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Autore: SummerRestlessness    30/03/2011    1 recensioni
25 anni dopo la fine della seconda Guerra Magica, Albus Severus Potter e Lucy Weasley sono migliori amici, talmente amici da preoccupare il famoso Ragazzo Sopravvissuto… ormai Uomo Sopravvissuto. Solo pochi anni prima quasi non si parlavano nemmeno.
Come sono diventati così amici? E soprattutto: cosa c’entra in tutto questo un piccione indispettito?
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Autore: SummerRain
Titolo:
Fairytale
Canzone:
Taylor Swift, Today Was a Fairytale

Animale: piccione

Colore: viola
Genere
: generale, commedia
Rating:
verde
Avvertimenti:
one shot

Personaggi principali: Albus Severus Potter (figlio di Harry Potter e Ginny Weasley), Lucy Weasley (figlia di Percy e Audrey Weasley)

Personaggi secondari: Harry Potter, Ginny Weasley, Percy Weasley e molti altri

Note: 25 anni dopo la fine della seconda Guerra Magica, Albus Severus Potter e Lucy Weasley sono migliori amici, talmente amici da preoccupare il famoso Ragazzo Sopravvissuto… ormai Uomo Sopravvissuto. Solo pochi anni prima quasi non si parlavano nemmeno.

Come sono diventati così amici? E soprattutto: cosa c’entra in tutto questo un piccione indispettito?


 

Fairytale

 

Albus Severus Potter avrebbe giurato di scorgere, di tanto in tanto, nelle iridi altrimenti scurissime di Lucy Weasley, uno strano lampo di un viola intenso e brillante e questo da bambino gli aveva sempre fatto un po’ paura. Soprattutto perché succedeva spesso quando lei si apprestava a mettere a punto qualcuna delle sue “idee geniali”.

 

Eppure se qualcuno avesse visto Lucy Weasley addormentata, sdraiata ad occhi chiusi magari su un letto a baldacchino rosa, avrebbe di sicuro pensato ad una di quelle principesse delle favole.

Aveva lunghi capelli di un biondo ramato, con boccoli che le scendevano sulle spalle; un viso dai lineamenti fini e morbidi, gote paffute e labbra rosa acceso. Una vera e propria principessa.

Prima o poi, però, Lucy avrebbe aperto gli occhi.

Ed allora, sarebbe stata tutta un’altra storia.

Perché i suoi occhi erano talmente scuri che non vi si distingueva la pupilla; erano però sempre così luminosi, vivaci, costantemente accesi di curiosità e di intelligenza, che nessuno avrebbe mai definito il suo sguardo cattivo o inespressivo.

In alcuni momenti, in particolare, si accendevano ancora di più.

Quella scintilla viola.

E allora sapevi che Lucy Weasley aveva in mente qualcosa.

 

Quel giorno, Lucy aveva condotto il suo coetaneo Albus Potter, figlio del famosissimo mago Sopravvissuto Due Volte, su una collina appena fuori dalle mura di Hogwarts. Gli aveva sorriso incoraggiante e poi gli aveva fatto cenno di appoggiare a terra la grossa gabbia di ferro che il bambino teneva goffamente con entrambe le mani. E lui, in quell’esatto momento, aveva visto quella scintilla viola e aveva come al solito rabbrividito al pensiero dei guai in cui si sarebbero cacciati.

 

∗∗∗

 

(2042)

Albus era tranquillamente seduto su una poltrona del suo studio, fingendo di leggere il giornale. In realtà, senza quasi accorgersene, da qualche minuto stava osservando rapito i primi pigri fiocchi di neve che cominciavano a cadere lenti dal cielo fuori dalla finestra.

Era la vigilia di Natale e tutti gli altri erano chi in cucina chi nel salone, a prepararsi per la cena. Quell’anno a casa Potter avevano fatto le cose in grande stile, pensò Albus: come al solito erano stati invitati i suoi genitori, sua sorella Lily e ovviamente James, che si era presentato con una ragazza nuova e sconosciuta, come faceva ad ogni festività. Inoltre, erano venuti persino zia Hermione e zio Ron, insieme ad Hugo e a Rose con il suo fidanzato storico, Scorpius Malfoy. Per non parlare di tutti gli altri Weasley che, in un modo o nell’altro, facevano parte della famiglia e dovevano necessariamente ritrovarsi durante le festività.

Albus spostò gli occhi dalla finestra solo quando vide suo figlio passare per il corridoio con un’aria da funerale insolita per il paffuto ragazzino. Rubeus Potter, capelli color sabbia e sguardo scurissimo e penetrante, frequentava il secondo anno ad Hogwarts ed era da poco tornato a casa per le vacanze di Natale.

- Ehi, cosa succede? – lo apostrofò il padre, richiamando la sua attenzione.

- Niente – rispose quello imbronciato, tornando indietro ed affacciandosi timidamente alla porta dello studio. Dopo qualche secondo si convinse ad entrare; accorgendosi che il padre attendeva ancora una sua risposta, continuò: – Ero fuori in cortile che giocavo e volevo provare a… - sbuffò lievemente e sembrò che non volesse continuare.

Poi, invece, soffiò fuori tutto d’un fiato: - Ho evocato per la prima volta un Patronus.

Albus rimase esterrefatto dalla noncuranza con la quale suo figlio gli aveva appena dato quella notizia. Lui stesso aveva imparato quell’incantesimo quando aveva solo 12 anni e quel giorno era stato uno dei più felici della sua vita: si era sentito finalmente bravo in qualcosa… e in più, tutti i suoi compagni ci avevano messo un po’ di più di lui a far apparire i loro animaletti lucenti.

- M-ma… - balbettò esterrefatto – è una notizia bellissima, Rubeus! Perché sei…?

Il bambino scosse la testa, sempre più desolato: - È… è un… - tirò su lievemente col naso prima di continuare - … un piccione.

- Ah, ehm.

Un mare di pensieri e di ricordi vorticò nella testa di Albus appena sentì quella parola, ma dopo un primo momento di sconcerto, un sorrisino misurato gli salì alle labbra. Guardò suo figlio negli occhi e gli chiese: - Quanti tuoi compagni hanno già evocato un Patronus, a scuola?

Rubeus per un attimo sembrò non voler rispondere, poi mormorò: - Nessuno.

Albus cercò di sorridere in modo sicuro: - Intanto, sei già stato bravissimo. Probabilmente – aggiunse cercando di convincere anche se stesso - più avanti il tuo Patronus cambierà, devi soltanto concentrarti e credere di più in te stesso…

Il bambino alzò gli occhi spalancati verso di lui: - Dici sul serio?

- Ma certo! Noi Potter siamo sempre stati dei… ehm, dei maghi in Difesa contro le arti oscure!

Rubeus lo guardò di nuovo in cerca di approvazione e solo quando vide il sorriso incoraggiante del genitore, si decise a sorridere a sua volta.

- Meno male! – disse poi sollevato – Un piccione non è come un vero Patronus… non fa neanche paura!

Detto questo, si fiondò verso la porta dell’ingresso ed uscì in fretta nel cortile, impaziente di riprovare l’incantesimo.

Albus lo seguì con lo sguardo sospirando e solo allora si accorse della donna che probabilmente aveva osservato tutta la scena nascosta dietro lo stipite della porta, rigirando pigramente con un mestolo il contenuto di una ciotola.

- Non ci sarebbe alcun problema, vero Al, se il Patronus di tuo figlio rimanesse per sempre un piccione? – gli chiese con un sopracciglio alzato, cercando di nascondere un sorriso divertito. L’uomo fece una smorfia involontaria; poi, per tutta risposta, si nascose dietro il giornale, ignorandola deliberatamente.

- Forse non ti ricordi bene come siamo diventati amici. – continuò lei maliziosa, uscendo poi dalla stanza.

Oh, se lo ricordava bene, invece.

E i ricordi lo sommersero di nuovo.

 

∗∗∗

 

(2017)

Harry Potter quel giorno era tornato a casa dopo il lavoro di ottimo umore, trasportando una gabbia ricoperta da un panno grigio e pesante. L’aveva appoggiata sul tavolo della cucina e aveva sorriso a sua moglie Ginny, che proprio in quel momento era entrata dalla porta. Notando però l’occhiataccia che la moglie aveva rivolto prima a lui e poi all’oggetto, l’uomo smise subito di sorridere e spostò la gabbia sul pavimento con un gesto fulmineo.

- È un regalo per Al. Per il suo primo anno ad Hogwarts – disse timidamente, quasi per giustificarsi. Non era però riuscito a far svanire quel sorriso compiaciuto anche dagli occhi, oltre che dalle labbra.

Lui non era stato un bambino fortunato, almeno non prima dei suoi 11 anni: quindi, stava cercando di recuperare il tempo perduto attraverso i suoi amati pargoli. Sua moglie Ginny lo sapeva bene ed infatti lo lasciava fare… anche se spesso era proprio lei a farne le spese.

Anche quella volta, gli sorrise e lo rimproverò dolcemente: - Harry, lo sai che non devi viziarli troppo… Hai già regalato a James una Nimbus 3000 e ha già rotto metà dei soprammobili di casa, visto che poi gli hai vietato di volare in giardino!

- Be’, ho dovuto: aveva distrutto il prugnolo dei vicin…

- COS’HA FATTO?

Harry si era reso conto troppo tardi di aver detto troppo e stava cercando disperatamente un modo per evitare una delle famose scenate alla Molly Weasley, dalla quale Ginny aveva senza dubbio ereditato la voce stentorea, quando il piccolo Albus entrò in cucina trotterellando.

Harry colse la palla al balzo per sfuggire le ire della donna: - Ehi, c’è un regalo per te, Al – disse indicando la gabbia coperta e guardando la moglie di sottecchi per controllarne le reazioni.

Il bambino spalancò gli occhi luminosi e disse eccitato ma educato come sempre: - Posso vederlo?

Albus aveva sempre desiderato avere un gufo per il suo primo anno alla Scuola di Magia e non stava più nella pelle dalla felicità e dalla curiosità ora che, evidentemente, suo padre gliene aveva regalato uno. Gli chiese conferma anche con lo sguardo e quando lo vide sorridere incoraggiante si avvicinò alla gabbia e con un solo gesto tolse il panno.

Poi, rimase fermo immobile, a bocca aperta, a fissare la gabbia e ciò che conteneva, mentre Harry guardava preoccupato sua moglie, a cui sembrava uscire del fumo dalle orecchie.

 

Lucy Weasley, qualche giorno più tardi, aveva visto Albus trasportare quella stessa gabbia, sempre coperta da un telo, nel corridoio del settimo piano diretto al suo dormitorio ed era corsa verso di lui esclamando: - Uau! Fammi vedere il tuo gufo!

- No! – era scattato lui, con un tono insolitamente rude per quel bambino così gentile e pacato – È… ehm… malato.

- Oh – aveva mormorato Lucy, evidentemente delusa. Poi, aveva scrutato sospettosa Albus, che intanto si era fermato e si osservava le scarpe con ostinata determinazione; poi aveva esclamato: - I miei mi hanno preso una Rana Lunare.

Albus aveva sgranato gli occhi: - Davvero?

Lucy però aveva ridacchiato: - No, le Rane Lunari non esistono! – sbuffò – Papà dice che se voglio diventare prefetto al quinto anno devo smetterla da subito con tutte le “stupide distrazioni” come gli animali da compagnia. O gli amici, se è per questo.

Il bambino ridacchiò e lei gli fece l’occhiolino; poi, senza aggiungere altro corse via, diretta chissà dove. Albus rimase per qualche secondo immobile, a guardarla sparire dietro l’angolo. Poi, sbuffando, riprese in mano la gabbia e riprese il suo tragitto a testa bassa verso il dormitorio.

 

Albus e Lucy non erano grandi amici.

Pur essendo entrati a far parte della stessa casa proprio quell’anno e pur conoscendosi già, essendo cugini, non si erano mai scambiati più di due parole di circostanza. Semplicemente, erano troppo diversi: lui indeciso e pasticcione, lei determinata e combina-guai. Lui con la sua capacità, che aveva evidentemente ereditato dal padre, di attirare le disgrazie più assurde e fenomenali e lei con la sua abilità nel risolvere qualsiasi problema. Erano sempre stati troppo distanti per trovare un punto di contatto tra le loro vite, ancora così brevi eppure già così diverse.

 

Era ora di cena in Sala Grande, quando Albus non ne poté proprio più.

Erano giorni che moriva dalla voglia di dirlo a qualcuno, di condividere la sua innominabile sventura, magari con qualcuno che avrebbe saputo cosa fare e come farlo. Per un caso decisamente fortuito, in quel momento aveva di fianco proprio la persona giusta.

- È un piccione – disse deciso, quasi in uno sbuffo. Lucy, che gli sedeva accanto, smise di masticare il suo arrosto e lo guardò stranita, ma non troppo sorpresa: - Intendi il tuo gufo malato?

Albus annuì mesto: - Papà dice che sono i migliori, “all’ultimo grido per la posta aerea”.

Roteò gli occhi e fece un gesto per aria con due dita, ad indicare che quelle parole non erano evidentemente farina del suo sacco.

- Nel senso che arrivano solo se li chiami per ultimi e urlando? – borbottò la bambina ironica, riprendendo a mangiare e guardandolo di sbieco, con un sorriso appena accennato.

- Papà ci teneva così tanto che io avessi il porta-lettere migliore… - continuò lui sottovoce, più parlando a se stesso che con Lucy. Poi, rialzò gli occhi verso di lei: - A me… a me fa paura. – sputò fuori imbarazzato, arrossendo lievemente.

- Odio i piccioni: sono brutti, fanno strani versi e sono sicuro che questo qui sia anche più cattivo degli altri… mi guarda male. – continuò imbronciato.

Anche Lucy arrossì, ma per un motivo diverso: si stava sforzando di non ridere. Con gli occhi lucidi e le guance gonfie e tese, cercò di pensare a Voldemort, alla Mc Grannitt in mutande, a qualsiasi cosa pur di non scoppiare; non era carino prendere in giro così gli altri, le aveva detto papà. E poi lei sapeva quanto Albus fosse sensibile ed inconsciamente si sentiva quasi in dovere di proteggerlo.

- E poi - continuò Al, che evidentemente aveva pensato molto a quella situazione e all’argomento in generale - somiglia un po' a zio Percy. E zio Percy mi fa paura.

Questa volta Lucy non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una risata fragorosa, tenendosi la pancia con le mani. Al la guardò per un attimo sconcertato, poi mise il broncio; in realtà fu solo per nascondere che stava lottando contro se stesso per non ridere anche lui, perché la risata di lei era davvero contagiosa.

 

- Possiamo liberarlo e poi dire che è scappato! – saltò fuori Lucy una sera che stavano facendo i compiti di Pozioni in sala comune. Albus alzò gli occhi dalla pergamena e si girò con cautela verso di lei, timoroso di vedere il famoso lampo viola nello sguardo della bambina. E infatti, eccolo lì.

- Non so, Lucy. - disse tornando a guardare il libro con aria colpevole, nonostante ancora non avessero fatto niente di male.

- Per i calzini a pois gialli di Silente! Sei troppo ansioso! Io ho fatto di moooooolto peggio… - gli rispose lei e Albus deglutì a vuoto, per niente rassicurato da quell’affermazione.

Lucy sembrò non notare la sua espressione, perché continuò: - Non ti puoi immaginare cosa ha detto papà quando gli ho messo in disordine i fogli del suo nuovo manoscritto “Biografia di Percy Weasley. Anche gli impiegati del Ministero piangono”…

Alzò un sopracciglio, con fare divertito e misterioso: - Prima mi ha sgridato, poi mi ha guardata in modo strano e poco dopo l'ho sentito bisbigliare alla mamma in cucina “Cara, sei proprio sicura di non aver conosciuto George prima di me, vero?”…

Al la guardò con complicità, sorridendo. Poi, però, tornò serio e chiese candidamente: - E… cosa vuol dire?

La bambina fece spallucce e lui sorrise di nuovo, compiaciuto: allora in fondo c'era qualcosa che Lucy ignorava, al mondo.

- Quindi... – disse Lucy cambiando all’improvviso argomento; si girò verso Albus con uno sguardo malefico e a lui sembrò di scorgere di nuovo nei suoi occhi quella pericolosa scintilla viola.

- Liberiamo Ziopercy.

Dopo il primo momento di sconcerto per la rivelazione del “qualcosa di male” che Lucy aveva effettivamente in mente, Albus si riebbe e la implorò rabbrividendo: - Non chiamarlo così!

- Ok - rispose lei tranquilla - Liberiamo Pig.

Lui sgranò ancora di più gli occhi: - Pig?!? Come maiale?

Lucy sorrise: - Ma no, come “pigeon”...! – lo guardò di traverso - Lo sapevo, preferivi Ziopercy...

Albus fece solo un sorrisino tirato e nervoso a quell’uscita che avrebbe dovuto essere una battuta.

A lui non faceva ridere per niente.

 

Lucy aveva condotto il suo coetaneo Albus Potter, figlio del famosissimo mago Sopravvissuto Due Volte, su una collina appena fuori dalle mura di Hogwarts. Gli aveva sorriso incoraggiante e poi gli aveva fatto cenno di appoggiare a terra la grossa gabbia di ferro che il bambino teneva goffamente con entrambe le mani. E lui, in quell’esatto momento, aveva visto quella scintilla viola e aveva come al solito rabbrividito al pensiero dei guai in cui si sarebbero cacciati.

Fu sempre lei a prendere la gabbietta dalle mani del bambino, per poi guardarlo negli occhi in cerca di conferma e chiedergli: - Pronto?

Al fece semplicemente un cenno con la testa, troppo spaventato da quello che stavano facendo per riuscire a parlare. Lucy aprì di scattò la gabbia ed il piccione inizialmente sembrò stupito di quella possibilità di libertà improvvisa e ingiustificata. Aspettò quindi diligentemente che qualcuno gli desse una lettera o qualcosa da consegnare, ma vedendo che i due bambini non si muovevano, volò su un ramo e piegò la testolina di lato, ancora incerto sul da farsi.

- Pensi che abbia capito che voglio che se ne vada? - chiese a bassa voce Al in direzione di Lucy.

Lei stava per rispondergli, quando l'animale, dopo aver emesso uno strano verso, prese il volo. Al lo vide librarsi appena sopra la sua testa e subito dopo sentì qualcosa di umido precipitargli su una spalla. Spalancò gli occhi e lentamente si girò a guardare: la grossa macchia di liquido bianco sulla sua maglietta confermò in pieno il suo timore, mentre Lucy tratteneva a stento un risolino.

- Sì, mi sa che ha capito.

 

Il Natale si sarebbe festeggiato in casa Potter quell’anno e come al solito tutta la parentela, Weasley vari compresi, era stata invitata. Il piccolo Albus era seduto nei pressi del grande albero ricoperto da cima a piedi di piccole candele rosse fluttuanti e accese da fiammelle blu, opera di zia Hermione. Poco più in là, Lucy stava giocando con uno dei regali che aveva ricevuto quell’anno.

I due, dopo la liberazione di Ziopercy erano diventati inseparabili e chiunque li conoscesse giurava che erano proprio come i famosi Harry Potter ed Hermione Granger, o come Hermione e Ron Weasley.

Proprio Harry e Ron stavano discutendo in un angolo, con due bicchieri pieni di Firewhiskey in mano.

- Ma Ron! – esclamò il primo in direzione dell’amico - Non sei aggiornato! Dovresti…

- Piccioni, Harry? Sul serio? Non sono mica aquile, sono… piccioni! – rispose Ron infervorato e divertito.

- Dicono che siano i migliori… intelligenti… - quasi balbettò l’altro a voce più bassa.

Ron però fece un sorrisino e commentò ridacchiando: - Così intelligenti che quello di Al è scappato…

Harry però non rise; volse lo sguardo intorno fino a quando non scorse il figlio e, lasciando Ron al suo whiskey, gli si avvicinò con aria abbattuta.

- Mi spiace che tu abbia perso il tuo animaletto… - gli sussurrò mettendogli una mano sulla spalla, mentre Ginny dall’altra parte della stanza, intenta a preparare la tavola, gli scoccava l’ennesima occhiataccia.

Irrigidendosi un po’, l’uomo continuò: - …te ne ho comprato un altro, per il resto dell’anno. E – continuò facendogli l’occhiolino - vedrai che questo non scapperà.

Quella precisazione, aggiunta al sorriso enigmatico che il padre gli aveva fatto prima di porgergli una scatola di cartone con due piccoli buchi in cima, non erano affatto piaciuti ad Albus. Il bambino sbirciò da uno dei buchi, ma non riuscì a scorgere niente se non buio; quindi si rassegnò con un sospiro ad aprire la scatola.

Non appena ne vide il contenuto, per la prima volta in vita sua ebbe la sensazione che sarebbe svenuto. Harry però gli diede una leggera pacca sulla spalla, dicendogli in tono paterno qualcosa che non sentì e si allontanò, sussurrando poi quando fu nei pressi della moglie: - Gli è piaciuto, è rimasto senza parole!

Il bambino era davvero rimasto immobile e muto a fissare il suo nuovo “animaletto”, ma in realtà aveva dipinta in viso un’espressione tra il deluso e lo schifato.

- Lucy? – chiamò piano, per richiamare l’attenzione della cugina che poco distante stava sfruttando il poco tempo rimasto con la sua nuova bambola di Voldemort, prima che il padre la vedesse e gliela sequestrasse.

- Sì? – rispose, distratta da alcune scintille verdi che il pupazzo aveva emesso da una mano.

Il bambino alzò una mano e le mostrò la grossa tartaruga rugosa che aveva trovato nella scatola con i buchi e sentenziò:

- Mi sa che preferivo Ziopercy.

Lucy finalmente si avvicinò ed osservò con attenzione la creatura, che muoveva piano le zampine come a voler nuotare nell’aria. - Ma no, è carinissima! – esclamò alla fine, allegra. Fece spallucce e aggiunse con noncuranza: - E poi le ho già trovato un nome.

Albus la guardò attonito e lei girò lo sguardo intorno, fino a fermarlo su un angolo della sala, dove su una poltrona stava dormendo serena una donna con i capelli bianchi che doveva avere più di cent’anni.

Si voltò di nuovo verso il cugino (quel lampo viola! Era sicuro di averlo visto, stavolta!) ed esclamò con un sorriso rivolto alla tartaruga: - Benvenuta, Ziamuriel!

 

∗∗∗

 

(2024)

Albus Potter, diciassette anni, vagava senza meta per la casa paterna, dove era ritornato per le vacanze estive seguenti al suo ultimo anno a Hogwarts. Gli era venuto voglia di uno spuntino ma, mentre si dirigeva verso il frigorifero, sentì le voci dei suoi genitori provenire dalla cucina e qualcosa gli suggerì che sarebbe stato meglio acquattarsi dietro la porta senza fare rumore ed origliare. Anche perché, a quanto pareva, l’argomento della discussione era proprio lui.

- Sto solo dicendo che passano molto tempo insieme… - disse Ginny alzando le spalle con un sorrisetto.

- Albus e Lucy? Be’, ma sono… molto amici! – rispose Harry calcando esageratamente sull’ultima parola.

- Perché ti spaventa così tanto l’idea che potrebbero essere innamorati? – gli chiese la donna tranquillamente ed Harry avvampò, poi si lasciò andare con un tonfo su una sedia: - Ma Ginny, non capisci!

Suo padre era letteralmente sconvolto all’idea e, sebbene Albus sapesse che per il momento i suoi timori erano del tutto infondati, non riusciva ad immaginare a cosa fosse dovuta tanta avversione nei riguardi di quell’ipotesi.

Forse era semplicemente perché lui e Lucy, in fondo, erano cugini.

Proprio nel momento in cui si poneva quegli interrogativi, però, Harry gli rispose inconsapevolmente, esclamando diretto alla moglie, con gli occhi sbarrati e vuoti: - Consuocero di Percy!

Albus sorrise di gusto.

Lui stesso aveva dovuto abituarsi, con il passare degli anni e in quanto migliore amico di Lucy, a vedere zio Percy in modo diverso; e, soprattutto, a non aver più paura di lui.

La storia di Ziopercy infatti era solo il primo dei tanti esempi che Albus poteva richiamare alla memoria. Sebbene Lucy, almeno quando dormiva, potesse sembrare una principessa, era in realtà stata sempre lei ad accorrere in suo aiuto sin da quando erano bambini, come un principe che vada a salvare la sua damigella.

Solo che, in quel caso, la damigella era lui.

 

You were the prince, I used to be your damsel in distress

 

Fin da piccolo, ancora prima di riuscire a pronunciare la parola “lumos”, Albus adorava la magia, ma niente gli era mai sembrato più magico del colore degli occhi di Lucy.

 

Can you feel this magic in the air?

 

 

Albus Severus Potter avrebbe infatti giurato di scorgere, di tanto in tanto, nelle iridi altrimenti scurissime di Lucy Weasley, uno strano lampo di un viola intenso e brillante.

Seguito poi da un sorriso al tempo stesso enigmatico e irresistibile.

 

You’ve got a smile that takes me to another planet

 

Con il tempo, aveva imparato a non avere più paura di quella scintilla, anzi, ad esserne divertito e ad apprezzarla. Perché se c’era qualcosa che la piccola Lucy gli aveva insegnato, era che, con l’aiuto degli amici, si può sconfiggere qualsiasi paura.

E niente gli era mai sembrato più magico di passare le sue giornate con quella bambina che, anche da adulta, quando dormiva, sembrava una principessa delle favole e che quando era sveglia, invece, era davvero capace di rendere il mondo che li circondava favoloso.

Today was a fairytale

 

∗∗∗

2042

- Papà, papà!

Albus scattò in piedi e buttò il giornale a terra. In pochi attimi aveva afferrato la bacchetta ed era corso fuori dallo studio, nel corridoio, oltre la porta di ingresso e poi in cortile, da dove erano provenute le urla del suo primogenito. La sua mente, in quei pochi secondi, aveva già partorito i pensieri più truci: aveva immaginato che si fosse ferito con il rimbalzo di qualche incantesimo oppure che avesse incendiato qualche passante, com’era d’altra parte era già successo.

Se l’era invece trovato davanti intatto, in mezzo alla neve che iniziava a depositarsi a terra, con la bacchetta in mano e le guance colorite, ansante.

- Papà, l’ho fatto ancora! Il Patronus! – aveva esclamato Rubeus, entusiasta - È cambiato davvero, come dicevi tu!

Il padre tirò un sospiro di sollievo per almeno un centinaio di motivi e gli sorrise. Poi, vagamente impaziente, contagiato da quell’entusiasmo e spinto anche da un sentimento meno nobile, chiese: - E cos’era, stavolta?

Gli occhi del bimbo si illuminarono per un momento e ad Albus sembrò per un attimo di scorgervi quel presago lampo viola che conosceva fin troppo bene. Finalmente, il piccolo, allargando le braccia più che poteva, esclamò soddisfatto: - Un piccione gigante!!!

 

FINE

   
 
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