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Autore: __WeatherlyGirl    19/04/2011    0 recensioni
No, non fraintendetemi, non si stava pentendo, voleva solo essere considerata un’ultima volta. E poi spegnere quel telefono, per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Era ancora in treno, aspettando di arrivare a Venezia, era questione di minuti. Pochi minuti. Il suo telefono non aveva ancora vibrato. Dopo sarebbe stato troppo tardi, avrebbe dovuto spegnere quel telefono, per sempre. Così controllò ancora una volta l'orario e prese una rivista, cominciando a sfogliarla disinteressatamente. Alla stazione di Venezia il treno si fermò, i passeggeri si erano già alzati, avevano preso i loro bagagli e si stavano avviando disordinatamente verso l'uscita. Lei era ancora lì seduta, col telefono tra le mani, fissandolo persa. Poco dopo il treno era già vuoto, lei si era ripresa e si stava alzando. Aveva ancora quel dannato telefono tra le mani. Vibrava. Forte, senza pausa, vibrava. Dapprima lei quasi non se ne accorse, poi realizzò quello che stava succedendo e lo guardò, non aveva mai guardato il telefono in quel modo. Era uno sguardo malinconico e carico d'odio allo stesso tempo. Non sapeva cosa fare. Aveva sperato che quel momento arrivasse, era pronta ad interpretarlo come un "andare a Canossa" da parte dei suoi, ma non aveva previsto come avrebbe reagito lei. Era nel panico.

Riordinò brevemente le idee e decise di scendere dal treno, per prima cosa; poi avrebbe deciso cosa fare. Scese. I rumori della stazione erano forti e ben riconoscibili al telefono, perciò decise di allontanarsi. Uscire dalla stazione e poi, ancora, pensare. Fuori dalla stazione c'era un gran via vai di macchine, taxi e autobus. Persone che urlavano, bambini che piangevano e venivano presi in braccio dai loro genitori. Sentì il bisogno di andarsene.  Il telefono aveva ormai smesso di suonare. Emma immaginava la scena: sua madre disperata che provava a chiamarla, scattava la segreteria e lei metteva giù. Avrebbe riprovato a chiamarla nell'arco di pochi secondi. In quel lasso di tempo avrebbe potuto allontanarsi dalla stazione, trovare un punto isolato  dove continuare a riflettere sul da farsi. Era quello ciò di cui aveva bisogno: riflettere. Era partita senza sapere cosa andare a fare, come guadagnarsi da vivere e dove stare. Ora doveva solo pensare a quello. Ed alla telefonata.

Si ritrovò a correre, veloce e lontano. Solo correre via dai rumori di Venezia, quella città che la opprimeva ancora prima di averla conosciuta. Odiava già quel posto. Il desiderio era uno solo, semplice e chiaro nella sua mente: voleva casa. Casa come le persone, i familiari e gli amici. Casa come i posti della sua infanzia, la casa e le vie conosciute. Casa come le sensazioni che non provava più, i sentimenti di amore. Non quelli d'odio. Quella non era casa. Si trovava vicino ad una panchina ombreggiata. Alzò lo sguardo e notò le nuvole chiare del cielo tardo-primaverile.

Quel maledetto telefono aveva ricominciato a suonare. Era di nuovo nel panico. Provò a rispondere, ma non riusciva a controllare il suo dito. Non voleva. Il suo indice non voleva pigiare quel tastino verde. Respirò a lungo e chiuse gli occhi. Spinse un tasto a caso e li riaprì. Aveva appena riattaccato. Ora sicuramente sua madre non l’avrebbe più richiamata, avrebbe provato a contattare il padre e l’avrebbe chiamata lui, quello no. Non era pronta ad affrontare due genitori contemporaneamente. Decise, perciò, di togliere la SIM dal telefono e buttarla via. Salvò il numero di Luigi nella memoria del dispositivo in modo da poterlo richiamare dopo. Raggiunse una cabina pubblica e lo chiamò. Le ci volle un po’ di tempo prima di capire come funzionasse quell’aggeggio. Le risputò le monetine ben quattro volte e poi non compose il numero giusto. Insomma, era quasi tentata di lasciar perdere quando ci riuscì. E Luigi rispose.

-Emma! Tutto bene?-

-Ehm, sì, sì. Tutto a posto. Tu?-

-Non molto. Hai sentito tua madre?-

-Ha chiamato, come previsto. Non ho risposto.-

-Hmm, mi sento in colpa, Emma-

-Io no. Non sentirti in colpa. Basta. Devo mettere giù. Addio-

-A presto-

Il saluto di Luigi la turbò, perché le aveva detto ‘a presto’? Sapeva qualcosa. Stava per confessare di averla aiutata nella fuga? Ma non sapeva dove fosse andata, perciò...Emma aveva deciso di nascondere la meta a Luigi, come nei film di mafiosi: meno sa meno dice, aveva pensato. Lui era stato fin troppo leale, non glielo aveva neanche chiesto. Si aggirò per il parco pubblico finché non sentì le gambe tremare. Aveva bisogno di sedersi su una panchina, e di piangere. Non poteva piangere in pubblico, doveva aspettare la notte. La notte porta consiglio, dicevano, e porta anche tranquillità. Ma, diamine, erano le cinque e mezza, non poteva aspettare così a lungo. Doveva conoscere la città in cui era, saper dove dormire, dove mangiare, cosa fare. Sapeva bene cosa voleva fare. Aveva una terribile nostalgia, nostalgia di tutto: di casa, di affetto. Quel maledetto telefono che continuava a suonare le aveva fatto venire voglia di mamma, di papà, e di famiglia. Odiava quel telefono. Amava il suo continuo vibrare. Si diresse verso la stazione. Se doveva star lontano da casa, poteva pur sempre farlo nella sua città.

   
 
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