuendo.
Sì, maledizione, lo sapeva!
Ed era la sola cosa che gli rendeva tollerabile vederla con lui.
Oscar li guardò in quella esibizione maschile, orgogliosa di André, della sua compostezza, ma rattristata per Girodelle.
Aveva passato giornate intere, anni interi con quell’uomo, ma non lo aveva mai conosciuto davvero.
Neppure durante il loro fidanzamento, neppure durante quell’unico bacio nel parco, solo sfiorato, mai assaporato a fondo, ma neppure mai dimenticato. (1)
Mai aveva conosciuto lui, l’uomo destinato ad essere il suo, se André non avesse fatto parte della sua vita, della realtà.
Se André non fosse stato da sempre nel suo cuore.
Forse solo quell’ultimo loro incontro sotto la pioggia, davanti alla sala dell’assemblea … Forse solo allora aveva percepito la grandezza d’animo di colui che aveva saputo rinunciare, del soldato innamorato che aveva accettato l’umiliazione della resa con rassegnata intelligenza.
Così gli si avvicinò, scambiando prima uno sguardo con André, che intuì e non cercò di fermarla, sicuro di lei e di sé stesso, di loro e del sentimento che da sempre li univa.
Oscar posò una mano sul braccio di Victor; l’altra al centro del torace, sul suo cuore.
Si guardarono solo un istante. Un istante che per Girodelle sarebbe durato tutta la vita e lei se ne rendeva conto, anche mentre si allungava a sfiorargli la guancia con un bacio leggero, appena all’angolo della bocca. Bacio che per un lungo istante, lui osò inseguire e catturare di nuovo, a pieno, dolcemente, disperatamente, stringendola a sé, incurante di tutto ciò che li circondava.
- Il mio augurio affinché le vostre notti diventino calde e serene, Victor… - bisbigliò sulle sue labbra, scivolando via da lui con un’ultima carezza.

Poi raggiunse André e si allontanò con lui senza più voltarsi.
Come una barca senza più legami che lascia la riva…. Oscar saliva a cavallo e dava addio al suo passato.


***

Il piccolo Charles pareva assente, come se non ricordasse altro che il buio e la sofferenza di quella prigionia.
“So che vivrà.”
Era chiaro dentro di lei mentre lo stringeva al petto per ripararlo dal gelo, su quella piccola barca diretta la largo, mentre suo marito stringeva entrambi sotto il suo mantello caldo.
In compagnia di due marinai inglesi che li avevano prelevati con quella scialuppa, avevano lasciato la spiaggia della Normandia, proprio quella prospiciente quello che era stato il rifugio di tanti bei momenti di lei ed André fanciulli, un luogo ora ridotto a poche rovine in cenere.

“Saliremo su una nave inglese che ci aspetta nella nebbia.
Una piccola, agile fregata al comando di Scott, che si mette a rischio per aiutare i suoi amici in una missione ufficialmente inesistente.
Il veliero ci aspetta nel buio di quest’alba invernale del 16 ottobre 1793, nel più assoluto silenzio, in acque territoriali francesi.
Sento lo sciabordare contro il fasciame in legno. Sono vicini.
Ma potremo dire di essere in salvo, solo quando saremo a Baker Manor.
Il difficile, per me, arriva adesso…
Cosa dirò a questa creatura dei suoi veri genitori, quando sarà cresciuto?
Quando i ricordi affioreranno?
Racconterò tutto?Le mancanze, la sfortuna, il dolore, l’orrore…
Dovrò dirgli di un re ed una regina colpevoli di essere l’ultimo anello di una odiosa catena? L’anello forse più debole, ma non certo il più pesante…

Alzo gli occhi su André ed il suo sguardo intenso perso nel mio mi fa capire cosa farò.


Spiegherò a Charles l’importanza delle scelte.
Una scelta di André, mi cambiò la vita.
Una mia scelta ora ha cambiato quella di Charles.
Perché il destino è anche il risultato di ciò che decidiamo e della capacità che abbiamo di assumerci la responsabilità che ogni decisione implica.

Ma, in realtà, cosa ha bisogno di sapere un bambino dei suoi genitori?

Guardò il piccolo stretto a lei, gli carezzò il capo.

“Gli dirò che sua madre era una donna allegra, che amava cantare, apprezzava la vita ed adorava i suoi bambini.
Che siamo state buone amiche; che ci siamo perse, ma ritrovate in tempo.
Che suo padre era un uomo buono col cuore di un fabbro.
Che gli voleva tanto, ma talmente tanto bene che avrebbe ceduto un regno per saperlo sano e salvo.
Non importano le colpe vere o presunte dei genitori: un bambino non dovrebbe mai pagare a questo modo.
E’ questa l’uguaglianza? La fraternità in cui ho creduto?
E’ questa la libertà?
Le cose importanti? Il mio dovere?
Ho avuto doveri di figlia e di figlio; di ufficiale e di aristocratico; di cittadina e di straniera; di sorella, amica, compagna; di moglie e di madre.
Ma quale è il primo dovere, fra tutti?”

Guardò ancora André.


oscar.myduty by crissi123 on deviantART

Gli sorrise.
Lui le prese la mano, intrecciando le loro dita, una dopo l’altra, inseparabili, indissolubili, come le loro vite e le loro anime.

“Sei Tu.
Io.
Il nostro bambino che ci aspetta al di là del mare, in quel Paese così vicino e così lontano dall’inferno che è diventata la mia Francia.
Ed ora questo orfano al quale abbiamo reso la libertà, che tratteremo da figlio, nell’eguaglianza e nella fraternità.
Alla fine, André, solo questo conta.
Noi. “


- fine … fine … Nel bene, nel male … fine… : ) …




1) il bacio cui mi riferisco è quello del manga e, non lo nascondo, non mi sarebbe dispiaciuto vederlo anche nell’anime.


Allora… Anche questo capitolo si è un po’ allungato, ma non così tanto, quindi non l’ho tagliato.
Una parte del piano di fuga, coincide con quello vero, a marzo, del vero Jarjayes che aveva corrotto delle guardie e voleva addormentare i sorveglianti con “narcotico” e tabacco, travestire le donne e poi fuggire in Inghilterra, passando dalla Normandia.
Beh, poiché non ho trovato notizie su narcotici dell’epoca (non c’era neppure l’anestesia…) a parte il laudano, ho preferito ficcarlo nelle bottiglie del famigerato brandy di Arras al quale mi sono affezionata con “Tutto può cambiare”.
E poi “affumicare” tutte le guardie mi pareva strano… Anche perché erano spesso ubriache, quindi non doveva essere il fumo il loro vizio preferito!
La fuga fallì perché non riuscirono a procurarsi passaporti falsi, le vie di accesso alla città erano chiuse e, soprattutto, la Regina rifiutò l’altra possibilità: fuggire da sola, senza i figli.
Sinceramente, non credo avrebbero potuto farcela … Dopo la morte di Maria Antonietta, le guardie diminuirono, ma prima erano: otto commissari, sette posti di guardia lungo la scala, quaranta soldati al primo piano e, secondo le contrastanti notizie che ho raccattato, 200, forse 500 soldati stanziati nella cittadella medioevale. Mah… Forse ho debordato nella fantascienza con questo capitolo!!!
Di sicuro, Charles morì nella cella del tempio e l’esame del DNA sul cuore pietrificato ha dimostrato che è il suo.

Il finale non è qualcosa di nuovo: salvare quel bambino tutti lo hanno sperato; perfino “La stella della Senna” finiva così e l’ho scoperto per caso facendo ricerche per questa storia (non lo avevo mai guardato perché lo consideravo una “brutta copia” di Lady Oscar), ma ho portato avanti lo stesso il racconto perché c’era un'altra cosa che desideravo fare: chiarire cosa era stato di Girodelle.
Una volta, in una recensione a “Tutto può cambiare” che cito, Leia345 mi scrisse questo: “Mitico Girodel:..;troppo disprezzato, troppo sottovalutato, in realtà lui è sinceramente innamorato di Oscar ed è l'unico che vede in André un rivale veramente pericoloso (tanto che nel manga quasi gli propone una cosa a tre). Alla fine Fersen ha la regina, André per una notte ha Oscar, ma lui? Lui niente.”
Ecco, scusa se ti cito, cara Leia, ma questa storia è anche un po’ “colpa” tua, che con quel “lui niente” mi ha fatto venire un magoneeee… e ci ho pensato sù! : )

E infine, tengo a precisare che senza Baby80 che si è impegnata a fustigarmi costantemente, su questa storia io starei ancora a dormirci sopra! E che senza il suo contributo, Tristan continuerebbe a chiamarsi “xxx” e che nessuno lo avrebbe pensato in quella fredda caverna, perché, cito Baby, "quel povero bambino è orfano di madre, padre e autrice". Insomma, era il mio ultimo pensiero, poverino! Coi bambini non ci so proprio fare!

Ora vi ringrazio per aver letto e sopportato e … Ciaoooo!!!







   
 
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