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Autore: Miss Demy    08/04/2011    36 recensioni
New York City. La città che non dorme mai. Forse perchè è proprio di notte che si accendono le luci del Moonlight.
Un incontro improvviso, un ritrovarsi in un luogo inaspettato.
In una città, dove l'amore è solo una leggenda metropolitana, vengono meno le certezze del bel Marzio Chiba, crolla il suo Mondo e se ne crea uno nuovo, uno migliore.
Dal cap.2:
- Nessuno parlava, riuscii a sentire il suono della cintura che veniva slacciata. Non poteva essere. Seiya voleva…
Non riuscivo neanche a pensarlo, figuriamoci a dirlo.
Non mi importava delle conseguenze, aprii la porta, o meglio, ci provai.
Purtroppo era chiusa a chiave. Disperazione. Ma perché? Non la conoscevo, non sapevo nulla di lei. Eppure il cuore mi batteva forte se ripensavo al suo sguardo e alla sua dolcezza di quella maledetta-santa mattina.
“Seiya, apri questa porta. Subito. Muoviti!” ripetevo, battendo pugni sulla porta, facendo intendere che avrei continuato finché non mi avesse lasciato entrare.
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, la mano iniziava a farmi male. Non mi importava però. Io dovevo proteggerla.

Dal cap.11
-Guardavo l'Upper East Side e mi sembrava di osservarla per la prima volta.
Quella magia che si era appena creata all'interno della stanza, con lei tra le mie braccia e Lei stretta a me, così da poter udire il suo cuore battere all'impazzata sulla mia schiena mi fece riflettere sul fatto che; bastava davvero poco, era sufficiente soltanto l'affetto e l'amore delle persone amate per rendere felice un uomo.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Moonlight'
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Cap. 16: Moonlight - La storia nella storia



24 Novembre – Ore 8.45

Camminavo a passo svelto per le strade dell’Upper East Side, ansioso di raggiungere la RoseEdition; se dovessi paragonare il mio umore quel giorno sicuramente il tempo faceva al caso mio.
Le nuvole dense rivestivano il cielo della City rendendolo grigio, cupo, preannunciando pioggia se non una vera e propria bufera. La notte precedente non avevo dormito molto; ero amareggiato, mi sentivo in colpa per averla fatta stare male e per averla mortificata. Lei mi credeva un approfittatore e, per quanto cercassi di mettermi nei suoi panni, ne ero deluso. Io avevo sempre fatto di tutto per dimostrarle che poteva fidarsi di me, la avevo protetta, difesa, mi ero preso cura di Lei in quei dieci giorni; come aveva potuto dirmi quelle cose dopo tutto ciò che era accaduto in precedenza? Io la amavo, la amavo davvero tanto però le sue parole, sinceramente, mi avevano spiazzato. Io mi fidavo di Bunny, conoscendola mi sarei fidato in qualunque situazione. Lei lo aveva fatto con me? No. Non lo avevo fatto. A prima occasione non si era fidata di me, anzi, senza permettermi di spiegarle, mi aveva buttato adesso la sua rabbia sbattendo la porta della stanza per gli ospiti e lasciandomi solo in quel letto che, dopo aver conosciuto solo me per sette anni, quella notte sembrava troppo grande senza di Lei.
Dicono che c’è sempre una spiegazione a tutto ma Lei, la notte precedente, aveva trovato quella sbagliata ed io, a mente lucida, capii che in fondo non ero stato l’unico a sbagliare. Lei aveva sbagliato come me, se non di più.
 
Arrivato nella stanza del boss cercai di contenere tutta la mia ira e il mio rancore per il suo modo di comportarsi la sera precedente, mettendo Bunny in imbarazzo e mancando di rispetto sia a Lei stessa che a me.
Era tranquillamente seduto sulla sua poltrona di pelle nera, con il suo solito modo di accavallare le gambe. Leggeva alcuni fogli di un manoscritto e con una mano continuava a premere la molla della penna d’argento provocando un fastidioso ticchettio.
Alzò gli occhi da quello che, dalla sua espressione, sembrava un interessante romanzo e, sorridendo pieno d’entusiasmo, mi invitò ad accomodarmi con un cenno della testa.
Ero sorpreso; non l’avevo mai visto di buon umore come quella mattina ed era la prima volta che mi offriva un’espressione serena.
“Ieri sera è stata una bellissima serata” disse richiudendo il manoscritto di fretta tanto da provocare uno spiffero d’aria e facendolo strisciare verso il bordo della scrivania.
Non risposi; era meglio così.
“Dunque, Chiba, Credo dovremmo parlare del contratto con Lady Moonlight.”
Anche quando si trattava di parlare d’affari non perdeva l’abitudine di fare battute ironiche, soprattutto nei confronti delle donne che non aveva visto inizialmente in maniera positiva.
Annuii, permettendogli di continuare.
Coi gomiti portati in avanti sulla scrivania e la penna che girava tra le sue mani iniziò:
“Ieri mi sono comportato da stronzo, ti ringrazio per non avermi spaccato la faccia.” Con un sorriso divertito: “Ero preparato anche a quello.”
Lo guardai incredulo senza proferire una sola parola ma spiazzato dalla sua confessione.
“Bunny è una brava ragazza, non sembra neanche una newyorker. Sei sicuro che non provenga dalla Luna?” chiese con tono sempre più divertito.
“Lei è speciale, lo so” risposi consapevole, anche se la sensazione di delusione non mi abbandonava.
“Voglio aiutarvi. Lei non ha niente a che vedere col bordello di Lady Moonlight” giudicò, e io a quel punto pensai che la sua era stata una tattica per vedere fino a che punto Bunny si sarebbe trattenuta prima di tirare fuori gli artigli e comportarsi in maniera sfacciata e spudorata tipica delle Moonlight dancers. E quando Lei si era irrigidita alla sua presa sempre più viscida durante il ballo cercando di sfuggirgli, aveva capito che Lei era ingenua, timida, non era capace di nascondere il proprio imbarazzo ed evidentemente il Moonlight non era il luogo per Lei.
Volevo rispondergli ma la sua bocca rimaneva sempre socchiusa come se intendesse continuare, così tacqui.
“Credo sarebbe un’ottima idea una storia d’amore con protagonista Bunny. Le lettrici ne rimarrebbero colpite.”
“Sì, sì lo credo pure io.”
Provavo uno strano calore al cuore, come se finalmente le cose stessero andando nel verso giusto. Non mi sembrava possibile.
D’un tratto la sua voce ritornò seria; in quel momento sì che si iniziava a parlare d’affari importanti.
“Chiba, di solito leggo i manoscritti prima di sottoscrivere i contratti con gli autori.”
E lì, temetti di morire, che il mio cuore mi abbandonasse; pensai che volesse leggere la storia prima di accettare, ma poi:
“Sei un bravo autore, la critica ha detto del tuo primo libro che riesci ad esternare i sentimenti e le emozioni molto bene.” Una pausa e:
“Voglio fidarmi di te. Accetto di firmare il contratto ma non mi deludere. Ovviamente ti seguirò passo dopo passo e rivedremo assieme i pezzi che non mi convinceranno.”
Nonostante quelle parole non potei fare a meno di sorridere, di gioire, l’avrei persino abbracciato!
“Non se ne pentirà Mister Taiki. Non la deluderò.”
Annuì per alcuni secondi, iniziando a far roteare la poltrona da destra verso sinistra; rifletteva, e:
“Il titolo sarà Moonlight, ma la storia dovrà vertere sulla vostra storia d’amore e su tutto ciò che di Lei colpisce e fa innamorare rendendola speciale. Sei in grado di farlo?”
“Certo; se finora è stata un’ispiratrice per il mio libro, figuriamoci se non riesca a scrivere una storia d’amore su di Lei.” Dalla mia voce era percepibile la mia estrema felicità.
Annuì, sempre più pensieroso:
“Bene… bene.”
Si alzò dalla poltrona massaggiandosi il collo con le mani:
“Ovviamente mettici pure qualche momento trascorso al Moonlight, altrimenti mi sa che la signora si sentirà presa per il culo.”
“Crede che Lady Amy si tirerà indietro quando le parleremo delle idee per il libro?” domandai credendo per un attimo che ciò non fosse quello che la ragazza volesse.
Scosse il capo, stropicciando le labbra in un’espressione sempre più confusa e assorta tenendo il mento con una mano chiusa a pugno e lo sguardo basso:
“No, non credo. Io sono l’editore e so cosa si vende e cosa no. Lei vuole la pubblicità ma questa si ottiene anche senza parlare esclusivamente di balletti e tette di fuori.”
Si voltò verso di me e, con l’indice puntato nella mia direzione continuò:
“E noi le daremo la pubblicità ma puntando su ciò che piace alle lettrici: una storia d’amore struggente.”
Sorrisi; era un bastardo ma era anche il numero uno negli affari!
Il telefono squillò e lui si avvicinò alla scrivania per prendere la cornetta e portarla all’orecchio. Rimase a sentire l’interlocutore per pochi secondi, con la mano libera dentro la tasca del pantalone beige di velluto, dopo aggiunse:
“Falla passare.”
Mi guardò, riponendo la cornetta del telefono e mi informò:
“Ho chiamato stamane anche Lady Amy, è qui!”
E io rimasi incredulo; non avrei mai pensato che prendesse l’iniziativa a fissare direttamente da sé l’incontro.
Non ebbi il tempo per ulteriori riflessioni che la porta si aprì e Lenya, nel suo tailleur rosso magenta con un sorriso cordiale, invitò la ragazza dai capelli tinti di blu ad entrare.
Taiki con un cenno del capo ringraziò la segretaria congedandola e, avvicinandosi alla giovane ragazza dall’aria seria e matura le porse la mano:
“Grazie di essere venuta nonostante il breve preavviso. È un piacere conoscerla!”
La guardava fisso negli occhi turchesi e pieni di intensità, valorizzati da un ombretto dorato. La sua mano era ancora stretta in quella della mistress quando questa, accennando un sorriso di convenienza, rispose:
“Non importa. È un piacere anche per me, Mister Taiki. La sua fama è notevole.”
Lui rise, fiero e soddisfatto, lasciando scivolare via la mano e prendendo posto sulla sua poltrona.
“Si accomodi pure, Lady Amy” aggiunse indicando la poltrona accanto alla mia. Solo mentre toglieva il lungo soprabito blu prima di prendere posto, mi sorrise e abbassò il capo in segno di saluto.
Diciamo che entrambi usavano le parole col contagocce!
“Buongiorno Lady Amy” risposi gentilmente rimanendo poggiato allo schienale della comoda poltrona di pelle nera.
Mentre si sedeva notai il modo di Taiki di osservarla; di squadrarla dalla testa ai piedi partendo dalla camicetta bianca di raso lucido e scendendo sulla gonna nera appena sopra il ginocchio.
E quando lei accavallò le gambe con fare elegante, credo che per un istante il boss fu rapito da quel movimento lento e sensuale; presumo che la considerò diversamente da come aveva fatto fin a quel momento. Una donna d’affari, ma non solo!
“Dunque, ho parlato col mio autore e siamo disposti a darle la pubblicità che chiede per il suo locale.” Iniziò in maniera rapida, sintetica e decisa, con i gomiti sulla scrivania e le dita delle mani incrociate fra loro.
“Però ovviamente come lei saprà, il campo dell’editoria non è come un semplice spot televisivo o un manifesto su Time Square.”
La donna si inclinò leggermente a sinistra, poggiando il gomito sul bracciolo e portando il dorso della mano sotto al mento. Annuì, in attesa di capire dove volesse arrivare il boss col suo discorso.
 “Non possiamo parlare in un libro di esibizioni e ballerine; lei capisce cosa intendo giusto? Gli uomini non leggono questi libri, preferiscono direttamente venire al locale.” Lo aveva appena detto come si usa fare coi bambini, in modo che il concetto fosse stato chiaro e lineare, usando un tono stranamente calmo e gentile.
La ragazza si schiarì la voce con un colpo di tosse e, portandosi dritta sulla schiena, con le braccia conserte, rispose:
“Beh, non ho mai detto questo al suo autore.” Mi guardò per un attimo, mostrandomi la sua freddezza dai suoi occhi turchesi ma privi di emozioni; riprese subito, ridandomi il profilo e guardando in faccia il boss:
“Mister Taiki, sono una donna, non sono una stupida!” Una risata divertita e: “Lavoro con gli uomini da ormai quattro anni. So che gli unici libri che leggono i miei clienti sono libri illustrati”, continuò con sguardo eloquente quando si soffermò sulle ultime due parole.
Io e il boss ci guardammo e vidi in lui la voglia di trattenere una risata, come se anche lui facesse parte di coloro che leggono quel genere di riviste a cui la ragazza si riferiva.
“Bene; ho parlato col mio autore e vorremmo che il libro Moonlight parlasse principalmente della storia d’amore con Bunny, sua dipendente. Ovviamente la maggior parte delle scene saranno ambientate al Moonlight.”
“Certo, lo avevo già detto al ragazzo che poteva parlare della storia d’amore. A me interessa la pubblicità.”
“Infatti. Ovviamente sappia che essendo soggetta al giudizio di tantissime persone, c’è chi la troverà assurda, chi la troverà strappalacrime, chi non vedrà l’ora di andare a letto per poterla leggere prima di dormire.” Un attimo di silenzio e poi aggiunse:
“In ogni caso tutti sapranno che sull’East Side di Manhattan c’è un locale chiamato Moonlight”, facendole l’occhiolino.
Lady Amy sorrise annuendo, lasciando andare un sospiro di sollievo e fidandosi della bravura del boss tanto rinomata.
“Credo potremmo dunque passare a firmare il contratto, dico bene?” chiese ravviandosi alcune ciocche che involontariamente le erano scese davanti agli occhi.
“Prima il contratto della ragazza” ordinò lui con tono rigido e serio, allungando la mano aperta verso la mistress.
Lei rimase di stucco, non aspettandosi un tale atteggiamento privo della benché minima fiducia. Con una smorfia sdegnata che sfociò in un sorriso forzato, prese la sua Chanel color panna e tirò fuori una carpetta plastificata.
La porse all’uomo senza smettere di guardarlo. I loro occhi si incontravano e si scontravano in uno sguardo acuto fatto di intensi dialoghi silenziosi.
Era una sfida di potere, creata da movimenti e da frasi che cercavano di segnare la supremazia, la vittoria tra il mondo maschile degli affari e quello in cui le donne rivendicavano fiducia e rispetto. Era una lotta tacita  fra loro, ma odorava di passione.
 Lui estrasse i fogli pinzati tra loro dalla custodia trasparente e iniziò a controllarli. Dopo aver letto l’ultima pagina lo passò a me.
Non ebbi tempo di dir nulla che lui aggiunse:
“Come clausola del contratto, aggiungerò che il contratto della ragazza verrà sostituito da quello che andremo a sottoscrivere, e dunque perderà di efficacia.” Si poggiò allo schienale, comodamente, e incrociando le braccia al petto continuò: “Dico bene?” con aria di sfida. Di nuovo.
La ragazza sembrò infastidita da quell’atteggiamento guardingo e io temetti che la loro stupida sfida sfociasse in una guerra in cui avremmo perso io e Bunny.
“Mister Taiki, su, non so lei ma io di solito tratto con persone serie.”
Un sorriso vittorioso nacque dalle labbra sottili ma astute del capo.
 
E così, in quel giorno di fine Novembre, in una stanza di un grattacielo dell’Upper East Side, Lady Ami Mizuno, Mister Taiki Kou e il sottoscritto diedero inizio, con tre firme, a quello che per la mistress avrebbe rappresentato una fonte di pubblicità; per il boss un altro successo firmato RoseEdition; e per me e Bunny semplicemente l’inizio della tanto desiderata Libertà.
Signori e signore, prese vita Moonlight.
 
Dopo gli ultimi dettagli, Lady Amy, alzandosi dalla poltrona e indossando il soprabito, mi guardò e disse:
“Il contratto di Bunny adesso è tuo; fanne quello che vuoi.” Sistemò il colletto del cappotto e riprese: “E dille di passare oggi a prendere le sue cose. La stanza mi serve libera.”
Annuii con un enorme sorriso di gioia immensa sul viso, alzandomi per prendere la valigetta che avevo poggiato sul divano dietro le due poltrone. Non c’era più bisogno di rimanere.
Avevo così tanta voglia di urlare e liberarmi da tutta quell’ansia accumulata in quei giorni; l’idea di Libertà era ormai una certezza eppure così lontanamente percepibile. Dovevo tornare a casa. Solo quando avrei visto gli occhi di Bunny illuminarsi per la felicità, quando avrei letto nel suo sguardo commosso il senso di liberazione, ne avrei preso consapevolezza.
Prima che potessi salutarli, Taiki, porgendo la mano alla ragazza, già davanti alla porta, disse con voce calda e sicura di sé:
“Sono contento di questa proficua collaborazione.” Lei sorrise, per una volta sinceramente, perdendosi nei suoi occhi intensi ed eloquenti.
“Se le va, uno di questi giorni potremmo vederci per pranzo.” Non c’era altro bisogno per lui di specificare o di inventare banali approcci; quella era NYC e Amy aveva già capito tutto.
“Perché no; il mio numero ce l’ha” rispose soltanto, alzando leggermente una spalla e cercando di mantenere un’aria quasi indifferente. “Ovviamente dovrò prima controllare i miei impegni segnati in agenda” si affrettò ad aggiungere per mantenere la sua dignità di mistress.
Taiki  lasciò la sua mano, socchiudendo le palpebre in segno d’assenso.
Chi lo sa; magari Moonlight avrebbe rappresentato qualcos’altro per entrambi oltre ad una ‘proficua collaborazione’.
 
Tutta l’ansia, la tensione e pure la delusione che albergava nel mio cuore si stava dissolvendo pian piano che lasciavo il maestoso grattacielo dirigendomi da Lei.
Avrebbe finalmente capito il motivo per cui avevo permesso che Taiki si comportasse da porco, mi avrebbe perdonato per non essermi intromesso. Ed io ero troppo felice per portare rancore per la mancata fiducia. La avrei perdonata a mia volta per non aver creduto in me e nelle mie buone intenzioni; intenzioni per nulla da approfittatore.
Avremmo chiarito, fatto pace e festeggiato per quella nuova vita che pian piano stavamo costruendo assieme. Una vita migliore per entrambi.
L’incubo che mi aveva lasciato insonne parecchie notti, cercando una soluzione per tirarla fuori dal Moonlight finalmente era finito e, anche se rimaneva il problema di Usa e di un possibile rigetto al trapianto, ero tranquillo del fatto che Lei era salva, tranquilla, al sicuro lontano da quello schifo.
 
Il salone era ancora al buio; le saracinesche non erano state ancora alzate; la stanza sembrava pervasa da un grigiore soffocante. Una scia di luce proveniva dalla camera da letto riflettendosi sul pavimento. Lentamente mi avvicinai, rompendo il silenzio coi miei passi che rimbombavano sul parquet.
Il cuore per un attimo si fermò quando vidi il borsone di Bunny sopra al letto perfettamente rifatto. Scorgendo alla mia sinistra, l’anta dell’armadio era aperta e, d’un tratto, Lei riapparve con alcuni maglioni tra le mani.
Non poteva essere… Non poteva accadere sul serio…
“Che diavolo significa?” domandai con voce sempre più tremante e nervosa quando incontrai i suoi occhi.
Colta in flagrante, chiuse le palpebre, sospirando.
“Credo sia meglio così” rispose, abbassando gli occhi verso i pullover, con un filo di voce.
Deglutii a fatica, iniziando a sentire sempre più caldo. Mi mancava l’aria, il mio respiro era sempre più affannato.
Tolsi il cappotto tirandolo con rabbia sul letto tanto da farla meravigliare per quel mio gesto.
Presi un grosso respiro, come a cercare di prendere ossigeno, e:
“Perché?” lo sussurrai solamente. La voce mi stava abbandonando.
“Perché ho sbagliato a fidarmi di te.” Era convinta, decisa… cattiva e ingiusta mentre metteva dentro le ultime cose nel borsone.
“Pensavo che stanotte avessi riflettuto e capito di aver esagerato ieri e invece…” Non mi davo pace all’idea che veramente pensasse determinate cose su di me. Mi sedetti sul bordo del letto; le mie gambe stavano per cedere.
Lasciando perdere i suoi preparativi e avvicinandosi a me per potermi guardare negli occhi iniziò:
“Marzio, ieri mattina sei venuto qui con un vestito costato minimo 300 dollari dicendomi che volevi che ti accompagnassi alla cena. E poi capisco che era tutto organizzato per permettere a quello schifoso di trattarmi come una puttana.” Era incredula anche Lei ricordando la serata. Non le era facile immaginare che io fossi complice dello ‘schifoso’.
Lasciò uscire la sua ansia e il suo rammarico con un sospiro mentre tirava all’indietro la frangia.
“Dimmi una cosa, Bunny. Ti ho mai dato motivo per non meritare la tua fiducia?” Inizialmente era una domanda sussurrata ma poi la delusione che avevo dentro, unita alla rabbia, fece sì che il mio tono diventasse esasperato. Alto.
“Ti ho mai dato motivo quando Seiya voleva scoparti?” urlai. Sussultò, spaventata.
“Ti ho mai dato motivo quando Lady Amy voleva farti scopare la sera dopo da uno dei tanti clienti?”
Rimase in silenzio, forse pentita. Sapeva che in quelle situazioni avrei potuto approfittare di Lei come tutti gli altri. Maledizione, sì che lo sapeva!
“Rispondimi Bunny!” continuai a voce così alta da sentire pizzicare la gola.
Indietreggiò, notando il mio viso rosso e i miei occhi sempre più colmi di ira; il suo respiro era sempre più affannato, i suoi seni si muovevano sempre più velocemente seguendo i battiti del suo cuore che si riempiva a mano a mano di paura.
“Non ti ho mai dato motivo per non fidarti di me! Dannazione!” esclamai sempre più disperato, alzandomi dal letto che non era più in grado contenere tutte le sensazioni di amarezza insite dentro al mio corpo.
E lei non parlava, ancora una volta. Indietreggiò, quando di scatto fui ad un passo da Lei, portando una mano chiusa a pugno davanti alla bocca.
I suoi occhi erano lucidi, tristi, li avevo già visti così tante volte eppure quel giorno mi sembravano enigmatici.
“Datti una calmata” ordinò titubante con gli occhi sul parquet, temendo un’altra reazione dettata dall’agitazione.
“No! Io ho sempre fatto di tutto per dimostrarti quanto ti amassi; come fai a dire certe assurdità!”
Alzò lo sguardo verso di me: “Perché lo hai permesso? Perché?” iniziò a lasciare andare le sue emozioni che aveva represso per tutta la notte, e con esse, le lacrime.
“Perché quando ti ho guardato spaventata hai abbassato gli occhi? Perché?” urlava pure Lei; era esasperata. Piangeva e svuotava i polmoni coi pugni serrati sui fianchi e il busto verso di me, non dandosi pace per il mio strano atteggiamento.
Non potei più omettere e così confessai:
“C’era in ballo qualcosa di troppo grosso” con voce quasi impercettibile.
Un respiro le morì in bocca. In quel momento si sentì tanto vittoriosa nelle sue deduzioni quanto dispiaciuta. Sperava di sbagliarsi, sperava che dessi un’altra motivazione.
Stropicciò le labbra in un’espressione di pura sofferenza e delusione, scuotendo la testa come se in fondo non volesse crederci.
Ed io? Dovevo rivelarle fino in fondo cosa fosse quel ‘qualcosa di troppo grosso’? Non doveva avvenire così; la mia rivelazione doveva rappresentare il nostro momento di felicità da godere stretti l’una all’altro, felici come non mai.
Doveva apprezzarmi, doveva avere l’ennesima prova che la amassi e la avrei salvata sempre. Da qualsiasi situazione.
E invece Lei, anche quell’ultima volta, aveva continuato a credere in maniera errata e anche se poi – conoscendo i fatti - mi avesse detto ‘grazie’, restava il fatto che non si era fidata di me.
Non si era fidata di me.
 
“Basta così; me ne torno al Moonlight” singhiozzò con gli occhi sempre più pieni di lacrime che non voleva più trattenere.
Chiuse con rabbia la cerniera del borsone, avviandosi verso l’ingresso per prendere il suo soprabito.
La seguii, aprendo la mia valigetta di cuoio e tirando fuori la carpetta di plastica trasparente: “Mi sa che dovrai andare da qualche altra parte. Lady Amy vuole libera la tua stanza.”
Era il momento della verità; una verità accompagnata dal rumore della plastica che veniva fatta scivolare sul tavolo del salone.
Si voltò di scatto; sorpresa, incredula, sbarrando gli occhi e rimanendo immobile col cappotto ancora tra le mani.
“Portati questo. È tuo.” Lo dissi con tono serio, con un pizzico di soddisfazione ma avvertendo i battiti del mio cuore farsi sempre più veloci. Avvertivo delle fitte allo stomaco; gli occhi pizzicavano e, nonostante la delusione, il pensiero di perderla mi faceva tremare.
Il suo sguardo era fisso sulla carpetta, curioso, mentre avanzava verso il tavolo.
“Cos’è?” chiese aprendola e scrutando i fogli all’interno.
La lasciai lì, sola, tornandomene nel mio letto, a sedermi in quella stanza che ancora odorava di noi.
“Quel qualcosa di grosso per cui mi hai considerato stronzo.”
Non volevo guardarla negli occhi, non volevo guardarla da nessuna parte; di spalle raggiungevo la camera udendo soltanto i fogli agitati fra le sue mani sempre più velocemente.
Poi i suoi passi si fecero sempre più vicini a me, fin quando mi raggiunse prendendomi per il polso:
“Cosa significa?”
In quel momento la rabbia, la delusione, l’amarezza mista alla sofferenza era scomparsa dal suo viso.
C’era soltanto curiosità nei suoi occhi spalancati verso i miei.
Non risposi; con una leggera forza liberai il mio polso dalla sua presa, andandomi a sedere sul bordo del letto.
“Come lo hai avuto?” chiese sempre più insistentemente, buttandosi in ginocchio davanti a me per farsi guardare in faccia, sempre più incredula.
Ma io non risposi direttamente; coi gomiti sulle gambe e le mani a sostenermi il viso, sospirai:
“L’ho pagato a caro prezzo. L’ho avuto permettendo che ti toccasse. L’ho avuto inghiottendo la voglia di spaccargli la faccia per tutta la serata.” Feci una pausa, sentendo ormai la gola secca. “L’ho avuto perdendo te.”
Lasciò che i fogli le scivolassero dalle mani verso il pavimento; prese le mie braccia cercando di incontrare i miei occhi:
“Marzio…”
Scossi la testa, ancora nascosta per evitare di rimanere preda del suo sguardo.
“Ti prego Marzio guardami” ripeteva cercando di scuotermi per le braccia, strisciando con le ginocchia sempre più verso di me.
“Perdonami. Perdonami Marzio; ti chiedo scusa. Perdonami.” E pianse di nuovo; in colpa, sentendosi una stupida, pentita.
Lasciai scivolare indietro le braccia e, perdendomi nei suoi occhi simili a quelli di un cucciolo bastonato:
“Tu credi davvero che avessi bisogno di te per concludere un contratto col mio boss?” Lo chiesi  con tutta l’incredulità che potesse esistere ad un pensiero simile.
“Prima di conoscere te, quasi ogni sera, avevo una donna diversa. Avevo tute le puttane che volevo. Non avevo bisogno di farti trattare da puttana da quello che mi ha aiutato a tirarti fuori da quel bordello!”
Sussultò. Forse perché alzai la voce, forse perché lesse delusione e rabbia feroce nei miei occhi. Non lo so perché. So solo che sbatté le palpebre mentre le lacrime le rivestivano le guance e le labbra.
“Marzio, ti prego, perdonami. Sono stata una stupida. Non ho giustificazioni ma ieri alla cena ho creduto che non ti importasse del fatto che ci provasse con me. Non me lo aspettavo da te.” Abbassò gli occhi e, con le mani aperte sul freddo parquet, pianse ancora, sfogandosi.
Tra un singhiozzo e l’altro riprese: “Io non ho mai avuto qualcuno che mi volesse davvero bene. Da un anno conosco solo cattiveria intorno a me. Per me non è facile.” Cercò di non affogare tra i suoi respiri sempre più affannati e: “Ci sto provando, credimi, ci provo a non vedere il male nelle cose.”
Alzando lo sguardo sempre più addolorato e pentito verso i miei occhi delusi:
“Ti prego Marzio perdonami. Non sono così perfetta come credevi. Amami anche per i miei difetti.”
Sorrise, nervosamente: “Aiutami a essere una persona migliore.”
E lì, percependo i suoi respiri affannati, sentendo la sua voce triste e in cerca di un’ancora di salvezza, guardando le sue lacrime scendere in segno di pentimento, fu più forte di me.
Se è vero che in amore vince chi fugge, a me quel giorno poco importava.
L’orgoglio a volte serve per essere messo da parte.
Mi alzai e, porgendole una mano, le dissi:
“Devi fidarti di me. Sempre, in qualunque circostanza; perché non ti farei mai del male.”
Si alzò, annuendo.
La sua mano era ancora stretta nella mia. Non la lasciai e Lei, accarezzando la mia guancia con l’altra mano che ancora tremava, rispose:
“Sempre. D’ora in poi, sempre, amore mio. Te lo giuro.”
Mi cinse il collo con le braccia, stringendomi a sé con tutta la forza che aveva. E io, respirando quell’odore soltanto suo che tanto mi era mancato la notte precedente - che a me parve un’eternità - la avvolsi in un abbraccio intenso dal quale non avrei mai voluto liberarla.
Era stato il nostro primo litigio, forse, anzi sicuramente, ce ne sarebbero stati altri.
D’altronde in una coppia non può andare sempre tutto bene.
Ma li avremmo affrontati, superati, e ne saremmo usciti più forti, più maturi, smussando gli angoli dei nostri caratteri per farli combaciare meglio. Pian piano saremmo riusciti entrambi a migliorarci. Insieme.
E poi, la parte più bella che ci avrebbe aiutato ad archiviare tutto, sarebbe stata di certo quella in cui avremmo fatto pace!

 
Il punto dell’autrice.
 
Non so cosa ne pensate voi ma io non ne ero per nulla convinta e non lo sono tutt’ora! Sicuramente durante la revisione lo modificherò, per ora spero solo che a voi possa piacere e che magari molti di voi mi doneranno molti consigli.
Bunny finalmente si è umanizzata, non è più la ragazza perfetta che Marzio credeva. (D’altronde l’amore è cieco.)
Il titolo del cap. mi sembrava adatto visto che capiamo come nasce Moonlight... (Il vero Moonlight nasce in una mattina n cui la voglia di studiare mi aveva abbandonata ;)) Spero che  l’attesa sia stata ben ripagata, in caso contrario perdonatemi!
Fatemi sapere cosa ne pensate, ve ne sarei grata! Inoltre, ho revisionato il cap.1 per bene... una vostra opinione sarebbe super gradita :)
Un bacio e  a presto!


Demy


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