Mau yuki wa, hoshi no kakera.
[The fluttering snowflakes are pieces of
the stars.]
tentai ni te wo nobashite
[If you reach out to the
skies.]
ikigau negai kanjiteiru ne
[You feel wishes come and go.]
subete wa ima monocrome no naka.
[All caught in a Monochrome.]
« Bougainvilleae«
Chiuse
gli occhi e sorrise.
Quel
canto lontano, che si perdeva nella dolcezza delle nubi infuocate del tramonto…
non le era affatto nuovo.
L’aveva
già sentito, tanto tempo fa. Ed era sinceramente
sorpresa nel sentirlo riecheggiare nuovamente per le frastagliate coste e le
deserte spiagge di quell’isola. Della sua amata
isola…?
La
voce della sacerdotessa che udiva cantare il suo ritorno
non era quella che si aspettava.
Non
era la canzone del Sud, bensì quella del Nord.
Come al
solito, le mie previsioni si sono rivelate errate.
Sospirò
profondamente fra sé e sé la ragazza dalla lunga coda corvina, sistemandosi gli
occhiali sul naso, lanciando uno sguardo malinconico al mare di fronte a sé,
quella frazione d’isola che trovandosi più a est veniva
inghiottita per prima dalle tenebre notturne in arrivo.
Quel
luogo dove un tempo sorgeva il tempio dell’Est, il suo tempio.
Forse dovrei smetterla di farmi strane
idee, presupponendo che la vita altrui sia così
scontata.
Rimuginò
ancora nella sua mente, lasciando dondolare mollemente le lunghe bianche
candide giù per quella sottospecie di penisola che era rimasta al ricordare
l’antico santuario.
Restò
in silenzio per molto tempo, imponendo al suo cervello di zittirsi, e in
effetto per un po’ vi riuscì. Dimenticò i pensieri, i ricordi, i rancori, le
paure, le speranze, le gioie.
Lasciò
scivolare via tutto dalla sua testa, riempiendola solo con la risacca del mare
e il canto dei gabbiani.
E
l’avvicinarsi di passi, dei suoi
passi, una camminata così ben distinta e riconoscibile per lei.
…come
aveva fatto
E quando udì quella voce – la sua voce, bella, calda, profonda – pensò
di odiare ancora di più
E lei,
che si era illusa di averla ma che in realtà non le
era mai appartenuta, viveva perduta in un limbo desolato fra sogno e realtà che
da un anno a quella parte faticava a lasciarsi alle spalle.
“Ti
stavo cercando, Keito.”
La
ragazza aprì gli occhi, strappandosi a fatica dal silenzio sovrumano in cui si
era calata durante quelle lunghe ore di meditazione.
“Davvero,
Sugata-kun?” gli sorrise
lei, voltandosi verso il bel ragazzo che sostava alle sue spalle, mani in
tasca, volto sorridente.
“Certo.
Non vorrai saltare la festa di addio ai senpai, vero?” le domandò Sugata, accomodandosi sul molo di
pietra a fianco dell’amica d’infanzia.
“No.
Non mi perderei l’addio di Benio-senpai per nulla al
mondo. Mi domandavo già quale scenata assurda avrebbe fatto.”
Asserì impassibile Keito, sistemandosi meglio la
montatura degli occhiali.
Era
strano. Davvero strano. Quella sensazione di tranquillità che ora provava al
fianco di Sugata… la turbava più di quanto non la turbasse
un anno fa lo stato emozionale di batticuore e confusione causati dalla sua
sola presenza.
“Certo
che le persone cambiano davvero velocemente.” Asserì Keito, esprimendo il suo pensiero ad alta voce.
“Immagino
che tu non ti riferisca a Benio-senpai, o sbaglio?”
sorrise lievemente lui.
“Sai
bene a chi mi riferivo. Lei… non è tornata.”
“Mh… no. L’ho sentita per telefono e pare che durante questo
periodo facciano delle audizioni molto importanti
all’Accademia di Musica, e non ha proprio potuto saltarle.”
“Capisco.”
“Mi ha
detto di averti scritto, sai?”
“Mpf. Già, lo ha fatto. E immagino che l’idea di invitarmi a
Tokyo a studiare all’Accademia di Musica non sia stata partorita solo dalla sua
testolina bacata.”
“Cosa le risponderai?”
Keito non gli rispose.
Dall’altronde, cosa poteva dirgli? Non era di certo il caso di sputar fuori gli
insulti velenosi rivolti a Wako che in quel momento
le tempestavano la mente.
“Vuoi
davvero che me ne vada via dall’isola, Sugata-kun?
Non sei stanco di esser abbandonato in continuazione? O
forse sei più stanco della mia presenza?” sussurrò allora la ragazza,
stringendosi le ginocchia al petto e affondandovi parzialmente il viso in un
momento di debolezza psicologica.
“Non è
questo, Keito. Mi mancherai, tanto quanto mi manca Wako. Però sai io… vorrei davvero che anche tu possa essere felice.” Le disse
Sugata, lasciando scivolare il dorso della mano sulla guancia di porcellana della ragazza, che al solo contatto arrossì violentemente.
“Pensiamo
tutti che la vera felicità sia qui, su quest’isola
dove il destino ci ha posto per farci incontrare, imponendoci una vita da topi
in trappola. Ma ora non è più così. I sigilli sono
stati spezzati, i Cybodies distrutti. E il mondo esterno ci ha aperto le sue porte. Ora dobbiamo
trovare il coraggio di varcare la soglia di quel mondo e di cercare la felicità
in uno spazio più vasto, senza esser cullati dalle dolci radici del passato.”
“Non
sono certa di volerlo… davvero.”
“Io
penso… anzi, io so che la tua voglia
di cantare è tanta, Keito. E so che la tua voce può
portare tanti sentimenti altrove, sentimenti che solo noi su quest’isola
abbiamo avuto modo di conoscere e che sono accessibili agli altri là fuori solo
attraverso i racconti e le canzoni.”
Poteva
udire chiaramente le lacrime di Keito far da
sottofondo alle sue parole a tratti felici e a tratti
malinconiche.
“Tutte
le sacerdotesse se ne sono andate, Keito, e hanno
trovato la felicità. Desidero che anche tu possa liberarti dalle catene che ti
legano a questo santuario e fare ciò che più ti piace. Vorrei che tu non fossi
più né
“Perché
mi dici queste cose, Sugata-kun?!
Le hai dette anche a Wako o è stata lei a dirle a te?! Perché ti preoccupi per me proprio ora, quando preferirei
che mi ignorassi e non mi parlassi più?! Se tu cercassi di spezzare le catene che mi tengono legate a
te e a quest’isola io… ti odierei per sempre…”
“E io
ti amerei di più se tu ne fossi libera.”
“Bugiardo!”
singhiozzò la ragazza, straziata.
“…anche tu.” Le sorrise Sugata, baciandole
dolcemente la fronte, prima di alzarsi e dirigersi verso il boschetto alle
spalle del molo di pietra, svanendo senza dire nulla.
“Sugata-kun…” singhiozzò Keito,
raggomitolandosi su di sé e abbandonandosi alle lacrime, nell’abbraccio della
notte che silenziosa calava intorno a lei.
«««
“Cosa ci fai qui?”
Quella
voce seria e profonda alle sue spalle la fece sussultare.
Nessuno,
da quando aveva messo piede sull’isola nemmeno un’ora prima, le aveva rivolto la parola.
Nessuno
si ricordava minimamente di lei, probabilmente. In pochi l’avevano mai conosciuta.
Tranne lei.
“Ma tu… sei…”
“Io
sono Ivrogne. O meglio, lo ero
quando Head ti portò nel nostro nascondiglio per rompere il tuo sigillo…
Sacerdotessa del Nord.”
Sistemandosi
gli occhiali sul nasino a punta, Keito si avvicinò
alla ragazza dai lunghi capelli azzurri che ricordava di aver visto al rituale.
Gli
esseri umani erano davvero imprevedibili. Una sacerdotessa che medita di fuggire e
una che torna sui suoi passi.
“Ah…
io mi ricordo di averti conosciuta sul pullman… il giorno della mia partenza.” Arrossì lievemente l’altra, regalandole un sorrisino
enigmatico.
Keito la fissò per
qualche secondo perplessa, per poi realizzare di ricordare alla
perfezione quel loro incontro; non aveva realizzato che quella fosse
“Giusto…
il destino vuole farci incontrare più spesso di quanto
ricordi.” Ammise Keito, regalandole un lieve
sorriso. “Sei venuta qui per la festa?”
“No,
sto cercando qualcosa.”
“Capisco.
E questa cosa non c’è nel vasto mondo là fuori?”
“No.
Il mondo là fuori è immenso e meraviglioso… ma questa cosa sono riuscita a trovarla solo qua.
Ora torno a cercarla.”
“Ma è notte ormai… potrebbe essere pericoloso!” protestò Keito.
“Non
m’importa. Sento che è vicina. Non riesco a fermarmi.” Le sorrise dolcemente Sakana-chan, dirigendosi dalla parte opposta alla scuola,
non prima di averla salutata con un lieve inchino.
“Spero di incontrarti ancora. Qui o là fuori.”
“Non
credo ci andrò mai… là fuori.”
“Dovresti
invece. Sai un’isola… è difficile da lasciare. Ma
tornarci è più facile di quanto si pensi. E il periodo
che vivrai fra i due è quanto di più importante ti possa
offrire la vita. Arrivederci, Sacerdotessa.”
E così dicendo, Sakana-chan la salutò, senza voltarsi mai indietro.
Come
avesse intuito che anche lei era una sacerdotessa, questo Keito
non lo seppe mai.
Così
come decise di non sapere mai se Sugata l’amasse veramente o no.
Ma ciò che sapeva per certo è che
presto o tardi, avrebbe preso una nave dal porto dell’isola, e l’avrebbe
abbandonata senza voltarsi mai indietro, proprio come avevano fatto poco prima Sakana-chan salutandola.
«««
« Coming
next: Science Guild«
Grazie ancora una volta a Tynuccia che mi lascia della recensioni
incredibili, e a Monochrome – amo il tuo nick ù_ù – per aver recensito con
tanto impegno *___*
Purtroppo ho trovato descrivere Keito più difficile di quanto immaginassi,
spero di non aver deluso nessuno y_y
Peraltro ne ho approfittato per
chiarire un po’ le idee su Wako e Sakana-chan,
giusto per non rendere il capitolo troppo breve. <3
Ja
nee,
Luly
<3