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Autore: Macchia argentata    03/04/2011    38 recensioni
Questa storia prende il via dopo l’incidente di Andrè: il generale Jarjayes, vedendo la figlia sempre più chiusa e scostante dopo la mancata cattura del cavaliere, decide di organizzare una villeggiatura invernale…Ma forse i suoi scopi sono ben altri, visto che si premurerà di invitare nella casa di campagna di Arras due buoni partiti di nostra conoscenza non ammogliatiXD
Fan fiction senza pretesa e dai toni leggeri, scritta naturalmente per le Oscar/Andrè addictedXD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, André Grandier, Axel von Fersen, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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villeggiatura 8 Epilogo

Mio caro Andrè,

sono stata molto lieta di ricevere la tua ultima lettera. L’Italia deve essere un posto magico.
Non riesco ad immaginare una città con le strade fatte d’acqua, come mi racconti. Considerati molto fortunato per l’opportunità donatati da madamigella Oscar, e non comportarti da insolente, come tuo solito! Ricordati che il Generale de Jarjayes conta su di te, affinché tu non distolga mai lo sguardo da Madamigella. Se dovesse succederle qualcosa, non affrettarti a tornare in questa casa, o assaggerai il retro del mio mestolo.
E adesso che ti ho fatto la mia solita ramanzina, caro nipote, veniamo a te: mangi a sufficienza? Hai il buon senso di riguardarti, per quanto concerne i tuoi problemi di vista? Sono molto felice di sapere che Madamigella Oscar è riuscita, grazie alle sue conoscenze, a procurarti un buon medico. Questi italiani devono saperne una più del diavolo perché non c’è un’arte o una professione in cui non eccellano. Mi dici che il medico che ti ha visitato è uno dei migliori di Venezia, e io voglio crederci. Ringrazia una volta di più la nostra Oscar, che pensa a te nonostante tu sia uno sfaccendato. Ricordati inoltre che sono terribilmente in apprensione nel sapervi, tu e Oscar, così lontani. Ma al contempo devo ringraziarvi, miei cari, per lo splendido dono fattomi pervenire con l’ultima lettera. Non penso, alla mia età, di meritare un ventaglio tanto bello, talmente raffinato che starebbe meglio tra le graziose mani della nostra Regina, piuttosto in quelle di una vecchia come me. Allo stesso modo il generale è stato molto soddisfatto della cassa di vino del Chianti fattogli giungere da Madamigella. Detto tra noi, caro Andrè, temo che il generale non abbia ancora del tutto digerito la questione del conte Girodelle, che ultimamente sta dando scandalo nei salotti della buona società. O almeno, così vociferava la lattaia qualche mattina fa, quando insieme al latte ha fatto arrivare strane dicerie sul nuovo capitano della Guardia reale. Ricordi la piccola Camille, che venne qualche mese orsono in villeggiatura con noi? Bene, che iddio non voglia, ma circolano strane voci che la ragazza sia…in stato interessante. Se il bambino dovesse essere del conte, non potrei immaginare in che modo salteranno i nervi alla sua povera sorella.
Ora ti lascio, caro nipote, ma non scordarti i miei ammonimenti. Veglia sempre su Madamigella Oscar, come un diligente chaperon, e non essere screanzato!
Con affetto.
Nonna.

La voce chiara e limpida di Oscar smise di riempire la stanza quando si voltò scrutandomi con un sorriso e il sopracciglio leggermente rialzato.
“E così, saresti uno screanzato?”
“Naturale, e della peggior specie, mi sento di aggiungere.”
Mi allungai sulle coperte e sollevai la leggera camiciola dai fianchi di Oscar, posandole un bacio delicato sul fondoschiena.
“Decisamente insolente” Commentò Oscar, piegando la lettera e lasciandola cadere su un cuscino “Se Nanny sapesse in che modo ti stai prendendo cura di me…temo non potrà esimersi dall’usare il suo famigerato mestolo su di te.”
Le baciai le due piccole fossette alla base della schiena.
“La nonna dovrebbe sapere che prendo i miei compiti…molto sul serio. Non potrei sorvegliarti da più vicino…”
“Povera Nanny, ha creato un mostro!”
“Sono un ragazzo diligente…”
Oscar rotolò su un fianco, allungando una mano verso il mio viso, e con un gesto affettuoso mi scostò i capelli dal viso.
“Lo vedo…” Mormorò sorridendo maliziosa.
Mi sollevai, allungandomi su di lei che, a sua volta, si sdraiò sulla schiena.
Le nostre labbra si incontrarono, assaporandosi lentamente, mentre le gambe lunghe di Oscar si stendevano pigramente contro i miei fianchi.
Mi sentivo pronto a ricominciare, nonostante non fosse passata che una mezz’ora da quando avevamo fatto l’amore, quella mattina.
A volte era così incredibilmente difficile resisterle…da quando era mia, la volevo, se possibile, ancora di più.
Lasciai vagare una mano fino al bordo della sua camicia, e stavo per sollevargliela quando uno stridore di ruote, dalla strada, venne accompagnato da un sonoro boato.
Attraverso le imposte spalancate della nostra camera, insieme al caldo sole primaverile che inondava il pavimento, sopraggiunsero due voci bellicose.
“A stolto! Nun lo vedi n’do camini? Guarda c’hai fatto! Mo te gonfio come ‘na zampogna!”
“A’mbecille! Nun lo vedi che sei te che ce vedi male? Si’ le cose nu’lle sai…salle!”
“Ah, senti er gallina, er duro vallo a fa’ ar cesso!”
Io e Oscar ci guardammo alcuni secondi negli occhi, prima di soffocare una silenziosa risata.
“Sei popo er peggio…”
“Me sto ambruttì, t’avverto…”
Mi sollevai lentamente, e un po’ controvoglia, dal morbido corpo di Oscar, e diedi una sbirciata fuori dalla finestra.
Un carretto con alcune gabbie di galline era stato travolto da un altro carretto, più consistente, contenente delle mele, e adesso mele e galline ricoprivano quasi interamente il selciato del vicolo in cui i due uomini stavano per venire alle mani.
“Cosa dicono?” Chiese Oscar con un sorriso, mettendosi seduta tra le lenzuola.
I due uomini, furibondi, nel frattempo si erano afferrati per il colletto della giacca.
“Sto figlio d’androcchia! Mo te sporvero!”
“Ce devi provà! Te sfragno il grugno!”
 “Dunque…” Mormorai “Il primo sta affermando che ha leggermente perso la pazienza, e l’altro concorda…anche lui è lievemente irritato dal contrattempo.”
“Sai Andrè, non credo che dopotutto tu sappia l’italiano meglio di me…Ma Nanny sarebbe indubbiamente ammirata per come mi proteggi da certe trivialità!”

Il carrozzino scoperto correva lungo la strada, lasciandoci ammirare le meraviglie di Roma.
Seduta davanti a me, Oscar teneva il viso sprofondato nella guida che era riuscita a procurarsi.
Con una mano mascherai l’occhio buono dal riverbero del sole e le lanciai una lunga occhiata.
Aveva legato i ricci capelli chiari con un fiocco di velluto, e il tricorno che portava calato in testa le oscurava parte del volto. La cravatta di seta bianca era annodata alla perfezione, così come perfetti erano la giacca color salvia e i pantaloni avorio. Non aveva la spada, ma nella mano sinistra faceva dondolare distrattamente un bastone da passeggio dal pomo lucido.
Si sarebbe detto un perfetto gentiluomo, ad una prima fugace occhiata. Ma per me, adesso che conoscevo ogni più nascosta piega del suo corpo, non c’era inganno.
“Allora, qual è il programma di oggi?” Le chiesi con un sorriso, portandomi le braccia dietro alla testa mentre mi godevo il calore del sole sul volto.
Oscar sollevò lentamente lo sguardo dalla guida, e vidi i suoi occhi color del cielo farsi seri sotto all’ombreggiatura del cappello.
“Hai mai detto bugie, Andrè?”

Il mascherone dalla bocca spalancata mi fissava talmente intensamente che per alcuni istanti mi sentii estremamente a disagio.
Oscar, al mio fianco nella frescura della penombra, sollevò la guida davanti a sé:
“La Bocca della Verità, in marmo pavonazzetto, è presumibilmente databile attorno al I secolo. Si suppone raffiguri il Dio Giove…” Esclamò, scandendo bene le parole. “Gode di una fama leggendaria, secondo cui sia in grado di pronunciare oracoli. Nel medioevo nacque il mito secondo cui fu Virgilio mago a costruire la Bocca della Verità, ad uso dei mariti e delle mogli dubbiosi circa la fedeltà del coniuge.” I suoi occhi si levarono dal testo, cercando i miei “La leggenda vuole che i bugiardi che vi inseriscano la mano, proclamando il falso, restino monchi…”
Deglutii.
“E’ una cosa davvero macabra, Oscar…”
Lo sguardo di Oscar non mi piaceva per niente, e, conoscendola, avrei dovuto immaginare che questo era il genere di storie che le mettevano addosso una strana euforia. Qualunque tipo di sfida, in effetti, le metteva addosso una strana euforia.
“Preoccupato?” Mi sussurrò, chiudendo la guida di scatto e guardandomi con un sorrisetto.
“Niente affatto!” Esclamai, piccato.
“Bene, dunque, procedi.” Oscar levò il suo bastone da passeggio e indicò l’orrendo mascherone che ci stava dinnanzi.
“Questa cosa ti diverte molto, devo concludere.” Considerai, sconfitto.
“Oh, si!” Esclamò lei, con un sorriso perfido.
“E…Non ti importerà accompagnarti con un uomo, oltre che con un solo occhio, anche con una sola mano?”
Oscar parve considerare la questione.
“Mi fido di te.” Sentenziò infine, seria. “E mal che vada, almeno farai pendant.”
“Ti ringrazio per la fiducia, anche se la questione del pendant non mi è di molto conforto…”
Sollevai il braccio destro, mentre i pizzi della camicia mi ricadevano sul polso, e la guardai con aria solenne.
“Io ti amo, Oscar François de Jarjayes, e non amerò mai nessun altra donna…”
Poi, lentamente, infilai la mano nella bocca spalancata, mentre l’eco di un temporale faceva da sfondo al repentino imbrunire che aveva preso il posto del caldo sole pomeridiano.
Un’espressione di dolore attraversò seduta stante il mio viso e mi piegai in due, mentre un tuono sconquassava l’ambiente circostante.
“Ah! La M-mano…Oscar!”
Oscar sgranò gli occhi, lasciando cadere il bastone da passeggio.
“Andrè!”
Io, lentamente, estrassi il braccio. Oltre i pizzi della camicia non restava più nulla del mio arto destro.
Oscar trattenne il respiro, portandosi una mano alle labbra, mentre un lieve sorriso si dipingeva sul mio volto.
“Non potrò più suonare il violino!” Esclamai, sventolandole la manica vuota della mia camicia davanti al naso. “Che tragedia!”
Lo sguardo di Oscar assunse immediatamente una sfumatura indignata.
“Non è stato divertente, Andrè!”
“Oh, si invece! Avresti dovuto vedere la tua espressione!” Esclamai divertito, mentre lasciavo sbucare la mia mano, perfettamente integra, dalla giacca.
“Tua nonna aveva ragione, sei proprio uno screanzato!” Esclamò lei, imbronciata per aver fatto la figura della sciocca.
“Devo ammettere, Oscar, che questa me l’hai proprio servita su un piatto d’argento. Andiamo! Ti sei fatta suggestionare da questa stupida storia!”
“E’ una leggenda, Andrè. E come ogni leggenda che si rispetti, deve avere un fondo di verità…”
“Beh, ad ogni modo, ho superato la prova, non credi?” Mi rimirai la mano, palmo e dorso, poi la allungai verso il braccio di Oscar, attirandola a me.
Fuori la pioggia aveva preso a cadere, nel più classico dei temporali primaverili.
Strinsi Oscar al mio petto e le accarezzai una guancia.
“Ragazzina, ti hanno mai detto che sei una credulona?” Poi, prima di darle modo di rispondere, la baciai con trasporto. Quando staccai le labbra dalle sue le sorrisi dolcemente “Senza contare che non avresti dovuto dubitare del mio amore.” La guardai, con serietà. “Non devi dubitarne mai, promesso?”
“Promesso.”
In quel momento un lieve colpetto di tosse ci fece voltare entrambi, e ci trovammo davanti due gentiluomini che si erano a loro volta rifugiati dalla pioggia.
“Scusate, signori…” mormorarono, imbarazzati e piuttosto scandalizzati.
Ai loro occhi, potevamo benissimo essere due uomini che si scambiavano effusioni davanti alla Bocca della Verità.
Afferrai la mano di Oscar.
“Ti va una passeggiata sotto alla pioggia, Cherie?”
Lei soffocò una risata e ci allontanammo correndo sotto al temporale, non prima di aver udito i due scioccati gentiluomini italiani mormorare con sdegno:
”Ah, questi francesi…tutti pervertiti, come quel de Laclos*!”

Quando arrivammo alla nostra pensione eravamo bagnati fradici. Entrammo nell’ingresso, ridacchiando, e fummo accolti dallo sguardo accigliato della nostra padrona di casa.
“Buonasera, signori.” Esclamò, in tono gelido.
La vecchia signora non vedeva certo di buon occhio due tipi strambi come noi, probabilmente non riuscendo a classificarci in nessuna categoria. La sua disapprovazione, tuttavia, si limitava ad occhiatacce e toni piuttosto taglienti, perché non aveva ulteriori motivi di lamentele dato che avevamo già versato un acconto per le successive tre settimane.
“Buonasera signora Concetta.” Esclamai, sempre stringendo la mano di Oscar nella mia.
“C’è della posta per voi, signori.” Esordì l’austera vedova, lanciando un’occhiata di sprezzante disapprovazione alle nostre dita intrecciate e consegnando nelle mani di Oscar una busta bagnata su cui l’inchiostro si stava rapidamente sciogliendo.
Oscar lesse il mittente e rapidamente si infilò la busta sotto al braccio mentre io ero riuscito appena a scorgere le iniziali, restandone, in verità, piuttosto perplesso.
Oscar sorrise amabilmente alla padrona di casa, chiedendo se era possibile farsi portare dell’acqua calda per un bagno e poi mi trascinò su per le scale, mentre io mantenevo stampato sul viso un sorriso di circostanza, pensando al perché aveva avuto tutta quella fretta di nascondere al più presto una lettera di Fersen.

“Allora…chi ti scrive?”
Il lieve sciabordio dell’acqua intorno ai nostri corpi riempiva il silenzio della stanza. Oscar, la testa completamente abbandonata al mio petto, giocherellava con alcune gocce sul bordo della vasca.
“Oh…nessuno…” Mormorò, piuttosto vaga.
Sentii una lieve fitta mordermi lo stomaco, ma preferii mantenere un tono conciliante.
“Nessuno? Dovrà pur essere qualcuno, ti pare?”
“Si, certo…ma non è nessuno di importante.” Oscar sospirò e lasciò affiorare le ginocchia dall’acqua bollente.
“Capisco.” Mi limitai a replicare, in tono piuttosto asciutto.
Passarono alcuni secondi di silenzio. Sentivo il corpo di Oscar muoversi contro al mio, carezzato dalla piacevole sensazione dall’acqua, ma il peso che avvertivo nel cuore mi impediva di goderne come avrei voluto.
Lei posò una mano su una delle mie cosce, che le cingevano i fianchi, e lasciò scorrere la mano sulla mia pelle umida.
“Sai…è piuttosto imbarazzante, in effetti, ma…Una volta ti ho sognato. Entravi in camera mia mentre facevo il bagno.”
“Ah si? E cosa facevo, ti rubavo la saponetta?”
“Mi baciavi.” Oscar levò il capo dal mio petto, quel tanto che bastava perché le mie labbra si trovassero a un soffio dal suo collo. Sentivo i suoi capelli bagnati solleticarmi le spalle.
“E mi toccavi…” La sua mano si immerse nell’acqua cercando la mia, e quando la trovò la portò con sé, fino a posarla su uno dei suoi seni.
Lasciai scorrere la mano sulla sua pelle umida, sfiorandole il capezzolo con la punta delle dita, e sentendolo indurirsi sotto al mio tocco. Il sospiro che fuoriuscì dalle labbra di Oscar non mi permise di impedirmi di levare anche l’altra mano, stringendole i seni, che spuntavano appena dalla superficie dell’acqua, e carezzandoli a lungo. Oscar inarcò la schiena, portando un braccio dietro alla mia testa e sfregando il collo contro le mie labbra, che, tuttavia, si rifiutarono di baciarla.
Staccai le mani da lei.
“C’è…qualche problema?” Mi chiese a quel punto, voltandosi leggermente verso me. I suoi capelli bagnati avevano assunto il colore delle nocciole, e i suoi occhi azzurri risaltavano limpidi nel suo incarnato di porcellana.
Se non fossi stato tanto adirato per la lettera di Fersen che mi stava nascondendo, l’avrei già sollevata tra le braccia per buttarla sul letto.
“Non lo so, dimmelo tu.”
Restammo a fissarci alcuni secondi.
“Non capisco.” Ammise infine Oscar.
“No? Vediamo se riesco a rinfrescarti la memoria. Non hai forse ricevuto una lettera, poc’anzi, dal conte Fersen?”
Oscar sgranò leggermente gli occhi. Aprì la bocca, poi la richiuse.
“Da quando metti il naso nelle mie faccende?” Mormorò infine, accigliandosi.
“Io non metto il naso nelle tue faccende. Era tra le tue mani, e ho letto il mittente, tutto qua. Perciò adesso mi chiedo…Mi stai nascondendo qualcosa?” Mi resi conto che il tono che stavo usando era piuttosto pedante, quando in realtà avrei voluto parlarne tranquillamente. Non volevo darle l’impressione di starle con il fiato sul collo, ma un tarlo maligno si era impossessato dei miei pensieri e non ero più in grado di ragionare lucidamente.
Oscar mi fissò ancora alcuni secondi, mentre il suo sguardo andava rabbuiandosi, poi si sollevò dalla vasca. Vidi l’acqua rigarle la schiena nuda e le natiche rotonde, e osservai incupito le impronte bagnate che aveva lasciato sul pavimento, mentre si avvolgeva con rabbia nella veste da camera.
“E’ ironico che proprio oggi pomeriggio abbiamo parlato di menzogne, e adesso scopro che sei tu quella che poteva finire senza una mano se avesse provato a infilarla in quel dannato mascherone.”
“Non sai di cosa stai parlando.”
“No, infatti. Per questo vorrei che tu mi spiegassi.” Mi levai a mia volta dalla vasca, e, nudo e bagnato attraversai la stanza, mettendomi di fronte a lei, che stava a pochi passi dalla cassettiera in cui sapevo conservava le sue cose.
“Io non devo spiegarti proprio niente.”
Vidi che si stava mettendo sulla difensiva, chiudendosi come faceva quando si sentiva attaccata.
“Va bene. Sai una cosa? Tieniti pure le lettere di Fersen strette al cuore, per quel che mi importa. E anche quel suo stupido medaglione…Cos’è, credevi non me ne fossi accorto? So che te lo stai portando dietro da mesi, e che me lo tieni nascosto.”
Vidi il suo sguardo rabbioso posarsi nel mio, e per un istante mi sentii un bruto. Poi la gelosia ebbe il sopravvento.
“Non sei mai stata brava ad avere segreti. Nemmeno da bambina, quando nascondevi i biscotti nel terzo cassetto della cassettiera, tra le tovaglie.”
Oscar sgranò leggermente gli occhi e io annuii.
“Si, lo sapevo. E sapevo anche che occultavi il polpettone del giovedì nel tovagliolo per darlo ai cani. Io ti osservo, Oscar, l’ho sempre fatto.”
“Suona più come una minaccia.” Esclamò lei, vagamente sarcastica.
Mi bloccai.
Forse aveva ragione. Forse…ero un maniaco. E lei era la mia ossessione.
Provai ad immaginarmi come dovevo apparirle, nudo e alterato, e mi sentii uno schifo.
Nonostante tutto, la ferita mai del tutto rimarginata per i sentimenti che aveva provato per Fersen continuava a tormentarmi.
Le lanciai un’occhiata delusa.
“Perfetto, tieniti i tuoi segreti. Io levo il disturbo, così potrai leggere la lettera di Fersen in tutta calma.”
Oscar inspirò. Potevo leggere la rabbia che covava dentro nel suo sguardo glaciale.
“Non serve, Andrè.” Con un’unica mossa estrasse il cassetto incriminato dalla cassettiera e ne rovesciò il contenuto sul letto, lasciandolo poi cadere a terra in malo modo.
Le numerose lettere del generale si confusero tra le lenzuola ad alcune recanti l’irregolare calligrafia di Maria Antonietta, riconoscibile dalle numerose macchie d’inchiostro presenti qua e là.
“Prego, serviti pure!” Mi gridò Oscar a quel punto, lasciandomi solo e con la mascella contratta dalla rabbia davanti alle sue cose sparse sul letto, mentre lei si toglieva la veste da camera come una furia, infilandosi camicia e pantaloni con dei collerici movimenti a scatto.
“Dove stai andando?” Chiesi, senza distogliere lo sguardo dal mucchio di lettere. Ma in risposta ebbi solo il violento colpo della porta che sbatteva.
Rimasi immobile alcuni istanti, e deglutii. Poi distolsi lo sguardo e mi rivestii con una calma esasperata dai sentimenti contrastanti che covavo dentro. Infine, sedetti sul bordo del letto, lanciando di tanto in tanto occhiate sprezzanti nei confronti delle lettere.
Dopo circa dieci minuti in cui mi tormentai sul fatto di violare l’intimità di Oscar mi decisi.
“Al diavolo…” Borbottai, allungandomi a frugare tra le sue carte per vedere quante fossero di Fersen.
Tra le sue cose trovai una piccola catenina con un crocifisso, regalo della nonna, due cornici gemelle con i ritratti dei genitori e una boccetta di profumo, sul cui collo era legato un nastrino verde. Improvvisamente, mi intenerii.
L’aveva acquistato in previsione del nostro viaggio, quel profumo, ne ero certo. Lo metteva per me.
Lo riappoggiai sul letto, e, proprio in quel momento, l’occhio mi cadde sul medaglione che, più di una volta, le avevo visto stringere tra le dita, quasi fosse un portafortuna.
Lo sfiorai con la punta delle dita, e lo sollevai nel palmo. Non vi erano incisioni, ma quando lo aprii, facendo scattare la chiusura, una ciocca di capelli mi cadde tra le mani.
Lì per lì rimasi basito.
Conservava i capelli di Fersen?
Poi mi portai la ciocca davanti allo sguardo. Era piuttosto lunga, arrotolata su se stessa e tenuta ferma da un piccolo nastro blu.
Ed era color ebano.
Era una ciocca dei miei capelli, quei capelli che avevo reciso con un colpo netto quando avevo aderito senza esitazione all’impresa per la cattura del Cavaliere Nero.
Improvvisamente, mi sentii un perfetto idiota.
Poi lanciai un’occhiata fuori dalla finestra, alla pioggia battente che picchiettava sui vetri.
La giacca di Oscar era rimasta posata sulla piccola poltrona damascata all’ingresso.
Lasciai cadere il medaglione e mi precipitai alla porta.

Scesi i gradini due a due, e mi diressi di corsa all’entrata, superando Donna Concetta senza degnarla di uno sguardo, mentre la sentivo esclamare: “Ma dico, che modi sono questi?! Lei e il suo amico non dovreste correre per i corridoi! E poi cos’era quel tonfo che ho sentito al piano di sopra?”
Uscii fuori nella pioggia, e provai a guardarmi intorno, immaginando in quale direzione poteva essersi incamminata Oscar. D’istinto voltai a sinistra, tenendo la sua giacca stretta nella mano destra mentre mi sgolavo per chiamarla.
“Oscar! Oscaaaaar!”
Le suole dei miei stivali calpestarono il fango e il pantano del vicolo, mentre la pioggia mi sferzava le guance costringendomi a tenere la palpebra semichiusa sull’occhio buono. Percorsi tutta la strada di corsa, sentendomi sempre più angosciato, finché, finalmente, scorsi la sua esile figura.
Era appoggiata nella rientranza di un portone, le braccia conserte sulla camicia zuppa, e tremava di freddo.
“Oscar!” Esclamai, sollevato. Lei sollevò lo sguardo, e quando mi vide mi rivolse un’occhiata tutt’altro che amichevole, prima di staccarsi dal muro cui era appoggiata per dirigersi a passo veloce per la strada, sempre tenendosi le braccia strette attorno al corpo.
Mi accodai a lei.
“Oscar, ti prego, fermati!” Avevo il fiatone “Sono un…idiota! Un perfetto idiota!”
“Si.” Mi gridò lei, sempre camminando con passo deciso.
Non era facile stare dietro a qualcuno che era stato abituato a marciare per tutta la vita.
Con gli ultimi residui di fiato che conservavo feci uno scatto, fino a riuscire ad allungare un braccio verso lei. La afferrai per un fianco, costringendola a voltarsi.
“Lasciami!” Esclamò lei, adirata.
Io le posai anche l’altra mano sul fianco, attirandola a me.
“Perdonami! Perdonami, ti prego…”
Aveva i capelli fradici appiccicati sulla fronte, e se dallo sguardo avesse potuto lanciare fiamme mi avrebbe sicuramente incenerito. Con tutta la forza che aveva allungò le mani sul mio petto spingendomi via, e cercando in tutti i modi di divincolarsi, ma io fui ben fermo nel tenerla stretta a me.
“Non so cosa mi è preso, sul serio…Io…Io ho visto la grafia di Fersen e non ho capito più niente!”
Oscar, forse perché ormai priva di forze, parve acquietarsi, nonostante continuasse a guardarmi come se avesse voluto scorticarmi vivo. Staccai le mani dai suoi fianchi e le posai sulle sue guance, scostandole i capelli dalla fronte.
“Perdonami, Oscar…Avrei…avrei dovuto fidarmi di te, senza importunarti con le mie stupide paranoie…”
“Dici bene, Andrè. Stupide paranoie!” Oscar prese fiato “Io…io non ti ho fatto vedere quella lettera proprio per evitare…questo.” Mi guardò in cagnesco “Allora, l’hai letta?”
“No. E non mi importa nemmeno farlo, sul serio.”
“Beh, invece dovresti. Il conte Fersen voleva semplicemente informarsi sul nostro viaggio, consigliandomi di non mancare per nessuna ragione di visitare il golfo di Napoli. E ti saluta, naturalmente, dopo essersi informato del tuo stato di salute.”
La fissai negli occhi.
“Io…sono mortificato.” Mi scostai leggermente da lei e le posai la giacca che le avevo portato sulle spalle, prima di stringerla nuovamente a me.
“Fai bene ad esserlo. Io non ti mentirei…mai.” Il suo sguardo mi arrivò dritto nell’anima.
“Lo so. Ti giuro che lo so…solo che, quando c’è di mezzo Fersen…tendo a dimenticarlo, talvolta.”
“Non dimenticartene più. Io ti amo, Andrè. Amo te.”
La guardai. Aveva le ciglia imperlate di pioggia, e mi guardava come se non esistessero altre verità possibili, oltre a quella che aveva appena affermato.
Allungò una mano verso il mio viso, scostandomi i capelli gocciolanti dall’occhio ferito, e mi sorrise lievemente.
“Ragazzino, ti hanno mai detto che sei un gelosone?”
“Oh, si…” Mormorai, prima di baciarla, stringendola a me più che potevo.

Rientrammo di corsa alla pensione e ci precipitammo su per le scale, ignorando Donna Concetta, che non mancò di gridarci dietro:
“Non dovreste correre per i corridoi, signori, è la terza volta che ve lo faccio presente!”
Aprii la porta della stanza con le labbra di Oscar attaccate ad un lobo dell’orecchio, e la richiusi mentre lei mi sfilava la camicia dai pantaloni.
In pochi secondi ci eravamo tolti i vestiti bagnati, lasciandoci cadere sul letto senza smettere di baciarci. Quando entrai in lei la sentii frenare l’impeto con cui ci eravamo mossi fino a quel momento. Mi posò una mano sulla guancia e mi guardò intensamente.
“Non ho amato nessun altro, prima di te. Tu…ci sei sempre stato.”
Mi sentivo gli occhi lucidi e iniziai a muovermi con lentezza dentro al suo corpo, che mi avvolgeva con calore e morbidezza, e infinito amore, senza mai staccare lo sguardo dal suo.
Lei mi amava. Amava me.

Il ticchettio della pioggia, prossima a smettere, cullava i nostri pensieri nell’ombra della notte.
Tenevo la guancia posata sul seno di Oscar, e la sentivo accarezzare dolcemente i miei capelli, senza fretta, trasmettendomi un infinito senso di pace.
“Andrè…” sussurrò ad un certo punto “Il medaglione che tengo nel cassetto…”
“Lo so. L’ho aperto…” Mormorai, senza staccare il volto dal suo cuore.
“Non volevo fartelo sapere perché…Io…Mi sentivo una stupida sentimentale, ecco.”
“Se è così, allora siamo due stupidi sentimentali. Anche io conservo una ciocca dei tuoi capelli.”
“Davvero? E quando…?”
“Ad Arras, la sera che avevi deciso di vivere come un vero uomo, e volevi tagliare i tuoi meravigliosi capelli…”
“Oh…E dove la tieni?”
“L’ho cucita nel risvolto della giacca. E’…un portafortuna.”
Oscar rimase silenziosa alcuni secondi.
“Sai cucire?” Mormorò infine.
“Me l’ha insegnato la nonna, e non ridere affatto, so che stai per farlo!” Sollevai lo sguardo e la vidi scrutarmi con sguardo ilare.
Levai il sopracciglio.
“Non sto ridendo! Anzi, è una scoperta interessante, adesso che siamo soli, senza Nanny…”
“Oscar…Non mi metterò a rammendare i tuoi calzini se è questo che stai pensando! Al massimo ti posso insegnare…”
“Dovrei…imparare a cucire? Come una donnetta qualunque?!”
“Credevo tu avessi rivalutato il fatto di essere nata donna…” Mi voltai e le succhiai leggermente un capezzolo.
“Forse si…”
“Forse?” Lasciai scivolare la mano oltre il suo ombelico.
“Si, si, decisamente si…Andrè! Andr…”

Mi svegliai avvolto dalla luce dorata del sole che invadeva la stanza. Solo che al posto del corpo di Oscar, su cui ricordavo di essermi addormentato, mi ritrovai abbracciato al cuscino. Mi sollevai su un gomito, guardandomi attorno confuso, e la vidi.
La sua sagoma si stagliava nel vano della finestra, dandomi le spalle, rivolta verso Roma.
Indossava solo la camicia, che le copriva appena il fondoschiena, e teneva le caviglie incrociate, mentre si pettinava i lunghi capelli biondi.
Il sole la investiva in pieno, in un gioco di trasparenze dorate, che lasciavano intendere la longilinea figura del suo corpo sotto alla larga camicia.
Mi sollevai e, lentamente, mi diressi fino a lei, posandole delicatamente le mani sui fianchi.
“Buongiorno…” La salutai, posandole un bacio leggero sul collo. I suoi capelli profumavano di olio di rose.
“Sai Andrè, stavo pensando che quella di ieri è stata la nostra prima…” Lasciò la frase in sospeso, abbassando la spazzola.
“La nostra prima litigata? Eppure, io ricordo di aver litigato con te per vent’anni, prima di ieri. Anzi, sono seriamente convinto che tu mi abbia fatto un occhio nero più di una volta…”
“Sai cosa intendo…”
Posai il mento sulla sua spalla.
“E questa cosa ti preoccupa?”
“No…solo che sai, è strano litigare con te, adesso…”
“Perché non puoi più farmi un occhio nero? O perché poi possiamo fare pace facendo l’amore?”
“L’occhio nero posso fartelo come e quando voglio.” Si voltò appena e mi guardò con un sorriso, nell’oro del mattino.
E in quel momento capii.
La mia vita era cambiata per sempre il giorno in cui avevo messo piede a palazzo Jarjayes, tanti anni prima. E non solo perché il mio futuro, altrimenti, sarebbe stato quello di un orfano disgraziato.
Lei era ciò per cui ero venuto al mondo. Doveva finire così, era inevitabile.
Io l’ho sempre saputo.
La guardai negli occhi, aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
“Andrè, tutto bene?”
“Sposami.”
“Cos…?”
I limpidi occhi chiari di Oscar si sgranarono nei miei.
“Sposami, Oscar. Qui, adesso…Roma è piena di chiese.” Le presi una mano nella mia “Io non ho titolo, non ho possedimenti…Non ho molto. Ma posso renderti felice, so che posso. E’ l’unica cosa di cui sono certo.”
“Andrè…Io…”
“So che tuo padre mi metterà alla gogna…e la nonna mi ucciderà…e forse il Re mi farà bandire…” Strinsi le sue dita tra le mie “Ma io ti amo, e voglio che tu sia mia moglie.”
Oscar sbatté un paio di volte le palpebre, prima di chinare il volto.
“Io…” Iniziò, mentre l’ansia mi faceva scoppiare il cuore. “Si.” Sollevò lo sguardo nel mio.
“Si, voglio essere tua moglie.”
Spalancai la bocca per la gioia, e Oscar sorrise, mentre la stringevo a me, nel riverbero del sole, sullo sfondo della cupola di S. Pietro.
“Forse potrei chiedere a Donna Concetta di farmi da damigella, almeno si metterebbe il cuore in pace sulla nostra confusa situazione sentimentale…”
Le nostre labbra si sfiorarono, sorridendo, mentre l’ormai consueto stridore di ruote mattutino riempiva l’aria.
“Ahò, ma allora è un vizio?! Te devi levà!”
“Anvedi questo! Ma nun ce sta n’altra strada n’do puoi passà con sti gallinacci?”
“Ma guarda un po’ se me devo levà io! Vedi d’annattene te co ste mele fraciche!”
“Sto bifolco…Mo te do n'a pizza in faccia che non te restaura manco Michelangelo!”
“Ma sentilo! Ma vatte a da all’ippica cor cavallo a dondolo!”
Guardai Oscar, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo.
“Direi che sta diventando un’abitudine questo gentile scambio di battute mattutino…” Mi sussurrò sulle labbra.
“Forse a questi signori servirebbe una bella villeggiatura, per distendere un po’ i nervi, godersi l’aria buona…O trovare una moglie che renda meravigliosa la loro vita.”
“Ruffiano…” Sussurrò Oscar, prima di baciarmi “Non credere che la tua vita sarà tutta rosa e fiori, da adesso in poi…”
“Non chiedo di meglio che poter litigare con te tutti i giorni della nostra vita” La presi tra le braccia e la sollevai. I suoi capelli erano una nuvola dorata attorno al suo viso perfetto.
“E fare pace come piace a noi, naturalmente!”

*Il Generale Choderlos de Laclos, autore de 'Le relazioni pericolose', la cui carriera venne rovinata dalla fama 'peccaminosa' del suo (splendido) libro. A dispetto delle dicerie che lo dipingevano come un lascivo seduttore, de Laclos era invece un uomo dolce, timido e discreto, devotissimo alla moglie di cui era sinceramente innamorato.

Nota dell’autore
E così, si conclude questa fan fiction. Devo dire che è stato bellissimo venire in Villeggiatura con voi, siete stati meravigliosi a sostenermi con i vostri commenti e i vostri consigli, e io non vi ringrazierò mai abbastanza per aver trovato il tempo di leggere e commentare questa storia! (o anche solo di leggerla^^)  Grazie, di cuore, davvero!
Spero che questo epilogo non sia stato troppo sdolcinato…O deludente. Volevo l’happy end per questa storia, nonostante la commedia da cui ho tratto spunto, a dispetto dei toni ironici, si riduce ad un senso di fallimento generale, soprattutto per quanto riguarda la protagonista, Giacinta, un personaggio che amo molto, ma che alla fine non ha il coraggio di prendere in mano la propria vita, lasciandosi condizionare dalla società in cui vive, in cui ‘il dovere’ non ammette repliche. Giacinta infatti sposa l’uomo scelto per lei dal padre, spingendo a sua volta l’uomo da lei amato tra le braccia di un altra, un vero e proprio disastro sentimentale…

Naturalmente, non volevo questo per Oscar e Andrè fin dall’inizio^^ Sono una di quelle persone che ama i finali tragici (compreso quello dell’anime) ma quando può infila happy end ovunque…^_^ Forse ne avevo bisogno io per prima!
Naturalmente la scena in cui Andrè infila la mano nella Bocca della Verità, che suppongo tutti avrete riconosciuto, vuole essere un omaggio al bellissimo 'Vacanze romane', film che adoro, e da cui mi sembrava carino prendere spunto^^
Più di una persona mi ha consigliato di prendere in considerazione l’idea di proseguire questa storia, raccontando le avventure del Grand Tour di Oscar e Andrè…Vi dirò, l’idea non mi dispiace affatto, e ho già qualche pensiero che mi frulla in testa! Ma prima vorrei dedicarmi a un progetto che medito da qualche tempo, vedremo se avrò tempo di fare tutto!

Vi ringrazio ancora tantissimo per il sostegno e per le vostre parole sempre preziose!!
Un abbraccio!
  
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