Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Sintesi    09/04/2011    1 recensioni
Tornò verso il lettino e pigiò con forza il petto del robot. Esso si aprì come una specie di vortice, rivelando un grosso agglomerato di cavi e fili raggruppati fino a formare un cuore luminoso, di un blu abbacinante. Il dottor Mcgrant inserì la memoria nell'apposito spazio e richiuse tutto.
Iron aveva un cuore, si. Glielo aveva creato così per dargli la possibilità di assomigliare ancora di più ad un uomo.
Rimase immobile per alcuni secondi, ascoltando i battiti del suo, più vecchio, più stanco, ma incredibilmente eccitato in quel momento.
Si schiarì la voce, febbricitante: "Svegliati Iron" disse con tono fermo.
Genere: Fantasy, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ed eccoci al secondo capitolo gente!
Personalmente non mi piace molto, è troppo incasinato e la fine l'avevo prevista diversa. Insomma, un bel pasticcio .__.
In ogni caso spero lo apprezziate lo stesso, prometto che il prossimo sarà migliore.
Un grazie a tutti quelli che lo leggeranno/recensiranno/eccetera, ma un grazie particolare va a LaMiya
, che mi ha supportato fino ad adesso e se questa storia sta avendo un seguito è anche merito dei suoi consigli e suggerimenti (:
Buona lettura, pipols


~

Capitolo 2; Sono un assassino.
 
Ero dentro ad un sogno, me ne resi conto fin da subito.
Una valle immensa si estendeva davanti ai miei occhi per migliaia di chilometri, e sotto i miei piedi vi erano così tanti fiori, che i loro petali riuscivano a reggere il mio peso. Mi guardavo attorno e vedevo solo montagne sfocate all'orizzonte, coperte da uno spesso strato di neve.
Feci un passo avanti e i fiori vacillarono sotto di me. Mi abbassai e con due dita staccai una viola dal suolo. Ne respirai il profumo ad occhi chiusi. Era così buono che potevo sentirlo con tutto il corpo. Fili e fili elettrici racchiusi dentro di me trasportarono al mio cervello questa informazione:
da quel fiore conobbi il vero odore della vita.
 
Mi risvegliai in una stanza completamente buia, accasciato in un angolo e con i sensi annebbiati.
Cercai di mettermi in piedi ma non ci riuscii: qualcuno mi aveva manomesso le articolazioni.
"Gary!" urlai alle tenebre, ma mi rispose solo il silenzio. Poi, dopo qualche secondo, la lieve fiamma di un accendino mi illuminò il viso, e mi ritrovai faccia a faccia con la sua, resa ancora più tetra da quella flebile luce.
"Come ti senti, Iron? Un po' abbattuto, forse?" e sorrise, beffardo.
Io scrollai le spalle, cercando di riprendermi completamente dal sonno improvviso che mi aveva colto.
"Rimettimi a posto, Gary" mormorai.
Lui scosse con lentezza il capo, ostentando quel sorriso. Digrignai i denti come un cane rabbioso.
"Lavora per me, Iron. Diventa mio alleato"
"No! Io non farò mai quello che mi chiedi" dissi alzando la voce.
Gary mi prese il volto fra le dita di una mano e mi fissò per alcuni secondi: "I tuoi occhi Iron. I tuoi occhi cosa vedono?"
"Niente …" vagai con lo sguardo in cerca di aiuto, "niente"
Lui annuì, compiaciuto, poi schioccò le dita della mano libera e intorno a me si espanse un paesaggio immenso, uguale a quello del mio sogno.
"E ora?" mi domandò con enfasi.
Restai a bocca aperta a contemplare quella meraviglia, ammaliato da tutti quei colori.
"I miei pensieri … tu, voi leggete la mia mente?" chiesi con risentimento. Il mio primo vero sogno era stato scoperto con così poco tatto, denudato con così tanta semplicità, che mi sentii debole e senza difese.
"Noi possiamo fare qualunque cosa. Noi regoliamo le tue emozioni, mio caro amico. Noi decidiamo cosa farti sentire e cosa evitare di farti conoscere. Noi abbiamo libero accesso alla tua mente. Potremmo cancellare dalla tua memoria tutto quello che hai appreso fino ad adesso, se volessimo. Ma sarebbe controproducente, in effetti. Sei così intelligente, Iron, così perfetto e così … ingenuo, che è difficile per noi comprendere appieno le tue reali potenzialità per adesso. Sappiamo solo che, se solo collaborassi, potresti creare un nuovo mondo, distruggendo quello in cui viviamo ora"
Scossi con convinzione la testa, deciso a non cedere ai suoi allettanti discorsi di gloria. I suoi scagnozzi mi guardavano da lontano, parlottando fra di loro.
Gary si scrocchiò lentamente le dita di entrambe le mani, aspettando che io dicessi qualcosa.
"Rimettimi a posto …" ripetei.
Lui sogghignò, un sorriso sghembo e intimidatorio, poi chinò lo sguardo sui legamenti di un mio ginocchio e si mise sapientemente a manovrarne i fili e le giunture. Fece lo stesso con l'altro ginocchio, poi tornò a guardarmi: "E ora? Cosa farai? Scapperai? Ti alleerai col nemico? Vivrai da eremita in uno dei tanti monti in cui siamo costretti a sopravvivere?"
"Non lo so" mormorai.
"Pensaci, Iron. Pensa a quello che ti sto per dire. Pensa alle guerre, pensa ai morti, pensa agli uomini da cui tu sei nato, pensa alla Terra come quando era come nei tuoi sogni"
Il paesaggio cambiò di colpo e davanti a me si proiettarono immagini orribili. Sangue, uomini agonizzanti in mezzo alle strade. Una macchina infernale puntava a scatti il braccio meccanico verso una casa o un grattacielo e dall'enorme cannone che gli sostituiva la mano scaturiva una micidiale palla di fuoco che radeva al suolo qualunque cosa.
Vidi un bambino che usciva da sotto al corpo di sua madre, morta sul ciglio di un marciapiede. Lo vidi guardarla con gli occhi pieni di lacrime, e capii. Capii che quella non era felicità.
"Morte …" sussurrai, ricordando improvvisamente il dottor Mcgrant.
"Esatto Iron. Morte"
Annuii, cercando di distogliere lo sguardo da quei pezzi di storia, ma mi era impossibile farlo. C'erano troppe cose che non conoscevo, troppe cose che mi spaventavano e allo stesso tempo incuriosivano di quelle immagini. La mia mente correva, immagazzinava informazioni, cresceva. Avevo il respiro corto, mozzato da troppa emozione.
Guardavo quegli uomini che piangevano, guardavo quel signore anziano che inveiva contro quella macchina che gli aveva portato via la moglie, e vidi quella stessa macchina disintegrare anche lui in un batter d'occhio. Cadaveri, corpi bianchi e senza vita, mi guardavano senza vedermi, e dentro di me tremai.
C'erano folle di persone che scappavano, che si nascondevano, urlando e chiedendo pietà. Vidi troppe case vuote, troppi angoli pieni di gente che sperava di scampare quel genocidio, ma invano.
Scorsi uomini armati che cercavano di fermare l'avanzamento di quelle creature, li vidi puntare le armi contro i nemici, li vidi sparare, vidi i loro sguardi delusi e terrorizzati nel constatare che il loro attacco non sortiva nessun effetto.
Sentii le loro sensazioni, ebbi paura, fui uno di loro e mi sembrò quasi di morire insieme a loro.
Scossi la testa, serrando i pugni: "Chi può fare una cosa del genere?"
Gary abbassò lo sguardo, puntandolo sul suo anello. Anche a lui forse, quelle immagini facevano impressione. Forse anche il suo animo aveva i brividi nel percepirle sulla pelle.
"Un tuo simile, Iron" mormorò infine, una smorfia di collera sul viso. Aveva un cipiglio severo quando alzò la testa a guardarmi. Sondò ogni mio meccanismo, mentre le immagini si susseguivano e si imprimevano nella mia mente, diventando indelebili.
Non poteva essere, mi ripetevo. Io mi sentivo diverso da quell'immenso congegno. Dovevo essere diverso.
"È stato uno uguale a te che ha fatto tutto questo, proprio così. La realtà, amico mio, è sadica. Tu vorresti scacciarla da te, ma lei è più forte. Ti schiaccia. Ti butta a terra e ti guarda dall'alto con un sorriso beffardo e crudele da assassino. La verità, è che noi non siamo stati abbastanza onesti con noi stessi. Volevano qualcosa di così potente, che nemmeno Dio avrebbe potuto sconfiggere. E ora, ora che ce l'abbiamo, guardaci: siamo solo vermi che vivono nel terrore di essere schiacciati da una di quelle gigantesche mani meccaniche. Non abbiamo più una vita, non abbiamo più cibo, non abbiamo nemmeno più un cielo a cui rivolgere le nostre più disperate preghiere"  
Lo guardai, sondando le sue iridi.
Ora, in quella stanza, sentivo freddo. Era una sensazione strana, quella che provavo, già sperimentata non appena il dottor Mcgrant mi aveva acceso la prima volta. Mi sembrava di essermi appena scongelato dopo anni di ibernazione in uno stato di annullamento totale del mio spirito.
"Nessuno, Iron, nessuno dovrebbe patire una tale sofferenza. Nemmeno degli esseri imperfetti ed ingrati quali sono gli umani"
Venni colto da un brivido leggero, mentre lui si alzava.
Si diresse verso lo schermo più vicino, faccia a faccia con uno dei tanti robot che si scorgevano per le strade. Lo fissò, immobile, perso fra i ricordi.
"Io non ho visto ciò con i miei occhi, ma mio padre sì. Mio padre c'era, mio padre li ha combattuti, quei bastardi. Mio padre ne ha anche ammazzato uno ma …" qui la sua voce si incrinò, fino a spegnersi in un sussurro: " … oggi sarebbe fiero di me" concluse poi, infilando le mani in tasca.
Ne tirò fuori una stecca di sigarette e ne accese una. Fece un tiro, buttando fuori il fumo con un lungo sospiro. Chiuse gli occhi e rimase così, con la bocca socchiusa e la sigaretta che gli pendeva dal labbro inferiore per lunghi istanti.
"Quando riuscirono ad avere la meglio su di noi, i pochi superstiti cercarono in ogni modo di scappare e trovare rifugio in ogni modo. Chi veniva scoperto ancora in vita, si faceva semplicemente morire. Ci cercarono ovunque, quelle bestie. E sai cosa facevo io quando ero un bambino e quegli esseri vagano per le città, dopo la loro vittoria sul genere umano? Chiudevo gli occhi e facevo finta di trovarmi in un altro luogo. Così, come se anch'io potessi smaterializzarmi e viaggiare nel tempo"
Di scatto, si appressò a me e mi soffiò una boccata di fumo in faccia: "Perché tu che puoi farlo davvero non vuoi collaborare?"
Mi guardai distrattamente la punta dei piedi nudi, placcati di lucida plastica bianca.
"Perché non voglio essere come loro e …" lo fissai per un attimo prima di parlare. Come sembrava cadaverico, sotto quella luce sintetica. Provai l'irrefrenabile voglia di scorgere un raggio di sole, in quel momento, dentro la stanza: "uccidere. Io non ucciderò" conclusi fermamente.
Ma lui come al solito non prese bene questa mia decisione, per l'ennesima volta mi prese per le spalle e mi gridò contro. Ancora, ancora, ancora.
Serrai i pugni e senza accorgermene ripensai al mio primo vero sogno. Ripensai alla distesa di fiori che avevo cavalcato, e mi ritornò alla memoria quel profumo, il suo profumo, l'inconfondibile aroma della libertà.
Con queste immagini che riempivano ogni più piccolo anfratto dei miei circuiti, puntai lo sguardo verso quelle immagini orribili, piene di sangue, di morte, di panico e non potei fare a meno di pensare che i miei sogni cozzavano in modo sconcertante con la realtà.
"Io non voglio tutto questo" mormorai come in trance. Gary smise di strattonarmi e rimase in silenzio, lasciandomi parlare.
"E se … e se i miei sogni diventassero la realtà? E se avessi la forza di trasformare tutto quel sangue in gocce di pioggia? Tutti quei morti in fiori? E se riuscissi a trovarla, poi, alla fine di tutto?"
Gary mi guardava, attonito: "Chi devi riuscire a trovare, Iron?" mi domandò.
Io gli sorrisi, come avevo visto fare al professor Mcgrant a me quando ero nato. Una smorfia tanto strana e buffa quanto sincera.
"Il fiore della mia vita" sussurrai, ostentando quel ghigno.
Lui scosse la testa, incredulo, non riuscendo a comprendermi: "Non ha senso quello che dici, mio piccolo robottino. Tu parli di fiori, di speranza, di pioggia, persino d'amore. Ma tu realmente sai cosa sono tutte queste cose? Come puoi tu conoscere sentimenti che sono solo doti degli esseri umani? Io c'ero Iron! C'ero quando vedevo i miei amici morire, quando macchine infernali vagavano per strada e faticavamo anche solo a respirare tale era la paura che ci schiacciava il petto! E tu osi parlare di trasformare tutto in una specie di favola?"
Annuii, mentre tutti i miei ragionamenti sfumavano all'istante. Aveva ragione. Quell'uomo davanti a me, che mi urlava contro di essere solo ammasso di bulloni e fili elettrici aveva ragione. Io non sapevo cos'era l'amore. Le lacrime di Mcgrant, rammentai, per me non erano altro che secrezioni d'acqua che scivolavano lungo le sue guance, mentre per lui erano semplicemente felicità. E io, come l'amore, non l'avrei mai provata.
Lo osservai attentamente scrutando la sua espressione adirata e il colore vivido delle sue guance, i denti scoperti dalla rabbia, come un animale furioso. Tremava leggermente mentre mi stringeva le mani sulle spalle, ma io non sentivo il tocco delle sue dita. Le mie gote, invece, non cambiavano colore, le mie pupille non si riducevano quando venivano colpite dalla luce dei neon, le mie gambe cedevano solo se qualcuno ne manometteva i circuiti.  
"Io non voglio che tu cambi il passato, Iron … io voglio che tu lo distrugga"
Mi guardai attorno, accerchiato da tutti quei filmati e tra tutto quell'orrore mi aggrappai disperato al paesaggio che avevo creato nella mia mente.
Una improvvisa folgorazione mi prese alla sprovvista, annebbiandomi i sensi: fino a quel momento, ora me ne rendevo conto, avevo solo creduto di star male, di tremare davanti a tutti quei morti, e niente mi aveva veramente spaventato, ma piuttosto mi aveva semplicemente sfiorato l'armatura, come un soffio di vento che passa e non lascia segni. Avevo mentito a me stesso, imponendo al mio cervello di catturare delle emozioni che non mi appartenevano.
Eppure allora perché, mi chiesi, continuavo a reprimere con tutto me stesso quel sangue, quelle urla, quelle lacrime? Perché mi sembrava di sudare, un sudore freddo e opprimente, che non riuscivo a sopportare?
Gary scostò lo sguardo dal mio, ancora infuriato. Stringeva in un pugno il filtro della sigaretta spenta.
Le immagini cambiarono, tornarono a riflettere le scene del mio sogno. Forse uno di quegli uomini calvi aveva capito che quello scenario di morte non faceva altro che agitare sia me che il loro capo.
"Non ti rendi conto, Iron, che tu non sei altro che un esperimento? Sei solo un robot appena nato, che si stiracchia alle prime luci del suo primo mattino. Devi ancora farne di strada, per capire davvero ciò che è giusto e ciò che è sbagliato".
Mi sentii frastornato, come se uno dei miei circuiti non funzionasse più a dovere.
Guardai quello scenario fiabesco e tentai di credere fervidamente che ciò fosse la realtà, che quello che avevano scorto pochi minuti prima i miei occhi non erano altro che macabre fotografie di un sadico artista.
Ma questa volta, lo capii da solo, quell'artista era un mio simile. Un mio fratello. Generato dallo stesso grembo smanioso di fama e gloria, appartenente ad una madre imperfetta, che aveva osato creare un qualcosa di superiore alle sue capacità. Mia madre, nostra  madre, non era altro che l'effimera mente umana.
Scrutai la distesa di quei magnifici fiori e, come fosse stato un angelo custode, uno fra tutti, bagnato dalla rugiada, luccicò al riverbero del sole.
"Gli eroi muoiono di questi tempi, Iron. I principi azzurri non esistono più. Ci restano solo gli assassini" dichiarò Gary con un freddo tono di voce, quasi metallico.
Io mi limitai a distendere e irrigidire i muscoli, senza smettere di guardarmi attorno. C'era quel fiore, quella viola, che era così bella che mi sembrava di poterne ancora sentire il profumo. E allora chiusi gli occhi, inspirando l'aria attorno a me, mi sentivo leggero, fluttuante, carico adrenalina. Ero energia pura.
Sullo schermo su cui venivano proiettati i miei sogni, Gary vide un'enorme farfalla che volava sopra la distesa di fiori, e non sapendo che fare, mi prese dalle spalle e mi strattonò, riportandomi prepotentemente alla realtà.
"No Iron, no! Non si scappa così dai problemi!"
Venni richiamato nella stanza buia con una tale prepotenza, che d'istinto mi alzai in piedi, sovrastando di qualche centimetro il mio interlocutore. Ora aveva paura, quell'uomo dai riccioli ribelli, glielo si leggeva in faccia. Tentò di tenermi fermo, ma con scarsi risultati. Questa volta non mi sarei fatto spegnere con molta facilità.
Mi prese con forza un braccio, ma io non feci fatica a liberarmi dalla stretta. Mi divincolai con prepotenza, andando ad urtare con un gomito un computer appeso al muro dietro di me. Il sottilissimo schermo andò in frantumi, producendo qualche lieve scintilla.
"Fermati stupido, mi distruggerai il laboratorio!" inveì Gary, sforzandosi di rimettermi a sedere. Tentò di sganciarmi una giuntura della caviglia, ma fui più svelto questa volta: gli bloccai il polso e feci forza su di esso, fino a sentirlo urlare.
"Carl! Carl muoviti, aiutami!"
Carl, l'uomo che nella sala antecedente a quella in cui ci trovavamo ora aveva azionato le luci, arrivò di corsa ad aiutare il suo capo.
Mollai la presa su Gary e mi preparai a ricevere il colosso che mi stava venendo addosso. Mi caricò con tutto il suo peso, tanto che per fermarlo scavai due solchi nel pavimento coi talloni. Lo afferrai per le spalle e lo sollevai sopra la mia testa, scaraventandolo poi contro il muro che segnava la fine della stanza. Il suo corpo produsse un colpo forte e cupo contro la pietra grigia a levigata. Credevo avesse perso i sensi, invece si rimise in piedi e ritornò alla carica. Questa volta riuscii a prenderlo per un braccio, avvicinandolo abbastanza a me da sondargli l'animo, scorgendoci dentro solo stupide ambizioni fallite nel corso degli anni.
Avrei dovuto provare pena per lui, ma questo non faceva parte dei miei piani. Con gli schermi ancora accessi, e con l'abbondanza di elettricità ad alto voltaggio di quel posto, mi scansai velocemente, prendendogli il cranio con la mano aperta e schiacciandolo con veemenza contro il computer che avevo rotto prima. Ne scaturì una saetta molto più potente di quella precedente, che lo fulminò all'istante.
Sentii i muscoli del collo di quel colosso diventare turgidi come aste di ferro, mentre tentava invano di allontanarmi da lui.
Per lunghi secondi rimanemmo immobili, in attesa. Quando poi l'uomo smise di divincolarsi, lo lascia scivolare a terra, col volto carbonizzato e senza vita.
Lo guardai con risolutezza, senza emozioni. Alzai il mio sguardo su Gary, che si stava ancora tenendo il polso dolorante con l'altra mano. Aveva le dita  quasi bluastre, data la potenza con cui l'avevo stretto.
"Cosa hai fatto, Iron?" mi chiese, senza riuscire a guardare il corpo del suo subalterno.
Alzai le spalle, andandogli più vicino. Guardai quel fiore proiettato dietro la sua schiena, ricordai i miei sogni spezzati, mi resi conto che la morte di Carl era stata semplicemente la mia rivincita sul destino crudele che aveva deciso di farmi nascere sotto le spoglie di un insulso essere antropomorfo.
"Uccidere …" mormorai col fiato corto, "quando non puoi scappare dai tuoi problemi, uccidili" sentenziai.
Nonostante la paura e l'atmosfera lugubre di quel posto, vidi un leggero sorriso comparire sul volto provato del riccio: "Sei pronto, adesso, mia piccola bomba atomica"
 

Il sedile su cui poggiavo la schiena era di un tenue rosa carne, questa volta non aveva cinture che potessero tenermi fermo, ero libero, per la prima volta.
Gary, con la mano ora fasciata da uno spesso strato di garza, digitava strani numeri sul display di un altro computer, mentre gli altri due  suoi uomini, titubanti, mi guardavano di sottecchi, badando bene a starmi alla larga.
"prima di mandarti nel passato, voglio che tu indossa questa speciale muta che ti consentirà di assumere delle sembianze umane. Avrai della pelle vera, vere unghie, vere cicatrici se ti farai del male, ma non sgorgherà del vero sangue dalle tue ferite. Potresti considerarti quasi un dio, in effetti. Un essere superiore che subisce ma non demorde, che incassa i colpi senza perdere vita"
Mentre parlava guardavo le mie mani bianche, e mi chiesi come sarei stato da umano.
"Come avete fatto a ricavare della vera pelle umana da darmi?" chiesi serrando un po' gli occhi.
Gary fece un gesto di noncuranza con la mano, atto che lo contraddistingueva parecchio, a mio avviso: "Possiamo dire che Carl ha avuto una buona sepoltura. Sarà più utile da morto di quanto non lo sia stato da vivo". Non riuscì a reprimere un ghigno di soddisfazione nel darmi quella spiegazione.
Nel frattempo il processore aveva concluso di riconoscere i dati immessi qualche minuto prima, e ce lo comunicò con un acuto bip che risuonò nella stanza.
Gary si sfregò le mani e premette un pulsante, dopodiché si voltò e con una mano appoggiata alla tastiera e l'altra lungo il fianco si sistemò per godersi appieno la scena.
Mi venne applicata addosso una lastra fatta di un materiale molto simile al lattice, che aderì completamente al mio corpo. Sentii un lieve formicolio sul volto, prima in fronte, poi sugli occhi e sul naso, fino ad arrivare alle labbra, alle guance, alle orecchie, al mento. Avvertivo qualcosa crescere sulla mia testa, e percepivo dei peli che crescevano sulla mia mandibola, sulle braccia, sulle gambe e nell'incavo di quest'ultime. Crebbe in me qualcosa che i miei circuiti non conoscevano ancora, qualcosa che gli uomini chiamavano ormoni. Conobbi la voglia di possedere un essere simile a me ma di dimensioni più aggraziate, mentre la spina dorsale lentamente accoglieva quel tessuto nuovo e mai sperimentato che non era altro che pelle. Quando tutto ebbe preso forma, sbattei con forza le palpebre, rendendomi conto che il mio nuovo corpo era così sensibile, che percepivo persino il tocco delle ciglia a contatto con gli zigomi ogni volta che chiudevo gli occhi.
"Mh" fece Gary massaggiandosi la mascella con sguardo critico: "Per quanto sei bello, potremmo quasi essere gemelli"
Io mi limitai a ritirare su le mani e guardarmele con meraviglia. Vene, nocche, linee e polpastrelli avevano sostituito le mie vere sembianze: "Sono un …uomo?" mi chiesi, ma forse sembrava molto di più un'affermazione che una domanda.
"Non esagerare, Iron! Diciamo che ora passerai molto più inosservato e inoltre avrai la possibilità di disfarti di questa muta quando vorrai. Incidendo la pelle, noterai ancora tutti i tuoi circuiti, quindi se subirai troppi danni, la muta non si rimarginerà più, e non ti resterà altro da fare se non squarciarla completamente e gettarla via"
Serrai con decisione le mani in un pugno, provando per la prima volta quel senso che a me mancava, il tatto. Toccai la pelle morbida della sedia sulla quale ero seduto, mossi i piedi nudi e mi guardai l'inguine non più vuoto come una volta.
"Ora avrò delle emozioni?" sussurrai piano.
Gary mi mise una mano sulla spalla: "Mio caro Iron, sei una macchina! Non sai nemmeno cosa siano, le emozioni. Sei un bel ragazzo di vent'anni, goditi questo stato di giovinezza piuttosto che pensare ai sentimenti. Scoprirai ben presto che il cuore è solo un organo, e non ha bisogno di amore per continuare a battere"
Alzai la testa a guardarlo negli occhi e annuii, rassegnato: "Cosa devo fare ora, padrone?"
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Sintesi