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Autore: Aribea398    29/03/2011    2 recensioni
Cassandra, vampira sempre abituata a vivere nei sotterranei di Venezia, è a capo, insieme al suo patrigno Edgard, di tutti i vampiri che abitano il nostro mondo moderno.
Dopo una notte di caccia per le vie della città rischia di uccidere un ragazzo, Florenzo, che, scoprendo il loro segreto, diviene il "padrone" di Cassandra.
Lei all'inizio è scettica, ma ritornerà a vivere grazie ai suoi occhi cobalto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crazy…

Seguivo quel ragazzo da circa dieci minuti, correva e a volte mi sembrava di sentire dei singhiozzi, ma potevano essere i flutti della laguna. Attraversava ponti, saliva gradini. Dopo un po' iniziai a perdere l'orientamento, ma non i importava, la strada l'avrei ritrovata dopo.

Iniziai a seguirlo con attenzione sempre più machiavellica, che aumentava ogni volta che lui si voltava: sapeva della mia presenza, ma continuava nella sua corsa notturna.

A un certo punto si fermò, temei che mi avesse visto e mi arrampicai per una grondai lì vicino raggiungendo il tetto di una casa dove rischiai di rompere una grande quantità di tegole. Grazie al cielo ho un equilibrio innato.

Lo continuai a seguire sulla cresta dei tetti delle case che si affacciavano sulla via che stava percorrendo, godendomi ogni tanto la vista che Venezia mi offriva.

Mentre continuavo a rimirare le solitarie luci delle poche finestre accese e dei lampioni non sentii più i suoi passi.

Guardai la strada sotto di me e non vedi nessuno. Si doveva essere fermato da qualche parte e se fosse entrato in qualche casa? In quel caso addio cena.

Mi sporsi leggermente e scorsi la sua chioma bionda: si era seduto sui gradini di una casa.

La sua posizione smosse in me un moto di pietà, messo così, in posizione fetale, le braccia che circondavano le gambe e la testa scossa dai singhiozzi.

Chissà cosa gli era successo?

Non riuscii a formulare nessuna teoria valida perché in quel momento il vento cambiò direzione e il suo odore mi investì come un treno. Sapeva di prato fiorito, potevo sentire ogni sfumatura presente nel suo sangue, come fossi un'esperta sommelier.

Non riuscii a controllare i canini che si allungarono così velocemente che mi graffiai il labbro inferiore.

Ancora pochi secondi e avrei potuto gustare quel sangue, ormai era diventata un'ossessione.

Saltai direttamente dal tetto posando i piedi sull'acciottolato senza emettere nessun rumore.

Quel ragazzo continuava a piangere, non si era accorto di me.

I miei pensieri divennero sempre più sconnessi.

C'era solo lui e il suo sangue.

Mi mossi senza neanche accorgermene, gli accarezzai prima la testa per poi prendere le ciocche chiare fra le dita e obbligarlo a mostrarmi il collo.

Il suo sguardo era quasi spaventato, la bocca socchiusa e le guance completamente bagnate.

<< Questo è solo un sogno. >> Gli soffiai all'orecchio in modo dolce.

Senza pensarci un altro secondo affondai i denti nella sua carne chiara e iniziai a bere una delle cose più dolci che avessi mai assaggiato, più del miele stesso.

All'inizio il ragazzo si dimenò leggermente, mai poi diventò docile. Mi sdraiai completamente su di lui, in piena balia del gusto del suo sangue. Ero impazzita, non riuscivo più a controllarmi e mai nella mia esistenza era successo.

Le palpebre del ragazzo iniziarono a tremare, lottava per rimanere sveglio.

Dovevo trovare la forza di resistere a quel piacere così peccaminoso.

Entrai nella sua mente nella disperata ricerca di un appiglio per mantenerlo in vita: sarebbe bastata qualsiasi cosa, una fidanzata, una madre ammalata, un mutuo appena estinto; qualsiasi cosa che rendesse la sua morte un peccato, un grandissimo errore.

E fu lì che la vidi: una bambina piccola e calva, malata di cancro.

Lui stava dormendo insieme a lei, le accarezzava dolcemente la guancia mentre lei russava leggermente. Quella piccola bambina mi diede la forza di resistere e di staccarmi dal suo collo.

Rivoli del suo sangue mi sporcarono il mento che io andai a ripulire con la manica del cappotto.

Questo ragazzo deve la sua vita a quella bambina, che cosa buffa.

Un pensiero mi investì prepotente: e se non avessi trovato niente nella sua testa? L'avrei ucciso? Sarei arrivata ad un gesto così immondo, togliere la vita ad un essere vivente?

Mi rifiutavo di rispondere, spaventata dalla verità stessa.

Il corpo stava riverso sulle scale, non dava segni di muoversi. Fu in quel momento che iniziai a preoccuparmi, di solito le persone morse da noi si comportavano come se fossero ubriache, con violenti giramenti di testa e discorsi che sfioravano l'assurdo; ma lui non si muoveva.

Cosa avevo fatto?

Il suo cuore batteva ancora, ma sembrava affaticato, come se non ci fosse sangue a sufficienza: ecco il problema.

Me lo caricai in spalla, senza sapere dove andare: per la prima volta mi ero persa a Venezia. Salii suo tetto nonostante il suo corpo, molto più grande del mio, mi ingombrava non poco.

Avvistai il Canal Grande e automaticamente Ca' Loredan e Ca' Farsetti.

Le poche centinaia di metri che mi dividevano dal palazzo sembravano chilometri in confronto. Avevo la mente annebbiata, non mi rendevo conto neanche di quello che stavo facendo, l'unico pensiero che avevo in mente era che lui non sarebbe morto dissanguato, non per causa mia almeno.

<< Non mi sento bene. >> Per la prima volta sentii la sua voce, e avvertii come una fitta al cuore.

<< Adesso starai meglio. >> Riuscii solo a dirgli prima di spiccare l'ultimo salto e raggiungere la finestra che prima avevo lasciato aperta.

Corsi come una disperata verso l'entrata segreta, rischiando di rompere il meccanismo che faceva aprire la porta.

<< Ancora poco. Resisti. >> Non riuscivo a formulare frasi più articolate. 

Due guardie accorsero dopo la mia richiesta d'aiuto e dopo aver intimato loro che quello che tenevo in braccio non era da mangiare mi scortarono da Edgard.

<< Cosa hai combinato? >> mi domandò anche se entrambi ci eravamo già detti tutto, bastava uno sguardo per capirci.

Senza rendermene conto mi ritrovai nella stanza di Edgard anche se non capivo che cosa avrebbe potuto fare lui.

Con un movimento fluido del braccio sposto una libreria alta come il soffitto, ma stretta come una porta e infatti era una porta che nascondeva. Era argentata e intorno a lei percepivo un aurea di freddo. Continuavo a non capire.

Poi spalancò la porta e del vapore si condensò andando a ornare delle nuvolette che scomparirono in pochi secondi.

Era un frigorifero e conteneva decine di sacche di sangue scarlatto con sopra scarabocchiate le lettere A, B e 0.

Un momento, noi avevamo del sangue nel palazzo ed Edgard non mi aveva detto niente? Io, il suo braccio destro, il suo vice.

<< Poi dopo mi devi spiegare molte cose. >> Dico quasi indignata, incrociando le braccia nervosamente.

Lui non mi rispose, andò dal suo comodino e prese un elastico per capelli, legò la folta chioma nera e da un cassettino di un comò estrasse dei guanti di lattice e con grande attenzione li fece schioccare ai polsi.

Da un altro cassettoni prese un tubicino trasparente e un ago con delle valvoline colorate.

<< Mi vuoi degnare di uno sguardo? >> Gli urlai quasi, ancora più adirata.

Continuava con i suoi movimenti controllati e rilassati, strappo la manica della camicia del ragazzo che tremò leggermente ancora con gli occhi chiusi, per poi ripiombare nel suo stato di incoscienza.

Con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool disinfetto nel punto in cui le vene bluastre spuntavano sulla sua pelle pallida.

Con un movimento veloce infilò l'ago e incastrò il tubicino nella valletta viola.

<< Vieni. >> La sua voce mi fece sobbalzare, ero rimasta ipnotizzata dai suoi movimenti.

Mi fece avvicinare e tenere l'altra estremità del tubo in alto poi a velocità vampirica prese una sacca di sangue 0 e rapidamente collegò anch'esso e il liquido defluiva pian piano verso il suo corpo.

<< Rimani qua. Tieni la sacca in alto. >> Fece per andarsene e chiudere la porta quando si voltò di nuovo verso di me. << E pensa cosa gli dirai quando si sveglierà, sarà dura fargli credere che noi non esistiamo dopo che si sveglierà nella nostra "tana". >>

A quelle parole mi venne quasi la pelle d'oca. Che cosa mi sarei inventata?

Agganciando la sacca sulla spalliera del letto antico mi chinai su di lui per controllargli la temperatura.

Il battito stava pian piano tornando normale.

Accarezzandogli la fronte e scostandogli le ciocche bionde dalla fronte sudata gli dissi sospirando: << E ora cosa faccio con te? >>

   
 
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