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Autore: Miss Demy    30/03/2011    26 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 15: Amore, odio e compromesso



Dicono che ci sia un rapporto fra Amore, odio e compromesso; fu proprio ciò a cui pensai quel giorno dopo aver conosciuto la risposta di Mister Taiki.

Uscì dopo dieci minuti dalla stanza del boss, a testa bassa e con le palpitazioni al cuore, riattraversando subito dopo l’ingresso con un’ansia visibile e un’espressione talmente seria e preoccupata da lasciare sorpresa anche Lenya che fino a quel momento era sempre rimasta incantata dalla sicurezza in me stesso e dai sorrisi che sfoggiavo, fiero, dopo ogni incontro con Mister Taiki.
Ma quella volta no; in quel momento avevo troppi pensieri in testa, troppe situazioni difficili da tenere sotto controllo. Se non fosse stato il mio boss a farmi impazzire ci sarebbero di certo riusciti quei problemi che da poco più di una settimana si erano presentati nella mia vita, fino a quel momento volta solo al lavoro e ai divertimenti che la City offriva.
Varcate le porte scorrevoli della casa editrice, l’ascensore mi condusse al piano terra e da lì, mi ritrovai di nuovo sulle strade dell’Upper East Side.
C’era una marea di emozioni contrastanti dentro di me, ancora una volta; speranza per Usa ma paura per Bunny.
E se Lei non avesse capito? Se non avesse compreso i motivi che mi avevano indotto a una tale decisione? Cosa le avrei detto? Come avrei potuto spiegarle le cause del mio comportamento? Come avrei fatto a giustificare il mio atteggiamento strano? Non potevo dirle la verità, non per il momento; temevo di deluderla, di illuderla. E io la amavo troppo per vederla piangere.
Tirai  fuori dalla tasca interna del cappotto il mio cellulare e, nonostante in caos e il chiasso della strada, composi il numero di Lady Amy. Quando mi chiese: “Allora? Cosa avete deciso? Verrete oggi pomeriggio come stabilito?” presi coraggio e risposi:
“Dobbiamo rimandare, Lady Amy, il mio capo aveva già degli impegni per oggi.”
Con una risata di chi immaginava già una simile risposta, affermò:
“Sapevo che non avrebbe mai accettato!”
Deglutii a fatica, sperando che dalla mia voce tremante non notasse la mia paura e, cercando più che altro di essere credibile, continuai:
“La chiamo domani pomeriggio per fissare un incontro.”
“Dopodomani Bunny torna al Moonlight” ricordò - accentuando la serietà del suo tono e rendendolo più scostante -  anche se non era necessario dato che io non avevo mai smesso un solo attimo in quella settimana di pensare a tale giorno, sperando che le cose cambiassero e che dunque Lei non dovesse più tornare al night club. Entro un giorno avrei dovuto tirarla fuori da lì. Dovevo tirarla fuori da lì.
Premendo il tasto di fine telefonata, feci scivolare il cellulare all’interno della tasca e iniziai a dirigermi verso casa. Mi piaceva molto camminare a piedi; la City era frenetica, il rumore dei clacson dei taxi e delle auto ingorgate nel traffico era assordante, quello degli elicotteri che sovrastavano il cielo contribuiva al caos della città. Donne che, nonostante gli abiti eleganti da lavoro, indossavano comode scarpe da ginnastica per poter camminare a passo svelto e uomini d’affari intenti a parlare al telefono senza perdere il ritmo spedito.
Turisti che dai tour bus si sporgevano a fotografare l’Empire State Building o il Chrysler Building estasiati; ragazzi che correvano per Central Park giocando a frisbee, facendo jogging o semplicemente leggendo un libro nelle belle giornate di sole; le auto che sfrecciavano a velocità sul ponte di Brooklyn.
Questa era New York City, la città che non dorme mai, la città mai stanca di tutta quella frenesia quotidiana.
Amavo la Grande Mela e, nel caos delle strade super affollate, riuscivo per un po’ a distrarmi dai miei problemi e dalle mie preoccupazioni.
Il sole era alto su nel cielo, riscaldando l’aria gelida che si avvertiva nelle zone d’ombra e accarezzando il mio viso pieno di sconforto.
 
L’insegna rosa e ovale di un negozio alla mia destra, su cui era scritto in fucsia La principessa dei sogni, catturò la mia attenzione; mi avvicinai alla vetrina guardando i cinque manichini disposti uno accanto all’altro, ciascuno con un modello diverso di abiti da sera. Ai piedi di ognuno di loro cinque diversi modelli di scarpe, perfettamente abbinati con gli abiti, erano adagiati su dei cuscini di velluto blu.
Il negozio era vuoto, riuscii a scorgere solo una commessa intenta a sistemare degli accessori su un ripiano accanto alla cassa.
Chiusi gli occhi, cercando di auto convincermi che stessi facendo la cosa giusta e, con un profondo sospiro, dopo aver pronunciato pieno di sensi di colpa: “Perdonami Bunny”, mi diressi verso la ragazza dai capelli rosso fuoco.
Una volta dentro, un buonissimo odore di vaniglia pizzicò le mie narici, in sottofondo un motivetto suonato al pianoforte donava alla boutique un maggior senso di eleganza, per non parlare degli eleganti abiti da sera decorati da strass e perline esposti ai lati del negozio.
La commessa si avvicinò a me, nel suo completo giacca – pantalone beige, con fare garbato, accennando un sorriso e chiedendomi in che modo potesse aiutarmi.
“Devo acquistare un abito per la mia fidanzata, stasera abbiamo una cena molto importante.”
Il suo sorriso si distese ancora di più sul suo viso diafano:
“Certo, mi segua!”
 
 
“Amore, sono a casa” dissi una volta richiusa la porta d’ingresso.
Nessuna risposta e, dopo aver appeso il cappotto all’attaccapanni all’angolo dell’ingresso, mi diressi in camera da letto. Pochi  passi e sentii le ante del box doccia aprirsi.
Mi avvicinai alla porta del bagno e bussai:
“Sono tornato.”
“Entra, entra pure” rispose piena d’entusiasmo e di curiosità.
Sistemò i lembi dell’asciugamano attorno al corpo umido fissandoli al petto e venne a darmi un bacio sulle labbra:
“Allora? Gli è piaciuto?”
Sorrisi per la sua ingenuità:
“Lo saprò dopo che lo avrà letto” risposi cingendole la vita.
Stropicciò le labbra in una smorfia e, inclinando la testa:
“Quanto pensi ci vorrà?”
 “Spero poco” sospirai, dopo aver premuto le labbra sulla sua guancia fresca e ancora bagnata.
Poggiò la testa sul mio petto, bisognosa di quel contato.
“Bunny, stasera ho una cena con il mio editore. Vorrei che mi accompagnassi.”
Si scostò per potermi guardare in viso e, con gli occhi luminosi e pieni di vita:
“Davvero? Sarei felicissima!”
Sapere che volevo averla con me durante i miei impegni le dimostrava quanto tenessi a Lei e quanto fosse importante per me; le faceva capire quanto io fossi fiero di Lei e orgoglioso di far sapere a tutti quanto ne fossi innamorato.
La guardai con immenso amore notando il suo sorriso sincero e pieno di entusiasmo. Durò poco però, perché dopo alcune riflessioni, allontanandosi da me per potermi guardare negli occhi, il suo sguardo si rammaricò:
“Io… non ho nulla da indossare per stasera”, lasciò uscire un sospiro dispiaciuto e: “I miei vestiti sono al Moonlight…”
Risi divertito e lei aggrottò la fronte innervosendosi appena per la mia reazione sfacciata; stava per dire qualcosa quando:
“Vieni…” le dissi mordendole le labbra e prendendola per mano fino alla stanza da letto.
Ferma accanto allo stipite della porta, sgranò gli occhi sorpresa; sarei dovuto essere felice quando il suo sorriso diventava sempre più evidente e le sue labbra sempre più distese; dovevo gioire vedendo la ragazza che amavo che con occhi che brillavano mi guardava incredula dicendomi:
“Marzio, ma questa confezione è di una boutique costosissima… ”
Dovevo godere di quel momento in cui la sua euforia avrebbe disarmato chiunque, ma non potevo, non fino a serata conclusa:
“Vai ad aprirlo!” risposi solamente, dandole una leggera pacca sui glutei in parte scoperti dall’asciugamano.
Con cura, pian piano slegò il nastro fucsia sul quale era stampato il nome della boutique, aprì lo scatolo beige e sollevò la velina bianca che copriva l’abito:
“Oddio Marzio, è stupendo…” riuscì a dire solamente, sempre più meravigliata di ricevere quell’abito di seta nera, semplice, con le spalline dorate.
Sorrisi, notando i suoi occhi azzurri pieni di luce:
“Spero la misura vada bene, la commessa dice che in caso puoi cambiarlo.”
Scosse la testa più volte:
“No, no, no, è perfetto!”
Mentre lo teneva ancora tra le mani, facendolo aderire al corpo per vedere l’effetto davanti allo specchio, mi avvicinai a lei e, da dietro, iniziai a cingerla per i fianchi e a baciarle il collo:
“Perché non lo provi?” proposi come un sussurro caldo malizioso sulla sua pelle umida.
Si voltò, contenta, annuendo.
Poggiò delicatamente l’abito sulla poltroncina accanto allo specchio  e, con fare sensuale, sciolse i lembi dell’asciugamano lasciando che scivolasse a terra.
La guardai, e non solo negli occhi, prima di raggiungerla con un paio di passi svelti, stringendola a me e iniziando ad accarezzare la sua pelle liscia e morbida, spinto dalla passione e dal desiderio.
Mi cinse il collo con le braccia e mi baciò sulle labbra ricambiando la voglia di Lei che leggeva nei miei occhi e che avvertiva dalle mie carezze.
Per un attimo, soltanto per un attimo, temetti di perderla per sempre, di dover rinunciare a Lei per sempre; il mio cuore mancò un battito, una scarica di paura mi attraversò l’anima facendo diventare lucidi i miei occhi. Presi tra le mani il suo viso, così dolce e pieno di espressioni amorevoli ma allo stesso tempo bisognoso di quel contatto con le mie labbra e, allontanandolo poco dal mio – tanto da poterla guardare negli occhi – le dissi:
“Promettimi che non mi lascerai mai più; giurami che starai con me, sempre.” Avevo bisogno di quelle rassicurazioni, di sentirmi dire che qualunque cosa sarebbe accaduta Lei sarebbe sempre rimasta al mio fianco; sembravo un ragazzino, ero insicuro come non mai nella mia vita, ma Lei mi aveva  cambiato anche in quel senso, aveva fatto venire meno tutte le mie sicurezze in me stesso; mi aveva reso semplicemente un uomo innamorato, un uomo che temeva di perdere qualcosa che amava più della propria vita; soprattutto in vista della serata.
 
“Ti amo Marzio, te lo prometto amore mio” promise con voce sincera, stringendo le sue braccia sulla mia schiena.
Volevo crederci ma ci avrei creduto seriamente a fine serata.
In quel momento mi limitai a sollevarla da terra e sdraiarla sul letto, riprendendo a baciare la sua pelle fresca e profumata di petali di rose appena raccolte e godere di quegli attimi in cui eravamo solo noi due stretti in un abbraccio che odorava di passione e di complicità; in un mondo nostro che nessuno avrebbe mai potuto distruggere o rovinare perché il nostro amore, la nostra voglia di stare assieme e risolvere tutte le difficoltà avrebbe vinto, sempre.
 
Upper East Side – Ore 21.00

Avevo appena finito di abbottonare la giacca del mio vestito nero quando sentii il rumore dei tacchi a spillo sul parquet avanzare verso di me; mi voltai e notai Bunny che timidamente davanti la porta della stanza da letto mi chiese:
“Come sembro?”
Non risposi subito, ero ipnotizzato dalla sua bellezza; non l’avevo mai vista così dolce e sensuale contemporaneamente, neanche al Moonlight durante le esibizioni.
Lì esprimeva erotismo ma in quel momento, davanti a me, l’abito perfettamente sagomato che seguiva le sue curve prosperose e le bretelline dorate un po’ lente che ogni tanto le scendevano sulle braccia donavano a Lei un misto tra sensualità e innocenza a cui nessun uomo avrebbe saputo resistere quella sera; l’unico che avrebbe dovuto controllarsi dal prendere a pugni qualcuno che la avrebbe guardata maliziosamente sarei stato io.
Un po’ triste e dispiaciuto, avanzai verso di Lei, accarezzandole i lunghi capelli morbidi e profumati, lasciati sciolti sulle spalle nude, e facendole poggiare la schiena sulla parete della stanza da letto.
Le diedi un bacio sulle labbra, per trasmetterle le sensazioni che aveva procurato in me la visione di Lei con quell’abito; le parole sarebbero risultate banali.
“Non voglio dividerti con nessun altro stasera, ti voglio tutta per me” confessai iniziando a far scivolare le labbra sul suo collo; mi lasciò fare, arrendendosi alla mia presa sui suoi fianchi e alle mie mani sempre più desiderose di Lei che abbandonavano la seta per incontrare la pelle nuda sotto il vestito.
“Marzio, dobbiamo andare, quando torneremo sarò tutta tua” cercava di convincermi, ma il suo respiro agitato e coinvolto nelle emozioni che il mio corpo le trasmetteva tradiva le sue parole.
Posò le mani sulle mie spalle, ridendo per il solletico provocato da mio viso poco ruvido che accarezzava il suo ventre e le sue gambe lisce.
“Marzio, andiamo…” ripeteva, ma la prima a voler restare lì con me era proprio Lei.
“Adesso andiamo, adesso andiamo…” risposi mentre le sue mutandine scivolavano sul parquet.
 
Lasciammo l’appartamento di fretta e furia dopo il contrattempo piacevolissimo che comunque ci avrebbe fatto arrivare in ritardo al ristorante.
Salimmo sul taxi; destinazione Golden Kingdom, il locale più elegante e lussuoso di tutta Manhattan.
Sul sedile posteriore, Bunny sorrideva mentre stringeva la mia mano nella sua; era serena, felice, entusiasta.
Le cose stavano andando per il verso giusto, la luce era sempre più accecante nei suoi occhi azzurri col passare delle ore, la speranza che finalmente la situazione si sarebbe sistemata per Usa cresceva e fioriva come un bocciolo di rosa bianca dentro il suo cuore.
“Marzio”, attirò la mia attenzione mentre ero concentrato sui miei pensieri e sulle mie paure riguardanti il fatto che, a fine serata, le cose fra me e Bunny sarebbero potute cambiare.
La guardai, forzando un sorriso, invitandola dunque a continuare.
“Sono felice. Oggi hai visto tu stesso l’entusiasmo di Usa. Tra qualche giorno verrà effettuato il trapianto” sorrise ancora di più:
“Sono felice, amore mio.” La sua voce era allegra, Lei sempre più euforica mentre pronunciava quelle parole.
“È bello sentirtelo dire, bambina” risposi, e sperai che presto potesse aggiungersi altra felicità, che determinate situazioni si risolvessero rendendoci veramente felici.
Il taxi si fermò al semaforo rosso e, dopo un sospiro, guardando fuori dal finestrino le insegne luminose di alcuni locali, Lei continuò:
“Ancora un giorno…” una pausa e: “Ti farò soffrire Marzio.”
All’improvviso la sua voce era diventata amareggiata e piena di sensi di colpa; nonostante la felicità per la sorella, temeva di ferire me sapendomi pazzo di gelosia e desideroso di averla tutta per me, sempre; Lei stessa non accettava l’idea di doversi concedere a uomini in cerca di sesso, animali frustrati e bramosi del suo corpo senza rispetto.
In Bunny era questa la cosa che mi spiazzava in continuazione: i suoi sbalzi d’umore, il suo essere un momento prima felice come non mai e un attimo dopo triste e spaventata.
Era strana la sensazione che provavo guardando i suoi occhi perdere luminosità per poi ritrovarla poco dopo. Era strana, però allo stesso tempo piena di consapevolezza che con Lei la monotonia non si sarebbe fatta viva.
 
“Ti tiro fuori da quello schifo” sussurrai, perdendomi nel suo sguardo e baciando il dorso della sua mano ancora nella mia.
Poggiò la testa sulla mia spalla, chiudendo gli occhi come se per quel giorno non avesse più voluto pensarci ma soltanto godersi la serata.
 
Arrivammo all’entrata del locale, situato all’interno di un alto palazzo in muratura bianca, stile antico, che si distaccava dall’architettura moderna di NYC e dei suoi maestosi grattacieli.
Entrammo, mano nella mano; cercavo di tenerla per me il più possibile, temendo di perderla da un momento all’altro; era troppa la voglia di far capire a tutti che Lei fosse mia, che l’avrei protetta da tutti coloro che avrebbero desiderato sfiorarla.
Ero patetico lo so, in quel periodo però io mi definivo soltanto un uomo geloso e innamorato.
Una volta dentro, un melodia creata da arpe e pianoforte, situati alla fine dell’enorme sala, allietava i presenti seduti ai tavoli.
Ero già stato in quel locale raffinato, in cui il color oro delle tende e delle tovaglie risaltava dalle pareti color panna e dal marmo lucente con venature argentee donando una meravigliosa sensazione e percezione di lusso ed eleganza; ma quella sera era tutto diverso, essere lì con Bunny, vederla estasiata da tutto quello sfarzo, notando la sua ingenuità con la quale si guardava attorno stupita, rendeva tutto tremendamente nuovo e speciale.
 
Subito dopo notai un tavolo rotondo accanto allo spazio riservato a coloro che intendessero ballare durante la serata; Mister Taiki osservava alcune coppie sulla quarantina esibirsi in un lento.
Continuando a tenerla per mano lo raggiungemmo e lui, avvertendo le nostre presenze farsi sempre più vicine, si voltò.
Non fu soltanto una mia impressione dettata dalla maledetta gelosia, fu proprio lui che rimase immobile non appena notò Bunny. Man mano che Lei si avvicinava a lui, i suoi occhi castani sembravano ipnotizzarsi alla vista dei suoi lunghi capelli dorati, morbidi che come onde scendevano sul soprabito nero.
Il respiro gli si fermò un istante quando i suoi occhi si fermarono sulle labbra carnose e rosse come una ciliegia di Bunny, leggermente schiuse. Non si mosse Taiki, non fino a quando gli occhi di Lei incrociarono i suoi; senza considerarmi, le si avvicinò prendendole una mano e baciandone il dorso.
“Tu devi essere Bunny” sospirò attento a non soffocare nel suo stesso respiro.
Sorrise Lei, con la timidezza che era soltanto sua: “Per me è un piacere conoscerla, Mister Taiki” rispose abbassando il capo; mentre io guardavo la scena, perplesso, da spettatore esterno e invisibile.
Lui non lasciò la sua mano, anzi, riportandola alle labbra, sempre più incantato dagli occhi azzurri così limpidi e cristallini e da quella voce angelica che avrebbe fatto amare il Paradiso anche a Satana, le sfiorò nuovamente il dorso con le labbra:
“Il piacere è tutto mio” ribatté con voce calda e sensuale.
Aveva ragione, era l’unico a provare piacere; io sentivo solo rabbia dentro, impotenza e frustrazione immaginando cosa frullasse nella sua testa, capendo i suoi pensieri e non potendo fare nulla per evitare che continuasse a flirtare con Lei.
Tolsi il soprabito, sperando che i miei movimenti lo distogliessero da quella magia che solo Bunny riusciva a creare in tutti coloro che incrociassero il suo sguardo.
Ma anche in quel caso, la vista con la coda dell’occhio di me che appendevo il cappotto all’attaccapanni appeso al muro, gli diede l’idea:
“Permetti che ti aiuti?” chiese, andandole dietro e facendo scivolare il tessuto caldo sulle braccia prima di sfilarglielo del tutto.
Bunny rimase di stucco, sorpresa dall’atteggiamento molto caloroso dell’uomo sconosciuto e tra l’altro mio editore; le avevo sempre parlato di lui come un uomo freddo e distaccato e dunque non si aspettava una presentazione così affettuosa. Non disse nulla, si limitò a incrociare i suoi occhi coi miei mentre lui era di spalle, intento ad appenderle il soprabito.
Le sorrisi debolmente, cercando di non far trasparire il mio nervoso.
Ci accomodammo al tavolo; io guardavo Lei, cercando di comprendere il suo disagio mentre, con le mani sulle gambe e le braccia visibilmente tese, cercava di non guardare gli occhi del boss che inevitabilmente percepiva sulle sue guance rosee per poi scendere e fermarsi sulla sua scollatura.
 
“Allora, Bunny, Marzio mi ha parlato molto di te; lavori al Moonlight, giusto?”
Lo avrei ucciso in quel momento; lo avrei letteralmente fatto fuori facendogli pagare anche il suo comportamento sfacciato fino al quel momento tenuto.
Lei rimase per un attimo spiazzata; per Lei lavorare al Moonlight era mortificante, umiliante, se ne vergognava e si sentiva sporca ogni volta che saliva su quel palco e sentiva gli occhi di tutti sul suo corpo. Deglutì, cercando di trattenere le lacrime che la sua emotività le rendeva facili. Cercava di rispondere nel miglior modo possibile, in maniera educata; sapeva che quella cena sarebbe stata utile ai fini del mio libro… non sapeva di quale libro perché non le avevo mai parlato dell’offerta di Lady Amy ma, tutto sommato, sapeva di un libro.  
Annuì tenendo gli occhi bassi sulle mani, strette a pugno sulle gambe, con un’espressione fatta di imbarazzo sul viso.
“Sì, è così” confermò. Un attimo di silenzio in cui nessuno di noi tre sapeva come continuare, poi Lei aggiunse: “Ho perso i genitori l’anno scorso e mia sorella ha bisogno di cure costosissime.” Alzò gli occhi incontrando i suoi e, fiera di sé: “Lo faccio per mia sorella.”
La sua voce era triste, tremava, e io avrei tanto voluto stringerla a me e sussurrarle ‘mi dispiace, perdonami, torniamo a casa e dimentichiamo tutto’.
Mi limitai però ad allungare una mano e posarla sulla sua, sopra la sua gamba; notandola evitare il mio sguardo e abbassare nuovamente gli occhi, fissi sulla mia mano che col pollice accarezzava la sua.
Guardai subito dopo Mister Taiki in maniera eloquente, sperando che finisse di metterla a disagio.
Lo capì da solo o forse furono i nostri volti leggermente imbarazzati a farlo smettere.
“Marzio mi ha già detto che sei speciale” riprese cercando di essere meno brusco e invadente, “quello che fai è ammirevole.”
E fu quello il primo momento, in un anno che conoscevo Mister Taiki, in cui vidi nascere un sorriso spontaneo e pieno di tenerezza dalle sue labbra sottili mentre cercava gli occhi di Bunny ancora tenuti bassi.
Anche Lei, dopo un istante di esitazione, lo guardò, sorridendo di rimando per educazione.
Fortunatamente quel momento di tensione fu interrotto da un cameriere che, avvicinandosi, ci porse dei menu stampati in carta bianca in cui risaltava in dorato il nome del ristorante.
Ordinammo, su consiglio di Mister Taiki che ci suggerì di scegliere alcune specialità del ristorante a base di pesce.
Per fortuna la cena fu accompagnata da una conversazione più leggera e piacevole; Taiki non sembrava il solito editore della casa editrice più rinomata di tutta NYC a cena con suo autore; per la prima volta lo sentivo ridere, lo vedevo rilassato; Bunny aveva catturato la sua completa attenzione; non mi guardava molto, solo quando  si ritrovava a fissare di fronte a sé, per il resto rimaneva girato alla sua destra a chiacchierare con Lei, escludendomi, facendomi sentire di troppo. Dove voleva arrivare? Non lo sapevo e quel misto di perplessità e curiosità mi faceva paura; fin dove si sarebbe spinto? E io fin dove gli avrei permesso di spingersi?
Arrivò il dessert, io e il boss avevamo scelto una fetta di torta alle mandorle, Bunny invece ne aveva preferito una al limone e fragole.
Feci scivolare la forchetta da dessert nel pezzo di torta per poi avvicinarla alle labbra di Bunny e invitarla: “Assaggiala”, sapendo che ne era golosa; sapevo che non era da galateo quel comportamento ma, in fin dei conti, quello tenuto da Taiki fin a quel momento lo era stato?
Bunny sorrise, timida, prima di socchiudere le labbra per poi richiuderle e assaporare quel pezzo di dolce, leccandosi velocemente le labbra per raccogliere i granelli di mandorla rimasti lì, dove chiunque avrebbe voluto rimanere.
Lo fece rapidamente ma forse non troppo dato che lui rimase ipnotizzato da quel gesto che racchiudeva tanta sensualità ingenua. Ci guardò, accorgendosi di quel momento in cui i miei occhi erano persi in quelli di Lei, notò i nostri sguardi, il nostro amore manifestato anche in quel breve istante tramite un dolce sorriso reciproco. Eravamo soltanto noi due in quei pochi secondi; nessun altro nella sala, nessun altro al nostro tavolo, niente musica, parole, sguardi indiscreti. Soltanto io e Lei, occhi negli occhi, complici più che mai.
“Ti piace?” sussurrai dolcemente come si usa con una bambina.
Abbassò le palpebre, annuendo e distendendo le labbra. Sembrava davvero una bambina. Taiki ci osservava e più la nostra complicità cresceva, più il suo sorriso diminuiva, incredulo probabilmente che a NYC il sentimento tanto noto quanto leggendario esistesse davvero e fosse lì sotto ai suoi occhi.
 
Quando finimmo di gustare il dolce, Taiki si abbottonò la giacca blu e si alzò in piedi; avvicinandosi a Bunny chiese: “Mi concedi un ballo?”
Lei ne rimase sorpresa, si voltò verso di me, non capendo o semplicemente in cerca di un consenso; le sorrisi e il mio sguardo la rasserenò. Annuì guardandolo negli occhi e si alzò.
“Te la rubo per un po’” comunicò lui con voce sfacciata e divertita mentre le metteva una mano sul fianco e la conduceva al centro della pista da ballo. Bunny era sempre più confusa, la vedevo con le mani chiuse a pugno all’altezza del petto e gli occhi dritti davanti a sé per non incontrare quelli del boss; percepivo il suo disagio  ma non potevo fare nulla; sapevo che la serata avrebbe sicuramente preso quella piega già da quella mattina, ma era una piega che portava a Moonlight e alla possibilità di liberarla dalle grinfie di Lady Amy. Dovevo seguire quella piega; dovevo farlo per Amore, per Bunny, per noi.
E così, ripetendo nella mia testa la risposta che avrei dovuto dare a lui ‘Ho tutta la vita per stare con Lei’, poggiai il gomito sulla spalliera della sedia, osservandoli ballare.
 
I battiti del mio cuore erano sempre più irregolari, un vuoto all’anima sempre più percepibile mentre mi accorgevo di lui che faceva scendere la mano dalla schiena molto più giù fino a posarla sopra i glutei; il mio cuore mancò un battito quando capii che cercava di spingerla ancora più a sé per sentire meglio il loro contatto, e avrei voluto alzarmi quando notai l’espressione di Bunny imbarazzata, a disagio, che con occhi bassi tentava invano di aumentare la distanza tra i loro corpi. Mi guardò, mostrandomi un pizzico di paura dai suoi occhi; credo che essa aumentò quando vide il mio viso abbassarsi e smettere di guardarla dopo un dolce sorriso.
Avrei voluto ballare io con Lei, stringerla forte tra le mie braccia e farla volteggiare davanti a tutti, rapiti dai sorrisi pieni di vita che sarebbero usciti dalle sue labbra. Le avrei sussurrato ‘Ti amo, amore mio’ e Lei avrebbe risposto ‘Anche io, Marzio’ aggrappandosi a me per evitare di inciampare a causa del mio entusiasmo col quale l’avrei fatta danzare tutta la sera.
E invece no; invece c’era lui a stringerla contro la sua volontà e io, al contrario di come feci al Moonlight, quella volta non potevo intervenire.
 
Quando finirono di ballare decidemmo di andare via; il boss si limitò a baciare nuovamente la mano di Bunny in segno di saluto e, voltandosi verso di me disse:
“Domani mattina ti aspetto alle 9.00; abbiamo un contratto da firmare”; si diresse dopo vero la Jaguar nera parcheggiata alle mie spalle senza darmi il tempo di aggiungere qualcosa.
 
Arrivammo a casa; Bunny non aveva parlato per tutto il tragitto in taxi ed io sapevo che era arrabbiata anche con me. Per quanto riguardava me, ero in parte felice; sapevo che il giorno dopo avremmo firmato il contratto con Lady Amy ma la paura di un eventuale ripensamento del boss, di un suo voler ripetere l’incontro con Lei, l’idea di altri compromessi mi rendeva ansioso e incapace di sentirmi felice e rilassato fin in fondo; almeno fin quando non avrei sottoscritto insieme a Taiki il contratto.
 
Chiusi la porta d’ingresso alle mie spalle e, subito dopo, togliendosi le scarpe e ritornando nel suo metro e sessantacinque centimetri di rabbia; Bunny si voltò verso di me con le guance rigate dalle lacrime.
“Bunny…” la mia voce era spezzata, non sapevo cosa dire, sapevo perché piangeva ma non potevo dirle ancora la verità.
“Cosa sono per te, Marzio?” domandò piena di ira e di delusione;
“Rispondimi, cosa sono per te? Un trofeo da esibire? Una garanzia per i tuoi contratti?” Le sue parole risultavano sempre più affannate mentre i suoi occhi si rivestivano di lacrime amare.
Scossi la testa, dispiaciuto, triste, impotente.
“Rispondimi Marzio! È per il tuo libro che hai permesso che quel porco mi toccasse mentre ballavamo?”
Lasciò uscire tutto lo sconforto che aveva accumulato per tutta la serata mentre io, con la schiena poggiata alla parete, non riuscivo a dire nulla ma continuavo a scuotere la testa.
“Perché gli hai permesso di trattarmi come una puttana?”, una pausa in cui cercava di riflettere meglio e: “Sono una puttana per te?” continuò sconfortata, venendomi accanto e inclinando la testa per incontrare i miei occhi che tenevo bassi.
“No, che dici! Tu sei la cosa più importante della mia vita.” Quella volta dovetti rispondere, dovevo farle capire che Lei fosse sul serio la persona per la quale avrei fatto di tutto.
“Perché mi hai fatto umiliare? Perché gli hai detto del Moonlight?”, passò svelta le dita sulle guance per asciugarle: “Sai quanto mi vergogni di lavorare lì; che bisogno c’era di dirglielo?”
Le sue ultime frasi mi fecero male per la delusione e per il dolore che si avvertiva mentre venivano pronunciate tra un singhiozzo e l’altro, mentre teneva gli occhi fissi su di me, mortificata.
“Bunny, amore mio perdonami” pregai inutilmente.
“Io mi fidavo di te” confessò con una mano sul petto e gli occhi pieni di amarezza;
“Io credevo mi amassi e volessi proteggermi, sempre.” Il suo tono era diventato più calmo, forse perché era la delusione che diveniva maggiore dentro di Lei.
“Sì, è così amore mio”, annuii e cercai di farla calmare prendendole una mano; ma si allontanò subito, d’istinto, e questo mi fece ancora più male perché si era sempre fidata di me, anche quando non mi conosceva, specialmente la prima sera che la vidi al Moonlight.
“Sono una stupida che crede nell’amore; dovevo capire che mi volevi solo perché ti faceva comodo un corpo da esibire per assicurarti i contratti col tuo editore.” Scuoteva il capo camminando su e giù per il salone e passava velocemente le mani tra i capelli, portandoli all’indietro; un gesto col quale credo volesse cercare di svegliarsi da quell’incubo in cui credeva che l’unica persona di cui si fidasse l’avesse tradita.
“Ora sei ingiusta, stai dicendo un sacco di cazzate!” In quell’istante il mio tono fu alto e alterato; poteva mettere in dubbio tutto nella mia vita ma non il mio Amore per Lei.
“E tu sei uno stronzo!” ribatté con tutto il fiato che aveva nei polmoni, fermandosi e voltandosi ad incontrare i miei occhi;
“La colpa è mia; avrei dovuto dargli uno schiaffo e andarmene via.” Un sorriso nervoso e: “E invece per paura che ci andasse di mezzo il tuo lavoro mi son fatta umiliare in quel modo.”
Mi sentii un verme; Lei lo aveva fatto per Amore e non sapeva che anche io lo avessi permesso solo per Amore che provavo soltanto per Lei. Sospirai anche se la voglia di dirle la verità fregandomene se il giorno dopo le cose fossero andate diversamente e si fosse illusa; ma poi pensai stupidamente che era troppo arrabbiata per credermi e così, scelsi il silenzio.
Stropicciò le labbra in una smorfia di dolore che io le avevo causato; un dolore che trasformava il suo Amore per me in odio; si girò e si diresse nella stanza degli ospiti, sbattendo con tutta l’ira che aveva dentro la porta alle sue spalle.
Ed io rimasi lì, al buio, in quella stanza che sembrava troppo grande senza di Lei. Mi lasciai scivolare a terra, temendo di aver appena perduto colei per la quale avevo cercato di fare l’impossibile per renderla felice e dimostrarle il mio Amore.
Con la testa poggiata alla parete, udendo soltanto il rumore di alcune auto che di rado percorrevano l’Upper East Side, mi ritrovai per la seconda volta in un giorno a riflettere sul rapporto tra Amore, odio e compromesso.
Lei aveva appena scelto l’odio, io invece il compromesso. Entrambi, per Amore.
 
Il punto dell’autrice
 
Carissimi e fedelissimi lettori, innanzitutto chiedo umilmente perdono per questa attesa; come saprete ho iniziato da poco
La melodia del cuore e quindi capita che spesso gli aggiornamenti di Moonlight vengano rallentati per dar spazio anche all’altra mia fan fiction.
Questo capitolo è stato molto difficile da scrivere, soprattutto la parte finale; ho cercato di descriverla per come la immaginavo io anche se, come al solito, non ne sono soddisfatta. Credo che la rivedrò in seguito quando revisionerò tutta
Moonlight.
Per ora spero che a voi il capitolo sia piaciuto e che l’attesa sia stata ben ripagata. Come al solito ringrazio tutti coloro che mi seguono con affetto, in particolare coloro che hanno inserito Moonlight fra le preferite o semplicemente tra le seguite.
Ci tenevo tantissimo a dedicare con tutto il cuore questo capitolo alla mia carissima amica Gabry; so che la sua fan fiction preferita è
La melodia del cuore però desidero dedicarle questo capitolo perché ho saputo da lei (che mi ha autorizzata a fare il suo nome) che è grazie alla lettura di Moonlight che ha deciso di lottare contro una brutta malattia e di vincerla.
Carissima Gabry, te lo dedico con tanto affetto.

Io sono felicissima e credo che sapere che un proprio lavoro, oltre a donare momenti di piacevole lettura, possa servire a qualcosa di più serio e importante – come in questo caso - sia la soddisfazione più bella che un’autrice possa ricevere. Per me lo è.
Cercherò di non farvi attendere molto per il cap.16, promesso; nel frattempo spero di ricevere le vostre impressioni e i vostri commenti su questo capitolo. Anche se negative le vostre recensioni son sempre gradite!
Un bacione e a presto!

Demy


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