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Autore: piccolalettrice    11/04/2011    8 recensioni
"...Lo fissai sbalordito. Se diceva la verità eravamo in pericolo. Se diceva la verità allora tutti i miei attacchi erano colpa sua. Se diceva la verità Talia aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto. Se diceva la verità voleva dire che eravamo stati traditi di nuovo. Se diceva la verità tutte le cose successe negli ultimi tempi avevano trovato un’unica spiegazione: lui."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo intuendo'
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SPAZIO AUTRICE:
non so come possiate prendere questo capitolo.
Premetto dicendo che non mi convince e, anche se aspettavo di scriverlo da tanto, non è il massimo.
Come cap, forse avrebbe dovuto essere più lento, ma questo è quello che mi è venuto.
Probabilmente avrei dovuto renderlo meglio, ma secondo me Percy avrebbe fatto esattamente così. Anche se poi, nel prossimo cap, farò affrontare tutto il resto dei problemi che ho accennato dentro.
Inoltre devo dire che oggi sono particolarmente fissata con Sally Jackson e con le cose tristi...
Spero che vi piaccia comunque
Buona lettura
piccolalettrice
 
 
 
12- la mia spalla è ottima per piangere
 
Aprii gli occhi, ritrovandomi ad osservare un cielo aranciato e terso.
Ero sdraiato su qualcosa di morbido e percepivo le onde che mi lambivano i piedi.
Mi misi a sedere lentamente, avevo la schiena  e la nuca completamente doloranti, non ostante ci fosse l’acqua che mi bagnava fino alle ginocchia e avrebbe dovuto farmi rinsavire.
Ero in mezzo alla battigia, asciutto come sempre. Non avevo idea di cosa ci facessi lì... avevo solo ricordi confusi pieni di dolore, Annabeth che urlava, Time che rideva, la sua falce e poi una luce bianca.
-forse sono morto- mi dissi, anche se ero consapevole che i campi degli asfodeli dove sarei dovuto finire erano un tantino diversi e un po’ più affollati.
Mi alzai in piedi e mi guardai attorno di nuovo. Era una spiaggia in tutto e per tutto, sabbia scura, mare limpido, cielo terso, nessun bagnante, mi ricordava vagamente qualcosa.
Roteai il collo, per sgranchirmi e lo sentii scricchiolare pericolosamente, così lasciai perdere gli stiracchiamenti. Feci vagare ancora lo sguardo sulla sabbia, poi qualcosa di bianco catturò la mia attenzione.
Mi avvicinai lentamente, e mi ritrovai davanti ad un’Annabeth assopita e bagnata fino al midollo.
I capelli le ricadevano disordinatamente sul viso, la camicia da notte bianca ormai non proprio candida, era bagnata e una manica era strappata, per non parlare dei numerosi tagli che aveva su braccia e gambe.
Mi inginocchiai e la scossi.
“Annabeth, svegliati”
Strizzò le palpebre ma poi le aprì, sbattendole ripetutamente per la troppa luce.
“Percy... cosa?” fece mettendosi a sedere con aria confusa e guardandosi attorno “dove siamo?”
“non ne ho idea”
Si strizzò i capelli, togliendo un’alga dai ricci biondi con una smorfia di disgusto.
“la luce bianca...” disse ricordandosene in quel momento, evidentemente “...cos’era? ”
Si alzò con una smorfia e gocciolando  dappertutto.
“non lo so... però credo che siamo salvi per merito suo”
Mi guardai intorno di nuovo, quel posto mi ricordava vagamente... ma non poteva essere... era a chilometri di distanza dal campo.
“come abbiamo fatto ad arrivare qui?” chiesi
“con il mare, penso” rispose lei, indicandosi i capelli bagnati.
Annuii, tornando a fissare quel luogo.
Non poteva essere quello che pensavo, ma un piccolo agglomerato di casette in legno in lontananza parlava chiaro.
“Annabeth...” indicai l’insieme di costruzioni “quello è...”
“è cosa?”
Ma sì, era davvero il posto che pensavo, e se era il posto che pensavo allora...
“non ci credo!” dissi iniziando a correre e sprizzando felicità da tutti i pori.
“Percy, che cosa...?!”
“vieni!” le urlai mentre correvo, lei scosse la testa ma mi seguì riluttante.
 
Quando arrivammo davanti ad un bungalow di legno, il mio bungalow di legno, quasi sfondai la porta a suon di pugni.
Da dentro sentii una voce urlare “arrivo!”... era la sua voce! Da quanto tempo non la sentivo, ero così felice di ritrovarmi di nuovo con lei, dopo tutto quello che avevo passato.
Quando aprì la porta mi ritrovai davanti una donna dai lunghi capelli castani e gli occhi azzurri, con un piccolo sorriso sulle labbra, quel piccolo sorriso che la rendeva sempre la donna, e la mamma, più dolce del mondo.
Le gettai le braccia al collo ancora prima che potesse spalancare del tutto la porta.
“mamma!”
“oh, P-Percy?... che... che cosa?” sapevo che era davvero felice di vedermi e mi stritolò in un abbraccio da mamma-orsa... adoravo quegli abbracci.
Dopo un po’ si scostò e mi squadrò, come a esaminare ogni minima ferita e ogni minimo taglio... non dovevo essere proprio conciato bene perché vidi i suoi dolci occhioni da bambina farsi preoccupati:
“ma che ti è successo?... e perché sei qui?”
“è una lunga storia”
Mi fissò per qualche secondo, poi il suo sguardo si spostò su Annabeth, sulla sua camicia da notte gocciolante e sui suoi capelli pieni di alghe.
“Annabeth!” corse fuori “ma che ti è successo?”
In effetti, forse perché era fradicia, era conciata anche peggio di me.
“oh... lunga storia anche questa”
“vieni dentro o ti prenderai un raffreddore... ti abbraccerei ma...”
“lo capisco, tranquilla”
Entrò anche lei e mia madre la spedì a fare una doccia, mentre mi esaminava i tagli e i lividi, quando Annabeth uscì, vestita con i vestiti un tantino larghi di mia madre, mandò anche me.
L’acqua mi fece riprendere del tutto, il collo non mi faceva più così male e le giunture non imploravano più il soccorso dell’ambulanza come prima.
Quando uscii misi i vestiti che, come sempre, avevo dimenticato l’ultima volta e che, puntualmente, mia madre aveva rilavato e tornai in salotto, dove stava medicando il ginocchio arrossato di Annabeth con quel disinfettante che tanto odiavo e che bruciava Zeus solo la quanto.
Mi sedetti accanto alla mamma, che attaccò con le solite cose:
“ragazzi, che ci fate qui?... Chirone sa dove siete?... oh, per Dio, non ditemi che...” ci guardò, allarmata.
Annuii solamente e in quel momento, per la prima volta da quando mi ero ritrovato sulla spiaggia, ripensai al campo e a come lo avevamo lasciato. Mi domandai se Grover, Tyson, Talia e Luke stessero bene, mi preoccupai per Chirone, e devo ammetterlo, anche un pochino per Clarisse.
“raccontatemi” disse mia madre e noi iniziammo a raccontarle tutto, dall’arrivo di Time e di come aveva fatto passare molta gente dalla sua, quando spiegai che avevo preso a pugni Time, mi astenni bene dal dire come mai ero così incavolato... badate bene, lo avrei ammazzato di botte comunque ma quello che era successo... aveva aiutato la mia causa, ecco.
Quando censurai quella parte incrociai gli occhi di Annabeth per un istante, e i miei soliti pensieri idioti tornarono con il loro fare logorroico:
Dovevo convincermi di odiarla, era quasi una questione di principio, ma dopo quello che aveva fatto per me durante la battaglia...
E poi non ero nemmeno granchè sicuro di averla voluta odiare fino a quel momento...
“e poi Percy?” mi incitò mia madre.
Le dissi il resto, tentando di non pensare ai miei (non proprio) nuovi dubbi su Annabeth.
Quando finii mia madre rimase a bocca spalancata, ed io mi preparai alle solite moine:
“oh, Percy... se quel Time ti avesse fatto qualcosa... giuro che... Dio, Percy, fortuna che sei salvo!” e altra roba da mamma iper protettiva che durò per circa tre ore.
“ehm, Sally?” chiese Annabeth, interrompendo mia madre intenta a controllare quanti graffi avessi addosso, di nuovo.
“dimmi cara”
“sai se... per caso... mio... mio padre è qui?” chiese con una nota malinconica nella voce.
In quel momento mi ricordai che aveva detto ai suoi di raggiungere mia madre a Montauk, il fatto che il campeggio sembrasse deserto non doveva averla certo rassicurata.
“tuo padre?”
Gli occhi di Annabeth si spalancarono, vidi il viso sbiancare e le dita stringere convulsamente l’orlo della camicia da notte.
“che c’è, piccola?” chiese mia madre andando a sedersi accanto a lei e posandole una mano sulla spalla “che succede?”
“Time l’ha minacciata dicendo che avrebbe ucciso i suoi, lei gli ha chiamati dicendo di fuggire e di venire qui” snocciolai, indeciso se correre ad abbracciare Annabeth o meno... in quel momento i pensieri di odio che mi ero ostinato a costruire crollarono del tutto.
“oh, mio Dio” sussurrò mia madre abbracciando la ragazza “mi dispiace... non sapevo...”
“è... è tutto a posto... davvero...” cercò di dire “devo solo... devo... un secondo” disse sciogliendo l’abbraccio e uscendo dalla porta.
Io rimasi lì, seduto sul bordo del divanetto, impacciato, mia madre fissava la porta con aria dispiaciuta.
“questo vuol dire che Crono...?” mi chiese, io rimasi interdetto un secondo, ma poi decisi di dirle la verità:
“probabilmente sì, li ha uccisi”
 
Quando il buio si fece davvero pesto uscii con una tazza di latte bollente,che mia madre mi aveva chiesto (ovvero ordinato) di portare ad Annabeth, e con l’intenzione di ricondurla dentro.
Ero rimasto in pensiero per tutto il tempo. Forse era la prima volta che la vedevo così scioccata.
Sapevo che non era proprio in buoni rapporti col padre e la famiglia di quest’ultimo, ma in fondo gli voleva bene.
La raggiunsi sui tronchi che costeggiavano i resti di un falò, ben attento a non rovesciare il latte anche se avevo le mani ustionate.
“ehi” le dissi
“ciao”  rispose piano, io mi sedetti accanto a lei e le porsi la tazza.
“mia madre mi ha detto di portarti questa... non voleva disturbarti, così ha lasciato la cena nel microonde...”
“Non ho fame”
“per questo mi ha dato il latte” prese la tazza e la rigirò nelle mani.
Passarono alcuni istanti di silenzio, nei quali fissai i miei piedi scalzi che giocherellavano con la sabbia. Non sapevo bene cosa fare...insomma fino a due giorni prima le parlavo solo per litigare e adesso mi ritrovavo con il bisogno di fare qualcosa per lei... così decisi di tentare:
“come stai?”
“c’è bisogno di chiederlo?”
“scusa, domanda idiota”
Altro silenzio
“sai come penso sia andata?” chiese dopo un po’, la guardai e lei proseguì:
“se ne sono fregati. Se ne sono fregati di quello che gli ho detto, come sempre. –sarà un’altra delle idiozie di tua figlia, Fred –“ scimmiottò la voce di qualcuno “mi sembra di sentirla la mia matrigna... non hanno capito che lo facevo per loro... come sempre hanno ignorato le mie parole... lui le ha ignorate... e ha ignorato me”. Le sfuggì un singhiozzo.
“sono sicuro che non è andata così”
“tu... tu non lo puoi sapere... non conosci l modo in cui mi guardano... ad ogni occhiata che mi lanciano vedo... il disprezzo...il disgusto nei loro occhi... adesso non ci sono  più però” un altro singhiozzo
“Annabeth...”
“e dovrei sentirmi bene... in-insomma, un peso levato... eppure... ci sto male, Percy... ci sto male...” ormai le lacrime scendevano copiose, non resistetti e l’abbracciai.
I suoi capelli mi solleticarono il viso e la sua testa ritrovò il suo posto nell’incavo le mio collo. Per un istante, non ostante percepissi il suo dolore, ebbi la sensazione che tutto fosse a posto.
La lasciai sfogare, accarezzandole la testa e stringendola a me.
Passarono minuti, forse ore, lei buttò fuori tutto quello che aveva dentro e io la lasciai fare.
Quando i tremiti delle sue spalle si placarono si scostò, io le asciugai le lacrime con il pollice prendendole il viso tra le mani.
“Grazie Percy”
La guardai negli occhi, dovevo dirle quello che pensavo:
“Annabeth... io per te ci sono e sempre ci sarò... ho provato a non esserci, ma non ci riesco... io... quello che ti ho detto ieri è vero... ho bisogno di te, e tu hai bisogno di me... e lo so che non è il momento per parlarne ma... non possiamo restare separati noi... suona anche sdolcinato ma è così... io...”
“grazie Percy”
Le sorrisi, felice di essermi tolto un peso, felice di essere tornato a poterla riavere tra le braccia, felice di averle dato un motivo per essere meno triste.
“rientriamo” dissi, mettendole un braccio intorno alla vita e portandola dentro.
Mia mamma già dormiva, la luce era spenta, evidentemente era già tardi.
La accompagnai al letto e le accarezzai una guancia.
“buona notte”
avrei voluto dirle qualcosa per confortarla ma non sapevo cosa dire e non volevo  che le lacrime le rigassero ancora il volto.
“anche a te” le strinsi la mano per un secondo, poi spensi la luce e mi avviai verso il divano.
“grazie Percy” la sentii dire, sorrisi nel buio.
Fui certo, in quel momento come mai, che insieme avremmo potuto superare qualsiasi cosa.
 
 
 
 
 
 
 
  

   
 
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