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Autore: Ksanral    23/03/2011    12 recensioni
Lily Evans, quindici anni, Prefetto di Grifondoro, studentesa impeccabile, abilissima pozionista, sta per cominciare il suo quinto anno ad Hogwarts (Ricordate...? Quello del peggior ricordo di Piton).
Ma siamo sicuri che sia solo questo? Siamo sicuri che la storia sia andata esattamente come la pensiamo?
Volete sapere come mai Lily Evans rifiutava continuamente gli inviti di James Potter? Forse non è solo perché lui è così tanto pieno di sé...
Dal ventottesimo capitolo:
«Neanche morta, Potter! Neanche morta!»
«Ma non sai neanche cosa stavo per chiederti!»
«E da quanto aspetto di ascoltarti prima di dirti di no? Tanto, Potter, sia che tu mi stia per chiedere di uscire, sia che tu mi stia per chiedere qualsiasi altra cosa, la risposta sarà comunque “no”.»
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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= A Casa? =

Il mattino dopo, mi svegliai poco dopo l’alba. Per un solo, magnifico istante, non ricordai assolutamente nulla, mi sembrava l’alba di una nuova splendida giornata a Hogwarts. Le ragazze erano addormentate nei loro letti, pronte a brontolare al primo, minimo rumore. Il sorriso spontaneo a quel pensiero mi si gelò sulle labbra, quando la realtà mi schiaffeggiò svegliandomi da quel sogno ad occhi aperti. Mi tremavano le gambe, mentre mi spogliavo. Silente aveva detto che non serviva che preparassi i bagagli, ma per evitare di pensare mi misi a cercare tutte le mie cose sparse per la stanza. Per un po’ funzionò, ma quando le ragazze iniziarono a sentire i miei movimenti e si svegliarono, vidi i loro sguardi puntati su di me, poi a una a una le vidi alzarsi e venire ad aiutarmi, districando i miei averi dai loro. Fu un bel gesto, normale, una tradizione che si ripeteva tutti gli anni, ma questa volta la tensione – o mia o esterna – rovinava l’intento. Per fortuna non dissero una parola, non sarei riuscita a sopportarlo. Quando tutte le mie cose furono a posto, stipate e chiuse nel mio baule, mi sedetti sul letto, la testa tra le mani; quella piccola distrazione non era servita a molto.
«Quando parti, di preciso?» mi chiese Elinor, mentre si cambiava, cercando di sembrare indifferente.
«Appena sono pronta…» risposi in un sussurro.
«Sicura che non vuoi che veniamo con te?»
«No, tranquille, non ce n’è bisogno…» mi alzai, e finii di vestirmi, sperando di porre fine al discorso.
«D’accordo… Quando torniamo a casa, ci organizzeremo per farti venire da noi, se ne hai voglia.»
«Sì, sì, grazie…» dissi, senza neanche ascoltarla. «Ora vado… A presto, ragazze…» dissi andando verso la porta e voltandomi soltanto un momento, con occhi lucidi, prima di uscire e scendere nella Sala Comune.
James era già lì, faceva avanti e indietro in un angolo, torcendosi le mani nell’attesa. Per il resto, l’intera sala era deserta, per fortuna non c’era traccia nemmeno dei suoi amici forse, come le ragazze, l’avevano salutato in camera e non l’avevano seguito.
Se fossi stata più serena, l’avrei preso in giro con una delle solite battute, invece mi avvicinai cautamente e sussurrai, per non spaventarlo. «E’ tanto che aspetti?»
Si voltò sussultando, rendendo vano il mio tentativo. «No, no… Non preoccuparti. Andiamo?» mi rispose, indicando il buco del ritratto. Annuii e m’incamminai davanti a lui verso l’ufficio di Silente.
«Tu per caso hai fame?» gli domandai, prima che potessi fermare le parole.
«No, tu?»
«No, non so perché l’ho detto…» risposi con una scrollata di spalle. Lui annuì in risposta e poi continuammo a camminare in silenzio.
Anche questa volta fu lui a dire la parola d’ordine ed io a bussare alla porta del Preside.
«Entrate un momento, per cortesia…» Ci disse il Preside invitandoci per la seconda volta in meno di ventiquattro ore a sederci alla sua scrivania. Anche lui si sedette, appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le dite delle mani, in una posizione a dir poco riflessiva.
«Ho riflettuto, signorina Evans.» mi disse fissando il suo sguardo azzurro su di me. Tremai dentro, ebbi, per un folle attimo, paura che m’impedisse di andare via, nonostante fino a un attimo prima non sarebbe cambiato nulla – non volevo essere da nessuna parte, né a Hogwarts, né al San Mungo – mi tornò in mente lo sguardo di James, quando mi disse che dovevo andare. «Lei, nel mondo Babbano, è ancora minorenne, dico bene?»
Quella constatazione mi fulminò. Ovviamente non ci avevo pensato, presa com’ero dallo sfacelo della mia vita. Deglutii forzatamente. «Sì, professore, è esatto.»
«Questo potrebbe comportare qualche problema per le autorità Babbane, qualora venissero a conoscenza della sua…ehm…situazione.» riprese con calma, la sua espressione non faceva trasparire nulla, ancora temevo che mi impedisse di andare via. «Tuttavia, se si presentasse qualche inconveniente, la prego di mettersi in contatto con me e provvederò a risolverlo come meglio posso.»
Rimasi interdetta. Il mio rapporto con Silente non era certo diverso da quello di un qualsiasi altro studente con il proprio preside. Certo lui mi aveva nominato Prefetto, ma avevo sempre dato per scontato che si fosse avvalso del giudizio degli insegnanti. Non l’avevo “frequentato” poi molto, tranne in quell’unica punizione che presi a Pasqua. Ora però si offriva di aiutarmi nel caso ci fossero stati dei problemi. Non seppi cosa dire.
«Ovviamente, preferirei che mi chiamasse per qualsiasi problema, anche quello che sembra un’inezia, piuttosto che utilizzasse la magia. Questo vale anche per lei, signor Potter. So bene che per aiutare la sua compagna potrebbe essere tentato di fare qualcosa di, come dire, impulsivo, ma spero che, con un po’ di buon senso, lei possa evitarlo.»
«Sì, certo.» commentò apatico James.
«Grazie, professor Silente.» dissi io, sinceramente.
«Fatte queste premesse, credo di potervi lasciare andare. I vostri effetti personali sono, proprio in questo momento, in viaggio verso le vostre abitazioni.»
«Io, però, non devo andare a casa. Per prima cosa devo andare al San Mungo…» dissi.
«E io la accompagno.» confermò James.
«Certo, certo. Ho predisposto una Passaporta, autorizzata dal Ministero ovviamente, che vi porterà in un vicolo laterale dell’Ospedale. Da lì in poi, potrete Smaterializzarvi. Prego, avvicinatevi.» disse indicandoci uno strano oggetto presente sulle sua scrivania, che non riuscii a identificare. Lo toccammo entrambi ed io trattenni il respiro, per sentire un po’ meno quella fastidiosissima sensazione di risucchio. Toccai terra troppo velocemente, perciò non riuscii a stare in equilibrio e mi ritrovai a battere il sedere in una pozzanghera. James scoppiò a ridere. Non riuscii a guardarlo male, mi sembrava una situazione aliena, lui che rideva. Era strano, come se la Passaporta ci avesse catapultato in una dimensione parallela, dove tutto ciò che era successo soltanto il giorno prima, non esisteva. Mi godetti quel momento, ascoltando la sua risata, avida di quella spontaneità che l’aveva causata.
Qualche secondo dopo era tutto finito. Afferrai la mano che James mi offriva e mi alzai, poi estrassi la bacchetta e mi asciugai. «Andiamo…» sbottai, subito dopo, scocciata dalla pessima figura.
«Sei incredibile, Evans…» mi disse, mentre mi affiancava verso l’Ospedale. Non risposi.
Quando voltammo l’angolo, ci trovammo davanti alla vetrina trasandata che fungeva da copertura per l’entrata principale del San Mungo. Era la prima volta che ci andavo, per fortuna, ma avevo letto della vetrina sul libro di Storia Contemporanea della Magia. C’erano soltanto un paio di manichini, con i vestiti impolverati e cadenti e le parrucche di traverso. Nel complesso tutto l’edificio sembrava abbandonato da molto, molto tempo.
«Come facciamo ad entrare?» domandai, cercando di capire come si aprisse la porta.
«Semplice, basta parlare…» rispose James, invitandomi ad avvicinarmi ai vetri. La strada per fortuna era vuota in quel momento, altrimenti cos’avrebbero pensato i Babbani, vedendoci ammirare una vetrina abbandonata?!
«Ok… Ehm… Sono Lily Evans, devo sbrigare delle pratiche… Credo.»
Il manichino annuì e ci fece cenno di entrare, con il suo dito scheletrico. Perplessa feci un passo verso il vetro, cercando di tastarne la solidità, ma il mio piede venne investito da quello che sembrava un velo di acqua fredda, senza riportare alcun danno, perciò continuai a camminare attraverso la barriera e mi ritrovai all’accettazione. La sala non era molto affollata, c’era un mago seduto su una delle sedie in attesa, la cui testa era stata trasfigurata in un bollitore e ogni tanto emetteva un acuto fischio. C’era anche un’altra strega, poche sedie più indietro, che all’apparenza sembrava sana, anche se la sua espressione era disperata, mi chiesi se non stesse aspettando notizie di qualche caro malato.
In coda allo sportello della Stragaccoglienza, c’erano solo due persone, una uomo e una donna, che parlavano fitto fitto a bassa voce. Ci mettemmo in coda e attesi leggendo il cartellone indicante i reparti, ma quelli non potevano essermi utili, mio padre non era ricoverato lì, non più.
Dopo qualche minuto, che sembrò protrarsi per l’eternità, la coppia si diresse velocemente verso un reparto e io mi feci avanti.
La strega mi guardò con un’espressione a metà tra il cordiale e l’annoiato e m’invitò con un gesto a parlare. Trassi un profondo respiro, cercando di placare il cuore che aveva cominciato a battere forsennatamente.
«Signorina, se si sente male, le consiglio di sedersi.» disse la donna, senza riuscire a nascondere una nota d’impazienza.
«Non sta male, la lasci respirare!» sbottò James al mio fianco, facendomi poi un cenno incoraggiante. La strega ci guardò scocciata, ma aspettò.
Deglutii forzatamente e alzai lo sguardo sulla donna. «Mi chiamo Lily Evans… Mio padre è stato ricoverato qui…» mi fermai, non riuscivo a dire le ultime parole.
«Che cosa gli è successo?» mi chiese, il tono più addolcito, forse vedendo le difficoltà che avevo a rapportarmi con quel fatto.
«Lui è…è…»
«Lui è stato attaccato…» s’intromise James, ma lo fermai con un cenno.
«Lui è m-morto, qui, ieri…» feci fatica a trattenere le lacrime «Mi è s-stato d-detto che dovevo s-sbrigare delle pratiche.»
La donna rimase silenziosa per qualche istante, prima di riprendersi. «Ho capito di chi sta parlando, signorina, le porgo le mie condoglianze. Si rechi al quarto piano, nell’ufficio del caporeparto Gyllys, in fondo al corridoio a sinistra.»
«Grazie…» risposi meccanicamente, prima di voltarmi per raggiungere le scale. Salii in silenzio, quasi dimenticandomi della presenza di Potter dietro di me. Superai le porte a vetri del piano e mi diressi in fondo al corridoio a sinistra, senza guardarmi intorno. Trovai subito la porta giusta, una grossa targa d’ottone campeggiava al centro, indicando il nome del Guaritore. Bussai, senza indugiare oltre, presa dalla fretta di andarmene da lì il prima possibile.
Se mi ero aspettata un vecchio Guaritore sdentato, rimasi delusa perché quello che mi aprì la porta era tutto fuorché vecchio e sdentato. Era giovane, capelli castani lunghi, legati in una coda e profondi occhi nocciola che mi guardarono con cordialità e disponibilità. Era persino bello, mi scoprii a fantasticare per un unico attimo su di lui colpito dal fulmine dell’amore che mi chiedeva di uscire ed io che cadevo ai suoi piedi, dimenticando tutto.
«Buongiorno…» disse il Guaritore.
«E’ lei il caporeparto Gyllys?»
«Sì, sono io.» mi rispose con un sorrisetto, forse il mio tono era ancora incredulo nel vederlo così giovane. Avremmo avuto meno di dieci anni di differenza! «Desidera, signorina…?»
«Evans, Lily Evans…» risposi meccanicamente e la sua espressione si congelò. Lo vidi deglutire, prima di rispondermi.
«Prego, accomodatevi.» disse serio, spostandosi per lasciarci passare. Entrammo nell’accogliente ufficio e ci sedemmo su poltrone imbottite, ma quasi non colsi quei dettagli, riportata alla realtà dall’espressione triste del Guaritore.
«Lei è un parente?» domandò l’uomo a James.
«No, non lo sono.» rispose lui.
«Non importa, può ascoltare anche lui. Sa perché siamo qui.» replicai io, prevedendo quello che avrebbe detto il Medimago.
«Come volete…» commentò soltanto, per poi prendere delle carte che teneva ordinate sulla scrivania.
Mi spiegò nel dettaglio – acconsentii affinché lo facesse – cosa successe il giorno dell’incidente, sia a mio padre che a mia madre. Fece il resoconto delle cure che il San Mungo aveva prestato a mio padre e la motivazione per cui non avevano funzionato. Mi spiegò che la squadra magica intervenuta sul posto aveva impedito a Petunia di seguirli all’Ospedale, era la procedura in caso di attacchi da parte di Maghi Oscuri. Mi disse anche che mia sorella era stata tenuta in costante aggiornamento. C’erano alcuni documenti, però, che avevano bisogno di essere firmati. Mi disse che se fossi stata Babbana, allora avrebbe potuto sbrigare la faccenda mia sorella, essendo la maggiore, ma non essendo una Strega, la priorità andava a me in quanto appartenente al Mondo Magico. Perciò mi pose davanti la scheda clinica di mio padre, il suo certificato di decesso e quello di mia madre. In ultimo, scusandosi, mi disse che avrei dovuto firmare un documento che attestava l’assenza di responsabilità da parte dell’Ospedale per quanto era successo. Quella parte burocratica fu una tortura. Non ne vedevo l’utilità, i miei genitori erano morti ed io dovevo firmare delle carte? Divenni inquieta a stare lì, non vedevo l’ora di uscire per andare… Andare dove? A casa, forse, anche se non ne ero sicura. Volevo andare lontano da lì e non metterci più piede.
Il Guaritore stava quasi per congedarci quando gli venne in mente un’ulteriore informazione che doveva darmi. «Sua sorella ha chiesto e ottenuto di avere indietro i corpi per poterne celebrare il funerale.»
Così mi spiegai la frase “non osare presentarti al funerale”, che Petunia mi aveva scritto nella sua lettera. Mandai giù il groppo che avevo in gola e annuii. Poi finalmente fummo liberi di uscire.
«Ti accompagno a casa, James?» gli domandai, una volta in strada.
«Ti accompagno a casa?» chiese lui nello stesso istante. Sorridemmo. Desiderai non dover allontanarmi da lui. Andava contro tutto ciò che avevo sempre provato nei suoi confronti – con l’unica eccezione di quell’uscita a Hogsmeade che ci aveva visto protagonisti del miglior scherzo mai esistito – ma in quegli ultimi due giorni mi sentivo più vicina a lui che a chiunque altro. Ma la vera motivazione era che avevo paura a rimanere sola.
«Hai già fatto molto, credo che tu voglia tornare a casa… E anche tuo padre vorrebbe vederti, immagino.» mi trovai a dire, contro ciò che provavo.
«Ho gli scritto stamattina, gli ho spiegato la situazione e che sarei tornato a casa dopo averti aiutata.» mi rispose lui.
«Devo solo tornare a casa…» risposi, scrollando le spalle.
«Andiamo allora.» mi disse, prendendomi per mano e trascinandomi nel vicolo dov’eravamo arrivati, per Smaterializzarci a casa mia. Ovviamente fui io a guidarci con la Smaterializzazione Congiunta, dato che lui non ne conosceva l’ubicazione.
Arrivammo nel cortile sul retro, dove sapevo saremmo stati al sicuro da occhi indiscreti. Le sdraio era già nella posizione strategica dei miei genitori, indice che avevano iniziato a prendere il sole in cortile. Gli attrezzi da giardinaggio erano sparsi, come al solito, attorno all’aiuola che mia madre aveva creato con i suoi fiori preferiti. Il loro tripudio di colori voleva infondere allegria, ma in quel momento lo detestai, contrastava così tanto col mio umore da farmi male. Distolsi lo sguardo, sentendo le lacrime salirmi agli occhi. Girammo, allora, intorno alla casa per raggiungere la porta principale.
Una volta lì, mi bloccai. Volevo salire gli scalini e raggiungere la porta, volevo farlo, davvero, ma i miei piedi – e il mio cuore – non ne volevano sapere. Razionalmente sapevo che non poteva succedere, ma mi aspettavo che mia madre aprisse la porta da un momento all’altro, mi salutasse e sorridesse al vedermi in compagnia di un ragazzo. Oppure che papà uscisse per prendere il giornale e fosse piacevolmente sorpreso di trovarmi a casa così presto. Più ci provavo, meno riuscivo a muovermi e più sprofondavo in quelle malsane fantasie. Bloccai James, che mi aveva superato per raggiungere la porta, e lui si voltò verso di me perplesso.
«Non ci riesco…» gli dissi, con voce tremante.
«Non riesci a fare cosa?»
«Ad entrare… Li vedo aprire la porta e salutarmi. Li vedo abbracciarmi, ma loro non lo faranno più. Non lo faranno più!» gridai le ultime parole, come se fosse colpa sua, anche se la rabbia era tutta per me.
«Non entrare allora. Materializzati in camera tua, prendi quello che ti serve e torna qui.» rispose con calma.
«Che cosa?» gli chiesi, senza capire cosa intendesse dire. «Se non vuoi entrare, non sei obbligata a farlo.»
«Certo che lo sono!» esclamai, perdendo la pazienza. Perché non capiva? Come facevo a non entrare in casa? Dove sarei andata altrimenti?
«Ascoltami…» disse, appoggiando le mani sulle mie spalle «Non riesci a entrare? Bene, non farlo. La casa rimane qui, non scappa. Puoi entrare quando sarai pronta.»
«Non posso lasciare tutto lì, dovrò sistemare le cose. Petunia se n’è andata, questa casa è mia adesso. Ma io non posso entrarci. Non posso viverci. Non senza di loro.»
«Non viverci, allora! Chiama un’impresa di Imballaggio Magico, togli tutto e vendi la casa!» mi rispose e sembrava convinto. Mi tentò. Sembrava la soluzione migliore in quel momento. Ma passato quel momento, cosa ne sarebbe stato? Me ne sarei pentita o rallegrata?
«Non posso fare nessuna delle due cose. Non posso viverci, ma non posso prendere decisioni affrettate. E’ tutto ciò che mi rimane di loro.»
«Rilassati ora. Fai come ti ho detto, vai in camera tua, prendi quello che ti serve. Ti aspetto qui fuori.»
«E poi dove vado, James?» chiesi, sull’orlo delle lacrime.
«Vieni a stare da me per l’estate…» rispose, senza traccia di malizia o presa in giro, che il Potter di due giorni fa avrebbe usato.


Note: ecco qui, vi avevo detto che non ci avrei messo troppo a pubblicare il nuovo capitolo!
Ho una piccola nota, forse vi sembrerà che James non soffra più, ma vi posso assicurare che non è così, semplicemente non traspare dal suo comportamento.
Passiamo invece a cose frivole: ho creato una pagina Facebook per darvi la possibilità di rompermi le scatole con domande su aggiornamenti e quant'altro e per tenervi informati sull'andamento dei capitoli che scrivo. La pagina è questa: Ksanral, cliccate su "mi piace", se ne avete voglia, e il gioco è fatto! ^^
Ringraziamenti: vorrei ringraziare i recensori dello scorso capitolo, più qualcuno che ha recensito soltanto ora i capitolo precedenti, cioè: PrincessMononoke97, Isilya, Lines, _Calypso_, nenezebubba, in particolare però vorrei ringraziare: Ella_Sella_Lella e FloorJansen, che hanno avuto la pazienza di recensire praticamente tutti i capitoli e seguono la ff da molto molto tempo, e sono anche quelle su cui conto non appena pubblico un capitolo. ^^
A presto!

   
 
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