È
la prima volta che mi cimento in una storia con ambientazione storica. Prima di
inserire i vari dettagli ho intenzione di assicurarmi che siano compatibili con
l’epoca, ciò non vuol dire che io non possa essere facile preda
degli errori temporali, perciò se ne vedete vi prego di farmeli notare.
Lo stesso vale anche per i nomi, sorvolate solo su quello della protagonista,
le ho affibbiato il nome di un tubero ^.^
Spero
davvero che possiate gradire la storia, grazie per essere passati di qua!!
Il
capitano Emerald solca i mari a bordo della sua nave, ingloriosamente
soprannominata
“Lei
è un uomo fortunato, signor Brome” disse
Taro, con voce morbida, accarezzando la mano callosa del vecchio, con le sue dita
di ragazzina, non ancora entrata nell’età adulta.
“Fortunato? Fortunato?”
ripeté con gli occhi fuori dalle orbite, il vecchio, “Sono
imbarcato su una nave che mi porterà alla gogna, e tu dici che dovrei
essere un uomo fortunato?” continuò l’individuo barbuto, la
cui mano inerme era l’unica parte del corpo che usciva dalle sbarre, in
cui era rinchiuso, da troppo tempo.
Taro,
seduta su uno sgabello, non molto stabile, annuì decisa, senza lasciare
la mano del prigioniero.
Passò
di nuovo l’indice sulla linea della vita, massaggiandogliela, per poi
spostare dolcemente il sedile ed alzarsi.
“Buona giornata, signor Brome”
augurò prima di girare i tacchi, con un sorriso. Il vecchio
appoggiò, con un rumore sordo, la fronte, alle sbarre della sua cella. Sarebbe
morto, sarebbe morto entro poco tempo, pochi mesi al massimo. Non riusciva a
capire dove la nave si stesse dirigendo, ma di sicuro prima o poi sarebbe
giunta di fronte al Governatore Collins.
La
ragazzina, attraversò il corridoio con decisione, mentre il suo vestito
bordeaux si muoveva seguendo i suoi movimenti. Era stato un bel vestito una
volta, ma il sole e la salsedine l’avevano rovinato.
A
Taro non importava granché. Ogni tanto tornava in città, o veniva
portata nelle ville signorili di campagna, per un tea, in quelle occasioni
sfoderava il vestito color avorio coi pizzi e il temibile corpetto. Un pezzo di
stoffa pomposo e piuttosto scomodo a suo parere, facile da sporcare.
Un
uomo non troppo vecchio, ma che aveva ormai perso tutti i capelli castani che
possedeva, allungò la mano oltre la sua cella che puzzava di urina per
afferrare un lembo del vestito della ragazzina.
“Taro…Taro
vieni qui da me…”disse lascivo
“fatti toccare Taro…le ragazzine vergini come te non piacciono a
nessuno…” cantilenò.
Ma
Taro viveva in un mondo proprio, sembrò perfino non notarlo, e
l’uomo arreso e affamato fece scivolare le dita sulla stoffa polverosa,
per poi lasciarla andare come un alito di vento.
La
ragazzina afferrò con decisione il corrimano di legno, e salì a
grandi passi la scala che portava sul ponte della nave.
Rimase
qualche secondo ferma sotto coperta, col piede sospeso, indecisa se varcare la
soglia o meno.
Un
ragazzone coi capelli rossicci e un gilet fradicio si affacciò a
guardarla.
“Che
cosa stai facendo?” chiese perplesso guardando
quella ragazzina con gli occhi nocciola e i capelli biondi, che non si poteva
definire propriamente bella.
“Aspetto
che finisca di piovere” spiegò con un sorriso prima di scrutare il cielo pensosa. Il ragazzo la imitò perplesso.
L’acquazzone li aveva abbandonati, ormai non cadevano che poche gocce.
Rimasero
entrambi a guardare verso l’empireo cupo, col naso all’insù.
“Adesso,
ha smesso di piovere!” esclamò allegra dopo poco decidendosi a
uscire da sotto coperta.
Vance
la guardò per poi guardare di nuovo verso l’alto, incerto, lui non
aveva notato nessun termine preciso, ma effettivamente anche le goccioline
leggere che spesso tardavano a sparire erano scomparse.
Subito
una goccia scivolata dalle vele raccolte, ma irrimediabilmente bagnate le
precipitò nel bel mezzo della fronte.
Taro
alzò la testa. “Accidenti, mi dimentico sempre delle vele” pensò
battendosi la mano sulla fronte umida.
Vance
alzò gli occhi al cielo grigio questa volta non per scrutarlo ma per
astenersi dal sospirare, mentre la ragazzina attraversava il ponte a passo di
marcia fischiettando, nel modo più disdicevole, per una dama, seppur in
miniatura, come lei.
Il
capitano se ne stava fermo a guardare l’orizzonte, che finalmente, dopo
il temporale, si stava rischiarando.
Non
si accorse della ragazzina finché lei non gli fu affianco, e poté
scorgerla con la coda dell’occhio.
“Ha
smesso di piovere” disse da sotto la sua barba lunga e ormai grigia. Taro
annuì contenta.
“Ci
sono novità?” domandò poi l’uomo, che affianco a
quella figurina bionda e minuta sembrava un gigante.
“Alberic si romperà un braccio scendendo le scale che
portano alla stiva” iniziò a elencare, Taro, con fare pratico.
Il
capitano Emerald sbuffò sotto la coltre di barba “Per la miseria,
non voglio più che quella spugna si beva tutto quel rum, se poi finisce
per cadere dalle scale, non me ne faccio nulla di un marinaio infermo…”
sbottò adirato, ma Taro sapeva che era anche preoccupato che uno dei
suoi uomini si facesse male.
“Altro?”domandò
poi, dato che la ragazzina non spiccicava parola attendendo che lui la smettesse
di imprecare all’indirizzo di Alberic.
Taro si grattò il collo e annuì per
la seconda volta, mentre il capitano si affrettava per non perdersi un solo
movimento delle labbra della ragazzina “Verremo attaccati da dei banditi. Sta notte.”
L’uomo si accigliò “Banditi? Stanotte?”
esclamò guardandola con aria truce.
“Ma
sono banditi simpatici!” si affrettò a dire lei con aria convinta
mentre il suo interlocutore ignorava del tutto la sua ultima affermazione.
“Bah.. il lavoro ci si butta tra le braccia. Che
altro?” domandò per l’ennesima volta.
“Cyrus brucerà di nuovo la cena” aggiunse con
fare conclusivo, Taro. Probabilmente quella fu l’affermazione che scosse
di più il capitano.
“Per la miseria! Anche oggi no! Dobbiamo fare
qualche cosa, Taro, non ne posso più di mangiare pesce bruciato!”
sbuffò esasperato tornando a guardare il mare ancora mosso, che dava
molta più soddisfazione che pensare alla cena che lo attendeva.
“Porteranno
problemi?” domandò poi senza guardarla, per poi voltarsi a sentire
la risposta.
Taro
alzò le sopracciglia facendo segno di non aver capito la domanda. “I banditi! I banditi, Taro,
porteranno problemi, i banditi?” chiese un po’ seccato.
La
ragazzina scosse la testa con convinzione e il capitano Emerald sospirò
“Almeno una buona notizia, avremo qualche altra testa da portare al
governatore Collins”.
Taro
non sembrò ascoltarlo. Il capitano era abbastanza sicuro che non amasse
la loro vita da cacciatori di teste, ma se ne stava zitta al suo posto.
L’idea di andare alla ricerca di persone che avevano un prezzo, per poi
farli appendere a una trave con una corda al collo non la entusiasmava, ma non
la entusiasmava neppure la pelle d’orso che lui teneva gelosamente, come tappeto,
nella sua stanza sulla nave, eppure lei faceva finta di niente.
“E le sirene? Ne hai viste?” chiese
dopo qualche secondo di silenzio.
La
ragazzina bionda scosse la testa “Però ho visto un dugongo”
esclamò allegra. Il capitano Emerald la guardò scandire
velocemente quelle parole prima di sbottare tra il perplesso e l’esasperato“Un
dugong…cosa ce ne facciamo di un dugongo,
scusa?”
Taro
alzò le spalle “Sono animali simpatici!”. L’uomo
alzò gli occhi al cielo, simpatici, sì, come i banditi che
sarebbero venuti a rapinarli quella notte.
“Dov’eri
mentre noi tenevamo a bada la tempesta?” chiese poi l’uomo
cambiando discorso.
“Dal
signor Brome!” esclamò la ragazzina con
un gran sorriso. Il capitano, che suo malgrado, già
conosceva la risposta la rimproverò “Quante volte ti ho
detto che non devi andare nella stiva da sola? Quel tipo
quasi calvo, Walford, non mi piace come ti
guarda…” sbottò con l’amaro in bocca. Avrebbe
voluto tirargli il collo come se fosse stato una gallina, a quel verme, quando
lo vedeva mentre fissava Taro.
La
bambinetta alzò le spalle “Io non mi sono accorta di nulla”
disse sinceramente prima di saltellare allegra attraversando il ponte bagnato,
avviandosi verso un uomo basso vestito con abiti orientali, intento a imprecare
in una lingua che lei non conosceva.
Il
capitano Emerald sospirò guardandola allontanarsi in direzione del suo
marinaio preferito, Long. L’aveva raccattato più morto che vivo su
un’isoletta dell’estremo oriente, e l’aveva portato via con
sé.
Appoggiò
un piede sul parapetto della nave godendosi l’orizzonte. La sua Rose Mary II
l’aveva accompagnato in tante traversate, peccato solo che quegli
screanzati dei suoi marinai l’avessero soprannominata La sirena baffuta, per colpa di
quell’incidente con la sirena decorativa che ornava la prua. La vernice
con cui avevano dipinto i capelli aveva finito per colare in maniera tale da
donarle due grossi baffi, piuttosto ridicoli.
L’uomo
sbuffò sonoramente, dugonghi, sirene coi baffi, non vedeva l’ora
di scendere a terra e mangiarsi una buona bistecca, non se ne poteva più
del pesce bruciato che cucinava Cyrus!