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Autore: Julietts    04/04/2011    1 recensioni
Brandy ama il colore viola. E' il suo colore preferito. Da sempre. Sempre? Sempre. Brandy conosce il suo passato. O pensa di conoscerlo. Ma quando anche la sua più intima certezza viene spazzata via, capisce che la sua vita ha in serbo altro per lei. Che è ora di guardare al passato, per comprendere il futuro, per non ricadere negli stessi errori.
Per non dimenticare
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il telefono di casa squillava con insistenza.
-Brandy, rispondi tu per favore? Io sto lavando i piatti!!!-
urlò Susan.
La ragazza chiuse gli occhi per un attimo. Era serenamente sdraiata sul suo letto, ascoltava musica e si rilassava…perché avrebbe dovuto anche rispondere al telefono? Non poteva farlo sua madre?
‘Ma sta lavando i piatti’ osservò una vocina nella sua testa.
Così, si decise ad alzarsi, chiedendosi perché sua madre avesse costretto suo padre a comprare una lavastoviglie, se tanto le cose le lavava a mano.
A piedi scalzi, raggiunse il telefono in corridoio, alzò la cornetta e pronunciò il solito, annoiato:
-Pronto?-
-Brandy?-
-Kelly, ciao!!!- Kelly Jonhsonn era un’amica di famiglia. Aveva l’età di Brandy, e la ragazza la conosceva fin dalle scuole elementari, quando erano in classe insieme. Avevano poi terminato gli studi in classi diverse, ma erano rimaste in contatto. A dire la verità, Brandy era da un po’ che non la sentiva.
-Allora, che fai di bello?-
-Mi rilasso e rispondo al telefono, tu?-
-Io sto passeggiando nei dintorni di casa tua. Che ne diresti di fare un giro?-
Brandy scrutò un attimo il cielo, pensierosa. Questo era nuvoloso, scuro, sembrava promettere temporali, ma un ombrello poteva di certo bastarle. E poi, il problema non era il tempo. Si era incontrata con Sophie quella mattina, e i suoi genitori non sapevano che non era la prima volta. A dire la verità, lei aveva progettato che loro non scoprissero mai dei suoi incontri con la principessa, ma sfortunatamente, quel mattino, il padre si era sentito male, aveva scoperto di aver preso l’influenza ed era rimasto a casa. Sua madre, per non lasciarlo solo, si era presa anche lei una piccola vacanza.
Brandy era uscita verso le nove, e ovviamente aveva dovuto rispondere a tutte le domande del caso: con chi esci? Cosa fai? Dove vai? Quando torni? Perché? E lei aveva cercato di rispondere il più sinceramente possibile, omettendo semplicemente alcuni particolari, invece di mentire totalmente. Odiava raccontare bugie ai suoi genitori. Così, aveva detto che avrebbe incontrato la principessa Sophie, e che avrebbero chiacchierato un po’, ma sarebbe tornata prima di pranzo. Parzialmente vero, anzi completamente.
Brandy però aveva omesso, per esempio, i contenuti dei loro discorsi. Con la principessa Sophie parlava di molto, di tutto quello che le veniva in mente: della sua  vita, dei suoi incontri, dei suoi pensieri…la donna, invece, le raccontava una storia bellissima, la storia dei Grimaldi, la famiglia reale uccisa totalmente. Era molto affascinante scoprire gli aneddoti, le passioni, i segreti di questa famiglia così famosa. Il problema che non poteva dire questo ai suoi, così preferiva tacere, invece di raccontare stupide bugie. Il problema era: per quel giorno di uscite non ne aveva fatte abbastanza? E se i suoi genitori non volevano? Avrebbero potuto inventare qualche scusa e farle un discorso sul fatto che uno dei pochi giorni in cui erano a casa, lei usciva tutto il tempo. ‘Ok’ disse sempre la solita vocina nella sua testa ‘ma tanto, uscire o stare in casa con le cuffie attaccate alle orecchie, chiusa in camera, cambia molto?’
Scuotendosi un attimo, Brandy si accorse che Kelly era ancora in attesa di una risposta.
-Un attimo, Kelly, lo chiedo ai miei-
La ragazza dall’altro capo della cornetta fece una risatina fredda:
-Oh, sì, fai pure-
-Mamma!!!- gridò Brandy, cercando di farsi sentire dalla madre, probabilmente ancora intenta a lavare i piatti.
-Sì, tesoro?- la voce di Susan le perforò i timpani. Sapeva urlare benissimo, se voleva.
-Posso uscire con Kelly?-
Un momento di silenzio, poi un sì.
-Vengo, Kelly. Ci troviamo alla piazza del mercato?-
-Sì, va benone. Ti aspetto qui-
Brandy chiuse la conversazione telefonica e filò in bagno per prepararsi. Venti minuti dopo, era pronta. Più o meno.
-Mamy, esco!- e si chiuse la porta dietro di sé con un tonfo sordo. Davanti alla porta di casa sua, guardò il cielo. Era scuro, buio, freddo. Rabbrividì e prese l’ombrello sull’uscio, infilandoselo nella borsa grande, nera e spaziosa.
Imboccò la solita stradina stretta e tortuosa e poco dopo, si ritrovò nella piazza centrale di Balbe, anche chiamata la piazza del mercato, proprio perché lì, il sabato, c’era il mercato più grande del regno.
Vide subito Kelly, in piedi vicino all’Ufficio della Posta, che guardava un po’ in tutte le direzioni. Brandy poté notare che dall’ultima volta che l’aveva vista era diventata più alta, snella, e i suoi capelli ricci e scuri più lunghi e cespugliosi.
Era fasciata da uno stretto abitino lungo fin sotto il ginocchio, blu scuro a righe bianche sottili. Portava una borsetta tracolla, blu scura anch’essa, piena di ciondoli che brillavano lievemente, come piccole punte di diamante.
Brandy si avvicinò, e da dietro l’abbracciò.
-Ehy- si lamentò scherzosamente Kelly, che rispose all’abbraccio –Così mi spettini tutta!-
-Non hai bisogno del mio aiuto per spettinarti, sai farlo benissimo da sola- rise l’altra, e ben presto le due ragazze si trovarono in una pozzanghera di lacrime, tanto ridevano.
-Beh, dai allora, come va?- cominciò Kelly, imboccando una strada grande e imponente.
-Tutto bene, non mi lamento granché, ma… tu sì che sei in forma!-
-Oh, sciocchezze…sono solo cresciuta un po’. Piuttosto sei tu che mi sembri sempre più bella, ma anche strana-
-Strana?-
-Sì, Brandy. Insomma…perché ti ostini a metterti i pantaloni?-
-No, anche tu con questa storia!!!- sbuffò la ragazza, irritata.
-Non ti arrabbiare, ti prego. Ma illuminami, piuttosto: perché ti metti i pantaloni, invece di vestiti che potrebbero far risaltare molto di più la tua splendida figura?-
-Grazie per il complimento, e beh, la risposta è semplice.
Uno, perché non sopporto che ancora ci siano pregiudizi su cose così: una ragazza può andare in giro anche in costume, per quello che può interessare agli altri. Non ci sono leggi che mi proibiscono di mettere i pantaloni, e quindi io lo faccio. Due, sono comodi. È vero, il tipico abito è più femminile, ma a me non mi importa un accidente di essere femminile. Tre, perché mi va-
-Ok, posso capire. Ma guardati in torno…sei l’unica!-
-Per ora, forse. Comunque, non penso di essere proprio l’unica: ci sarà sicuramente un’altra ragazza nella città che indossa i pantaloni-
-Ne sei certa? Guardati intorno!-
Brandy lanciò un’occhiata in giro: il viale era pieno di gente, la maggior parte donne, di tutte le età e tutte diverse. Ma una cosa in comune ce l’avevano: erano tutte vestite con dei bei abiti. Lunghi o corti che siano. Colorati o scuri, bianchi o dorati.
-Ok, mi arrendo, sono l’unica, ma non mi importa di esserlo-
-Lo so, lo so. Chiudiamo l’argomento e parliamo di altro. Sai chi ho visto in giro?-
-Chi?-
-Brad e Lauren-
-I due idioti mondiali-
-Saranno anche idioti, ma sono proprio belli-
-Mah, non mi sembrano granché-
-Non ti sembrano granché? Sono tra i ragazzi più belli della città, e a te non sembrano granché!!!???-
-Già, vedo che hai afferrato il concetto. Soprattutto quel Brad, non so, mi sembra uno un po’ superficiale, che se la tira, che sa di essere bello e si vanta per questo-
-Quindi ammetti anche tu che è bello?- disse maliziosa Kelly.
-Dico che non è un granché, ma sì, se devo essere sincera non è brutto, ma la bellezza conta poi così tanto?-
Le due ragazze camminavano, e intanto si inoltravano in un altro vialetto, più stretto e antico. Il cielo era sempre più scuro, quasi nero: pareva notte.
-Mmm, fammici pensare un nanosecondo: sì. La bellezza conta eccome, tantissimo e chi ti dice di no, sta mentendo-
-Che politica orribile. Basta essere belli per piacere, dunque?-
-Benvenuta nel mondo reale, Brandy-
La durezza di quelle parole colpì la ragazza profondamente.
Era vero quello che diceva Kelly? Era così severo il mondo con i ‘brutti’?
-Non mi sembra giusto-
-La vita non è giusta-
Improvvisamente, Brandy fu colpita da un’idea: perché quel ruvido nella voce della sua amica? Perché così tanta amarezza?
Rabbrividì ancora, e lei sperò con tutto il cuore che fosse per il freddo, e non per una specie di presentimento non molto positivo. ‘Ho freddo’ si convinse ‘Ho su solo un paio di jeans e una camicia e ho freddo’.
-Cos’è successo, Kelly- si sforzò di mantenere la voce stabile.
-Niente- ma la risposta era stata data troppo in fretta per essere vera.
-Non mi dire niente. Cosa c’è che non va?- ora c’era vera preoccupazione nella sua voce dolce.
-Sono brutta- disse Kelly, come fosse una verità scontata, ovvia, ma che bruciava da morire.
-Non è vero-
-Mi considerano brutta, però. Non ho un ragazzo, ho diciotto anni e non interesso a nessuno, bella roba-
-E io, allora?-
-Tu, Brandy cara, hai frotte di ragazzi ai tuoi piedi, e non te ne accorgi nemmeno. Sei fortunata, ma sei troppo occupata nei tuoi pensieri puri e profondi per accorgertene. Sei una stupida-
La ragazza non si offese per questo. Capì subito che l’amica stava male, e ce l’aveva con tutti, ma soprattutto, ce l’aveva con se stessa.
-Tu non hai problemi, Brandy. Tu non hai un briciolo di preoccupazione seria. Sempre a prendere le difese del mondo, sempre a interessarti di tutto, a compatire tutto, secondo me invece non tieni a niente. La maschera dietro cui ti nascondi non fa altro che celare cosa sei veramente: una ragazzina immatura, svogliata, che non ha un briciolo di preoccupazione, sempre felice e sorridente, senza però capire un bel niente della vita. Complimenti, continua così-
Brandy l’abbracciò, cercando di consolarla, ma dentro era irritata. Non era vero. Lei di preoccupazioni ne aveva, tante, tantissime, e i superficiali erano gli altri che non se ne accorgevano. Perché lei non fingeva di essere nessuno, era solo se stessa, in un mare di guai e con un sacco di domande in testa. Qualcosa nella sua vita stava cambiando, lo sentiva, ma nessun altro pareva accorgersene.
-Ora fammi un favore: vattene. Vattene e cerca di non incontrarmi più. Continua a vivere nel tuo mondo delle fate, Brandy, non mi mancherai. Tanto, forse, dal tuo mondo fantastico non sei uscita nemmeno una volta, ed ero io a sognare che un giorno avresti aperto davvero gli occhi. Così non è stato, e io non ho intenzione di aspettarti più. Tanto, alla fine, sei tu quella che vince sempre. E lo sai. Per favore, vattene ora-
La ragazza si alzò, con orgoglio, e in pochi secondi fu dall’altra parte della strada, dopo un minuto era già impossibile vederla.
Kelly si asciugò le lacrime, e strinse i denti all’idea dell’ultima immagine che avrebbe ricordato della sua ex amica, quella chioma color rame lunga e leggermente mossa che si allontanava, incurante della sua eleganza e della sua bellezza.
-Ti odio, Brandy. Ti odio perché vorrei essere come te-
 
 
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Il cielo non accennava a schiarirsi. Brandy camminava, senza una vera meta, si muoveva velocemente, e cercava di zittire tutti i suoi pensieri. Perdere un’amica non era bello.
Ma perdere un’amica per stupida invidia era orribile.
-Ma che vada al diavolo- pensò la ragazza, con la voce che infastidita sarebbe stato un eufemismo.
Si fermò poi di botto e guardò il cielo. Il cielo così scuro e nuvoloso, un cielo che sembrava irritato come lei. Immerse il suo sguardo tra le nuvole, e per un secondo si estraniò completamente dal mondo esterno, grazie alla sua fantastica capacità che le era sempre utile. Si sentì invadere dalla malinconia dei colori freddi, da quel gelo che le raffreddava le ossa, i pensieri, i muscoli, i riflessi, le azioni.
Scostò lo sguardo con la stessa rapidità con cui l’aveva posato. Non poteva tranquillizzarsi così facilmente. Non era giusto. Kelly non esisteva più nella sua vita, ma almeno voleva pensarci un po’, solo un altro po’, per poi dimenticarla per sempre.
Anche se in realtà non si dimentica mai veramente. Come non si ricorda mai veramente. È difficile scordarsi delle persone, è difficile conoscerle davvero.
Il mondo vive in quel mezzo, a metà tra l’indifferenza e il sapere, tra la conoscenza e la stupidità, tra tutte quelle caratteristiche umane che non sono proprio opposti, ma che sono facce della stessa moneta. Nessun uomo è completamente cattivo. Come nessun uomo- o donna, si maledisse mentalmente Brandy per star pensando il tipico discordo al maschile- era totalmente buono. Tutti erano una miscela di virtù e difetti, e potevano essere descritti con aggettivi positivi e negativi. Solo che quelli negativi facevano male.
La ragazza riportò alla mente le parole che le aveva rivoltò la ex amica. Stupida, falsa, egoista…parole come queste le frullavano nel cervello a velocità supersonica. ‘Basta’ si disse, finalmente. ‘Ora basta’. Si incamminò verso casa, sparendo nella nebbia che lentamente stava calando sulla città di Balbe, stringendo gli occhi a fessure e scuotendo la testa, lentamente, come a voler scacciare i suoi pensieri dalla sua stessa testa. Ma non ci sarebbe riuscita molto facilmente, perché avrebbe potuto dimenticare con la mente, ma mai col cuore, che sarebbe rimasto forse per sempre legato a quell’inspiegabile amicizia infranta, e che come in ogni causa persa, tentava disperatamente di trovare una soluzione per curare le proprie ferite.
 
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Era pomeriggio, quasi sera.
Sophie Vaslins era intenta a scrivere una lettera al fratello, Steven. Lui era appena partito per un viaggio di controllo nelle leghe dell’esercito est, non lo vedeva forse solo da 24 ore ma già ne sentiva la mancanza. Interruppe un momento il suo lavoro, in quanto Josh, uno dei numerosi servitori personali del padre, era venuta a chiamarla, dicendole, testualmente:
-Signorina, Vostra Grazia, Principessa, Sua Altezza Reale, il suo signor padre vuole vederla-
Sophie sorrise, ricordando le innumerevoli volte in cui aveva esplicitamente chiesto al personale di non darle del lei. La faceva sentire estremamente vecchia e lontana dal suo popolo.
Comunque, questa volta senza obbiettare nulla, si alzò dalla sua scrivania e seguì il domestico, che lo portò nell’ufficio del padre. Passò attraverso i corridoi e si fermò un instante a guardare fuori dalle immense finestre: il cielo era nuvoloso, scuro, e una leggera nebbia avvolgeva le guglie del castello. Sospirando, finì di percorrere il corridoio e aprì un immenso portone di legno di noce, con sopra inciso il simbolo della famiglia reale.
La ragazza entrò e andò a dare un lieve bacio sulla guancia al padre, che la fece accomodare in una poltrona di velluto blu accanto alla sua.
-Sophie, dobbiamo parlare-
-Ok. Parliamo-
-Ti ricordi di Georgia, la contessa di Romanyv?-
-Ehm, dovrei?-
L’uomo rise un attimo:-Beh, tecnicamente sì. Comunque, si sposa tra una settimana-
La piega che prese quel discorso non le piacque per niente.
-Ah, allora, complimenti…auguri e figli maschi. Vuoi che vada al matrimonio? Per me non c’è problema-
-No, al matrimonio ci andrà Carlo per tutti. Non era quello di cui dovevamo parlare-
-E allora di cosa dobbiamo parlare?-
-Di te-
‘Oddio’ pensò Sophie.
-Sai, amore, tu hai ventisei anni, non sei più una ragazzina. Ti devi sposare-
-Lo so. Prima o poi mi sposerò-
-Certo, certo. Ma sarebbe preferibile che tu lo facessi ora. Sai, c’è il figlio di un conte della regione che ha solo due anni più di te, è bello, decentemente intelligente e molto interessato ad avere al suo fianco una graziosa principessa. Potrebbe essere la soluzione giusta per te, Sophie…-
-No-
-Scusa?-
-No, non è la soluzione giusta per me. È la soluzione giusta per te-
-Non fare così. Sei una principessa e hai dei doveri. Basta fare la Bella Addormentata. Svegliati. Mi dispiace Sophie, ma non hai più l’età per giocare. Tu lo sposerai tra un anno esatto-
-Non ci penso proprio-
-Sophie…non fare così. Per favore-
-No, papà. Ora ascoltami tu. Io non mi sposerò se non sarò innamorata. Chiaro?-
-Non va sempre come si spera, nella vita-
-Lo so, ma non voglio passare il resto dei miei giorni accanto a un uomo che non amo-
-Mi dispiace, ma non hai molta scelta. Devi farlo per il tuo popolo-
Sophie emise un piccolo singhiozzo. Incastrata.
-Papà, ti prego…-
-No, Sophie, ora basta giocare. Lo conoscerai tra sette o otto mesi, e dopo ancora qualche tempo vi sposerete nella cappella di famiglia. Vedrai, sarai stupenda in abito da sposa-
-Lo immagino- disse la ragazza, ora improvvisamente seria, distaccata, glaciale.
-Beh, ora è meglio che tu vada. Una bella dormita prima di cena non ha mai fatto male, no?-
-Non cenerò con voi stasera-
Detto questo la principessa si alzò, e si eresse in tutta la sua statura, regale, austera, nobile.
-Ti prego, Sophie, non essere arrabbiata con me. È necessario, lo sai- supplicò il re.
-Lo so. Buonasera- e senza aggiungere una parola, una frase, un saluto, Sophie Vaslins si allontanò, socchiuse la porta di legno e ripercorse i corridoi di casa sua da sola, in silenzio, con la testa alta.
-Pensavo che avrei pianto- si disse, sussurrando impercettibilmente. E in effetti le lacrime le colmavano gli occhi, ma lei non ne fece cadere nemmeno una. Tornò nella sua stanza e con fare deciso si mise uno scialle sulle spalle, raccolse i capelli in un nodo elegante dietro la testa, che fermò con un pezzo di legno finemente intagliato, e sempre con quel passo elegante uscì dal castello e cominciò a percorrere le vie della sua città. Balbe era immersa nella nebbia. Il cielo era scuro. Ma Sophie non aveva più paura. Aveva smesso di avere paura.
Camminava, e vide a un certo punto una chioma ramata che si allontanava dalla via principale. Nella sua vita non aveva mai visto dei capelli così belli, quindi non fece fatica a riconoscere la ragazza a cui appartenevano.
-Brandy!!!- urlò. Nulla.
-Brandy!!!-gridò ancor più forte dopo aver aspettato qualche secondo.
La ragazza si voltò, e la principessa si accorse che i suoi bellissimi occhi verdi erano lucidi. Anche a quella distanza, poté riconoscere l’ombra di un triste sorriso passarle sul volto.
La raggiunse, la abbracciò, poi disse piano: -Nessuna delle due ha avuto una buona giornata, vero?-
-Vero- rispose Brandy, per ora incapace di dire altro.
-Allora, cosa è successo?-
-Ho….ecco, ho…perso un’amica, diciamo. A te?- balbettò la ragazza.
-Ho perso la libertà-
-Cosa?-
-Ti è tornata la capacità di parola, eh!- scherzò Sophie, ma il sorriso che fece non raggiunse il cuore.
-O mio Dio, non dirmi che…- Brandy osava solo immaginare cosa potesse aver causato quella infelicità negli occhi della principessa, che era per lei amica, sorella, consigliera e mentore.
-Sì. Tra un annetto, mese più mese meno, sarò sposata-
-Mi dispiace da morire-
-Beh, sì anche a me-
-Ma tu almeno lo conosci? Ci hai mai parlato?-
-No, ma tra sette o otto mesi non potrò più dire la stessa cosa-
-Mi dispiace-
-Lo so-
-Sophie?-
-Sì?-
-Perché sei qui?-
Finchè la ragazza non lo aveva chiesto, la principessa non lo sapeva. Ma improvvisamente aveva capito il senso di quell’incontro apparentemente casuale.
-Vieni, Brandy, sediamoci su quella panchina. È arrivato il momento di dirti tutta la verità-
 
  
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