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Autore: __WeatherlyGirl    14/04/2011    1 recensioni
No, non fraintendetemi, non si stava pentendo, voleva solo essere considerata un’ultima volta. E poi spegnere quel telefono, per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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-Sei sicura di volerlo fare?- Emma lo guardava piangendo

-E’ un passo importante, sei sicura?-

-Sì,- continuava a singhiozzare sommessamente -ho causato loro troppe sofferenze. Devo solo andarmene e saranno finalmente felici!-

-Emma!- Lui la stava guardando tristemente, sapeva che era decisa a farlo, non poteva fermarla -Emma, ma lo sai che staranno male quando non ti vedranno tornare!-

-All’inizio. E’ solo questione di tempo, poi, lentamente, si dimenticheranno di me. Tanto so che lo faranno!- Lui le appoggiò una mano sulla spalla, cercando di incrociare il suo sguardo:-Perché?- le sussurrò lentamente nell’orecchio.

-Perché sì, Luigi! Poche storie. Non sono più nessuno, ormai. Ho distrutto i miei ed i loro sogni, uno ad uno. Devo solo fare in modo che siano di nuovo felici, come quando non c’ero. Insomma, a scuola sono un disastro e ho stracciato l’autorizzazione firmata per partecipare a quel concorso di recitazione. E’ ancora nella scatola degli anacardi in cui l’ho messa, disintegrata in mille pezzettini. Credevo che stracciare quel foglietto mi avrebbe fatto sentire meglio e invece ho solo pianto di più. Basta, devo farla finita!- Tolse la sua mano dalla spalla, prese il borsone e si voltò, lui la fermò un’ultima volta:-Hai i soldi?-

-Sì, non preoccuparti. Sono abbastanza.-

-Chiamami quando arrivi-

-Okay, ci si sente-

E così lei salì sul treno, ancora piangendo, ma almeno aveva smesso di singhiozzare. Nella borsa c’era il minimo indispensabile, nemmeno un phon, solo qualche vestito, qualche sapone ed i soldi. Tutti i soldi che aveva. Poi un diario, scrivere le aveva sempre fatto bene. Aveva lasciato, a casa, un biglietto d’addio, solo con delle scuse ed un malinconico “arrivederci”, troppo formale per i suoi gusti ma aveva pensato che ci potesse stare bene. Aveva messo tutto sotto la confezione degli anacardi ed era uscita di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Luigi l’avrebbe accompagnata in stazione e da lì, nei suoi piani, non si sarebbero più rivisti. 

Era stato l’addio più difficile, il suo amico di sempre che la salutava in quel modo le aveva fatto impressione, quasi l’aveva convinta a rimanere, ma poi si era dominata ed era salita su quel treno. Per Venezia. Chissà perché aveva scelto quella meta. Milano e Torino erano fuori discussione: a Milano abitava sua cugina e c’era la possibilità che si incontrassero, a Torino suo padre. Niente. Solo Venezia le era parsa una buona meta. 

Aveva ancora nelle orecchie le parole di sua madre: “Mi hai deluso! Molto!”, aveva capito di procurare più sofferenza che gioia, in famiglia, per questo era partita. Per sistemare le cose. Per fare in modo di ristabilire la felicità altrui, a costo di rinunciare alla propria. E quella scatola di anacardi era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, diceva: “My Party”, questo era il nome. Sembrava uno scherzo di cattivo gusto. Il suo sogno rinchiuso in una scatola con la scritta “La mia festa”, ma cosa c’era da festeggiare? Nulla.

Passò il controllore, le timbrò il biglietto e se ne andò. Anche lui non era interessato a lei. Faceva il suo mestiere meccanicamente, senza capire veramente. Ma d’altronde cosa c’era da capire? La maggior parte dei passeggeri di quel treno erano pendolari, persone che percorrevano quello stesso tragitto ogni giorno, due volte. Non gli importava di guardarsi intorno, a lei sì. Lo doveva percorrere una volta sola, quel tragitto. Una seconda sarebbe stata di troppo. 

Campi. Ecco cosa c’era intorno a lei. Sempre e solo campi. Ogni tanto qualche stazione di periferia, che le ricordava “Il dottor Zivago”, e poi ancora quel paesaggio monotono. Ma a lei piaceva. Il paesaggio e quello che rappresentava. E ancora sperava che sua madre fosse tornata a casa, avesse trovato il biglietto e provasse a chiamarla. Aveva il telefono acceso, silenzioso, tra le mani. Voleva che cominciasse a vibrare, forte, e che la sua vicina se ne accorgesse e dicesse:

-Le vibra il telefono.- Così, per rispondere solamente:-Lo so- e fingere che nulla stesse accadendo. No, non fraintendetemi, non si stava pentendo, voleva solo essere considerata un’ultima volta. E poi spegnere quel telefono, per sempre.

   
 
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