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Autore: _Sihaya    27/03/2011    2 recensioni
Finale alternativo per la saga di Harry Potter!
- Dimenticate l’epilogo di Harry Potter e i doni della morte (Diciannove anni dopo);
- eliminate circa le ultime otto pagine del finale e precisamente fermatevi alle seguenti parole (cito testualmente): “[…] L’alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire… Poi accaddero molte cose contemporaneamente.
- Ora domandatevi: “Quali cose sono accadute? E se fossero state dimenticate?”
[Ai capitoli 13, 19 e 27 trovate un breve riassunto degli eventi!]
Genere: Guerra, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Angelina/George, Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Capitolo 21 - Pensieri

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Entrerò nei tuoi pensieri di una notte che non dormi,
e sentirai freddo dentro…

Raf, Non è mai un errore

 

* * *

 

Capitolo 21 – Pensieri

 

Ron, entrato in cucina per fare un ultimo spuntino serale, fu interrotto da Molly prima che potesse aprire la dispensa. Fu visibilmente sollevato quando capì che sua madre non intendeva rimproverarlo, ma consegnarli qualcosa.

 

« Ti ho portato un pigiama per questa sera, » disse Molly porgendogli un abito ripiegato; Ron aggrottò la fronte, preoccupato dai giganteschi pois giallo limone che ne decoravano il tessuto.

 

« Ma dai, mamma, è orribile! » protestò.

 

Molly si rabbuiò: « Non fare storie, Ron, sei arrivato qui all’improvviso, non ho potuto procurarmi di meglio. »

 

Ron insistette: « Posso fare senza. »

 

« Fa freddo, non ti vorrai ammalare prima di andare in missione! » lo rimbeccò la madre.

 

Ron tagliò corto (con sua madre era inutile discutere) e, sbuffando forte, prese il pigiama.

 

« Prendi anche questa, » disse Molly, improvvisamente triste, porgendogli una bacchetta magica che a Ron parve famigliare.

 

« Non siamo riusciti a recuperare la tua, » spiegò Molly, « così… ecco… ho pensato che potresti  usare quella di tuo fratello… »

 

Ron guardò il bastoncino e sentì una stretta al cuore: era la bacchetta di Fred.

 

Poi vide che sua madre aveva gli occhi lucidi e combatteva contro le lacrime incipienti.

 

L’abbracciò.

 

« Grazie, mamma. »

 

* * *

 

Draco Malfoy non pensava di riuscire a violare la mente di Hermione Granger al primo tentativo. Probabilmente, lei stava dormendo.

Entrando, venne travolto da una miriade di emozioni.

Ansie, timori, palpitazioni, euforie s’intrecciavano davanti a lui senza logica apparente. Mise in campo tutta la propria abilità di Legilimens per ignorarle: batticuori e trepidazioni non gli interessavano, cercava i propri ricordi.

 

Gli erano stati sottratti con l’inganno e nello stesso modo intendeva riprenderseli.

 

Il primo ricordo di Hermione che trovò riguardava un loro incontro presso la sua Villa londinese: l’aveva invitata a entrare nel suo studio e lei esitava sulla porta. L’ arredamento della stanza era impreciso e nebuloso, le emozioni prevalevano sui dettagli; un pensiero, in particolare, lo turbò.

 

S’allontanò di riflesso, come se scottasse.

 

Era la sua immagine vista attraverso gli occhi di lei, coperti da un velo di timore e ammirazione.

 

L’imbarazzo era tangibile.

 

A quell’epoca, Hermione era ancora soggetta all’Incantesimo di Memoria e aveva provato soggezione davanti a quel ragazzo di alto lignaggio, schivo e ambiguo, dai lineamenti spigolosi e lo sguardo freddo.

 

Ne era rimasta affascinata.

 

L’aveva giudicato attraente.

 

Malfoy riusciva a crederci a stento, eppure quel pensiero non passava inosservato: etereo, galleggiava senza meta ed era l’unico a non trovare il proprio posto in quell’archivio ordinato in modo maniacale.

 

Come se per esso non esistesse una collocazione adatta.

 

Come se lei non ne avesse ancora decisa l’importanza.

 

Forse perché l’aveva formulato prima di ricordare le proprie origini, quando sapeva di lui soltanto quello che si vociferava nell’alta borghesia, quando lui non era un Mago, non era un Serpeverde, non era un Mangiamorte.

 

Quando, in pratica, non era Draco Malfoy.

 

Era proprio questo il pensiero che lo aveva scottato: Malfoy è attraente.

 

Un’informazione tutt’altro che utile alla sua ricerca, ma che egli rubò senza esitare.

 

Tuttavia - come lei - non riuscì a trovargli la giusta collocazione, e lo pose a metà fra la ragione e l’istinto.

 

Troppo imbarazzante per poter emergere alla consapevolezza.

 

Troppo pericoloso per stiparlo nell’inconscio.

 

Con in tasca quello che considerò il primo bottino della propria vile scorreria, Malfoy agganciò un secondo ricordo, più recente, che lo condusse in biblioteca.

La stanza era tappezzata da una moquette verde acqua che non ricordava affatto, ma ciò che attirò la sua attenzione era la Ricordella che brillava davanti a lui, sospesa a mezz’ aria.

 

Intuendo d’essere sulla strada giusta, s’affrettò a raggiungere l’oggetto magico, ma quello gli sfuggì per un soffio, infrangendosi a terra.

All’improvviso, una fitta nebbia gli oscurò la visuale; tutto divenne opaco, indefinito, fumoso. Porte e finestre scomparvero, i muri della stanza s’avvilupparono su se stessi, allungandosi e stringendosi, fagocitando ogni via d’uscita. Il pavimento si trasformò in fango e gli cinse le caviglie, impedendogli di muoversi.

 

Doveva andarsene. Scappare.

 

S’accorse d’avere il cuore in gola.

 

Non gli era mai capitato di avere paura esplorando la mente di qualcuno.

 

Non era paura d’essere scoperto.

 

Era paura di sprofondare in quell’etera palude.

 

Paura di avanzare, di addentrarsi in lei.

 

Paura di superare il confine e perdere la strada del ritorno.

 

* * *

 

Ron non riusciva a dormire.

 

Si era riappropriato di tutti i propri ricordi, ma con alcuni non aveva ancora fatto i conti.

Il breve incontro con sua madre lo aveva distrutto. La bacchetta magica di Fred, ora sul suo comodino, era una stilettata conficcata nel petto; continuava a sprofondare in una ferita senza fine, che mai si sarebbe suturata.

 

Quella maledetta guerra gli stava portando via tutto.

 

L’aveva privato di un fratello, del proprio passato, di cari amici e di grandi Maestri.

 

Gli aveva rubato anni di vita insieme a un po’ della sua spensieratezza.

 

E, forse, s’era presa anche un pezzetto di Hermione.

 

A mezzanotte inoltrata si rassegnò e scese al piano terra.

Si fermò sull’ultimo gradino della scala a chiocciola e sbirciò nella sala circolare per assicurarsi che non vi fosse nessuno: non aveva alcuna intenzione di farsi vedere in giro con quel ridicolo pigiama. Il debole fuoco del camino era l’unica fonte di luce e gli permise di avanzare in punta di piedi, con la convinzione d’essere solo.

Si immobilizzò al centro della stanza quando si accorse che, rannicchiata sulla poltrona di fronte al caminetto, dormiva Hermione. Allungò il collo per accertarsi che fosse davvero assopita, poi fece un paio di passi. Si bloccò di nuovo, sentendola emettere un lieve lamento e la scrutò pensieroso.

 

Distesa supina sul letto, non riusciva a dormire.

 

La stanza era troppo piccola, il calore soffocante.

 

Il buio e il silenzio erano talmente profondi che il minimo fruscio diventava motivo di allarme.

 

All’improvviso udì scattare la serratura della porta d’ingresso.

 

Il panico la colse. Il cuore pulsava così forte da farle girare la testa.

 

Udì dei passi.

 

Erano reali?

 

Doveva scoprirlo.

 

Era paralizzata dalla paura, ma fece uno sforzo enorme per allungare la mano e accendere la luce.

 

Non riuscì nemmeno a gridare.

 

Il fiato gelido di un Dissennatore le penetrò in gola.

 

Erano venuti a prenderla.

 

A rubarle l’anima.

 

Hermione si rizzò sulla poltrona e spalancò gli occhi. Le servì qualche istante per calmarsi e smettere di tremare: era stato solo un incubo.

 

Davanti a lei brillavano le braci del camino e per diversi secondi focalizzò l’attenzione su di esse, quasi avessero il potere di tranquillizzarla.

 

L’inquietudine non se ne andò del tutto, rimase la sensazione che quella rappresentazione onirica contenesse un messaggio, un avvertimento.

 

Proteggiti, Hermione.

 

Proteggi ciò che hai di più prezioso.

 

Si massaggiò le tempie, sentiva la mente affaticata come se qualcosa l’avesse tenuta impegnata anche durante il sonno.

 

All’improvviso scattò in piedi.

 

« Malfoy, » sfiatò inviperita, la fronte aggrottata, le labbra livide.

 

Ron sobbalzò sentendole pronunciare quel nome, ma lei non si accorse della sua presenza, era concentrata nell’Occludere la propria mente. Riuscì a nascondere i pensieri più importanti, ma era stanca, troppo stanca per affrontare una logorante azione difensiva.

 

Così, decise di prendere la situazione di petto: sibilò fra i denti un insulto al Serpeverde e si diresse a grandi passi verso l’uscita del Rifugio.

 

Senza farsi notare, Ron la seguì preoccupato.

 

* * *

 

George Weasley era seduto accanto ad Angelina, sul suo letto nell’infermeria. Era lì per salutarla prima di partire.

 

Lei era visibilmente contrariata: odiava non prendere parte alle missioni. In quelle condizioni si sentiva solamente un peso per tutti e questo non le piaceva affatto. George aveva cercato di consolarla con qualche battuta, ma aveva ottenuto l’ effetto contrario.

 

« Se sono costretta in questo letto, la colpa è solo tua! » disse irritata.

 

George sogghignò; poi, in uno slancio di tenerezza, le prese la mano.

 

« Quando sarà finita questa guerra, ti voglio sposare. » Lo disse ridendo, ma era sincero.

 

« Lo faresti solo per Molly... » ribatté scettica Angelina.

 

Lui scosse la testa e avvicinò le labbra al suo orecchio.

 

Non era abituato a certe smancerie, per cui parlò sottovoce: « No. Lo farò perché ti amo. »

 

Nemmeno lei era abituata e arrossì. Cercò scherzosamente di allontanarlo, ma finì per ricambiare il bacio, intenso e dolce, che lui aveva deciso di darle all’improvviso, per imprimerle bene nella testa che faceva sul serio.

 

« Tornerò in tempo per far nascere il pupo, te lo prometto! » disse spavaldo.

 

« Guarda che la data del parto è tra cinque giorni! » obiettò lei.

 

George ribatté sicuro: « Oh, ma noi concluderemo la missione in un paio di giornate al massimo! »

 

« L’unica cosa importante è che torni sano e salvo, » si raccomandò lei.

 

« Puoi giurarci! » disse lui di rimando, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni una piccola rosellina azzurra e gliela allungò: « Tieni. »

 

« Cos’è? »

 

« Un regalo. Così non ti dimentichi di me. »

 

Lei alzò un sopracciglio con fare ironico: « Sto per partorire tuo figlio. Come faccio a dimenticarmi di te? »

 

Lui sorrise, la baciò di nuovo e la salutò.

 

« A presto » disse uscendo dalla stanza.

 

Lei gli augurò buona fortuna poi, quando chiuse la porta, guardò la rosa che le aveva regalato e si commosse.

 

Ne annusò il profumo stringendo le palpebre perché non voleva mettersi a piangere, ma ad un tratto il fiorellino iniziò a vibrare e, prima che lei potesse accorgersene, esplose in una disgustosa gelatina che schizzò ovunque, imbrattandole mani e viso.

 

“Così non ti dimentichi di me.”

 

Angelina alzò gli occhi al cielo profondamente seccata.

 

Già.

 

Come ci si può dimenticare di George Weasley?

 

Sospirando, scese dal letto con fatica e s’avvicinò al lavabo.

 

Mentre si sciacquava le mani, sentì un’inaspettata e dolorosa fitta al basso ventre. S’aggrappò al lavandino per qualche istante e strinse i denti.

 

Il dolore, inizialmente intenso, scemò rapidamente.

 

L’acqua scorreva ancora dal rubinetto aperto e lei fissò il vortice di gelatina che veniva risucchiato nello scarico.

 

All’improvviso, ebbe due certezze.

 

Che non sarebbe stato facile crescere un Weasley…

 

E che George non avrebbe mantenuto la sua promessa.

 

* * *

 

Per pochi minuti, le cupe nubi si erano diradate sopra al cielo di Hogwarts e la neve scintillava sotto la luce lunare, dando alla tranquilla radura un aspetto magico.

Dennis Canon alzò gli occhi ed assaporò quei brevi istanti di serenità, ben sapendo che il Marchio Nero sarebbe tornato presto ad oscurare la luna, sfregiando il cielo con macabri lampi verdi e richiudendo la valle in una soffocante cupola di terrore.

Nonostante il raro momento, il freddo invernale era intenso e Dennis si strinse nel mantello ritornando alla propria attività di sorveglianza. Era orgoglioso che quel compito fosse stato affidato a lui (nonostante fosse il più giovane dell’Esercito) e intendeva svolgerlo diligentemente.

 

Non aveva avuto occasione di conoscere Draco Malfoy di persona ai tempi della scuola, ma aveva sentito abbondantemente parlare di lui, per questo trovava piuttosto sospetta la rassegnazione con cui aveva accettato la propria prigionia. Inoltre, conosceva meglio di altri la malvagità dei Mangiamorte, perché aveva perduto il fratello a causa loro.

 

Scrutò pensieroso la tenda che ospitava il Serpeverde.

 

Tutto intorno era calma piatta, finché all’improvviso qualcuno spuntò dal bordo della radura…

 

Era Hermione Granger.

 

Dennis fece un cenno per salutarla da lontano, ma lei camminava così rapida e nervosa che non lo notò. In altre circostanze avrebbe fatto un secondo tentativo, ma un brivido glielo impedì.

 

Hermione si stava dirigendo dritta verso la tenda del prigioniero!

 

Dennis, cupo, avanzò qualche silenzioso passo e si nascose dietro ad un grosso albero; aggrottò la fronte, aguzzò lo sguardo e tese le orecchie.

La ragazza calpestò gli ultimi metri con furia e quando raggiunse la tenda ci s’infilò dentro, senza esitare nemmeno un secondo.

 

Se quell’immagine stupì Dennis, ciò che vide dopo lo lasciò letteralmente di sasso.

 

Ron Weasley apparve nello stesso punto da cui era arrivata Hermione: affannato, disorientato e infreddolito, con indosso solo un buffo pigiama a pois. Si guardò intorno alcuni istanti prima di notare una traccia di inequivocabili orme che si dirigevano verso una strana tenda issata al lato opposto della radura…

 

* * *

 

La tenda che ospitava Malfoy era ampia e calda, ma spoglia esattamente come una prigione. Il ragazzo se ne stava sdraiato sul letto, con scarpe e abiti ancora indosso, le braccia incrociate dietro la nuca, lo sguardo pensoso fisso nel vuoto e il viso imbronciato.

 

Quando l’ingresso si spalancò e un’ondata d’aria gelida varcò la soglia insieme a Hermione Granger, Malfoy pensò d’essere piombato in un incubo.

 

Poi lei sfoderò un secco insulto e lui capì che era realtà.

 

Balzò rapidamente in piedi, pronto a difendersi, sia a parole che coi fatti.

 

« Che cosa credevi di fare? » esplose lei agitando la bacchetta magica che teneva in mano.

 

Lui non si scompose più di tanto: « Speravo di riuscire a dormire, ma a quanto pare c’è un disgustoso incubo che mi tormenta… »

 

Lei scosse furiosamente i riccioli spettinati e fece alcuni passi avanti puntandogli la bacchetta sullo sterno: « Sai benissimo di cosa sto parlando. Se credi di poter ricostruire in quel modo i ricordi che Luna ha cancellato, scordatelo! Non provare mai più a violare i miei pensieri! »

 

Hermione era fuori di sé e Malfoy sembrava intenzionato ad esasperarla: « Puoi giurarci! Hai una mente che fa schifo, Granger, c’è puzza di babbano in ogni angolo! »

 

« Tipico di un Serpeverde! » berciò lei, « invece d’essere riconoscente dopo quello che ho fatto per te, cerchi di fregarmi! »

               

« Sono prigioniero in mezzo al nulla, Granger, non dirmi che t’aspetti dei ringraziamenti. »

 

« Seguirmi fin qui non faceva parte del nostro patto. »

 

Lui alzò un sopracciglio: « Il nostro patto, Granger? Il nostro patto? Non mi risulta che siamo soci… o possiedi un contratto con la mia firma in calce? »

 

Lei ringhiò stizzita: « Tu hai ottenuto quello che volevi: tornare a Hogwarts; e io – ora - ti chiedo solo una cosa, Malfoy: lasciami in pace! »

 

« Potrebbe dispiacerti… »

 

Lei lo fulminò con lo sguardo e una domanda le morì sulle labbra: “Che cosa intendi dire, Malfoy?”

 

Lui sembrò leggerle nuovamente nel pensiero: « E’ stato… come dire… istruttivo… scoprire che mi trovi affascinante. »

 

Quella battuta la raggelò.

 

Sul volto di lui si formò lentamente una strana espressione, che a Hermione sembrò un crudele sogghigno.

 

La frase era stata pronunciata come una provocazione, ma le parole erano ambigue: dentro di esse ne nascondevano altre, come scatole cinesi.

 

Fino a dove era arrivato esplorando la sua mente?!

 

Hermione era inorridita, l’espressione congelata.

 

Malfoy non aveva idea del perché avesse scelto proprio quelle parole (e forse avrebbe dovuto chiederselo), erano uscite spontanee come quelle di un bambino, ma la cosa importante era che l’avevano zittita. Ed era incredibilmente piacevole vederla così impietrita, con la mano destra a mezz’aria, il dito indice puntato verso di lui e le altre dita strette intorno alla bacchetta.

 

Lei boccheggiò un poco, per un tempo che le parve infinito, poi con enorme fatica parlò: « Io - »

 

Venne interrotta all’improvviso.

 

Lungi dall’immaginare cosa vi avrebbe trovato, dentro la tenda comparve Ron Weasley.

 

« Hermione! » esclamò, e poi, dopo un istante di sgomento, « Malfoy?! »

 

Hermione si girò verso di lui coi nervi a fior di pelle. Era talmente tesa che il solo voltarsi le procurò dolore.

 

Era un guaio.

 

“Non dire a Ron ed Harry di Malfoy” si era raccomandata Ginny…

 

Non si poteva più tornare indietro.

 

« Diamine, Granger, hai così paura di me che ti fai seguire da una guardia del corpo? » la derise Malfoy.

 

« Che diavolo ci fai tu qui? » sbottò Ron aggressivo, avanzando a grandi passi verso il Serpeverde.

 

Malfoy lo guardò con strafottenza: « Weasley, come sei conciato? Carnevale è ancora lontano. »

 

Ron sbuffò infuriato: era guerra aperta.

 

Hermione iniziò a temere il peggio. « Ron… » balbettò fra i denti, « mi hai seguito? »

 

Lui annuì.

 

« Va’ via, » ordinò secca, rimandando ogni spiegazione a più tardi.

 

« Non ci penso nemmeno! Non ti lascerò sola con questo - »

 

« Non avresti dovuto seguirmi! »

 

« E invece, per fortuna, l’ho fatto! »

 

« Non complicare le cose più di quanto serva, Ron! »

 

« Non sto complicando le cose, sono solo preoccupato per te! Se Malfoy ti sta ricattando o ti ha fatto del male o… Io e Harry possiamo aiutarti, vorrei che tu lo capissi! »

 

« E io vorrei che capissi che sono in grado di cavamela da sola! » sbottò lei. Poi, con espressione minacciosa piantò gli occhi in quelli di Malfoy e fece un passo verso di lui.

 

Il ragazzo vacillò impercettibilmente per l’intensità di quello sguardo, ma non abbassò il proprio.

 

« Quanto a te, » minacciò lei, « prova a rifarlo e ti lascerò a marcire fra queste montagne! »

 

E così dicendo, senza quasi rendersene conto, gli picchiettò con l’indice destro sul petto, una, due, tre volte…

 

Malfoy rabbrividì.

 

Con il dorso della propria mano colpì quella di Hermione scansandola da sé: « Non mi toccare » ringhiò.

 

Lei si ritirò immediatamente.

 

« Andiamo, Ron » disse orgogliosa, voltandogli le spalle.

 

Malfoy tirò le labbra in un ghigno. Era inutile che si nascondesse dietro quel cipiglio agguerrito, sapeva d’averla ferita: l’aveva letto a caratteri cubitali sul suo viso.

 

Lei, dal canto suo, si ritenne soddisfatta. Era sicura d’averlo umiliato con quel gesto confidenziale esibito davanti all’amico; aveva oltrepassato il limite implicitamente tracciato fra loro.

 

Ciò che entrambi ignoravano, però, era che quella brusca reazione non aveva lo scopo di proibire alla mano di lei d’infangare la pelle di un purosangue, ma d’impedire alle sue dita di sfiorargli il cuore.

 

* * *

 

   
 
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