Fanfic su artisti musicali > Oasis
Segui la storia  |       
Autore: thewhitelady    25/03/2011    2 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I haven't seen your face round
Since I was a kid
You're bringing back those memories
Of the things that we did
You're hangin round
And climbing trees
Pretending to fly
D'Yer wanna be a spaceman
And live in the sky

 

You got how many bills to pay
And how many kids
And you forgot about
The things that we did
The town where we're living
Has made you a man
And all of your dreams
Are washed in the sand

Facemmo la strada verso il negozio assieme. Io di tanto in tanto gli gettavo un’occhiata di sbieco giusto per assicurarmi che fosse ancora lì, scrutavo quel profilo spigoloso che ogni volta pur restando lo stesso mi appariva diverso. Anche questo mi affascinava… un momento, affascinava? Mentalmente scoppiai a ridere e richiamai alla briglia i miei neuroni, la mancanza di sonno di quei giorni mi avrebbe ucciso.
Formula un pensiero compiuto, mi dissi. - Non sei un tipo che parla molto -, avrebbe dovuto essere una domanda ma alla fine quella pessima riflessione non poté che uscirmi solo come affermazione.
- Quando non ce n’è bisogno -.
Facemmo qualche altro passo assieme.
- Io invece odio il silenzio, è così dannatamente vuoto -.
Silenzio.
Lui si voltò appena – Sai che con la lingua che ti ritrovi non l’avrei mai detto? -.
Per fortuna eravamo arrivati al negozio. – Ok, amico, con questa frase ti sei perso tutti i punti che avevi vinto apprezzando Wonderwall Music. Sappilo –
- Be’ tu li hai persi tutti nello stesso istante in cui hai deciso di spiaccicarmi alla fermata dell’autobus. Siamo pari -
- Me ne farò una ragione – dissi mentre cominciavo a tirar su la saracinesca con uno sforzo sovraumano, ormai sicura che con i muscoli che mi stavo facendo grazie a quell’aggeggio infernale avrei potuto partecipare pure alle olimpiadi: sollevamento pesi. Questa volta però mi venne con più facilità, troppa… Noel mi stava dando una mano, anzi praticamente stava sollevando la serranda lui per me. Accidenti non doveva iniziare a fare il gentile, oppure non sarei più riuscita a fare la stronza con lui. Grazie a Dio, finito quello sprazzo di eroismo da macho mi sorpassò appena ebbi aperto la porta del negozio per essere il primo ad entrare. Neanche a dirlo si fiondò subito sulla Rickenbacker che faceva mostra di sé su di un supporto, e dieci secondo dopo l’aveva già attaccata ad un ampli a caso per provarla. Sorrisi senza che lui se ne accorgesse, mi piaceva vedere quanto una persona potesse essere attaccata ad uno strumento, e non importava se il suddetto era una scassatissima chitarra che aveva come minimo passato due proprietari e a cui avrebbe dovuto cambiare i pick up ancora tra sei mesi.
Mi misi alla cassa a fare l’inventario dato che era un venerdì di fine mese e quel giorno mi sarebbero toccati tutti i conti, ma intanto le mie orecchie erano ben puntate ad ascoltare ogni singola nota che il mio burbero cliente stava producendo. C’era da dire una cosa, teneva il plettro tra le dita come uno zappatore e la tecnica lasciava abbastanza a desiderare, però era istintivo. E per me era una buona cosa, insomma si vedeva, o meglio sentiva, che ciò che stava suonando non gli arriva da anni di pratica meccanica. Ora non avrei detto che quel che suonava gli arrivava dal cuore - piuttosto che fare un’affermazione tanto idiota mi sarei volentieri affogata nel secchio dell’acqua sporca che usavo per lavare i pavimenti -, però le sue dita erano mosse dalla musica, non certo dalla voglia di dare spettacolo allucinandomi con una raffica di note in stile John Petrucci. Soprattutto sapevo che non lo stava facendo per esibirsi, al contrario di una dozzina di chitarristi, che avevo conosciuto nelle ultime settimane, che per cercare di impressionarmi avevano evidentemente tirato fuori il meglio del loro repertorio. Della serie se fossi stata un pavone m’avrebbero tirato fuori la coda colorata,  ma dato che sono una commessa in un negozio di strumenti mi dedichi un solo di Joe Satriani? Feci tra me e me uno sbuffo di disperato divertimento.
Noel si interruppe: a quanto pareva non doveva essere stato così tanto tra me e me quel principio di risata. Decisamente, dovevo piantarla con le mie stupide fantasie.
Si alzò in piedi, – Ah, già… - fece una pausa impastata – La chitarra mi sembra a posto, davvero un buon lavoro -.
Lo ringraziai con un accenno del capo. – La pedaliera con gli effetti non è ancora arrivata -.
- Be’ aspetterò, non è niente di urgente -
Piantai le unghie dentro al legno stagionato del bancone da lavoro, perché diamine lo stavo facendo? – Però dovrebbero consegnarla in giornata… -, insinuai lasciando in sospeso la frase. Dentro nel cervello, intanto, la mia coscienza, che per una delle mie tante turbe psicologiche era personificata nella Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany, stava prendendo a testate la scatola cranica. Ancora una volta aveva miseramente fallito nel tentativo di farmi fare la cosa più logica, ovvero salutare Noel e riprendere il prima possibile a fare l’inventario. – Quindi… - stavo per proseguire ma…
- Pensi che sarebbe un problema se rimanessi qua un po’ a suonare? Solo finché non arriva la pedaliera – parlò come se fosse stato colpito al momento da un’illuminazione, come se io non avessi detto niente prima. Dovetti ammettere che lo adorai per questo, - Si può fare, almeno così non m’annoio – sentenziai abbastanza indifferente, la mia Audrey che si lasciava scivolare contro le pareti della scatola cranica rivolgendomi uno sguardo torvo.
Quello era un giorno chiuso ai clienti e a parte l’uomo delle consegne non avrei visto nessuno, dato che pure il capo era via. Non volevo restare da sola, avevo il terrore che il silenzio prendesse il sopravvento nel negozio, che mi lasciasse il modo di pensare, pensare a qualsiasi cosa che non fosse il lavoro. Se avesse vinto il silenzio tornare a casa quella sera sarebbe stato davvero impossibile. Noel riprese a suonare come se non fosse stato mai interrotto, con la stessa espressione seria, anche un po’ contrita di prima, mentre io mi mettevo senza preoccupazioni a fare i conti di fine mese. Semplicemente lasciai che mi trasportasse la musica, basta, niente di più.
 
Fuori dalla vetrina del negozio il cielo si era fatto, se mai possibile, sempre più scuro e tetro. Le mie teorie sulla depressione dei Mancuniani si ripresentarono nella mia testa, con Audrey che ci faceva a pugni per quanto erano assurde, ma quanto meno, con gesto pietoso, le risparmiai a Noel.
Ecco, Noel erano le sette di sera ed era ancora qui, il fattorino con le ordinazioni e quindi anche la sua pedaliera era arrivata circa un’ora e mezza prima. E lui era ancora qui. Dapprima aveva provato la pedaliera, giusto per vedere se funzionasse, e ovviamente minacciandomi dicendo di pregare che fosse così, ma per mia fortuna (?) ogni effetto veniva perfettamente riprodotto dalla Rickenbacker per cui potei gridare alla mia salvezza (?). Comunque, alla fine si era messo a scribacchiare appunti su di un foglio di carta, e dubitavo fossero per il suo tanto amato lavoro, non osai indagare però. A me serviva che ci fosse qualcuno nella stanza a distrarmi mica impicciarmi negli affari altrui.
Passò ancora un’ora di scribacchiamenti vari e mi ritrovai seduta sul pavimento, la schiena contro la parete e una pizza margherita consegnata a domicilio in grembo. Accanto a me Noel strimpellava un riffettino stupido, la chitarra adagiata sulle gambe.
Presi un sorso di birra da una delle sei lattine che avevamo a disposizione, - Sai che non ricordo più che cazzo ci fai qui? –
Noel si voltò appena verso di me – Sei tu quella che ostenta un’intelligenza superiore. Ti pare che lo possa sapere io? –
- Il discorso non fa una fottutissima piega -.
Lui fece in uno sbuffo una risata, ingollò un sorso dalla mia lattina che avevo lasciato sul pavimento. Strano come la birra unisca la gente.
– Diventi più volgare quando sei un po’ brilla -
- Non è per un cazzo vero – bofonchiai aprendo un’altra Guinness.
Questa volta si mise a ridere per davvero, anche se in una strana maniera discreta.
- Ok, lo ammetto: dovresti vedermi quando sono ubriaca per davvero -
- Potremmo provarci stasera ma ho quasi paura di vederti ubriaca, sei già aggressiva a sufficienza da sobria -.
Io mi appoggiai con la testa alla mia spalla, fissandolo, le palpebre un po’ pesanti. Com’è che eravamo arrivati lì? E ora non intendevo a passare un pomeriggio intero nella stessa stanza, oppure a mangiare pizza su di un pavimento, troppo brilli per capire persino che le nostre battute non erano questo granché. Volevo dire, com’è che ora ci intendevamo così? Lo guardavo e non vedevo più una persona a cui avrei potuto dire qualcosa di tagliente, solo per passare ancora un po’ di tempo in compagnia di quel mio stupido gioco fatto di battutine, improvvisamente Noel non era più una persona da cui difendersi. Nella mia vita di quasi adulta non ne avevo incontrata più una così da molto tempo, talmente tanto che forse era un mai.
E pensare che non ci eravamo detti poi chissà che cosa, insomma alla fine tra le poche parole (sue) e tante ma banali (mie) di minimamente consistente avevo scoperto solo che lavorava con una ditta che aveva un subappalto con British Gas. Niente male dopo aver passato sette ore assieme, no? Audrey scosse la testa, prendendo una boccata dalla sigaretta. Già, be’, almeno avevo confermato la mia teoria sul fatto che il suo lavoro gli facesse mediamente schifo.
- Io sono qua in alto – mormorò Noel ad un certo punto usando le mie stesse parole di qualche giorno prima, mi scossi ed alzai lo sguardo verso di lui che mi guardava con un’espressione indecifrabile. Diamine mi ero impallata senza accorgermene, sperai con tutta me stessa di non averlo fissato né per un tempo davvero esagerato né in punti troppo inopportuni, conoscendo la capacità del mio subconscio nell’elaborare pessime figure.
Non capivo cosa stesse dipinto sul suo volto ma di certo non era nulla di negativo, per mia fortuna.
- Dimmi, com’è che sei finita qui, nella ridente Manchester – fece un ampio gesto verso il sobborgo che si allargava oltre la vetrina del negozio – a riparare chitarre? -.
Mi tirai su un poco a sedere meglio puntellandomi sui gomiti, dato che ancora un po’ e sarei finita sdraiata per terra. – Ho iniziato ad occuparmi di strumenti rotti quando avevo tredici anni, lo facevo a pagamento tra i ragazzini della mia strada, all’inizio. Poi, dato che avevo un discreto talento – e sorrisi senza falsa modestia: ci sapevo fare con gli strumenti più che con le persone, era la dannata verità. – sono passata a riparare quelli delle band del posto, infondo ero molto più economica che un negozio e affidabile che non qualche chitarrista che non capiva niente di meccanica. A volte quando partivo con le band per dei piccoli tour d’estate non mi facevo neppure pagare: mi bastava un posto per dormire, birra, sigarette e assistere a qualche buon concerto -.
- Eri anche tu una roadie allora -
- Più o meno, anche se stavo in giro solo poche settimane. Di certo i migliori per cui abbia mai lavorato sono stati i Pogues -, al che Noel non poté che inarcare le sopracciglia, - era durante il tour scozzese, io ero ad un festival a cui dovevano suonare, ma non si riusciva a far funzionare gli amplificatori. Erano talmente disperati che quando hanno scoperto che tra il pubblico c’era una tizia che andava dicendo d’essere in grado di farli partire non si sono fatti troppe domande -.
Lui si passò un pollice sul labbro inferiore, scettico – E ci saresti riuscita? –
- Con Joe Strummer che ti fissa la schiena mentre lavori sarei riuscita oppure sarei morta tentando -. Risi ma intanto avvertii una stretta allo stomaco, ripensando al giorno più bello della mia stupida vita. Perché era così lontano, odiavo il fatto di star scordando lentamente la faccia stupita di Joe quando mi ero alzata, vincente dopo lo scontro con gli amplificatori. Mi stropicciai gli occhi – Per riconoscenza mi fecero rimanere in tour con loro per la seguente settimana -.
- Perché non lo fai più anche qui? Insomma con le chitarre ci sai fare – commentò Noel, rigirandosi un plettro tra le dita.
- Semplice perché al nord, a casa, mi conoscevano nel circondario e si fidavano. Qua sono solo una ragazzetta che sa aggiustare una Rickenbacker – mormorai vagamente irritata – e poi ho un affitto da pagare, non posso sprecare tempo aspettando che Joe Strummer si ricordi di me -, sorrisi amaramente a Noel. Era strano spiegare certe cose ad una persona più che vecchia di me che avrebbe già dovuto sapere come girava il mondo. E, ne ero sicura, lo sapeva, solo non lo ammetteva. Tirai fuori dalla tasca dei jeans una scatoletta, dentro c’era l’ultimo spinello che mi rimaneva, chissà quando avrei avuto soldi abbastanza per comprarmi altra erba. Cercai di non pensarci mentre tiravo fuori anche l’accendino per accendere.
Mi voltai verso Noel, di cui sentivo lo sguardo inquisitorio addosso, - Non dico che i sogni non esistano, ok? Solo non sono fatti per una come me – presi una boccata profonda, tenendomi il fumo dentro, tutto dentro. Inclinai la bocca in un ghigno, osservando lo spinello che avevo tra le dita – Ecco forse questo è l’ultimo sogno che mi rimane… vuoi condividerlo? –
Senza dire nulla fece pure lui un tiro, - Non so…  - sospirò con un filo di voce – A volte credo di non essere stato messo qui solo per sfasciarmi le mani lavorando in un cantiere. Qui per adeguarmi, perché non dovrei poter essere un fottuto astronauta se lo desiderassi? -. Gli puntai un dito addosso, punzecchiandolo sulla spalla – Non l’avrei detto! – esclamai un po’ troppo euforica, il mio sogno da rollare stava iniziando ad avere effetto – Sei un ottimista. Bene, la gente ha bisogno di questo genere di persone, non degli stupidi nichilisti come me -.
-
- Con questa frase ti auto-annichilisci e allo stesso tempo dai tu stessa prova di poter pensare ottimisticamente -, e mi scostò la mano dalla sua spalla, dato che ancora non avevo smesso di pungolarlo con aria ebete.
- Scusa ma l’ultima frase non l’ho capita, mi sono persa un po’ prima – strinsi gli occhi concentrandomi sull’idea  – davvero vorresti fare l’astronauta? -
Tacque. Si mise in piedi, stiracchiandosi, la Rickenbacker in mano - Forse, perché no? – mi domandò guardandomi dall’alto.
Risi, questa volta grazie a Dio non per effetto dell’erba, ma per la buffa espressione che m’aveva rivolto. Con quella faccia era impossibile non credergli.
- E ora prima che la tua lucidità scivoli via completamente -, mise la Rickenbacker nella custodia, - mi verresti a sentire suonare settimana prossima al pub all’angolo di Devon Street? -.
- Ammettilo, in realtà me lo chiedi ora proprio perché non sono padrona delle mie facoltà cognitive -.
Lui sorrise, con un sorriso davvero imperfetto, ma neppure quella perfettina della mia Audrey se ne curò, - Lo ammetto, allora verrai? –
- Settimana prossima, pub di Devon Street – ripetei convinta – E ora vattene che ho sonno -, gli lanciai addosso le chiavi del negozio colpendolo sul petto ma lui fu comunque abbastanza reattivo da afferrarle prima che cadessero – Chiudi tu, e lasciale nel vaso della pianta accanto alla porta – riuscii a bofonchiare in uno sbadiglio, il capo m’avrebbe licenziato in tronco se avesse saputo che davo le chiavi del negozio in mano a sconosciuti.
Noel mi osservò un attimo perplesso, probabilmente dal fatto che volessi dormire in negozio, ma poi fece spallucce e messosi la chitarra in spalla uscì nel buio di Manchester. Finalmente mi lasciai scivolare sul pavimento, esausta anche se non sapevo di cosa. Sentii lo sferragliare delle saracinesche che venivano chiuse a chiave, e forse un “buona notte” mormorato appena che però non riuscì a raggiungermi completamente, soppresso dal rumore di metallo.
Mi rannicchiai, e chiusi gli occhi. Sapevo che sarei stata scomoda e al freddo, ma non volevo rovinare quella giornata tornandomene a casa.
Quella notte sognai astronauti. 

Well it's alright, It's alright
Who are you and me to say
What's wrong and what's right
Do you still feel like me,  
We sit down here and we shall see
We can talk and find common ground
Or we can just forget
About feeling down
We can just forget
About life in this town.

It's funny how your dreams
Change as you're growing old
You don't wanna be no spaceman
You just want gold
All the dream stealers
Are lying in wait
But if you wanna be a spaceman
It's still not too late 


La canzone di questo capitolo è la B-side di Shakermaker http://www.youtube.com/watch?v=qaMY9hQ1Wcs
Questo capitolo è dedicato alla memoria di Joe Strummer, cantante dei Clash R.I.P.
Un ringraziamento a tutti coloro che leggono, e uno speciale a Buddy che ha aggiunto la storia ai preferiti =)
 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Oasis / Vai alla pagina dell'autore: thewhitelady