Tears
Dirti
che ti volevo bene.
Avrei
tanto voluto vederti
correre. Vederti sognare.
Avrei
voluto che le nostre
vite potessero intersecarsi come i fili di una maglia infinita.
Invece
quella maglia si è
spezzata.
I
nodi si sono sciolti,
logorati dal tempo che ha fatto sì che le nostre esistenze
si districassero per
non rincontrarsi più.
Due
rette parallele che
continuano il loro cammino distintamente, senza più
interferire con l’altro.
Differenti
come il giorno e
la notte, ma complementari per la giusta prosecuzione delle nostre vite.
Due
anime gemelle separate
alla nascita.
Due
menti in sintonia come
poche al mondo.
Avrei
voluto tanto mantenere
le promesse che da bambina avevo fatto.
Pronunciavo
parole come
fossero niente, non capendone la vera importanza.
Ho
pensato.
Ho
riflettuto e, come al
solito, mi sono resa conto di quanto fosse tardi per rimediare.
Guardando
adesso gli eventi
che hanno segnato le nostre vite, posso dire che solo il nostro
stramaledettissimo orgoglio ci ha portato a questo.
Diversi
in tutto, ma non in
questo.
Tu
il giorno, io la notte, ma
con la stessa caparbietà che ci caratterizzava, con la
stessa voglia di
raggiungere gli obiettivi che ci eravamo fissati.
Infischiandocene
se andavamo
contro l’altro… e questo ci ha ferito,
inesorabilmente.
Ha
fatto sanguinare i nostri
cuori come se fossero stati pugnalati da un’affilatissima
lama.
Ci
siamo fatti del male, pur
di non abbassare lo sguardo e rimangiare le nostre parole, fingendo che
così
andava bene, convincendoci che questa fosse la cosa giusta.
Abbiamo
distrutto ogni
speranza, facendo finta di essere due estranei.
Ci
siamo divertiti a giocare
con i nostri sentimenti, come dentro una gara, e il vincitore sarebbe
stato chi
colpiva più duro.
Alla
fine il vincitore non
c’è stato!
Nessuno
è rimasto in piedi
dopo quest’assurda guerra, abbiamo soltanto lasciato che la
distanza crescesse
a dismisura e ci siamo ritrovati alla fine soli.
Allontanandoci
l’un l’altro
abbiamo finto che il nostro legame non esistesse più,
vivendo una vita non
nostra.
Sorridevamo
di fronte agli
altri, ridevamo per qualcosa che non lasciava neanche la minima traccia
dentro
di noi.
Abbiamo
parzialmente
raggiunto ciò che desideravamo, richiudendo in un angolo del
nostro cuore la
mancanza di quel qualcuno che abbiamo voluto estirpare a forza dalla
nostra
mente e come due sciocchi cercavamo di non fare caso a quel continuo
senso di
solitudine che ci attanagliava.
Il
vuoto che aveva pervaso i
nostri pensieri era diventato la sensazione più comune per
noi… o almeno per
me.
Mancava
sempre qualcosa e
anche conoscendo la risposta, mi ostinavo a reprimere i pensieri
dicendomi che
quel qualcuno che mancava non fossi tu.
Mi
sbagliavo.
Ho commesso l’errore più
grande della mia vita a lasciarti andare.
Perché il mio destino era
legato indissolubilmente al tuo, perché tu eri per me tutto,
e la mia arroganza
mi ha portato a testare sulla mia pelle se potevo stare senza il mio
tutto.
Avevo la superba convinzione
che, nel caso in cui avessi voluto, potevo riprenderti con me quando
desideravo,
credendo che tu mi avresti seguita, nel frattempo ho abituato i miei
sentimenti
a non ricordarti più, combattuta tra il mio stare bene con
te e il mio voler
fare tutto da sola.
Me lo dicevi spesso.
Il mio non volere aiuto mi
avrebbe portato alla distruzione, all’infelicità.
Ed io, testarda, rispondevo
sempre che volevo solo superare i miei limiti e che avrei fatto di
tutto per
mantenere al mio fianco ciò a cui tenevo.
Non l’ho fatto, neanche con
te.
Tu che mi avevi portato alla
follia, tu che mi avevi fatto crescere.
Continuando a non volere
aiuto negavo di fronte a tutte le persone dicendo che la luce che mi
brillava
negli occhi non era dipesa da te e quindi non poteva essersi offuscata.
Ho mentito a tutti.
Ho mentito a te quando dicevo
che per me non eri nulla.
Ho mentito a chi mi ritrovava
sola a fumare una sigaretta consumata solo dal tempo e non da me.
Ho mentito a me stessa
imponendomi di non pensarti, di non ricordarti, di non amarti.
Molti ci definivano due corpi
con un unico destino…
Ma il destino lo scegliamo
noi e noi avevamo deciso di separarci, anche se stare insieme per il
resto
della nostra vita non avrebbe fatto altro che bene.
Mi fa male pensare che anche
tu non hai fatto nulla per far sì che le cose andassero per
il verso giusto.
Orgoglioso quanto me.
Testardo quanto me.
Stronzo più di me.
Non posso non sorridere per
questa tua caratteristica, ma si tratta di un sorriso pieno di
tristezza.
Penso a tutte le volte in cui
hai tirato fuori il lato peggiore di te.
O forse sono stata io con il
mio comportamento a far fuoriuscire quella parte che sembrava tanto una
corazza
ricoperta da punte acuminate pronte a far male chiunque osasse
avvicinarsi.
Ingenuamente amavo anche
quella parte che ci portava, poi, inesorabilmente ad amarci
più di prima.
Solo che l’amore non basta.
Non basta la reciproca
attrazione.
Non servono dolci parole, non
quando gli sguardi distruggevano più di ogni altra cosa.
Ci credevamo forti… eravamo
solo troppo fragili per dare spazio ai sentimenti e alle parole.
Avevamo paura che lasciando
scoperta una parte di noi avremmo inevitabilmente danneggiato la nostra
anima
piccola e fragile.
Abbiamo costruito quindi un
muro spesso, troppo spesso per permettere anche a noi di oltrepassarlo
e poi
stanchi abbiamo deciso che la maschera delle persone forti era quella
che più
si addiceva a noi.
Rivedo
le vecchie foto dove
felici ridevamo, zuppi d’acqua dopo un semplice gioco.
Rivedo
i sorrisi che
sfuggenti sono stati immortalati dai vecchi amici che entrambi abbiamo
abbandonato.
Sento
l’eco delle promesse
che giovani e ingenui ci siamo scambiati non tenendo conto del nostro
carattere
duro e forte agli occhi degli altri.
C’eravamo
promessi di stare
sempre a fianco dell’altro.
C’eravamo
promessi di realizzare
ognuno i sogni dell’altro.
C’eravamo
promessi di non
cedere alle incomprensioni, ma così non è andata.
Abbiamo
ceduto, abbiamo
accettato una vita che aborrivamo con tutte le nostre forze vista
l’assenza
dell’altro.
Ci
siamo arresi alla vita e
abbiamo snobbato il destino che, chiaramente, ci aveva condotti sulla
stessa
strada, dimenticando, o forse facendo finta, tutto il bene che
provavamo per
l’altro.
Guardo
con gli occhi pieni di
nostalgia tutti gli oggetti dentro quella scatola.
Prendo
il vecchio carillon
che non funzionava bene, che emanava note distorte e sconclusionate, ma
che per
noi suonava la musica più dolce del mondo.
Quante
volte abbiamo sognato
cullati da quella strana musichetta?
Quante
volte abbiamo riso per
le storie che inventavamo?
Degni
sceneggiatori dei
nostri sogni.
Quante
volte ho pianto per il
ricordo che quella stonata melodia mi procurava?
Non
lo sai e adesso non la
saprai mai!
Prendo
l’anello che mi
regalasti quando ancora bambini, credevamo in una vita insieme.
Lo
guardo e una sfilza di
dolorosi ricordi invadono la mia mente.
Il
primo sguardo.
La
prima litigata, io che
testarda non ammettevo che tu fossi migliore di me.
La
prima volta che in un
momento di sconforto mi aiutasti a trovare la giusta strada.
La
prima risata insieme
dovuta ad una semplice battuta che soltanto noi avevamo capito, pieni
di
quell’umorismo ironico che non a tutti va a genio.
Il
primo bacio dato ubriachi
e poi… poi tutto il resto ci ha portato ad essere due poli
magnetici opposti
che si attraggono inesorabilmente, fino a scontrarsi, fino a rimanere
incollati, fino a distruggersi l’un l’altro.
Guardo
tutto dentro
quell’agglomerato di cartone che contiene gli anni
più belli della mia vita.
Voglio
scendere da questa
paranoia.
Sto
piangendo! Dopo anni mi
ritrovo a piangere per ciò che ho perso.
Scaravento
tutto in aria.
No,
no, no… io non posso
piangere, perché è stupido piangere per il latte
versato.
Non
ha senso stare male
adesso per qualcosa successa cinque anni fa.
Un
vortice di lacerante
rimpianto mi riempie l’anima, perché ho costruito
sulla menzogna la mia intera
esistenza.
Fingendo
la felicità per una
carriera a cui non aspiravo.
Fingendo
la contentezza per
un uomo che non desideravo.
Fingendo
indifferenza per un
passato mai dimenticato.
Perché
la verità era questa,
io ero rimasta la ragazzina che credeva nell’amore eterno ma
che lo aveva
calpestato come un fiore appena sbocciato, distruggendo sia la mia che
la tua
felicità.
Troppo
simili per tornare sui
nostri passi, troppo diversi per non soffrire entrambi.
Le
lacrime continuano a
rigare il mio volto e penso alla nostra comune, quanto strana
situazione.
Due
opposti simili, un
controsenso vivente.
Noi
eravamo questo.
La
nostra caratteristica
predominante era questa.
E
mi pento per tutto ciò che
non ho fatto!
Mi
pento di tutte le parole
non dette, di tutti gli abbracci mai dati, di tutti i baci negati e mi
pento di
non averti detto la verità.
Mi
pento di aver ascoltato il
mio stupido orgoglio cinque anni fa, perché, se non lo
avessi fatto, tu ora
saresti qui con me… o più probabilmente io sarei
con te.
Ma
non importa questo,
l’importante è che adesso saremmo insieme e non
con questo macigno sul petto
che da oggi e per il resto dei miei giorni porterò con me.
Il
rimorso per le occasioni
perdute a causa della mia caparbietà non mi
abbandonerà mai.
Perché
questo tu
rappresentavi per me.
La
mia possibilità di
riscatto, la mia occasione di felicità, la mia
opportunità di libertà, tutto
buttato all’aria a causa della mia esasperante boria.
E
adesso non posso far altro
che rassegnarmi alla tua scomparsa.
Riascolto,
come una cantilena,
il messaggio sulla segreteria, lasciato da Clarisse, che mi avverte di
ciò che
è successo.
“Mi
dispiace dirti in questo modo ciò che è
successo…
ma non mi hai lasciato altra scelta non prendendo le mie chiamate.
John
è morto… a causa di un incidente stradale, domani
ci saranno i funerali”.
Ogni
volta che questa notizia
arriva alle mie orecchie la voragine dentro di me si allarga sempre
più,
inghiottendo il mio cuore, la mia anima, la mia mente.
Tutto
è scomparso, solo la
notizia che tu te ne sei andato resta e rimbomba dentro me.
Non
potrò più vederti e non
potrò recuperare il tempo perso.
Non
potrò neanche piangere la
tua morte come vorrei, perché altri hanno questo diritto.
Io
oramai non posso più dire
di far parte della tua vita.
Mi
presento quindi al tuo
funerale.
Vedo
la bara, calata nella
fossa.
Vedo
i tuoi nuovi amici
piangere la tua scomparsa.
Io
sono sola, in fondo, con
occhiali scuri a nascondere i miei occhi rossi che da ieri sera versano
costantemente lacrime, come ad abbandonare piccoli frammenti del nostro
passato.
Passato
che so per certo tu
non hai mai dimenticato.
Passato
che so, avremmo
voluto divenisse anche il nostro futuro.
Perché
io in fondo avrei
soltanto voluto guardarti negli occhi un’ultima volta.
Avrei
tanto voluto
stringerti.
Dirti
che ti volevo bene.
Spero che questa storia vi piaccia e riesca, almeno in parte, a
trasmettervi le
sensazioni di questa ragazza tormentata dai rimorsi e dai ricordi.
I
versi scritti in blu, appartengono alla
canzone 66
(Diabolus in musica) dei
Subsonica ft Linea 77.
Vi auguro buona lettura.
Per chi volesse contattarmi: potete trovarmi al profilo facebook "Pois
Nicole Spurce", alla pagina facebook "Poison
around the heart", al gruppo facebook "Radio
flit", che gestisco assieme all'autrice e amica Mary_Sophia_Spurce,
su twitter "@NicoleSpurce"
e su tumblr con due bolg "Reminiscenze"
e "Racconti
brevi".
Baci Cinzia.