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Autore: Miss Demy    27/03/2011    33 recensioni
C'è una melodia che suona scandendo i battiti del cuore. E' una melodia fatta di dolci ricordi, di tristi realtà, di amare accettazioni.
E' una melodia che suona quando si prova amore puro e incondizionato.
Che sia per la persona amata o per il frutto dell'amore per quella persona.
Usagi la sente suonare ogni giorno dentro di sè. Da ormai cinque anni.
Dal cap. 3:
- "Il tuo cuore batte forte, Usako."
"Sembra una melodia, Mamo-chan. Ascoltala insieme a me, stanotte."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chibiusa, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Cap.5: Forse… non più

Il senso di vuoto nell’anima di Usagi, la sua angoscia e la paura iniziale lasciarono posto alla voglia di dimenticare quello spiacevole episodio e di ritornare alla tranquillità. Presto anche i battiti del cuore di Mamoru ripresero un ritmo lento e costante facendo soltanto crescere il desiderio di rasserenare le sue Usagi.
“Vuoi andare da Motoki a giocare ai videogame?” Con voce rassicurante il ragazzo cercò di far ritornare il buon umore alla bambina, prendendola in braccio e staccandola così dal corpo di Usagi. Solo quando la piccola lasciò la madre, cingendogli il collo, annuì ancora triste mentre i due ragazzi iniziarono ad incamminarsi verso l’uscita del parco.

Arrivati all’ingresso del Crown, nuove locandine su Sailor V erano state apposte sulle porte scorrevoli che si aprirono permettendo loro l’accesso. Quel giorno il locale era quasi vuoto, le sedie e i divanetti erano liberi e i tavoli puliti; la prima cosa che i ragazzi notarono entrando furono tre ragazzine che gustavano i loro gelati tra una risata e l’altra. Soltanto quando scorsero oltre, due sorrisi pieni di sorpresa uscirono dalle labbra di Usagi e Mamoru. Si avvicinarono al tavolo e Usagi cercò di far voltare anche la piccola ancora stretta al padre con il mento sulla sua spalla.
“Guarda chi c’è, Chibi-chan” disse accarezzando la schiena della figlia. La piccola si voltò incuriosita, distendendo le labbra in un debole sorriso.
“Che bella sorpresa! Bentornato Mamoru!”, Ami si alzò per andare ad abbracciare i suoi amici, seguita da Rei.
“Grazie ragazze, è bello rivedervi”, continuò Mamoru mentre abbracciava le amiche. In quel momento un pizzico di gelosia fu visibile negli occhi e nello sguardo di Usagi. Sapeva che era assurdo essere gelosa delle sue amiche ma il semplice guardare il ragazzo che amava sorridere o abbracciare qualche altra ragazza all’infuori di lei le dava il sangue al cervello.
“Ma guarda chi è tornato!” Una voce la distrasse, facendola voltare alla sua destra; notò così Motoki che, col suo grembiule bianco e il solito sorriso dolce e rassicurante, stava andando loro incontro. Mamoru, col braccio libero, lo strinse forte, come se fosse un fratello:
“Motoki, non sai che piacere poterti riabbracciare.”

Era strano ma allo stesso tempo bello; il tempo sembrava essere trascorso in fretta eppure ogni volta che si rivedevano i due amici ritrovavano quella complicità che li aveva uniti fino a qualche anno prima.
Motoki era davvero un ottimo amico, l’unico di cui Mamoru si fidava e sapere che Usagi lavorava lì con lui lo rasserenava.

Si era sempre comportato in maniera rispettosa e degna di fiducia.
Il ragazzo dai capelli corvini ricordava che, quando Motoki aveva saputo della gravidanza e della decisione dei genitori di Usagi, non aveva esitato un solo istante,
‘Tranquilla Usagi, al Crown c’è sempre lavoro, una mano in più mi farebbe molto comodo. E poi tu sei un’esperta di videogame, sei la persona giusta!’, aveva detto togliendola dall’imbarazzo e mettendola a suo agio, offrendo un lavoro alla ragazza che considerava come una sorella minore.

“Allora Chibiusa, oggi con mamma e papà?” Il ragazzo biondo con una carezza sulla testa cercò di strapparle un sorriso, notando che la piccola non intendeva staccarsi dal padre; Chibiusa si limitò ad annuire e poi, voltando la testa e guardandolo negli occhi nocciola, con voce mortificata: “La mamma si è spaventata e ha pianto.”
Si girarono tutti curiosi verso la ragazza che si giustificò:
“Si era allontanata al parco e non la vedevo più, così mi sono spaventata”, scostò una ciocca dalla fronte della bambina e, con un dolce sorriso rivolto soltanto a lei: “Ma ora è tutto passato.”
“Sei troppo apprensiva Usagi” la riprese Rei scuotendo la testa ma Usagi guardandola negli occhi non perse tempo a difendersi: “Sono una mamma, non puoi capirmi!”, portando le braccia incrociate al petto e lasciando fuoriuscire un’espressione infastidita per come Rei non perdesse occasione di criticarla.
Mamoru sorrise, ancora una volta gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo. Diede un bacio sulla guancia della sua piccola e si diresse verso alcuni videogame per bambini.

Le tre ragazze si sedettero al tavolo dove erano ancora poggiati due bicchieri di vetro con il the freddo.
“Allora Usagi, come vanno le cose con Mamoru?” chiese Ami iniziando a far girare la cannuccia nel bicchiere.
La biondina alzò le spalle, continuando a fissare col sorriso sulle labbra il suo Mamo-chan divertito e la sua piccola intenta a schiacciare i pulsanti del videogame, poi il sorriso scomparve e con aria seria: “Credo che non cambierà mai nulla tra noi”, rispose demoralizzata.
Le due ragazze si guardarono, dispiaciute ma non sorprese dal fatto che per l’ennesima volta si parlasse di quell’argomento; Rei, scostando dalla spalla una ciocca dei lunghi capelli neri e cercando di fare coraggio a quella che considerava una sorella prese la parola:
“Usagi, sai come la penso; devi cercare di farti forza e dimenticarlo”, ma vedendo l’amica con gli occhi ancora rivolti verso il ragazzo, continuò: “Lui farà sempre parte della tua vita ma devi andare avanti, l’ultima volta che è partito non hai mangiato per due settimane.”
“Sì Usa-chan, Rei ha ragione, non puoi stare male per lui, non è giusto. Devi andare avanti con la tua vita” la appoggiò la ragazza dai capelli blu.
Usagi non amava parlare di certe cose intime ma aveva bisogno di confidarsi e non tenere tutto ciò che la rendeva agitata per sé: “Mi sa che ho complicato tutto” confessò con tono afflitto, incrociando le braccia sul tavolo e poggiandovi il mento.
“Che vuoi dire?” Rea già presagiva odore di guai, conoscendo l’amica.
Un sospiro, poi Usagi parlò: “Ieri notte abbiamo fatto l’amore”, mantenendo una voce e un’espressione triste.
“Cosa!” incredule le due ragazze, alzarono la voce sgranando gli occhi.
Le tre ragazzine si voltarono verso quelle voci e persino Mamoru, l’unica indifferente sembrava Chibiusa, concentrata soltanto a far raccogliere i pasticcini all’omino del videogame.
Usagi si portò dritta sulla schiena: “Ma siete pazze? Abbassate la voce!” ammonì le ragazze, guardandole negli occhi, sentendosi in imbarazzo.
“Ma allora forse le cose stanno cambiando?” Amy era quella ottimista, con sguardo dolce e le gote leggermente arrossate, guardò l’amica negli occhi azzurri, cercando di trasmetterle la sua positività.
Ma Usagi scosse la testa, sicura: “No. Stamattina mi ha detto che non vuole che quello che è accaduto ieri notte possa rovinare il nostro rapporto”, tornando malinconica e poggiando la schiena alla spalliera del sedile.
“Non avresti dovuto Usagi.” Stavolta fu la mora che, seria e delusa ammonì la ragazza: “Si è comportato da stronzo”, continuò guardando nella direzione del ragazzo e fulminandolo con lo sguardo anche se lui era voltato verso lo schermo del videogame.
Ami notò Usagi in difficoltà, leggendo il suo imbarazzo e capendo che si sentisse incompresa; cercò di dire qualcosa ma la diretta interessata la precedette:
“Non è uno stronzo” iniziò, consapevole che Rei la avrebbe sgridata di nuovo per il suo modo di difenderlo sempre, “È Mamoru… e ieri notte quando ha iniziato a baciarmi…” continuò rendendo dalla sua voce percepibile l’amore che provava per il ragazzo; sospirò: “Non ce l’ho fatta a resistere.”
Usagi era sempre più certa che le sue amiche non avrebbero potuto capirla; tante volte la avevano vista piangere, troppe volte avevano notato i suoi occhi simili a pezzi di vetro opaco quando alla partenza di Mamoru non voleva e non riusciva neppure ad alzarsi dal letto non toccando cibo per giorni. Ed ogni volta Rei, Ami e Makoto cercavano di farle capire che il suo atteggiamento era sbagliato, che la vita andava avanti e che sicuramente fuori da quella stanza buia dove Usagi versava lacrime amare c’era qualcuno pronto a farle battere il cuore e renderla felice per come meritava.

Rei era sicuramente quella che appariva più insensibile ma in realtà era colei che conosceva Usagi più delle altre; era lei che la aveva accolta in casa sua nei nove mesi di gravidanza assistendo ai suoi continui malumori e ai grandi e incessanti momenti di sconforto, era lei che la aveva vista piangere notte dopo notte stretta al cuscino, nel letto accanto al suo, soffocando tra i singhiozzi senza riuscire a smettere ma continuando a ripetere - in preda alla disperazione - quel nome che tanto amava; era una sorella per lei e le voleva un bene dell’anima, e se sua sorella soffriva, il suo compito non era asciugarle le lacrime ma far sì che non piangesse più.

Ami invece era la più sensibile, quella che cercava sempre di trasmettere fiducia e positività ad Usagi. Forse perché studiava psichiatra e quindi riusciva meglio a capire i pensieri delle persone e sapeva rapportarsi con loro senza urtare la loro sensibilità, o forse perché era semplicemente nella sua natura essere dolce e rassicurante; fatto sta che era l’unica con cui Usagi riusciva a confidarsi senza temere di essere rimproverata; l’unica con cui riusciva a parlare di tutto senza temere giudizi ma sapendo che avrebbe trovato sempre il sorriso pieno d’affetto e di comprensione di un’amica vera.

“L’importante è che tu sappia che tra due settimane lui ripartirà”,
Ami cercò di essere delicata, “Non vogliamo continuare a vederti soffrire, è questo che cerca di dirti Rei”, continuò.
“Stavolta resta per un mese” sorrise Usagi con gli occhi luminosi, “Guardate com’è bello il mio Mamo-chan” fece notare con aria sognante.
“Devo ammettere che Mamoru è diventato davvero un bell’uomo” osservò Rei portando la cannuccia alle labbra.
Usagi si voltò di scatto verso di lei, aggrottando la fronte e lasciando visibile un’espressione di pura gelosia, infastidita da quel commento.
“Ma smettila! Piuttosto, pensi continuerai a farti tentare da lui o riuscirai ad essere più riflessiva la prossima volta?”
Usagi sospirò, piena di sconforto: “No. Non credo ci sarà una prossima volta stando al discorso di stamane.”
“Usa, noi vogliamo vederti felice. So che al cuore non si comanda ma non puoi farti del male attendendo un suo minimo interesse a te.” Ami posò una mano sulla spalla della ragazza, donandole uno sguardo colmo di conforto.
“Lo so… lo so.”

E lo sapeva sul serio Usagi che i sorrisi fatti di complicità che Mamoru le donava guardandola negli occhi, i dolci baci coi quali premeva le labbra sulle sue facendole battere il cuore forte, le dita che faceva scivolare sulle sue guance con carezze che le provocavano un brivido lungo la schiena, non erano giusti; capiva che rendevano tutto più difficile. Era come entrare nella migliore pasticceria senza poter assaggiare uno dei tanti dolci esposti sul bancone.
Ma Usagi non riusciva a farne a meno, non avrebbe mai potuto resistere, forse perché semplicemente non voleva resistere. Era consapevole del fatto che, razionalmente, le sue amiche avessero ragione; lei stessa nei mesi in cui si ritrovava lontana da lui se lo ripeteva ma poi, quando lui era lì con lei, preferiva vivere di attimi, di dolci momenti di complicità. Magari sarebbero rimasti per sempre soltanto instanti ma valevano la pena di essere vissuti fino in fondo.

La discussione fu interrotta dalla piccola dai codini rosa che, correndo verso le ragazze con un sorriso sulle labbra, attirò l’attenzione:
“Ho vinto! Ho finito tutti i livelli!” disse poggiando la testa sulle gambe della madre. Era così ingenua e le sue espressioni di dolcezza e di entusiasmo infantile coinvolsero le tre ragazze in una sana risata.
“Beh, allora non hai preso da tua mamma; lei era una schiappa ai videogame”, Rei a modo suo voleva distrarre Usagi da quei pensieri che lei in fondo conosceva anche quando l’amica taceva.
Ma Usagi stavolta non reagì, anzi: “Hai ragione, Chibi-chan ha preso dal papà; vero Chibi-chan?” confermò prendendola in braccio e facendola sedere sulle sue gambe.
E in quel momento, dalla voce piena di consapevolezza di Usagi, dal suo sguardo pieno di malinconia che cercava di celare alla figlia tramite un sorriso amorevole, dal modo di accarezzare le rosee ciocche, Rei capì che, per quanto ne avessero potuto parlare, per quanto avesse cercato di far ragionare Usagi per non vederla soffrire, Usagi non avrebbe mai dimenticato Mamoru perché – anche se avesse voluto – lui sarebbe rimasto lì con lei giorno dopo giorno, nel suo cuore, tramite gli occhi e lo sguardo di quella bambina che Usagi amava più di se stessa.

Una volta che Chibiusa era corsa dalla mamma a comunicarle quella che per lei era stata una grande vittoria, Mamoru continuando a guardarla si avvicinò al bancone che Motoki stava pulendo. Si sedette su uno sgabello senza riuscire a distogliere lo sguardo da Usagi che, con la bambina sulle gambe, le accarezzava i capelli mentre parlava con le amiche.
“Che mi racconti Mamoru, come vanno le cose a NY?” chiese il ragazzo continuando a passare il panno umido sulla superficie d’acciaio, notando l’aria assente dell’amico.
Mamoru annuì un paio di volte prima di voltarsi verso il proprietario del locale: “Bene, a Settembre comincio il tirocinio”, si girò di nuovo verso le ragazze udendo la bambina ridere a qualche battuta di Rei, “Stavolta resto qui un mese” informò.
La sua espressione era amareggiata e dispiaciuta e Motoki sapeva il perché:
“Come stai, Mamoru?” domandò con aria preoccupata, ma il moro forzò un sorriso: “Sto bene”, un sospiro e: “Sto bene.”
“Hai parlato con Usagi?” Motoki seguì la traiettoria degli occhi dell’amico che, inevitabilmente lo portarono alla ragazza bionda che faceva galoppare la bambina sulle sue gambe.
“No.”
“Dovresti invece”, cercò di convincerlo, guardandolo negli occhi con espressione eloquente, ma Mamoru scosse la testa deciso:
“No, è fuori discussione” e ne era sempre più convinto sentendola ridere e vedendo la figlia divertita.
“Lo verrà a sapere e si arrabbierà da morire.” Motoki sapeva che sia l’amico che Usagi erano molto testardi, sapeva che parlare con entrambi era un’impresa ardua, se non impossibile, ma provò ugualmente: “Mamo, devi tornare qui e stare con loro.” Lasciò il panno sul bancone e si sedette su uno sgabello accanto all’amico: “Tu hai bisogno di loro e loro hanno bisogno di te” affermò serio.
Mamoru chiuse gli occhi per un istante, immaginando quanto sarebbe stato bello poter passare il resto della sua vita al fianco di Usagi, tenendo tra le sue forti braccia la loro bambina.
La scena fu chiara e nitida nella sua mente:

Usagi che pian piano apriva gli occhi mentre un raggio di sole le riscaldava le gote e i lunghi capelli dorati sparsi sul materasso;
che si voltava verso di lui, perdendosi nel suo sguardo intenso pieno d’amore avvolta da un leggero lenzuolo che le fasciava quel corpo favoloso a cui non sapeva resistere;
che gli sorrideva sfiorandogli una guancia mentre lui le si avvicinava baciandole le labbra e accogliendola nel suo caldo abbraccio come a non volerla lasciare andare più…
… e poi la loro bambina che correva verso di loro, arrampicandosi sul letto e unendosi in quell’abbraccio che profumava d’amore sincero e di famiglia.


Pensò a tutto ciò in quei brevi momenti e poi, ancora più sicuro di sé: “No. Farò in modo che non lo venga a sapere.”
Motoki avrebbe scommesso su quella risposta e, sospirando come se non sapesse più cosa fare per farlo ragionare, chiese:
“Perché?”
“Perché le amo troppo. Tutte e due.” La sua voce tremava al pensiero di doverle lasciare di nuovo non appena le quattro settimane sarebbero trascorse, il ricordo della notte precedente e la scena appena immaginata con loro tre uniti come una famiglia vera lo resero ancora più triste e demoralizzato. Lottò contro se stesso per reprimere la sua naturale gelosia prima di dar voce alla ragione e all’amore per Usagi e Chibiusa:
“Tu saresti un buon padre per Chibiusa”, uno sforzo maggiore e: “E un buon marito per Usako.” Le sue emozioni però vinsero ancora una volta, facendo tremare la sua voce e rendendo cupi i suoi occhi blu mentre pronunciava quelle parole quasi per auto convincersene.
“Ma non dire assurdità”, Motoki era shockato da quelle affermazioni e le sue guance si erano colorate leggermente per l’imbarazzo, “Lo sai benissimo che Usagi è da cinque anni che non esce con qualcuno in attesa che tu ti decida di tornare.”
Mamoru sgranò gli occhi, incredulo ma egoisticamente contento:
“Te lo ha detto lei che aspetta me?”
Il ragazzo dagli occhi nocciola per un attimo temette di aver parlato troppo ma poi, credendo che forse avrebbe trovato un modo per farlo ragionare, scosse il capo: “La osservo tutti i giorni, le parlo tutti i giorni e noto il suo cambiamento di umore prima del tuo arrivo e dopo la tua partenza.”
Mamoru rimase immobile; possibile che lui non avesse mai pensato ad un’eventualità del genere? D’altronde, come poteva?

Inizialmente, quando decise di accettare la borsa di studio per concretizzare il suo grande sogno, credeva che quella di Usagi per lui sarebbe stata una cotta adolescenziale, una di quelle per cui si crede di provare Amore ma che poi, coi mesi, svanisce lasciando solo delusioni e ceneri di sogni andati in fumo. E, sebbene lui la amasse davvero, non avrebbe voluto raccogliere le ceneri di quell’ambizione bruciata per vivere un amore da ragazzini, un amore a cui la stessa Usagi avrebbe scritto la parola fine.
E così, atterrò a NYC, intraprendendo una nuova strada verso la realizzazione di ciò in cui aveva sempre creduto dalla morte dei suoi, portando la sua Usako e i momenti unici e indimenticabili trascorsi con lei nel cuore ma cercando di dimenticarla per non farsi più del male. I mesi passarono e il pensiero era sempre a Tokyo e alla ragazza dai codini biondi;
‘Chissà cosa faceva, chissà se c’era qualcun altro con lei’, erano queste le sue domande frequenti la notte prima di addormentarsi in quella stanza del college che divideva con altri due ragazzi. E così, anche dopo la nascita della loro bambina, l’idea che lei avrebbe continuato – giustamente – la sua vita senza di lui lo fece andare avanti per quattro anni, fin quando alla fine dell’Università decise di tornare in Giappone e iniziare lì il tirocinio. Avrebbe potuto finalmente vedere la sua Chibi-chan tutti i giorni, essere presente nella sua vita fatta di piccole cose ma di grandi momenti. Non se ne sarebbe più perso neanche uno; avrebbe riso ai suoi ingenui sorrisi e avrebbe sofferto vedendola piangere. E poi c’era Usako; la sua amata Usako, e anche con lei probabilmente avrebbe potuto iniziare un rapporto vero, maturo, fatto di complicità e basato sull’amore che da sempre provava per lei. Forse Usagi lo avrebbe perdonato per averla lasciata da sola in quegli anni, forse avrebbe voluto iniziare- riprendere la loro storia d’amore. Forse non tutto era perduto. Forse… forse… forse…
Poi però la collega Setsuna gli aveva dato quella notizia così inaspettata e così tanto temuta che il suo cuore mancò un battito.
E quelle parole che maledisse con tutto se stesso e che avrebbe voluto non dover mai sentire, sfociarono nell’accettazione della dura realtà e nella consapevolezza che per la seconda volta nella sua vita non poteva comportarsi da egoista.
Sarebbe rimasto a NYC, permettendo a Usagi di trovare qualcuno che le volesse bene e a sua figlia di avere la possibilità di avere un padre ‘vero’, che si prendesse cura di lei giorno dopo giorno, che proteggesse entrambe e le rendesse felici per come meritavano.


“Mamoru, mi ascolti?” Motoki agitò una mano ben aperta davanti gli occhi persi nel vuoto del ragazzo moro.
Fu così che Mamoru, alla vista di quelle dita che si muovevano velocemente davanti a lui, scosse la testa, tornando alla realtà:
“Sì, ti ascolto”, guardò alla sua sinistra la bambina, vedendola scivolare dalle gambe della madre e battere le mani su quelle della ragazza come se stesse facendo un gioco divertente.
“Mamoru, solo tu puoi renderla felice” rivelò quello che da sempre riusciva a leggere i sentimenti dei suoi due più cari amici.
Mamoru sorrise d’istinto alla vista di Chibiusa sempre più divertita da quel gioco fatto con la madre, poggiò le braccia incrociate al bancone e, scuotendo la testa pieno di rimpianti e di amarezza affermò:
“Non più.”



Il punto dell’autrice

Carissimi lettori, eccomi di nuovo ad aggiornare questa fan fiction!
Se inizialmente non ero certa di come si sarebbe evoluta la trama, adesso so per certo cos’accadrà e come si svilupperanno gli eventi.
Sinceramente questo non è uno dei miei capitoli preferiti perché, come avrete notato, i miei cari Usagi e Mamoru son stati separati tutto il tempo. Mi serviva questo capitolo per introdurre i personaggi di Ami, Rei e Motoki che avranno dei ruoli in questa ff e perché Motoki è l’unico a sapere cosa trattiene Mamoru a NYC.
Il nome Setsuna emerge anche in questa ff (evviva la fantasia!) semplicemente perché era quella più adatta al ruolo che ho in mente per lei. Vi prego non allarmatevi, non siamo al Moonlight! ;)
Spero che, al contrario di me, questo capitolo non vi abbia deluso e che in qualche modo vi sia piaciuto.
Come al solito ringrazio tutti coloro che mi seguono e che spendono due minuti in più per recensire.
Spero continuerete a seguirmi, nel prossimo capitolo si ritornerà alla ‘coppia’ Usako e Mamo-chan ;)
Nell’attesa fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, anche se negativa una vostra recensione fa sempre piacere!
Un bacio e a presto :)


Demy


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