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Autore: Maggie_Lullaby    09/04/2011    3 recensioni
«Il cantante Joseph Jonas è scomparso da quattro giorni. Le autorità sono alla ricerca del ragazzo, che pare essere scappato dopo l'incidente che l'ha coinvolto giorni fa. La famiglia si sta mobilitando in ogni modo per riportarlo a casa e gli chiedono, nel caso stia ascoltando questo messaggio, di tornare dal loro il prima possibile. L'incidente, causa della sua scomparsa, è avvenuto diciassette giorni fa, conseguito con il decesso di...».
[...] Si spettinò i capelli con una mano mentre entrava nel bar dalle luci soffuse, tenendo il capo chino. Gesto inutile, nessuno in un bar lungo un'anonima superstrada del Nevada l'avrebbe mai riconosciuto come Joe Jonas, il ragazzo scomparso.
Correzione: scappato.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3.


Tra i ricordi cerco una ragione per riuscire a stare meglio, ma poi...

{Chi Sei Adesso; Gemelli Diversi}


«Oh, mio Dio, Joe, stai bene?», chiese Matilda, osservandolo mettersi seduto sul letto, le mani sul viso mentre delle lacrime silenziose gli rigavano il viso.

La ragazza, si mise in ginocchio davanti a lui, sfiorandogli un ginocchio, guardandolo con i grandi occhi spaventati.

Sentirono un bussare frenetico alla porta.

Matilde lanciò un'occhiata a Joe e poi corse verso la porta, aprendola in fretta e furia.

Sull'uscio c'era il receptionist, un'espressione confusa e allo stesso tempo spaventata sul viso tondo, mentre una giovane coppia in vestaglia si teneva per mano lanciando delle occhiate alla venticinquenne.

«Tutto bene, signorina? Abbiamo sentito delle urla», spiegò il receptionist, cercando di guardare dentro alla stanza, come per accertarsi che non fosse stato commesso un omicidio.

Matilde annuì.

«Sì, sì... Il mio amico», si voltò per guardarlo un istante, «il mio amico è caduto e ha sbattuto la testa, temevo si fosse fatto male ma va tutto bene», mentì frettolosamente, montando un sorrisetto convinto.

«Ne è sicura? Volete che vi porti una cassetta del pronto soccorso? Oppure chiamo un medico?», propose l'uomo, mentre la coppia si rilassava visibilmente.

«Ma no, si figuri, il mio amico è una caduta vivente, sta benissimo glielo assicuro, stia certo che se avremo bisogno la verrò a chiamare».

Il receptionist rimase un istante a contemplare gli occhi così belli e profondi di Matilde, poi si scosse.

«Va bene. Allora buonanotte, signorina».

«A lei», ricambiò la ragazza, salutando anche la coppia.

L'uomo accennò un piccolo inchino e se ne andò, lasciandola finalmente sola.

Matilde si chiuse la porta alle spalle, sospirando, poi con piccoli passi veloci andò in bagno, prese un bicchiere e lo riempì d'acqua, portandolo poi a Joe, nella stessa identica posizione in cui era quando se n'era andata.

Il ventunenne bevve un sorso solo per farla contenta, appoggiando poi con mano tremante il bicchiere sul comodino.

«Joe, che è successo? Non ti senti bene?», domandò, sedendosi accanto a lui e accarezzandogli la schiena, come se fosse un bambino, nel vano tentativo di dargli un minimo di consolazione.

«No... Io...», biascicò lui, come se fosse ubriaco, il corpo scosso da tremiti. «Sì, è solo... un brutto sogno».

Matilde socchiuse gli occhi, passandogli un braccio intorno alle spalle e stringendolo forte. Rimasero immobili per dei minuti che sembrarono ore, il corpo di Joe che continuava a tremare e lei che gli sussurrava tenere parole di conforto, come una madre al figlio.

Matilde attese, attese che Joe parlasse e le dicesse qualcosa, che si sfogasse. Non per lei, perché era curiosa, ma solo per lui: vederlo in quello stato la distruggeva.

Pensò che portarlo con sé in quel viaggio era la migliore e la peggiore cosa che avesse mai potuto fare nella vita. Forse se non l'avesse portato con sé si sarebbe tolto la vita, a vederlo in quello stato non ne sarebbe rimasta sorpresa, ma allo stesso tempo soffriva quasi fisicamente lei stessa mentre tentava di asciugare quelle lacrime di un dolore la cui fonte le era sconosciuta.

«Scusami», balbettò lui, stringendosi nelle spalle. «Io non...».

«Ssh», lo zittì lei. «Piangere fa bene. Sfogati, Joey, sfogati».

Quel nome le era salito alle labbra con una naturalezza innaturale; come la sentì Joe si irrigidì e si alzò di scatto.

«Ti ho detto di non chiamarmi così. Non chiamarmi così, non puoi chiamarmi Joey, tu non puoi, era solo un suo diritto, non puoi, tu...». Parlò così a bassa voce che Matilde lo sentì appena. Ripeteva “non puoi” all'infinito. Non puoi, non puoi, non puoi, non puoi, non puoi perché poteva solo quell'altra persona sconosciuta, quella persona per lui importante della sua stessa vita.

«Io... Joseph, scusami, non volevo, mi è scappato», mormorò la mora, strabuzzando gli occhioni di miele fuso.

Il ragazzo si accasciò a terra e per un attimo la venticinquenne fu presa dall'istinto di gridare, credendolo svenuto, salvo poi accorgersi che si era semplicemente sdraiato a lasciar scorrere le lacrime che non aveva consumato per l'amore nei confronti di una persona che non avrebbe mai dimenticato.

Matilde rimase a guardarlo per qualche minuto, senza sapere che fare, cosa dire, quando Joe gli voltò definitivamente le spalle, prese la coperta del letto su cui era seduto e gliela lanciò addosso, nel vano tentativo di dargli un minimo di calore.

Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, tentando di addormentarsi di nuovo, i singhiozzi del ragazzo che le facevano da ninna nanna.


Avevo gli occhi aperti […] sentivo una voce chiamarmi, staccarmi via dal suolo, ma in volo tutto si è spento ed ora resto solo

{Ciò che poteva essere; Gemelli Diversi}


Matilde ingoiò un pezzo di toast osservando Joe che guardava la sua omelette senza nemmeno sfiorarla, gli occhi spenti, arrossati. Occhi che stavano rivivendo un passato troppo doloroso che, anche solo parlarne, poteva riaprire una ferita troppo fresca.

«Come stai?», chiese la venticinquenne facendogli un sorrisetto.

Il ragazzo annuì senza rispondere.

«Vuoi restare qui un altro giorno?», domandò conciliante, pensando che la gita alla bottiglia di ketchup più grande del mondo poteva essere posticipata di un giorno senza problemi.

Joe questa volta scosse il capo.

«Non voglio più stare qui», gracchiò.

«Va bene, daccordo», accettò la ragazza.

Erano chiusi in camera, si erano fatti portare la colazione in camera perché Joe non se la sentiva di scendere.

Matilde si alzò. «Vado a pagare il conto», disse. «Torno tra poco».


Continua...


Io aggiorno alla cavolo, si sa. u.u

Prossimo e ultimo capitolo a settimana prossima, non so il giorno, ma sarà la prossima settimana. A quel punto, potrete farmi tutte le domande che vorrete e insultarmi in quante lingue possibili conoscete. :)

A presto! <3

  
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