Non c’è due senza tre! Vorrei che fosse davvero l’ultima volta che
cancello e ripubblico questa storia; anche perché me la porto dietro
dall’ottobre 2007. Ringrazio le 129 persone che due anni fa mi seguirono e mi
commentarono i primi cinque capitoli.
La storia è ambientata cinque anni dopo la Battaglia di Hogwarts (1998),
quindi quelli della generazione di Harry Potter hanno ventitré anni. Il mio
personale epilogo non coincide pienamente con quanto deciso dalla Rowling, e
alcuni personaggi sono volutamente OOC – ma nei limiti del credibile,
spero.
La storia è momentaneamente a rating arancione - nel capitolo c'è un breve pezzo leggermente Lime.
Fine delle premesse: buona lettura.
Alexluna
A Ire, una editor eccellente nonché adorabile interlocutrice (e
"graficatrice" del banner sotto)
A Matt, la mia prima fan (un tempo era così, almeno!)
A
Marti/Juliet, che sa emozionarmi come pochi
La verità si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili!) nell’errore del mondo,
così che dobbiamo
compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono
oscuri e quasi
intessuti di una volontà del tutto intesa al male.
–Umberto Eco
Il tempo
scivolava lungo i bordi di un continuo cambiamento, ma eventi sempre più
inaspettati scandivano gli anni della Ripresa. E marciava in avanti, mentre alla
memoria dei sopravvissuti aveva lasciato il fardello di buttare ogni tanto uno
sguardo indietro.
Gli stessi ricordi in
verità riaffioravano da soli, come ospiti estranei, come dormiveglia
febbricitanti. Qualche resoconto frettoloso, una scrollata di spalle
consolatoria e due sospiri melodrammatici erano sufficienti per scacciarli il
prima possibile. Perché in verità nessuno aveva il coraggio di riprendere i
propri ricordi uno per uno, rispettandone i tabù e senza ricamare troppo sui
morti.
Tra i vivi, i più
dovevano ancora confessare le proprie responsabilità, anziché addossarle agli
altri.
Il tempo fondeva perdite
e rivincite, scuotendo dal profondo chi aveva vissuto in prima persona il
ritorno di Colui-che-non-doveva-essere-nominato, sia che fossero stati i
carnefici, sia che fossero state le vittime. Eppure, quelli che avevano lustrato
la bacchetta al Lord Oscuro appena prima che morisse avevano ora intrapreso
strade massoniche.
La Leggenda del Mondo
Magico, al contrario, aveva da qualche tempo perso il fulgore tipico degli eroi
in battaglia. Purtroppo neanche le sedute dallo psicanalista lo aiutavano a
uscire dalla condizione di paranoico.
L’immortale ricordo che
Harry Potter aveva intessuto nella memoria dei maghi dalla notte del primo
incontro con Voldemort, ventitré anni addietro, faceva a pugni con l’immagine
dissoluta degli ultimi tempi.
Risaputo che grandi
uomini – nel bene e nel male – siano rimasti sempre da soli… e talvolta non c’è
stato peggior nemico del proprio ego. L'ombra gigante della sua anima stava
inghiottendo tutte le qualità che l'avevano designato l'erede naturale di Godric
Grifondoro. Aveva gettato al vento la propria tempra morale, il Bambino
Sopravvissuto, per poter in cambio gozzovigliare nella mondanità. Blandito e
lusingato, aveva finito per cedere a quelli che un tempo disprezzava come passatempi per rampolli Purosangue,
mentre lentamente aveva aperto il proprio salotto alla magica Londra influente
di quegli anni.
Aveva deciso di
eliminare dalla sua vita qualsiasi persona o situazione che implicasse lo
scontro, verbale o fisico o mentale, per non doversi più
difendere.
In realtà si sentiva
come un albero spiantato, con radici ormai troppo corte per poterle immergere in
un altro terreno o in un'altra vita.
In un seminterrato a
nord della capitale inglese c’era chi invece lottava tra la vita e la morte, con
gli occhi ciechi e gli arti mutilati. Sapeva di aver meritato quella fine così
barbara, ma negli ultimi mesi aveva davvero fatto di tutto per riscattare la
propria anima. Eppure quando si contrae un debito troppo alto con la magia nera,
sperare che tutto ritorni indietro solo tre volte è da idioti.
Sentì un laccio
invisibile stringersi attorno alla propria gola e del sangue colare copioso dal
naso. Divincolò le braccia monche nel vuoto. Non riusciva neppure a urlare. Il
dolore era così forte da perdere i sensi. E poi, dopo quella che sembrò
un'eternità insopportabile, il suo ultimo desiderio si
esaudì.
Il corpo diventò
incosciente prima che l’aguzzino decidesse di mortificarlo un'ultima
volta.
E allora anche gli occhi
furono cavati dalle orbite con la punta di una bacchetta. Nessuno, per molto
ancora, avrebbe saputo quello che era accaduto quel
pomeriggio.
Anche perché entrambi,
vittima e carnefice, erano stati dimenticati sotto tre metri di terra e qualche
fiore finto a mo’ di lapide.
Leigh
Beck – Museo Nazionale degli Auror, 15
luglio.
Le note soffuse di un
pianoforte erano disturbate dal chiacchiericcio seccante degli invitati
all'esposizione delle Bacchette dei Caduti nel Secondo
Ritorno.
Elfi con sopracciglia
impomatate volteggiavano con disinvoltura tra gli ospiti, portando vassoi con
coppe ricolme di mousse alla crema d’albicocca e gateaux alle meringhe di
mandorla. Leccornie per palati raffinati erano innaffiate da prestigiosi vini e
spumanti italiani.
Il Museo Nazionale degli
Auror, quell’afosa sera di metà luglio, aveva aperto i battenti agli impiegati
del Ministero della Magia londinese con le loro
famiglie.
Dominic Krebs
festeggiava così il secondo anniversario della nomina di Primo Ministro,
esibendo una veste dalla tinta fredda e la foggia segnata. Il cappello a punta
con lo stemma del Ministero pendeva un po’ troppo a sinistra, ma era tutta la
sera che cercava di raddrizzarlo, invano.
Alto e ben piazzato di
spalle, era considerato uno dei dieci maghi più potenti dell’intera nazione.
Capelli neri e occhi di un magnetico nocciola incorniciavano un volto scarno dai
lineamenti marcati. Al suo braccio nessuna moglie, fidanzata ufficiale o
ufficiosa.
- Vorrei proporre un brindisi... – in quel
momento, dall'altra parte della sala, Harry Potter stava sollevando in aria un
flûte di cristallo, mentre discendeva il più assoluto
silenzio.
L’orchestrina ne
approfittò per una pausa fuori programma.
Dominic Krebs congedò
con un sorriso forzato il Direttore del Dipartimento Veleni, che quella sera si
portava appresso l’amante numero tre, una moretta tutta curve, fasciata in una
tunica di satin blu cobalto.
Gli sguardi di tutti i
presenti si posarono sul protagonista dell’evento, che per la prima volta nella
serata aveva preso parola.
Il ventitreenne si
sporgeva audace dal corrimano in marmo sfavillante, al centro di un grandioso
scalone a forbice con tre rampe. Avvolto in un ampio mantello dai risvolti di
pregiata seta, calamitava l’attenzione dei presenti con quegli occhi
verde chiaro.
- ... a me, me stesso e me medesimo, –
terminò poi sogghignando, prima di portare alle labbra il
contenuto.
Al suo fianco, una
pallidissima Ginny Weasley gli stringeva ferma l’avambraccio. Aveva l’aria
spossata e i lineamenti marcati dal pesante trucco. La tonaca rosa spento le
avvolgeva il corpo come una seconda pelle, i capelli ricadevano selvaggi sulla
schiena e due pesanti ciondoli riverberavano tutta la luce del salone. Sembrava
una fiamma guizzante che illuminava l’immensa
sala.
Nessuno degli ospiti
osava proferir parola, tutti incuriositi da quel bizzarro, ma non insolito,
comportamento. Eppure come automi, imitarono unanimi il gesto del cincin.
Avrebbero messo in mostra sorrisi molto credibili, se non fossero stati tutti
così fottutamente uguali.
Delilah Krebs sbuffò
senza preoccuparsi di portare un fazzoletto alle labbra; borbottò un uomini! nella direzione di Harry Potter,
mentre porgeva un salatino alla donna accanto a lei. Una muta quanto indignata
Hermione Granger, che osservava lo spettacolino col tipico cipiglio severo che
tante volte aveva ammonito gli impudenti e gli
arroganti.
Si era di nuovo
ubriacato, il vecchio Harry. Ed era pure pronto per l’ennesima
piazzata.
Mentre la figlia del
Ministro le prendeva un altro flûte, incoraggiandola a sbronzarsi per spirito di
solidarietà, Hermione non poté fare a meno di indurire i
lineamenti.
Perché lui non aveva mai
bevuto dacché ricordava. Il suo limite erano due Burrobirre dopo le partite di
Quidditch. Se lo ricordava bene quando al matrimonio di Bill e Fleur, dopo
qualche sorso di Whisky Incendiario, aveva cominciato a singhiozzare fino alle
lacrime.
Con stizza prese delle
tartine da un vassoio, fagocitandole in mezzo boccone. Non le importava neanche
di gustarsi il sapore, perché la visione di Harry in quelle condizioni le
provocava un dolore immane.
- Ti si è annodata la
bacchetta? – la prese in giro Delilah.
- Non ho voglia di
parlarne. Niente di personale, – la liquidò, strappandole dalle mani altri
crostini appena presi. – E smettila di ingolfarti come una morta di fame.
–
L’erede dei Krebs
cominciava sempre più a divertirsi quando Harry Potter re-catalizzò le
attenzioni. Alcuni lunghi fischi d’ammirazione percorsero la sala, mentre l’uomo
baciava con passione le labbra tumide di Ginny. I ragazzi presenti lo guardavano
con venerazione, mentre le donne avevano occhi trasognati. I mariti invece
borbottarono qualche uccello moscio sotto i
baffi.
Lui era il modello cui
ispirarsi, il mago più sexy d'Europa secondo la rivista Spells.
Qualche anno addietro, pensò
Hermione con sconforto, avrebbero potuto definirlo anche sano di mente, magari.
Leggermente
barcollante e con il fiato corto, Harry stringeva con forza la spalla di Ginny
evitando di scivolare dalle scale. La figlia del Primo Ministro finse di
mettersi due dita in gola.
- Se non mi ridai le
tartine, giuro che mi metto a vomitare davvero sopra il parrucchino di Lord
Habigton, – indicò con un cenno del capo il povero mago in questione, che
portava una veste marrone con ghirigori rosa
elettrico.
- È un grande onore
poter annunciare, – riprese la parola Harry, – che io e Ginny Weasley, tra sette
mesi, non saremo più soli. Ah, le donne! Lo sapevo che alla fine mi avrebbero
fregato. Giuro che è stata una sorpresa inaspettata quanto la vittoria della
Spagna ai mondiali di Quidditch. –
E ci fu uno strappo
silenzioso, che udì solo Hermione. Quello era il rumore del buon senso che si
era rotto al suono di un simile annuncio. Gli occhi si dilatarono
all’inverosimile. Cercò disperatamente il volto di Ginny seminascosto dalla
folla.
Cos’era questa storia
della maternità della sua migliore amica? Perché lei non ne era stata informata
prima che Harry la sfruttasse come ennesimo evento
mediatico?
Krebs junior buttò nel
bicchiere l’oliva che le era andata di traverso mentre incassava la
bomba.
Ed ecco che tutta la
gente si riversava su di lui, il leggendario Harry Potter, nella speranza di
poter abbracciare per un secondo il vecchio Prescelto, di avere l’onore di
toccare il Bambino Sopravvissuto.
Le attenzioni per Ginny
si circoscrissero a rapide strette di mani, il tempo necessario a farle comunque
rischiare il soffocamento tra le spire di forti colonie. Ma a lei non parve dar
fastidio, anzi, approfittò della confusione per allontanarsi indisturbata da
Harry, come scottata.
Sperando di non rimanere
travolta dalla folla impazzita, scomparve in cerca di qualcosa di assai forte da
bere. E al diavolo la gravidanza.
I capelli alla Weasley
si riconoscevano facilmente anche in mezzo a tutte quelle persone; non fu dunque
difficile per Hermione raggiungerla. Stava pensando alle parole giuste. Quelle
che avrebbero fatto più male perché, per Merlino, Ginny meritava di sentirsi in
colpa. Dopotutto essere migliori amiche significava anche questo, condividere in anteprima quel certo tipo di notizie. Hermione ora
si sentiva considerata alla stregua di una misera conoscente, come coloro che al
momento erano lì, in quel salone.
- Mi dia del succo di
zucca corretto, – supplicò Ginny al banchetto delle
bevande.
- Tanti auguri, –
sussurrò una voce distesa alle sue spalle.
La rossa si voltò
imbarazzata. Ed eccola lì, una delusa Hermione Granger dallo sguardo stralunato,
ferito.
- Ehi, – era stato tutto
quello che riuscì purtroppo a dire. Ehi. Tanto valeva farle un buffetto, già
che c’era.
In realtà voleva
aggiungere: guardami, sono la peggiore amica del mondo.
Ma se ora soffri, fidati che la mia sofferenza è dodicimila volte peggiore della
tua.
Ginny alla fine portò
semplicemente la testa all’indietro, affinché una gocciolina di pianto andasse a
spegnersi tra le fiamme sfavillanti dei
capelli.
- Se cerchi la smentita…
beh, non posso dartela, – Brava Ginny.
Fatti odiare anche da lei, che ti è rimasta a fianco nonostante l’apparente fine
dell’amicizia con Harry. Si morse la lingua a sangue e poi cominciò a
torturare l’interno delle guance. Doveva impedire che uscissero altre frasi a
sproposito, perché a quello ci pensava già benissimo il proprio
fidanzato.
- Perché non riesco più
a stupirmi di nulla con voi due? – osservò scoraggiata Hermione. Mise
definitivamente da parte i toni di accusa e desiderò tanto una risposta
convincente a quella domanda retorica.
- Non odiarmi, – e lì la carreggiata
delle frasi fatte era iniziata, – lo amo davvero.
–
- Ti sei lasciata
mettere incinta. Se non l’avessi amato sul serio, saresti stata un po’ troppo
idiota, – ribatté piccata l’altra, osservando da capo a piedi Ginny come per
accertarsi di qualche rigonfiamento nella zona
fetale.
Ma fu un grande e mal
nascosto livido all’altezza del collo a farla rabbrividire
davvero.
- Ginny, che diavolo ti
è successo? – esclamò con delicatezza avvicinando la mano all’ematoma. Lei si
allontanò, distogliendo lo sguardo.
- Ho sbattuto contro
l’anta della dispensa, – replicò troppo in
fretta.
Gli occhi di Hermione
sondarono con interesse il suo viso delicato. Si soffermarono sulle dita, che
tamburellavano nervosamente sul bancone.
Perché le mentiva
ancora? Perché non si fidava più di lei? L’avrebbe compresa e aiutata in ogni
caso. Che cosa aveva fatto per essere esclusa dalla sua vita, lei che l’aveva
sempre considerata una sorella mancata? La amava tantissimo. Era la persona che
considerava più importante nella sua vita, subito dopo i suoi genitori. Giurare
che le avrebbe sacrificato la vita era un po’ sminuire l’amore che nutriva per
lei.
- Vedi di stare più
attenta la prossima volta. Non scherzarci con queste cose.
–
Voleva davvero mettere
al mondo un figlio con Harry in quelle condizioni? Ora era arrivato anche a
picchiarla? Da quanto? E perché mai? Ebbe paura a chiederle certe cose, e non
tanto per le spiegazioni, ma perché temeva un non t’impicciare. Si sarebbe
definitivamente sentita esclusa dalla sua vita. Si odiò un secondo dopo aver
creduto a una simile ipotesi. Lui non
le avrebbe mai torto anche solo un capello. Ultimamente aveva problemi con
l’alcol, ma da qui ad alzare le mani sulla sua donna per di più incinta, no.
Sotto quegli strati di paranoia e di ansia, il vecchio Harry non era ancora
morto. Se solo si fosse lasciato aiutare da lei. Scacciò quelle riflessioni
fastidiose, scuotendo la testa come se così potessero uscire
meglio.
- Hai per caso visto mio
fratello? – Ginny domandò, cambiando discorso e sparando la prima cosa che le
fosse venuta in mente.
Un’altra e imperdonabile
mossa errata, ma quando se ne accorse, Hermione le aveva già augurato ogni
maledizione.
La gente continuava a chiederle dove fosse Ron, come stesse Ron,
perché Ron si facesse crescere la barba, in che modo Ron avesse ottenuto un
nuovo sponsor, perché Ron indossasse orrendi maglioni gialli. Lei era uscita
dalla vita di Ron Weasley e tanti, tantissimi cari
saluti!
Andavano con il
lanternino a regalare cattiverie gratuite, e probabilmente ci provavano pure un
sadico gusto nel vederla incespicare nelle spiegazioni. Non le venissero a dire
che erano all’oscuro dello scandalo,
perché per tre mesi non si era parlato
d’altro.
- No, – rispose
asciutta, – probabilmente sarà chiuso in bagno con qualche fan oppure sarà
troppo occupato a specchiarsi nei ramaioli del ponce.
–
Niente offese verbali in un discorso che lo riguardava
direttamente, giusto? Forse tra qualche
annetto avrebbe finalmente rispettato quel buon
proposito.
Ginny non ebbe il
coraggio di controbattere davanti alle osservazioni amare di
Hermione.
Non perché fossero
totalmente infondate, ma in quella voce risuonava il lamento di un cuore
frantumato. E lei non si sarebbe messa più in mezzo a quella storia, l’aveva
giurato a se stessa sei mesi prima. Come nei confronti di Harry, rispettava
l’ostinato e il vile silenzio del fratello, così come incassava le offese e le
accuse della migliore amica. Perché Ginny la considerava tale, anche se
disgraziatamente dimostrava l’opposto.
Ron, il fedifrago. Ron, lo stronzo immondo.
- Comunque l’ultima
volta che l’ho sentito è stato tramite manager via gufo, per chiedermi se volevo
prestare il mio volto facendo da ragazza
immagine, – continuò recalcitrante Hermione, calcando le ultime parole,
disgustata.
Senza avere il coraggio
di incontrare quell’espressione di rimprovero di Ginny, preferì squadrare i
lustrini delle sue scarpe.
- Ragazza immagine? Non
capisco… – ripeté Ginny sbattendo spaesata le
palpebre.
Possibile che suo
fratello non avesse una coscienza in grado di farlo vergognare a vita per i
propri sbagli?
Possibile che fosse
diventato così disumano nei confronti di Hermione? D’accordo che voleva
ritentare di aggiustare la situazione, ma così non faceva che perderla
definitivamente.
- Esatto. Mi ha chiesto
se volevo comparire in costume, su una scopa, nelle riviste di Quidditch, per
sponsorizzare la sua misera squadra dei Bomboloni di Charlie, – precisò
disgustata.
- I Cannoni di Chudley?
Perché non hai accettato? – domandò con impeto Ginny, afferrandole le mani. –
Non eri alla ricerca disperata di un lavoro?
–
Effettivamente, a due
settimane da un’imminente notifica di sfratto non era il caso di fare la
preziosa. Rischiava di finire sotto un ponte e lei non solo si licenziava
dall’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche (la campagna del C.R.E.P.A. non stava andando troppo bene), ma gettava anche
all’aria un’ottima possibilità di guadagno.
- Ginny, ti ho spiegato
più volte come la penso. –
- Sì, sì, – annuì poco
convinta l’altra, – è una questione di orgoglio rifiutare un lavoro del genere.
Mostrarsi bella e aumentare la propria fama nelle pubblicità in cambio di lauti
compensi, – recitò a memoria. – Certo, scommetto che la penserai ancora così,
quando arriverai alla fine del mese senza un galeone per comprarti una
Burrobirra. –
- In realtà sarei stata
vestita da enorme boccino d’oro. E poi, esatto: è una questione di dignità, –
scandì Hermione punta nel vivo. – La fama è nociva, vedessi cosa accade a chi ne
fa ingordigia. –
Con un cenno del capo,
indicò malinconicamente Harry che provava a prendere in braccio nientemeno che
Dominic Krebs, mentre Delilah se ne andava verso la terrazza fingendo di non
conoscere nessuno dei due.
– Ho studiato anni, –
continuò con le gote arrossate, – ho gettato sangue sui libri sperando di
trovare un lavoro equamente retribuito. Basta guerra, non ho intenzione di fare
l’Auror! Non ho neanche la più pallida idea di mettermi in posa per svitati… segaioli di Quidditch. Sì, sono volgare.
A costo di essere sfrattata dal monolocale in cui abito e tornare a vivere con i
miei, ti posso giurare sul mio orgoglio, perché sembra essermi rimasto solo
questo, che non chiederò neppure un misero zellino a Ronald e combriccola.
–
L’immagine da tenace
testarda non ne usciva scalfita. Quell’infame di Ron aveva seriamente toccato il
fondo invitandola a vendere la propria
immagine.
Cosa più grave, c’era da
chiedersi come una ragazza seria e concreta come lei si fosse potuta innamorare
della persona più permalosa mai conosciuta. Anni di convivenza quasi forzata per
le mura del castello di Hogwarts le avevano barbaramente scombussolato gli
ormoni. Non c’era davvero altra spiegazione.
Malediva ogni istante
della propria relazione fin dall’inizio agitata. Con Lavanda Brown che
strepitava nei corridoi appellandola dentona. Quegli atteggiamenti da donna
delle caverne avrebbero dovuto metterla in guardia, ma lei niente. Più cieca di
uno Snaso appena nato.
- Sei troppo orgogliosa,
– mormorò con rammarico Ginny.
No, era troppo ingenua su certe cose. Questa era la sua unica
colpa.
Pensare che qualcuno
potesse desiderarla non solo per avere i compiti perennemente serviti e riveriti
in ogni momento. Ecco perché c’era rimasta veramente di sasso quel giorno di
febbraio, quando Ronald le aveva confessato un imperdonabile
errore.
Era come se qualcuno le
avesse tirato la testa fuori da una bacinella
d’acqua.
- Grifondoro è anche
fede, –
Brava Hermione! Resta
fedele ai tuoi ideali, e vedrai che rimarrai zitella fino alla tomba. Questo era
quello che leggeva nel mezzo sorriso di Ginevra
Weasley.
Sempre meglio zitella
che cornuta, pensò poi, in un ultimo baluardo di
fierezza.
Le spalle di Hermione si
drizzarono con energia e negli occhi scintillò selvaggiamente un’ombra di
vendetta.
- Un altro brindisi, per
favore! – la voce di Harry vacillava
vergognosamente.
Qualcuno doveva portarlo
via, per il bene della
comunità.
La porta del bagno di
servizio sbatté con violenza. Gli sguardi maligni erano stati tagliati fuori.
Una luce automatica illuminò gradualmente l’ambiente un po’ angusto. L’intenso
odore di disinfettante impregnava l’aria e dava un leggero stordimento. Due
amanti si sorrisero complici; subito dopo ripresero a baciarsi con foga
crescente. Uno stesso pensiero si era fatto strada: era come se stessero
compiendo qualcosa d’illegale. E
terribilmente eccitante.
Le loro mani scorrevano
frenetiche lungo la schiena dell’altro, si spingevano ardite sulle natiche e poi
risalivano alla nuca. Le dita ogni tanto si sfioravano quando carezzavano le
guance. I loro tocchi divenivano sempre più audaci e quelle lunghe vesti da
cerimonia terribilmente ingombranti.
- Ehi, Ron, – gli ansimò
la ragazza all’orecchio, – il colletto della tua tunica sta per fare una brutta
fine. –
In un impeto di
passionalità lo fece sbattere di schiena al muro. Ron, più basso di lei di un
paio centimetri, si lasciò comandare con gli occhi chiusi e le labbra gonfie.
Eppure se continuava così, sarebbe venuto di lì a poco. Cercando di rallentare
il ritmo del piacere, le bloccò rapidamente le braccia. Dopo una piccola
incertezza prese a confezionarle morsi sul lobo sinistro. Non tutte le donne
gradiscono essere morse, e con lei aveva proprio azzardato. Il gemito che seguì
gli confermò che non rientrava nella
categoria.
- Fa’ piano, – lo
redarguì poi. – Mi stacchi la pelle tra un po’.
–
Conosceva Cameron quel
tanto che bastava per saperne il nome, appunto, la professione e lo stato
civile: single ovviamente. Ecco, la professione non la ricordava poi così bene,
perché si era tenuta sul vago. Di sicuro lavorava al San Mungo e la mattina
seguente avrebbe attaccato molto presto. Ah, e come ultima informazione: era sua
fan sfegatata. Magari su un seno le avrebbe trovato il suo nome inscritto in un
cuore.
Cameron diede cenno di
essersi stufata di quei morsi, e si stava già tirando su la tunica quando Ron fu
più solerte.
Sopra l’abito fece
scivolare la bocca socchiusa, indugiando tra i seni e sull’ombelico. Quando
percepì l’inizio delle gambe, titillò con la lingua la parte finale del ventre.
Cameron serrò le labbra e lasciò la testa all’indietro. Ridacchiarono entrambi
quando nel farlo, il cranio andò a sbatterle contro uno scaffale ricolmo di
detersivi. Si portò una mano sul capo dolorante mentre la risata diveniva più
forte.
Ron riprese a scendere,
stavolta senza smettere di guardarla negli occhi. Cameron si rifece
improvvisamente seria quando i bordi della propria tunica si sollevarono fino a
lasciarle completamente nude le gambe. Due mani forti e ruvide le cinsero il
bacino e scostarono l’orlo della biancheria. Labbra umide cominciarono a
saggiarle l’interno coscia.
O voleva torturarla o
aveva bisogno di un incentivo, pensò Cameron dopo alcuni minuti, visto che la
lingua continuava il saliscendi sulla gamba. Impaziente, acciuffò i capelli di
Ron e lo accompagnò delicatamente verso il proprio sesso. Non ebbe il tempo
sufficiente per beneficiare di quel gesto, che lui si era già scansato. Una
volta per tutte, riuscì sfilarle la veste e spartanamente gettò via anche la
propria.
Cameron gli circondò il
collo e prese a baciarlo con rinnovato ardore. Eppure quando provava a
solleticargli il collo, Ron non dava segni di cedimento. Le aveva messo con
fermezza le mani attorno alla vita continuando imperturbabile ad approfondire
baci famelici. Cameron tentò allora di appoggiare suadente i suoi seni morbidi
al petto del ragazzo, ma lui rimaneva rigido, contratto. Sembrava interessato solo ad
amoreggiare. Approfittando del recupero fiato, cominciò a lambirgli l’orecchio
con la lingua. Ben presto le ultime difese di Ron caddero: infatti sciolse la
presa dai suoi fianchi e con le mani corse a carezzarle la
schiena.
Senza indugiare oltre,
Cameron scese sull’erezione di Ron, ma lui fece un salto indietro. Farfugliò
qualcosa di poco chiaro e raccattò immediatamente la tunica ai suoi piedi per
coprirsi la zona pubica.
- Che diamine ti succ- –
non riuscì a domandargli che fu interrotta.
- Si è spento, miseriaccia! – la interruppe con
fare agitato. Le guance erano paonazze e gli occhi si spostavano a intermittenza
dal pene coperto al volto sconvolto di
Cameron.
Lo specchio davanti a
lei non le restituiva proprio un’immagine splendida. Piangeva mascara e il
rossetto era stato trascinato dai
baci fino alle guance. Dulcis in fundo, i capelli più corti
erano scappati dalle forcine e si erano come elettrizzati a raggiera dalla
testa.
Davvero, ma davvero imbarazzante. Ron Weasley aveva
fatto cilecca! Lei dal canto suo sapeva di non aver sbagliato niente,
quindi l’unica motivazione valida era che…
- Sei gay?
–
Ora lui la guardava tra
il risentito e l’impacciato. Come glielo spiegava che non gli era mai capitato
prima? Forse era stato il troppo alcol oppure la troppa fretta che Cameron aveva
addosso. O forse ancora, l’intera circostanza. Lui aveva i suoi tempi, le sue
abitudini. I suoi preliminari.
- Certo che no! –
rispose immediatamente, infilandosi alla bell’e meglio la veste. – Devo essere
semplicemente stanco. Sono dispiaciuto. Sono veramente dispiaciuto.
–
Cameron continuava a
guardarlo come se improvvisamente avesse davanti un’altra persona. Una di quelle
che si preferirebbe non incontrare mai quando si è quasi nudi. Senza aspettare
oltre, imitò i movimenti di Ron e si rivestì in
fretta.
E in realtà, vedendolo
così rosso e goffo, quel misto micidiale di risentimento e imbarazzo era
scemato, lasciando il posto a una grande compassione. Si trattenne dal ridere
sguaiatamente, perché altrimenti gli avrebbe ucciso l’orgoglio maschile
definitivamente.
- Offrimi qualcosa da
bere, va’, – disse Cameron infine, con tono fintamente
sostenuto.
Ron stava per defilarsi
con qualche scusa, ma lei assottigliò pericolosamente lo sguardo. Dopotutto non
poteva negarsi dopo la pessima performance. E cosa ancora più importante, lui
doveva assicurarsi che quanto accaduto poco prima restasse un segreto tra loro
due e basta.
Quando uscirono dal
bagno in visibile impaccio, furono soprattutto attenti a non sfiorarsi neanche
per sbaglio.
Sentirsi sempre indorare
la pillola era una mitragliata di rabbia in pieno
petto.
Se Hermione avesse
potuto, avrebbe tagliato volentieri i ponti con quel passato che tornava
bastardamente a bussare a una porta che non riusciva a
chiudere.
Senza neanche
accorgersene si diresse verso la tribuna, dove poco prima si era tenuta
un’asta.
Curioso come una giovane
bruna saltellasse in punta dei piedi. Voleva riuscire a vedere una teca in
particolare. Sul pannello informativo lampeggiava, in varie lingue, la frase: qui è esposta la bacchetta che uccise
Voldemort.
- Secondo me è un falso,
– affermò angelicamente, riconoscendo l’intenso profumo di mughetto della donna
alle sue spalle.
- Dov’eri finita,
Delilah? – domandò Hermione dandole un buffetto sulla
testa.
Le arrivava a malapena
alla spalla, ma aveva la grinta necessaria a far gonfiare di boria un
Grifondoro.
Strano che fosse finita
a Corvonero; se lo chiedevano i suoi stessi compagni di
Casa.
- Un po’ qui, un po’ lì.
Da nessuna parte, ovunque, – le sorrise specchiando i propri occhi in quelli
grandi e marrone dell’amica.
Un’ouverture di musiche
celtiche apriva ufficialmente le danze. Quella era anche la notte di una
ricorrenza speciale, che affondava le radici in un passato antichissimo. La
notte più calda di luglio era illuminata dalle scie di fate che volavano nelle
radure sperdute, sotto la luna rossa.
Hermione sorrise
ripensando a quando Harry e Ron l’avevano portata a vedere quello spettacolo di
luci ovattate e canti carezzevoli, sdraiati sulle radici di alberi silenti. Era
stata la loro ultima vacanza insieme, dopo la battaglia di
Hogwarts.
- Che ne dici di
assistere alla pignatta? Lo so che detesti queste usanze straniere, ma ti giuro
che quando è il turno di mio padre, c’è da farsela addosso. L’anno scorso ha
lanciato stelle filanti sulla testa di Winfred Elder, facendogli spuntare una
cascata di capelli da far invidia al vecchio Slash.
–
- Non pensavo ti
piacesse il rock Babbano. –
Hermione scansò via quei
ricordi stupendi, e soprattutto cancellò dalla mente il sapore delle labbra di
Ron dopo che gli aveva sussurrato di amarlo per sempre e un
secondo.
- Oh no, infatti, –
stava rispondendo Delilah, – ma ogni tanto per curiosità faccio le mie ricerche.
–
Hermione comprese un
terzo di ciò che diceva, ma una cosa era certa: la pignatta era una ricorrenza
davvero troppo villica per un ambiente del genere. Anche per lei che era di
larghissime vedute.
- Credo che mi ritirerò,
invece. –
La delusione oscurò il
viso ovale di Delilah, che mandò giù un po’ di pistacchi
zuccherati.
Forse era stato meglio
che si fosse allontanata, così non avrebbe assistito, una mezz’ora più tardi,
all’empio spettacolo di Ron che usciva con i bottoni sulla schiena fuori dalle asole, in compagnia di una
strega più alta di lui con due gote imporporate e i capelli
spettinati.
Hermione le carezzò i capelli e poi si allontanò a passi lenti congedandosi educatamente agli ospiti che
cercavano la sua compagnia.
- Vi prego… un altro
brindisi in onore delle fate di Leigh Beck.
–
Senza accorgersene Harry
Potter stava urlando, tenendo in mano l’intera bottiglia di Whisky Incendiario,
per la solita e raccapricciante scenata di fine serata. Prima di svoltare nel
corridoio che portava all’uscita, Hermione si nascose dietro a una colonna.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Il brusio della sala scomparve dopo un po’ e
nella mente si fece forte e nitida quella voce tanto cara. Il contenuto del
discorso stava degenerando, ma a lei interessava solo il suono. Sorrise
sentendogli sbagliare l’accento di alcuni cognomi. Continuava ad avere sempre lo
stesso problema. Pensò che alla prima occasione gliel’avrebbe rinfacciato, ma
appena un attimo dopo si ricordò che era quasi un anno che non si parlavano
più.
Fece capolino
nell’attimo esatto in cui Harry guardò nella direzione dove era nascosta. Ma fu
appunto solo un attimo, perché poi le
diede le spalle per salutare qualcuno. Sudò freddo e si chiese se per caso l’avesse
vista. La sala era gremita e lui era troppo lontano, costatò in
fretta.
Aveva già afferrato la
Passaporta quando il sottosegretario del Ministro della Magia ruppe la pignatta
in un coro di urla.
Una lava perlacea
ricadde sul pavimento, e un istante dopo ecco che una quantità inverosimile di
Mollicci si buttava a capofitto tra gli eleganti invitati, generando un caos
indescrivibile.
Tavolate di cibo
volarono con violenza contro le pareti e le teche delle bacchette custodite si
frantumarono in un’esplosione di vetro. Molti invitati ruzzolarono per terra per
evitare incantesimi o perché spinti, nella
confusione.
Come se si fosse trovato
davanti allo specchio, Harry Potter poté quasi percepire il sangue galoppargli pazzamente nelle
vene e gli occhi sgranarsi.
Conobbe per l’ennesima
volta la paura, ma stavolta non erano né Lord Voldemort né un
Dissennatore.
Il Molliccio che l’aveva
puntato si era trasformato nel suo più grande terrore: se
stesso.
I fear who I am
becoming,
I feel that I am losing the struggle within.
–Whithin Temptation