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Autore: Natalja_Aljona    29/03/2011    7 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Due - LInfinito


Non succederà più, almeno per me, di amare chi troppo vola

Non succederà più, se averti vuol dire star sola

Non succederà più, che torni alle tre e io mi addormento senza te

Non succederà più, morire per la tua assenza

(Non succederà più, Claudia Mori & Adriano Celentano)


Natalja si toccò gli occhi. Facevano male.

Si guardò le mani. Bagnate.

Si asciugò una guancia.

Una lacrima. Era calda.

-Era qui che doveva tornare-

Saltò sul muretto e, con ritrovata agilità, scavalcò il cancello.

Viaggiava, la sua mano, sul legno consumato, sul portone imponente.

-Era qui che saresti tornato, se mi avessi voluto bene-

Chiuse gli occhi, sospirò.

-Oh, magari!-

Il sorriso che aveva, Natalja se lo sentiva ancora nel cuore. Faceva stare male.

Le tornava in mente, quel lento incresparsi di labbra, lieve, luminoso.

Bello, dolorosamente bello, bello da morire.

Il sorriso di George, atroce e meraviglioso.

Sincero.

Le tornava in mente il calore della sua mano.

Quella mano così scura, abbronzata anche dinverno, vestita di sole.

Quella mano che stringeva forte la sua, piccola e bianca, come fatta di neve.

Lui era greco, lei russa. Lui di Sparta, lei di Krasnojarsk.

Il sole di George cuoceva la pelle, il suo gelo la strappava.

Non si parlavano, non potevano. Non avevano nemmeno lo stesso alfabeto.

Quel loro essere anglo-greco, anglo-russa, li aiutava solo a metà.

Qualche volta avevano provato a dirsela, qualche parolina.

Frasi semplici, imbarazzate. Paura di sbagliare. Paura di avere già sbagliato.

Frasi semplici. Come stai? La testa appoggiata alla sua spalla. Bene.

Erano amici, in quei momenti, ma non lo erano stati sempre.

George, con lei, aveva giocato a fare lammaliatore.

George, con lei, aveva rotto i luoghi comuni.

Non laveva fatta innamorare per divertimento. Per necessità.

Era una bambina, in quei giorni. Si era innamorata come una bambina. Follemente.

Avevano fatto tutto le loro mani. Avevano scelto di non lasciarsi.

Si era addormentata sulle scale. Lui era rimasto a guardarla. Sorrideva.

Poi era sceso in giardino, a guardare il cielo.

Il cielo, che non crollava mai, che non si spegneva mai, che era sempre lì, beffardo, troppo azzurro, sempre lì.

E le stelle.

Lavevano sempre messo a disagio, le stelle.

Brillavano troppo, secondo lui. Brillavano troppo per niente.

E lei, lei era come loro.

Lei, con la mano nella sua mano, che brillava e bruciava come una stella.

Gli aveva voluto bene, troppo. Sfiorava il cielo, quello che provava per lui.

George che sparava alle stelle, George che non se ne andava mai.

Nemmeno al mattino.

E le stelle erano cadute, alla fine. Erano cadute insieme a loro.

Il mattino faceva paura.

Sì, gli aveva voluto bene.



Natal'ja camminava per la strada con aria sognante, assorta, quasi vedesse la magnifica Prospettiva Nevskij di San Pietroburgo, azzurra di cielo e bianca di neve, al posto di quella grigia stradina di periferia.

Wavertree era un quartiere povero, si confondeva con i colori plumbei del cielo e con il silenzio rancoroso della gente.

Wavertree non nascondeva meraviglie nascoste o viottoli incantati.

Wavertree era quello che era, un quartiere freddo e senz'anima, un pugno sui denti.

Niente sorrisi, saluti, aromi di pasticceria.

Solo quella muta, lacerante povertà.

Natal'ja non soffriva il freddo.

Natal'ja, la ragazzina dai sogni fin troppo ambiziosi, nel cuore custodiva il ricordo di un giovane rivoluzionario greco che altro non le aveva lasciato che un bacio soffiato sulle dita e una copia dell’Iliade.

Sorrideva, Natalja, undici anni di ribellioni represse, negli occhi il fumo dei fucili ancora caldi, bollenti, fatali.

Sorrideva, Natalja, irriverente e dispettosa come nessuna.

Con una mano si pettinava i lunghissimi capelli biondi, con laltra reggeva una copia spiegazzata del Candide di Voltaire.

Osservava la gente passare, come sfidandola a fermarsi davanti a lei, ad acquistare un fiammifero, a scambiare due parole.

Qualcuno si fermava, ogni tanto.

Qualcuno si fermava e non avrebbe dovuto.


-Guarda un po' che bei capelli...-

Natal'ja alzò la testa di scatto.

Un giovanotto dagli dal lungo cappotto blu le aveva spudoratamente infilato una mano tra i lunghissimi crini dorati, sorridendo.

Natal'ja strinse i denti. Una scintilla di divertimento attraversò gli occhi scuri del ragazzo.

-Alla mia fidanzata piaceranno di sicuro- il giovane si abbassò fino a parlarle nell'orecchio -Conservali tali fino al prossimo lunedì-

Pareva confusa, Natal'ja.

-Passate a farmi un ritratto?-

Il ragazzo rise sguaiatamente, la mano destra premuta sul panciotto, i capelli ondeggianti.

-Passo a comprarli, ragazzina-


Natal'ja taceva.

La pelle del viso era tesa, gli occhi sbarrati.

I suoi bei capelli.

Natal'ja serrò le palpebre.

I suoi bei capelli no.


Corse dietro al ragazzo, corse fino a sbattergli sulla schiena, con le mani gelate e le labbra secche.

-Non li vendo-

-Come?-

-I miei capelli. Non li venderò mai-

Il ragazzo sospirò, cacciando una mano in tasca.

Era davvero noiosa, quella ragazzina di periferia.

-Sai cosa sono questi?-

Erano tanti, i soldi che le mostrava.

Natal'ja fece un passo indietro.

Lo guardava negli occhi, sorrideva.

Il ragazzo non seppe come interpretare quel sorriso.

-Spiccioli-


Tornò a sedersi sul suo muretto, con le gambe incrociate e la schiena premuta contro le sbarre del cancello della casa vicina.

Erano dure, ma il suo vestito era pesante, attutiva il dolore.

In certi giorni non le rimaneva che il suo muretto, non un muretto come un altro, il muretto di Natal'ja Morrison.

Rimase lì per ore, con il libro sottobraccio e i fiammiferi in grembo, lo sguardo perso tra le nuvole grigie.

Rimase lì per ore, finchè, verso sera, un curioso uomo dal cappello di pelliccia non l'avvicinò, facendole larghi gesti con entrambe le mani.


-Siete voi Natal'ja?-

La fanciulla alzò gli occhi.

-Morrison?-

-Dubito possano essercene altre, qui a Liverpool-

No, non ce n'erano.

-Chi siete?-

L'uomo dal cappello di pelliccia accennò un breve inchino.

-Boris Zimmerman, consegno la posta dall'altro ieri-


Il buffo signore riconobbe, tra le luci degli occhioni grigi di Natal'ja, una scintilla di stupore.

Nessuno riceveva lettere, nel suo quartiere.

-A...me?-

L'uomo dal cappello di pelliccia sorrise, sfilando dalla tasca del cappotto una busta stropicciata.

-Anche-

Natal'ja spalancò gli occhi, stringendo la busta tra due dita.

-Da...?-

-Da qualcuno che vi vuole bene, probabilmente-

Codeste furono le ultime parole che Boris Zimmerman pronunciò in sua presenza.

Parole azzardate, forse vere.

Natal'ja non lo vide andare via.

Natal'ja non sentì il saluto che le rivolse.

Natal'ja stringeva in mano la busta e taceva.

Natal'ja era una statua di sale.


Lentamente sfiorò la busta

Lentamente la aprì, muovendo su e giù le sottili dita sudate.

Lentamente spiegò la lettera al suo interno

Lentamente crollò in ginocchio, le mani tese a coprire la bocca.


Non compariva alcun mittente, sul retro della busta.

Non compariva alcun mittente, ma la lettera era scritta in greco.


Non rimase ferma a lungo, Natal'ja.

La stretta delle sue mani divenne ferrea.

Come impazzita, si lanciò in mezzo alla strada.

Davanti ai suoi occhi si stagliava la figura ombrosa di un uomo di mezz'età, serio e compunto al pari di un nobile.

Probabilmente era di passaggio.

Probabilmente, non avrebbe potuto passare in un momento migliore.

Probabilmente, anche se non fosse passato, non sarebbe cambiato niente.


-Avete studiato?-

La voce di Natal'ja era tremante, incerta.

L'uomo fece un cenno con la testa, scrutandola con diffidenza.

-Sapete leggere il greco?-

Natal'ja gli infilò la lettera sotto il naso, abbozzando un sorriso imbarazzato.

Gli occhi dell'uomo si accesero d'indignazione.

Con un movimento brusco allontanò la ragazzina.

E con ella, la lettera che teneva stretta con l'ardore di mille donne, quasi vedesse in essa l'unicità d'un brandello di cuore.


La lettera era caduta ai suoi piedi.

In una pozzanghera.

Natal'ja rimase a guardarla.

In silenzio.


Note


Prospettiva Nevskij: Strada principale di San Pietroburgo, famosa anche per l'omonimo racconto di Nikolaj Gogol'.

Time, time, time, see what's become of me (sottotitolo): Tempo, tempo, tempo, per sapere cosa sarà di me. A Hazy Shade of Winter, Simon & Garfunkel.


Ed eccoci finalmente entrati nel vivo della storia, con la nostra piccola fiammeferaia ottocentesca e gli immancabili cieli suburbani di Liverpool.

Probabilmente -lo capisco- gli undici anni di Natal'ja sembreranno pochi, poiché attualmente un'undicenne è praticamente una bambina, ma nella prima metà dell'Ottocento -e forse anche per qualche decennio dopo- era considerata quasi una donna, essendo già possibile contrarre il matrimonio a dodici anni (è terribile quanto accellerassero i tempi, in quegli anni).

Naturalmente, approvo poco questo pensiero, e difatti Natal'ja continuerà a fare la bambina -per quanto le sarà possibile- ancora a lungo, anzi, è proprio per questo diritto che nei prossimi capitoli cercherà di lottare.

Per chi dovesse aver maturato questa curiosità, George è del 1821 -il Cinque Maggio lascia il segno ;)- quindi adesso -nel 1836, sette anni dopo l'Indipendenza Greca- ha quindici anni, una specie di “via di mezzo” tra un ragazzo e un uomo, un'età in cui magari non si pensava ancora al matrimonio -essendo gli uomini più liberi delle donne-, che per gli uomini era possibile dai quattordici anni, ma l'infanzia era già un ricordo sfocato.

Non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo, almeno dalla frase “sì, gli aveva voluto bene” in poi, ma mi auguro di essere ugualmente riuscita a raccontare la situazione di Natal'ja.

Tra pochi capitoli -se non addirittura dal prossimo- vedremo George approdare a Liverpool, ed anche entrare in scena nuovi personaggi di rilievo.

A presto ;)

Martina




  
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