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Autore: Hakigo    20/03/2011    0 recensioni
RACCONTO IN REVISIONE!
Cit Cap. 6: [Lo guardai imbarazzata e indignata, mordendomi il labbro, aspettando la sua reazione, ma lui mi stava semplicemente guardando, imbacuccato dentro Il suo cappotto da mille dollari e la dentro la sua sciarpa firmata. Sorrideva, col naso rosso e gli occhi brillanti.
In quel momento, quando mi sporsi verso di lui e lo baciai, capii.
La mia non era una cotta. Era qualcosa di dannatamente serio, troppo serio.
Mi cacciavo sempre nei guai, ma che potevo farci se non potevo vivere senza I miei stupidi problemi? Capii che l'amore non ha ostacoli, non ha pregiudizi, non ha ragione. L'amore è come una clessidra: se si riempie il cuore, la mente si svuota. Lui, quell'uomo splendido che mi teneva stretta a sè con il giornale ancora tra le dita, era il mio amore, il Dio del mio cuore e non avrei potuto impedirlo. L'amavo, l'amavo tantissimo e non avrei permesso al mio cervello di farmelo scappare, non ora che ne avevo tremendamente bisogno.
Quel bacio di una mattina gelida di settembre, mi scaldò più della cioccolata calda che ora giaceva impotente sul marciapiede.]

Un racconto attuale, che non mette da parte le difficoltà che propone la vita. Il tutto misto ad una tenera storia d'amore della protagonista Irene, un'italiana amante dell'arte e della buona cucina.
Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un bacio umido mi risvegliò dal sonno, facendomi mugugnare.
- Buongiorno – mi salutò Joe, carezzandomi una guancia. Aprii gli occhi. La camera era nella penombra, così i miei occhi si abituarono subito all’ambiente. Sorrideva e gli occhi erano luminosi, come se avesse raggiunto la pace divina.
- Buongiorno – mugugnai. Aveva indosso la maglietta e i pantaloni della sera precedente e sentivo nell’aria l’odore dei miei prodotti per il bagno. Doveva essersi lavato. Appena realizzai il motivo per il quale si trovasse nella mia camera, sentii l’amarezza in bocca, misto ad una forte sensazione di tranquillità e pace.
Lui comprese la mia espressione e sorrise apertamente – Voglio svegliarmi in questo modo tutte le mattine – sussurrò al mio orecchio, continuando a carezzarmi.
Mi rabbuiai – Sai benissimo che non tornerò sulla mia decisione – mormorai, sbadigliando e mettendomi a sedere, tirandomi il lenzuolo addosso, contro il petto, guardandolo.
Joe si era asserito, ma non faceva trapelare le proprie emozioni, così non capii cosa stesse pensando realmente in quel momento. Appena mi vide tirarmi contro le lenzuola, sorrise.
- Cos’hai tanto da ridere, stamattina? – chiesi divertita. Non potevo farci niente, mi sentivo bene.
- Sto ripensando a stanotte. Sei un tipo estremamente strano, a letto – commentò ridacchiando.
Arrossii: quegli argomenti non erano di certo il mio forte – Come mai, grande esperto? – domandai tra i denti, assottigliando gli occhi.
Mi carezzò il centro della schiena procurandomi dei brividi ed incrociò lo sguardo con il mio – Sei l’unica finora che non ama stare sopra – ridacchiò di nuovo.
- È così sbagliato? – chiesi al culmine dell’imbarazzo, scansandomi dalla sua mano per fargli smettere di farmi venire i brividi, posizionandomi in ginocchio davanti a lui, ovviamente coperta dal lenzuolo.
- No, assolutamente. Può significare che tu sia una passiva fino al midollo oppure che tu sia alle prime armi e hai paura che possa far male – concluse alzando le spalle.
M’irritò – Non sono passiva. Sono solo dell’idea che l’uomo debba stare sopra – mi giustificai, tralasciando il fatto che la seconda ipotesi non era poi così errata.
- Tornerai da lui, a Natale? – mi spiazzò, cambiando argomento all’improvviso.
- Penso di sì – ammisi, inquieta. Dove voleva andare a parare?
- Mi chiedo cosa proverai, quando lui verrà qui e sentirai il ricordo di questa notte, tra queste lenzuola. Quando ricorderai la mia voce, quando ricorderai il mio profumo, le mie dita… - era serio.
Abbassai lo sguardo. Ero effettivamente la donna più stupida dell’intero pianeta. Avevo ceduto alla voglia, mentre l’uomo che credevo d’amare così tanto era dall’altra parte del mondo, essendo esattamente cosciente che per le vacanze natalizie sarei andata nella sua stessa nazione.
Mi sentii sporca dentro. Rabbrividii. Dicevo di non amare Joe, ma avevo dei principi che non mi avrebbero mai permesso di andare a letto con lui senza una giustificazione. Adesso ero certa che in realtà non era vero che non provassi nulla.
- Vado a preparare la colazione, così puoi vestirti tranquillamente – mi carezzò la nuca, lasciandomi un bacio sulla fronte, andando poi verso la cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi lasciai andare sul materasso con un sospiro. Come sempre, mi ero messa in un problema grande il doppio di quanto avrei potuto controllare.
Mi alzai. Avrei pensato al problema sull'aereo con tutta la calma possibile.
 
Lavata, pulita e vestita, andai nella cucina.
Rabbrividii – Che freddo – mormorai alzando il livello dei termosifoni che si erano accesi automaticamente. Joe era in piedi davanti alla finestra che dava sulla...Sussultai. Corsi verso il vetro, con gli occhi lucidi. Little Italy, la piccola Little Italy, era completamente sommersa di neve.
Emisi dei gridolini eccitati, portando le mani a coprirmi la bocca. Quella piccola parte di strada, imbiancata, mi fece ritornare all'età di sei anni, quando vidi per la prima ed ultima volta la neve nel mio paese – Non la ricordavo tanto bella – sussurrai attaccandomi al vetro con le mani.
Lui giocherellava con i miei capelli. Lo vedevo sorridere nel riflesso – Non ce n'è ancora abbastanza per costruire un pupazzo, ma se continua così, forse nel tardo pomeriggio riusciremo a costruirne uno – mi sussurrò all'orecchio, mescolando i nostri profumi uguali, che arrivarono direttamente nelle mie narici, facendomi sospirare piano.
- Cosa c'è per colazione? - chiesi voltandomi e andando verso la caraffa del caffè. Con mio grande dispiacere, invece della mia adorata carica mattutina, c'era una brodaglia marrone fatta più d'acqua che di qualunque altra sostanza  – Joe, non si fa così – lo canzonai indicando quel che aveva preparato.
Lui mi guardò interrogativo – Ricorda che io sono Newyorkese, non italiano – sorrise ancora.
- Hai mai bevuto un cappuccino? - domandai divertita, prendendo il latte dal frigorifero.
- No, odio il latte con il caffè – rispose.
- Te lo preparo io, un cappuccino. Impazzirai, è buonissimo – trillai mettendo a scaldare l'occorrente e del nuovo caffè.
- Io sono già pazzo – sussurrò senza spostarsi dalla finestra, guardandomi intensamente.
Mi accorsi solo in un secondo momento, di aver trattenuto il respiro.
 
- Tu sei pazzo, Lombardi – sbottò l'editore, dietro alla sua scrivania.
- Ho un assoluto bisogno di partire per l'America. Non c'è alcun modo di rimandare la conferenza? - domandò stremato ed inquieto.
Il giorno precedente, aveva ricevuto una Sua e-mail. Aveva aperto la posta con noncuranza, aspettandosi le solite congratulazioni da parte di autori che conosceva o lettere da parte di suoi fan. Invece, aveva trovato una mail con la Sua firma.
Era scattato sulla sedia, dopo averla riletta miliardi e miliardi di volte. Imprecò contro la tecnologia per non avere la possibilità di sentire il suo profumo sulla carta, come succedeva con le lettere comuni in cartaceo, di non poter passare le dita sull'inchiostro per sentire il tocco delle sue dita sulla penna.
Sarebbe partito subito e stava per prendere l'aereo, se all'aeroporto non avesse incontrato per una disgraziata casualità il suo editore. Non ci era voluto molto a capire il motivo per il quale si trovasse lì, con una valigia e un biglietto di sola andata in mano.
Così era strato costretto a rimanere a Londra, volente o nolente.
Durante quella settimana aveva una conferenza ed un colloquio molto importante con una casa editrice di rilievo in diversi stati europei e gli era stato rigorosamente proibito di partire. Come ultima possibilità, adesso si ritrovava a pregare letteralmente il suo supervisore, nell'ufficio di quest'ultimo.
- No. Stiamo discutendo da due mesi su questa possibilità. Mi hai fatto arrivare fino a New York per convincerti a venire qui e a preparare la bozza del tuo nuovo libro. È il tuo momento, non puoi rinunciare e se vuoi farlo, sono comunque io a proibirtelo, Lombardi. È fuori discussione, mettiti l'anima in pace. - il giudice emise la sua sentenza con decisione e con un tono che non ammetteva repliche, bloccandolo in città, lasciandolo in preda alla depressione più nera.
Aveva provato almeno un paio di volte a fuggire, chiamando diverse compagnie aeree, ma all'entrata del lussuoso condominio, del quale gli era stato concesso un appartamento, e da tutte le uscite secondarie erano stati posti dei controllori, ovvero uomini della sicurezza che si assicuravano che non scappasse via. E così era stato.
Impalato davanti al computer, incapace di formulare una frase di senso compiuto come uno scolaretto, decise di inviare semplicemente una mail bianca, senza testo, solo per farle capire di averla pensata.
Si chiese se l'e-mail fosse arrivata per sbaglio, ma lo credeva a dir poco impossibile. Era troppo carica di sentimenti per esser stata scritta per sbaglio.
 
- Sono pazzo del tuo profumo, del tuo sorriso, dei tuoi occhi, dei tuoi capelli, del tuo modo di camminare, di parlare, del modo in cui prendi la matita fra le dita, del modo in cui arrossisci, del modo in cui reagisci per ogni mio tocco, del tuo sapore...Tu mi hai reso pazzo. Mi piaci veramente tanto, Irene – disse serio, ancora poggiato alla finestra.
Sembrava quasi che stesse sferrando un attacco contro il suo nemico, dimostrando che lui era il più forte in ogni caso.
Ripresi a respirare e mi voltai verso il latte che aveva preso a bollire, gorgogliante – Joe, non puoi venire a sparare sentenze. Non ora – feci stufa, massaggiandomi le palpebre.
- Perché? - chiese.
- Perché mi hai sempre fatto capire di desiderare solo il mio corpo, un mese dopo del mio arrivo. Hai persino fatto una scommessa con Norman. Una persona seria non si diverte a scherzare con i propri amici sui sentimenti degli altri – spiegai senza guardarlo, cominciando a servire il cappuccino, recuperando i biscotti nella credenza.
- È vero, hai ragione, ma dopo quello che è successo ultimamente...sono cambiato. Lo vedi anche tu , lo sai chiaramente che sono cambiato, ma non vuoi ammetterlo. Mi sono dedicato a te con anima e corpo -
Mi chiedevo perché dovessimo discutere di cose simili di mattina, quando non ero ancora nel pieno delle mie facoltà mentali.
- Dammi una possibilità. Lascia stare lui e prova a rimanere con me – scossi la testa.
Com'ero cosciente che provavo qualcosa per Joe, ero altrettanto cosciente di amare Fernando. Non potevo rinunciare a lui, non dopo tutti i ragionamenti ed i sacrifici fatti, non prima aver ottenuto dei chiarimenti, di aver pianto e di trovare la forza per accettare un possibile rifiuto.
Suonarono alla porta e ringraziai il cielo. Quando aprii, trovai Norman con il naso rosso, sorridente come un bambino di dieci anni – Vista la neve? - chiese euforico.
- Certo! - risposi con lo stesso tono, spostandomi per farlo entrare. Camminò tranquillo per il corridoio, lasciandomi l'impermeabile, ma lo vidi fermarsi di colpo davanti alla porta della cucina – Joe! - mormorò stupito, portando poi immediatamente lo sguardo su di me. Rimasi senza parole, incapace di capire il modo migliore per spiegargli l'accaduto, ma l'altro parlò per primo.
- Ho dimenticato le chiavi in ufficio e sono venuto qui. Ho dormito sul divano, tutto regolare – lo tranquillizzò con una bugia ed io annuii quando Norman si voltò verso di me per chiedere conferma.
- Stavo facendo il cappuccino – cambiai discorso andando ai fornelli, prendendo un terzo bicchiere – Scommetto che ne hai voglia – lo canzonai sorridendogli.
Lui ricambiò – Certo. Adoro il tuo cappuccino! - commentò gioioso, mettendosi a sedere.
L'arrivo del mio collega alleggerì momentaneamente la colazione.
Visto che fuori continuava a nevicare senza sosta, passammo il resto della mattina a giocare a carte o a giochi da tavola, compreso il Monopoli, dov'ero un vero asso.
Quando arrivò l'ora di pranzo, aprii il frigorifero, cercando di pensare a cosa avrei potuto cucinare.
- Cavoli, ma li hai i soldi per fare la spesa? - chiese Joe canzonandomi, vedendo il frigo molto più vuoto del suo. Mi astenni dal fare paragoni per la presenza di Norman.
- Sei un antipatico. Devo partire per un mese, non ho fatto la spesa ultimamente. Vi cucinerò comunque qualcosa di buono. Intanto andate a vedervi un po' di televisione nello studio e lasciatemi lavorare – ordinai e loro obbedirono, lasciandomi cucinare in pace per i primi venti minuti, prima di rivedermeli entrambi sulla soglia.
- Non danno nulla a quest'ora, solo programmi per casalinghe – si lamentò Joe.
- E a me non piace il football – aggiunse Norman.
- Allora datemi una mano – feci spallucce.
Quando finimmo di preparare, la cucina era in un caos totale (ed il frigorifero fortunatamente vuoto), così decidemmo di mangiare sul letto, come se fossimo al campus i giorni in cui la mensa era chiusa per le vacanze, Ovviamente, la proposta era partita da loro, perché io non avevo frequentato l'università, facendo solo corsi aggiuntivi e concorsi alla fine delle scuole superiori. Quell'ultimo anno passato in Italia era stato un vero inferno ed io ero troppo occupata a rimediare uno stipendio assicurato, più che mettermi a studiare.
Joe era rimasto stupito dalla mia capacità culinaria e ricevere complimenti da parte sua fu una vera e propria vittoria.
- Perché non vediamo un film? - proposi divertita, allungandomi per prendere qualche dvd dal mio raccoglitore.
- Vediamoci un cartone – rispose Joe, sorprendendo sia me che Norman.
Annuii ridacchiando, prendendo Aladdin e mettendo il dvd nel lettore, sistemandomi seduta a terra ai piedi del divano, in mezzo ai miei due ospiti, nel pieno della comodità, lanciando un attimo lo sguardo fuori: non aveva smesso un attimo di nevicare.
Il cartone cominciò e dopo pochi minuti eravamo nel pieno delle risate.
- Il genio, nella mia lingua, ha la voce di un comico molto famoso – commentai dopo un po’, senza un motivo tanto preciso.
- Come si chiama? – chiese curioso Norman.
- Gigi Proietti –
- Perché non ci dici qualche battuta del cartone in italiano? – mi voltai verso i due, in ginocchio, fermando il cartone.
- Vediamo…Regola numero uno: io non ammazzo. Quindi non chiederlo – tradussi poi per fargli capire cosa avevo detto.
- È divertente! – rise Joe, esortandomi a continuare.
Continuarono a chiedermi frasi su frasi e ringraziai il cielo per saper parlare ancora tanto bene la mia lingua.
- Ha smesso di nevicare! – annunciò Norman, indicando la finestra.
Dopo dieci minuti eravamo tutti e tra in strada a tirarsi palle di neve senza pietà. Gli spazzaneve non erano ancora passati, quindi avevamo la strada completamente imbiancata, con bambini che giocherellavano per ogni pizzo, per non parlare poi di fidanzati e gruppi di amici. Un boato di risate si era velocemente innalzato in strada, anche se non eravamo tanti.
Per colpa del ghiaccio, caddi diverse volte a terra e ogni volta chi dei due era più vicino mi aiutava a rialzarmi. La parte più divertente arrivò quando li vidi confabulare, per poi vederli piegati a preparare delle munizioni.
- Noo! – urlai cominciando a scappare, tirando ogni tanto qualche munizione fino ad esaurimento scorte. Allora mi limitai a fuggire, correndo veloce, infilandomi tra un palazzo e l’altro, fino a quando una raffica di neve mi arrivò alla schiena, facendomi cadere in avanti completamente ilare. Per fortuna non avevo portato alcun tipo di occhiali, altrimenti si sarebbero rotti nel giro di qualche secondo.
- Basta! Mi arrendo! – dissi alzando le mani, girandomi a pancia in su.
Joe si inginocchiò vicino a me. Era davvero adorabile con un mio cappello di lana e il naso rosso, per non parlare poi del suo sorriso da far invidia a Brad Pitt in persona. Era sempre stato bello, ma non mi era mai interessata quella parte di lui.
- Mi arrendo – mugugnai e lui rise ancora.
- È troppo divertente sentirti parlare così – commentò, spostandomi i capelli dal viso. Mi misi a sedere – Anche stanotte hai farfugliato qualcosa, o sbaglio? – domandò ed arrossii.
- Stai zitto – ordinai, pulendomi il naso con il guanto.
- Ricordo perfettamente, farfugliavi “sì..” – m’imitò, facendomi rabbrividire.
- Ti sbagli – non mi piaceva emettere versi da far invidia ad una porno star. Joe stava dicendo una bugia.
- Esatto, ma il tuo viso è troppo bello, quando diventa rosso – sussurrò carezzandomi una guancia.
Evitai il suo sguardo, ma lui mi fece voltare il viso, avvicinandosi per baciarmi. Mi ritrassi – Smettila – ordinai alzandomi – Dov’è Norman? – chiesi non vedendolo in giro.
- Ci siamo divisi per trovarti, ma io sono stato più svelto – fece spallucce. Non m’importava se fosse offeso.
- Andiamo, sta ricominciando a nevicare – cominciai a camminare, tornando sotto la mia palazzina. Norman stava in piedi, intento a parlare al cellulare. Joe ci ci raggiunse e rimanemmo entrambi in silenzio, in attesa che terminasse la chiamata.
Quando riappese, sospirò – Il mio capo vuole che vada a fare un servizio su un incidente di Manhattan, devo andare – sembrava alquanto stufo.
- Mi dispiace, stavo andando a preparare la cioccolata calda...Te la farò arrivare in ufficio la prossima settimana -  ci salutammo e lui si allontanò a piedi, visto che con tutta quella neve non si poteva di certo utilizzare la macchina.
Io e Joe rientrammo in casa. Appesi l'impermeabile semi-fradicio vicino al termosifone e poi andai in camera con l'intento di cambiarmi almeno la felpa, troppo infreddolita.
- Se il capo di Norman l'ha chiamato, penso che gli uffici siano pieni – commentò Joe sulla soglia, nonostante avessi socchiuso la porta. Doveva andarsene. Stavo per togliermi la felpa ma rimasi bloccata, tenendola alzata poco più su della cinta dei pantaloni. Eravamo arrivati alla fine. Quando sarei tornata, niente sarebbe stato com'era adesso. Potevo tornare mano nella mano con Fernando, come potevo andare a casa di Joe al mio ritorno, ritrovandolo in dolce compagnia. Non pretendevo che lui mi aspettasse mantenendo la castità per un mese intero.
Vedendo che non mi muovevo, lui venne davanti a me, fissandomi negli occhi, prendendo i lembi della felpa e tirandoli in alto, facendomi alzare le braccia per sfilarla. Avevo distolto lo sguardo, ma sentivo ancora i suoi occhi fissi nei miei – Tu sai che questa è l'ultima volta. Quando tornerai, sarà tutto diverso – sussurrò dando voce alle mie stesse conclusioni – Vuoi davvero che finisca a questo modo? Se tu lo chiedi, potrò darti una vita piena di agi, amore, figli. Sai che mantengo sempre le mie promesse – era convinto, sicuro di sé.
Passai in rassegna i miei sogni da adolescente: con le mie amiche, prima di conoscere Andrea, avevo sempre desiderato un marito bellissimo, passionale e pronto ad amarmi fino alla fine. Dopo l'arrivo del mio primo fidanzato, la mia sicurezza aveva cominciato a vacillare. Lui non era
bellissimo, non era ricco sfondato, ma mi amava.  Allora avevo cominciato a pensare che non avevo bisogno che fosse bellissimo, ma bastava che mi amasse. Poi era arrivato Fernando, che era riuscito a farmi aprire come con Norman non era successo. Lui non mi aveva corteggiata, era passato subito al dunque e io avrei sicuramente accettato se non fosse stato per la foto che mi aveva portato a soluzioni completamente sbagliate. Ci eravamo baciati, ma non eravamo fidanzati. Con lui era venuto tutto in modo completamente naturale, ma non ero sicura che lui mi amasse, poiché era partito, la sera stessa in cui me lo aveva annunciato. Colpo di grazia, era arrivato Joe, il classico modello che avevo in mente nell'adolescenza. Inizialmente, non avevo mai neanche pensato di poter stare con uno come lui.
Il mio primo giorno di lavoro, ero ferma all'entrata dell'ufficio, alla reception e chiedevo in un inglese ancora un po' tirato quale fosse la mia postazione. La segretaria non mi aveva risposto, perché si era aperta la porta ed era entrato lui, figo, fresco di dopobarba, in giacca e cravatta, distogliendo l'attenzione della donna da me. Non avevo neanche pensato per un centesimo di secondo di potermi avvicinare a lui, fino a quando la segretaria non mi aveva indicato l'ufficio dov'era appena entrato, dicendomi che avrei lavorato lì.
Effettivamente, appena entrai, vidi la scrivania vuota alla sinistra di quella di Joe, un po' più distante. Mi presentai e lui mi spiegò cosa dovevo fare. Una settimana dopo avevo capito che era il classico donnaiolo e dopo quindici giorni aveva cominciato con le sue avances, alle quali io avevo coraggiosamente resistito fino a qualche giorno prima.
Riportai il mio sguardo su quello di lui, convinta di ciò che volevo fare.
- Joe, non so cosa troverò in Inghilterra. Non so neanche se Fernando sia fidanzato a meno. Non voglio che tu mi aspetti inutilmente. Abbiamo avuto...passato due notti indimenticabili, ma non me la sento di legarmi a te, non prima di aver scoperto se lui mi ama. - dissi sincera, completamente consapevole che lo stavo usando come seconda scelta, ma non potevo dire altro. In fondo, neanche lui mi amava.
Lui rimase in silenzio qualche istante – È la prima volta in cui ricevo un rifiuto – ammise senza il minimo sarcasmo – Ti rendi conto che in questo modo mi stai offrendo una seconda possibilità? Come posso pensare ad altre se so che potrai tornare da me? Non posso, Irene – era la risposta che mi aspettavo.
- Non pensarlo, allora. Dopotutto, fino ad un mese fa avevi una donna nel letto ogni notte. Puoi pretendere qualunque essere femminile di questa città, non sarà difficile non pensarmi – ero seria, ma non indifferente a quel che stavo dicendo. Sentivo un crampo allo stomaco, ma avevo fatto la mia scelta, sbagliata o giusta che fosse.
- Mi stai buttando tra le braccia di un'altra. Sei davvero sicura di volerlo fare? - avrei dovuto ringraziare Joe per la libertà di scelta che mi stava offrendo.
- Sì, è meglio così – conclusi dopo qualche secondo.
Allora lui stese la mano verso di me ed io la strinsi – È stato bello conoscerti -
Gli sorrisi. Mi baciò la fronte, andando poi verso la cucina, prendendo le sue cose ed uscendo.
E quando oltrepassò la soglia, uscì anche per sempre da quell'intimità che si era creata tra noi. Gli avevo dato una sorta di speranza, di seconda occasione, che non avrebbe mai avuto la possibilità di sfruttare.
Quando si è giovani, non si ha tutta questa difficoltà nel lasciarsi. Un bel giorno, ti alzi, vai a scuola o esci con i tuoi amici, dove c'è lui. Vi interessante, c'è il primo bacio e se il rapporto dura a lungo, anche le prime esperienze sessuali, a meno che non si abbia già avuto un fidanzato in precedenza. Quando si è giovani, è difficile trovare un poi. Le sedicenni dicono “per sempre insieme” ma quel che loro chiamano amore è solo una pellicola che si applicano sugli occhi per non vedere quanto sono libere le persone che non sono fidanzate. Allora cominciano le prime gelosie, le prime litigate per un'occhiata di troppo e i primi pianti. Se la pellicola è abbastanza spessa, la situazione dura a lungo, facendo soffrire entrambi, fino al lasciarsi definitivamente. Il lasciarsi adolescenziale non è uguale a quello che usano due persone adulte. I giovani non subiscono mai delle ferite così profonde, a meno che non siano casi estremamente particolari, mentre le persone adulte hanno una vita dietro di loro. Quando una persona adulta s'innamora, il mondo comincia a ruotare unicamente intorno all'altra. Si comincia ad adattare l'orario lavorativo in modo abbastanza comodo da trovare anche il tempo per uscire, ci si adatta ai difetti. Quando due persone convivono e si sposano, si accettano spontaneamente, perché i pregi di uno corrispondono perfettamente alle cattive abitudini dell'altro. Una persona amata ti riempie le giornate e tutta la vita.
Perdere la persona con la quale convivi, è come subire la morte di un parente, senza che questo sia morto. Se io sapessi che in realtà mio fratello è vivo ed abita a pochi metri da me, senza avere la possibilità di vederlo o sentire la sua voce, calerei nella depressione più assoluta.
In un certo senso, il separarsi dalla persona amata corrisponde a questo, come si sentivano Adamo ed Eva a vedere l'albero proibito all'interno del Giardino dell'Eden, a desiderare i suoi frutti senza avere però la possibilità di mangiarne.
Il mio legame con Joe non si era sviluppato nell'ambito sentimentale, ma solo in quello sessuale. Di conseguenza sapevo che sarebbe passata, anche se mi dispiaceva moltissimo vedere quell'uomo tanto bello e fiero con la testa chinata per un mio volere. Lui che poteva avere una donna che non gli avrebbe scalfito minimamente l'orgoglio, era andato a scegliere la peggiore di tutte.
 
Era rientrato in ufficio, prendendo le chiavi dal primo cassetto della scrivania.
Si mise a sedere sulla sua poltrona, prendendosi la testa fra le mani. Era deluso e divertito allo stesso tempo. Quando aveva visto per la prima volta Irene entrare nel suo ufficio, l'aveva vista come una uguale a tutte le altre. Però con il passare dei giorni, quando aveva cominciato a sbirciale il fondoschiena, rimanendone attratto, ed aveva provato di conseguenza a farle delle avances, lei aveva rinunciato senza il minimo velo d'imbarazzo in volto, anzi: lo guardava come se fosse un verme grosso e appiccicoso.
Allora aveva letto il suo rapporto personale ed era venuto a conoscenza che aveva perso da poco un caro amico. Come se non bastasse, era anche figlia di un mafioso chiamato “Il Fioraio” contro la quale aveva testimoniato al suo processo. Sempre per colpa della Mafia, aveva perso il fratello di due anni più grande di lei ed il ragazzo con la quale era fidanzata da più di un anno.
Aveva capito che sarebbe stato più difficile del previsto avvicinarsela. Poi però, l'aveva vista in compagnia di Grace, una delle ragazze con la quale usciva di tanto in tanto che poi era divenuta la madre di suo figlio e di conseguenza si erano avvicinati, visto che ogni tanto Grace lo invitava a delle uscite a cui lei prendeva parte. Nonostante i suoi pretendenti fossero numerosi, solo lui ed il suo collega Norman erano riusciti ad avvicinarsi più degli altri. Da allora era cominciato una specie di duello tra i due ex compagni di college. Avevano scommesso su chi se la sarebbe portata a letto prima, ma poi l'altro si era innamorato perdutamente, al contrario di lui, che continuava comunque a frequentare altre donne per tenersi allenato a letto.
L'aveva avvicinata molto nel giro di un anno, tanto che a volte uscivano persino per andare a prendere qualcosa per pranzo al fastfood. Proprio nel momento in cui aveva conosciuto bene Irene, l'altra era rimasta incinta. Se l'italiana avesse saputo che il figlio era suo, sarebbe stato tutto tempo perso. E così era stato. L'aveva scoperto tramite un messaggio lasciato in segreteria. Da quel giorno aveva ripreso ad allontanarlo ed ogni tentativo per riavvicinarsi era stato inutile.
Sei mesi prima, era spuntato fuori un altro sconosciuto che era riuscito a far breccia più di quanto lui e Norman insieme fossero riusciti a fare con due anni di tempo.
In quel momento si era accorto di essere geloso. Non l'avrebbe mai pretesa come compagna, ma non voleva neanche vederla tra le braccia di quel novellino appena arrivato e senza volerlo era persino arrivato a ricattarla o a forzarla durante gli orari di lavoro, nonostante non fosse da lui.
Poi era accaduto tutto insieme: Fernando se ne era andato, lui l'aveva ricattata seriamente per la prima volta introducendosi persino in casa sua, Grace era scomparsa, Norman aveva rinunciato alla scommessa perché era stato troppo meschino nei confronti di lei ed aveva preso il primo volo per Ottawa  con Irene e il bambino.
Quando aveva visto la madre di suo figlio sul letto d'ospedale, tanto ridotta male, aveva avuto di abbracciarla, ma poi aveva rinunciato per paura di tirarle via il respiro che le era rimasto. Aveva sempre avuto una paura matta degli ospedali. Ricordava la volta in cui aveva visto suo padre in coma per un incidente d'auto. Quando si era risvegliato, non ricordava più lui, ma solo sua madre. L'aveva accusata di aver avuto un figlio da un altro uomo e aveva cominciato una vita sfrenata, piena di amanti e alcool. Joe voleva bene a suo padre. Quando lo vedeva ogni sera con una donna diversa, quando andava a trovarlo nei fine settimana alterni, era come se finalmente fosse nella pace dei sensi, così aveva cominciato a credere che avere sempre una donna diversa portasse alla felicità. Che senso aveva crearsi una famiglia, se poi uno stupido incidente d'auto poteva rovinare tutto? Vedere Grace in quello stato, nella camera d'ospedale, in compagnia sua e di Alexander, lo aveva portato come indietro nel tempo. Aveva capito che tutta la sua vita era sbagliata, che aveva bisogno di un punto fisso dove tornare ogni sera, dove far tornare suo figlio senza che vedesse ogni volta una donna diversa.
Allora aveva visto in Irene la sua ancora di salvezza.
Lei era lì con lui in quel momento. L'aveva abbracciato e non aveva fatto commenti quando l'aveva abbracciata per sfogare il pianto. La morte l'aveva messo più in contatto con la vita di quanto l'avesse fatto la vita stessa.
Quando l'aveva abbracciato, la notte di ritorno da Ottawa, aveva provato il bisogno di distrarsi e distrarla e le aveva offerto il meglio che sapesse fare, perché la sua vita era incentrata sulla lussuria.
Lei era bella, pura e piena di piccole imperfezioni, ma il solo fatto che quelle imperfezioni fossero sue, la rendeva ancora più perfetta e desiderabile. L'aveva fatta sua più e più volte, fino a quando non era crollato dal sonno, troppo stanco per la giornata appena passata.
Ogni volta, quando  sentiva dentro il desiderio di vederla, lo coglieva una sensazione di inquietudine completamente inaspettata. La sera prima, dopo aver lottato tutto il tempo in ufficio contro il desiderio di abbracciarla e farla sua su quella stessa scrivania, aveva lasciato di proposito le chiavi in ufficio, insieme a tutto il suo orgoglio di uomo donnaiolo qual era. Era corso a casa sua, era salito sulle scale antincendio rischiando almeno un paio di volte di fare un bel volo e l'aveva chiamata.
Era in tuta. Si sentiva sul punto di cedere, ma l’avrebbe spaventata e le avrebbe fatto intendere che avesse cattive intenzioni, così non l’aveva fatto. Aveva aspettato, aveva pazientato e aveva rischiato seriamente di perdere il controllo quando lei gli aveva sfilato il cappotto fradicio, carezzandogli le spalle. In quello stesso momento però aveva ricevuto il permesso di spingersi oltre. L’aveva capito dal modo in cui l’aveva carezzato.
Poi il divano era stato aperto e si era messo a letto, accontentandosi di quel solo gesto. Invece lei, uscita dal bagno, si era chinata su di lui e gli aveva augurato la buona notte. E lui l’aveva tirata a sé e l’aveva fatta sua per la seconda volta. Gli era sembrato che lei avesse accettato la sua presenza, ma non era stato così. Lei era fermamente convinta di dover prima chiarire con Fernando. Le aveva lasciato via libera, ma sperava con tutto sé stesso che sarebbe tornata da lui.
Guardò verso l’ufficio e lo trovò semi-deserto. Con tutta la neve della notte prima, il suo superiore aveva chiamato i reporter per fare dei servizi. Aveva voglia di un caffè, ma la sala riunioni era chiusa, visto che il direttore era andato in ferie per una crociera.
Così fu costretto ad arrivare fino alle macchinette dietro l’angolo per prenderselo.
Appena arrivato, contemplò la macchinetta per qualche secondo, visto che non c’era fila e cominciò a premere i tasti che la donna dell’altra volta gli aveva insegnato.
- Buon giorno – lei apparve, come se i suoi pensieri l’avessero chiamata. Si voltò a guardarla.
- Buon giorno anche a lei – salutò con il caffè in mano. Lei sorrise divertita.
- Sono stata veramente insolente la volta scorsa, mi scusi. Ero agitata –
Joe si voltò a guardarla. Sembrava decisamente in imbarazzo – Non fa niente. È divertente sentire i dipendenti insolenti, una volta tanto – alzò le spalle, cominciando a bere il caffè e facendo una lieve smorfia. Era molto amaro.
- Se fossi arrivata qualche secondo prima, glielo avrei offerto io, il caffè – disse lei dopo un po’ d’esitazione.
- Posso permetterlo – commentò sarcastico, facendola ridacchiare.
- Non pensavo che il capo avesse tanto spirito – gli sorrise di nuovo, mentre prendeva il suo caffè.
- E io non pensavo che questo caffè facesse così schifo – sussurrò con la bocca ancora amara.
- È dei plebei, sa com’è… -
- Credo che farò mettere una piccola cucina in questo angolo solo per il nostro ufficio, almeno tutti potranno bere qualcosa di decente…anche altri reparti ne hanno una -
- Sarebbe una buona idea – lei alzò le spalle indifferente. Era più che evidente che si stesse trattenendo per parlare in modo civile. Dopotutto, non era l’unica a non sopportare i capi reparto raccomandati, era solo una delle tante.
- Sarebbe un buon modo di interagire con tutti i colleghi – rispose allora e lei alzò immediatamente gli occhi, studiandolo. Si allontanò senza neanche salutare.
- Ciao – mugugnò, buttando il bicchierino mezzo pieno nel cestino. Era di nuovo solo.

 
Note Finali___
Ben ritrovati anche stasera con uno dei miei racconti! Questo periodo sto veramente scrivendo come una pazza, accidenti °-° Finalmente spunta fuori il passato di Joe, insieme alla motivazione del suo comportamento verso le donne. Un po’ frastagliato, lo so, scusate ù_ù”
Per tutti quelli che seguono le mie storie: sto convertendo i caratteri al Georgesimo (carattere Georgia) perché ultimamente me ne sono innamorata. Mi piace molto il corsivo e tendo molto ad utilizzarlo mentre scrivo di questo periodo. Quindi, se notate che i capitoli precedenti non sono ancora convertiti (l’ho usato di nuovo *trollface*) non spaventatevi.
A presto, haki-chan
   
 
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