Mai più avrei amato così tanto
Questo racconto risale
al 2008; è quasi inedito, salvo che ha avuto la sua anteprima sul blog di Livia,
che ringrazio.
È stato per tutto
questo tempo sul mio PC, incompiuto. Non trovavo il modo giusto di risolverlo, o
forse non riuscivo ad affrontare questi sentimenti; ora ho preso coraggio e mi
sono decisa, anche se non sono certa del risultato. Sono i sentimenti di Alain,
il mio amato Alain, secondo solo ad Andrè; quello del manga, con cui non vado
troppo d’accordo, e quello dell’anime, che preferisco, fusi insieme. Vi avverto,
è una storia triste, ma spero vi piaccia. Buona lettura.
******
Ho amato anch’io una volta.
Come non si potrebbe e non si
dovrebbe.
Parlo di uno di quegli amori
assurdi e impossibili che ti infettano l’anima come una malattia, una di quelle
da cui si rischia di non guarire mai. Come la lebbra che ti mangia la carne, o
il vaiolo che se non ti uccide, ti lascia deturpato.
Quegli amori che ti cambiano
dentro per sempre, e quando se ne vanno si portano via un pezzo di te.
E allora resti monco di qualcosa
e più nulla ti sarà restituito di ciò che hai perso.
Erano le persone migliori che
potessi incontrare in questa miseria di vita che mi porto addosso, come la
fame.
Il povero figlio di un falegname
e la nobile figlia di un generale; coppia strana legata da un destino più
cinico che ironico.
Due solitudini diverse, eppure
simili come gocce d’acqua.
Due realtà distanti come i loro
mondi: il sole e la luna che non dovrebbero incontrarsi mai.
Incontrai lui, la prima volta in
una taverna puzzolente di Parigi.
Una serata a far baldoria tra
risate e schiamazzi, con i miei compagni di sventura, senza un vero motivo per
essere allegri, perché se muori di fame e di freddo non hai tempo di pensare a
nient’altro. Un reggimento di soldati scalcinati, riottosi e poco inclini alla
disciplina, sempre attaccati al collo di una bottiglia o alle gonne di qualche
generosa locandiera. Soldataglia lurida, indurita dalle ronde notturne al gelo
delle strade, segnata da un’esistenza fatta di stenti.
Arruolati per fame, come me.
Disperati, come me.
Forse, come loro.
Poca speranza, troppa
disperazione.
Il dolore e la colpa possono
essere compagni molto invadenti, a volte. L’ho scoperto a mie spese.
Lui eri lì per dimenticare…
qualcosa… qualcuno…
Un gesto.
Uno sbaglio.
Paura; che forma avesse la sua
pena, non potevo saperlo, e certamente non mi interessava. Avevo già i miei
fardelli da portare e non ne avrei voluti altri.
Ma non siamo noi che scegliamo
il peso del nostro sacco e al mio bagaglio si sarebbe aggiunto il rimorso senza
la colpa del peccato.
Accettò di unirsi alla nostra
compagnia sgangherata e scomposta.
Compagni di bisboccia, quella fu
la prima di tante sere venute dopo, in cui affogammo in vinaccio cattivo e
amori mercenari i nostri dispiaceri.
Così, diventammo amici, io e
lui.
Era il migliore fra tutti. Il
marito che avrei voluto per mia sorella.
Mai avrei concesso ad altri
tanta fiducia.
Un giorno lui ha voluto
arruolarsi nel mio plotone di miserabili.
Perché in caserma c’era lei.
Arrivata lì, per chissà quale
motivo.
L’altra metà del suo cielo. La
parte oscura della luna. La zona buia sul mio cuore.
Il segreto inconfessabile che si
insinuò nei recessi più intimi della mia anima, come un tarlo a corrodere il
legno dal suo interno.
Occhi cerulei che nascondevano
profondità insospettabili in cui potevi annegare, e capelli mossi che si
scioglievano all’aria; ricordavano la distesa dorata di un campo di grano
maturo accarezzato dal vento della primavera, poco prima della mietitura.
Il nuovo Comandante era una
donna.
E che donna, dannazione!
Prendere ordini da una femmina
in uniforme è quasi eccitante.
Può scatenare pensieri dolci e
perversi nella fantasia maschile.
Cosa non farebbe un uomo per
lei…
Cosa avrei fatto io, per una
come lei.
Forse, quello che fece lui che
la seguì per una vita.
Che l’amò come se non ci fosse
altro per cui vivere.
Già…
Forse anch’io avrei sfidato il
mondo e le sue regole.
Forse anch’io mi sarei
trasformato nella sua ombra, pur di poterle stare accanto.
Al mio amico gli era rimasto un
occhio.
Lo avrebbe perso per lei.
Si sarebbe fatto ammazzare, per
lei.
La testa, chissà, l’aveva già
persa.
Sarebbe potuto accadere a me.
E forse, ci andai vicino.
Volevo salvarlo dal suo
sortilegio.
O forse…
Volevo salvare me stesso.
Povero stolto.
Non sapevo che alcuni sogni
proibiti ti si attaccano sulla pelle come il morso velenoso di certi animali.
Anch’io finii per subire il suo
incantesimo. Ne porto ancora il segno, ma ho lasciato che nessuno lo vedesse.
Non volevo credere che
si potesse perdere il buon senso, gli occhi e il sonno per una simile algida
amazzone che tutto sembrava, tranne una donna da amare.
Non ti scalda il letto e
le notti una valchiria del genere. Eppure, certe notti, quando nel cielo si
disegnava la sagoma bianca e lucente della luna piena, non riuscivo a chiudere
occhio se nella mia branda in caserma, pensavo al mio biondo comandante, come
non avrei dovuto. In quella luce lunare che tracciava strisce bianche sul
pavimento, la immaginavo entrare dalla porta, nuda e candida, con i capelli
sparsi sulle spalle e sulla schiena, una fata eterea che camminava nelle
baracche e avanzava silenziosa tra le brande in mezzo agli uomini che
dormivano. E solo io potevo vederla così.
È indegna dei tuoi sentimenti
questo superbo angelo biondo, gli dicevo.
Che appare freddo e
inaccessibile. Torre d’avorio inviolabile.
Che sembra voler fuggire
da sé.
Tentai di svilirla ai suoi
occhi, la dipinsi come il mostro peggiore.
Cercavo di demolire quell’immagine
altera e perfetta che ci restituiva.
Le conosco io, queste madame che
si fanno gli stallieri; mi hanno raccontato certe storie.
Si divertirebbe tra le lenzuola
con te, e poi ti mollerebbe per un altro amante. Non sono mai sazie.
Credi che non venderebbe i suoi
uomini? È corrotta e viziosa come tutti i nobili.
Ma che potevo sapere io, di
questa dea della guerra?
Cosa sapevo io, della guerra che
infuriava nel suo animo?
Lui ostinato, la difendeva.
Negava tutte le accuse che le
opponevo.
Provai a disprezzarla…
Oh, lo sa Dio se provai.
Tentai con tutte le mie forze,
ma il mio disperato, inutile disprezzo si trasformò in altro.
Per molto tempo non volli
credere che potesse succedere a me.
E ancor meno volli ascoltare
quello che mi sussurrava il cuore. Erano solo i pensieri di un folle, in fondo.
Ma più cercavo di scacciare le
immagini che affollavano la mia mente, più loro mi assalivano.
Avrei voluto odiarla, e
intanto, con la mente la schiacciavo contro un muro dove le slacciavo febbrile
i bottoni dell’uniforme e poi con le dita, scivolavo sotto la camicia di seta a
sfiorarle la pelle del seno. Nei miei sogni colpevoli lei mi assecondava in
tutto: nella tenerezza e nella lascivia. Immaginavo le sue labbra su di me. Ma
quanto possono essere pericolose certe fantasie, tanto da farti perdere il lume
della ragione.
Dea della guerra o dea
dell’amore?
Viaggiavo con la colpa sul
cuore; quella di nascondere al mio amico quella insana passione che mi germinò
nel petto, come fosse stata un’erba infestante.
Era un peso leggero, in fondo.
Riuscivo a sostenerlo. Potevo fingere che fosse altro. Potevo convincermi che
non era amore e che tutto partiva da una parte molto al di sotto del cuore.
Potevo guardarla negli occhi e
lasciarmi lambire dal fuoco che bruciava in quelle iridi fredde senza
scottarmi. Potevo sentire la mia carne infiammarsi al suono della sua voce
vibrante e appassionata, immaginarla morire di piacere tra le mie braccia e
soffocare lo spasimo, senza tradirmi. Senza tradire lui.
È meglio amare in silenzio, che
gridare senza voce e restare inascoltati.
Per non cadere anch’io in suo
potere, ero caduto vittima delle mie fantasie.
Perché più cerchi di scansare
l’inevitabile, più la sorte si accanisce e lancia i dadi contro di te.
Il mio cuore amava, avvinto da
un sentimento sbagliato. Ma può essere uno sbaglio, l’amore?
Può esserci un modo sbagliato di
amare, o semplicemente si ama e basta? Senza come e perché? Senza regole?
Il mio cuore batteva da solo, ad
un ritmo che non controllavo più, per una donna che non potevo avere.
Lei era già sua, era nata per
lui.
Allora perché, con istinto quasi
feroce, tutto il mio essere la reclamava, se nulla potevo pretendere?
Nulla mi spettava. Ma c’era
qualcosa da imparare.
Il giorno esatto che lo compresi
davvero, il fendente di un colpo di spada che lacera la carne sarebbe stato
meno doloroso di quello che provai in quel momento.
Accadde quando, per la prima
volta, vidi i suoi occhi profondi e trasparenti come acqua di fonte, tremare
per lui.
E allora, avvertii anche quella
particolare vibrazione che aveva nella voce quando lo chiamava per nome.
Era come un sospiro fremente,
un’ansia trattenuta.
Era amore gridato in un nome. In
una parola.
Lei, che non aveva paura di
nulla.
Lei, che aveva coraggio da
vendere.
Lei, che non lasciava venire a
galla le sue emozioni, ma ti strappava a forza le tue.
Ho capito che era un buon
Comandante.
Il migliore che abbia avuto.
Una donna da ammirare.
L’ho stimata e rispettata, ma
non amarla nel silenzio del desiderio che sfibra, era impossibile.
Non soffrire era impossibile.
Era un comandante ed era la sua
donna. Era l’altra metà della sua anima.
Era ciò che va oltre le leggi
degli uomini e degli dei.
Ho capito cosa aveva passato lui
in tutti quegli anni. Compresi la sua ostinazione.
Lui aveva combattuto contro gli
stessi fantasmi che ora ossessionavano me, per una valida ragione.
Quell’amore in tanti anni, mai
si era spento perché lei lo alimentava e ne era divorata a sua volta.
Ho capito che lo amava,
forse da sempre. E che aveva paura del suo stesso sentimento.
Perché l’amore può far
spavento.
Il fuoco che ballava nel suo
sguardo era la fiamma palpitante di quell’amore che li univa.
Non avrebbe potuto amare me, o un
altro nello stesso modo, con quella stessa forza.
Perché si ama così, una volta
soltanto.
Mi restano per lei parole mai dette, come carezze proibite sul cuore.
Lasciati andare.
Liberati dalla paura, così che io mi possa liberare dal tormento di sapervi infelici e possa godere anch’io un po’ della vostra gioia.
A volte è consolante vivere di quella degli altri.
Lasciami le briciole.
Così che io possa rassegnarmi ed espiare la mia colpa.
Ti prego, lasciami libero...
******
Perdonami amico mio.
Tardivo, vengo a confessarmi su
questa pietra.
Mi sono sentito colpevole e
indegno della tua amicizia, tu non sai quanto.
Guarda il traditore che sono
stato nei tuoi confronti.
Guardami da dove sei ora. Mi
vedi?
Tu non lo hai mai saputo.
Chissà se lo hai sospettato.
Forse lo avresti letto nel mio
sguardo, se non fossi stato quasi cieco.
Una fortuna vergognosa per me.
Perché mi guardi così? mi chiedevi incerto.
Oh, non potevi vedere come
guardavo lei.
Ma ora puoi. Mi vedi?
Non so se mi basteranno la
parole.
Non so se saprò trovarle.
Che ne sapevo io del dolore che
custodivi?
Ti osservavo e cercavo di
trovare quella forza segreta che avevi.
Mi sforzavo di avere il tuo
coraggio mentre soffocavo nel cuore una gran pena.
Ora so che non si può conoscere
il dolore di un uomo se non lo si prova.
Se non lo si vive fino in fondo.
Ho capito, sai?
Finché non tocchi il fuoco non
puoi sapere quanto brucia e può far male.
La sensazione di calore resta
vaga.
È solo un semplice tepore che
scalda le mani fredde, ma non scotta la pelle.
Ma io ho conosciuto il tuo
fuoco, quella fiamma più ardente che brucia e distrugge tutto.
L’ amore è davvero così.
È un incendio che devasta una
foresta.
Mi sono procurato le tue stesse
piaghe.
Sono lì, ma non bruciano più.
E dove prima c’era un campo di
messi rigogliose, ora restano sul terreno sterpaglie annerite.
Nella mia valle spuntava l’erba
più verde; quando e se ricrescerà, non avrà mai più lo stesso colore brillante.
Perdonami se non ho creduto
nella forza della nostra amicizia.
Perdonami se ho avuto paura che
potesse corrompersi allo stesso fuoco.
Non saprai mai quanto mi è
costato.
Guarda la mia fatica. Mi vedi?
Ho fatto pace con me stesso e
con certi sentimenti che ho provato.
E ora so per certo che tu
avresti compreso.
Io adesso, conosco il senso di
quella prova.
Ti saresti fidato, lo hai sempre
fatto, fino a quell’ultimo giorno sulla piazza, quando mi hai chiesto di
portarti via.
Non ho fatto in tempo e il
destino è stato più veloce.
Quante volte sei morto, in
vent’anni?
Quante volte sei rinato nei suoi
occhi di cielo?
A me è bastata una volta per
capire la differenza.
Mi avete lasciato monco di
qualcosa.
Tu e lei siete le braci annerite
sul mio cuore.
Ho compreso tardi la misura del
vostro amore.
Vi siete amati e io l’ho sentito
come un miracolo.
Tra voi era inevitabile.
Una strana legge del
contrappasso, la vostra.
Quando sei morto, dopo che l’hai
avuta, ho sentito che lei ti avrebbe seguito.
Perché tu avevi sempre seguito
lei.
Come la notte segue sempre il
giorno, e il giorno la notte.
E proprio come il giorno e la
notte, vi siete incontrati solo nell’istante di un tramonto.
Quando lei è morta è stato come
ricordare, rivivere una pena antica.
Mi pare di sentirla di nuovo
affondare come una lama che taglia i lembi di una cicatrice mai rimarginata.
È la pena per questo amore
soffocato nel petto.
A voi è stato concesso di
viverlo.
Ho compreso il dolore che mi
avete lasciato.
È ancora qui, negli occhi e sul
cuore.
Su questa pietra su cui sono
venuto a piangere.
Per un’amicizia che non volevo
tradire.
Solo ora so cosa significa.
Il mio amore nascosto per lei.
Il dolore per voi.
Perdonami.
Mi vedi?
Come te, ho amato anch’ io.
Come te, mai più avrei amato
così tanto.
Fine
Grazie a tutti quelli che leggeranno e a coloro che avranno voglia di lasciare un commentino.