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Autore: Ulissae    20/04/2011    7 recensioni
[Piccola long di due capitoli che tratterà la vita e la trasformazione di Marcus]
Pensai alla mia vita, man mano che la vedevo allontanarsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Sproloqui di una folle che ha deciso di cimentarsi in una folle impresa, parte II: domani la guida esce in Italia, anche se in Inglese. Dovrò comprarla, almeno potrò lanciarla fuori dalla finestra -proprio come ho fatto con BreakingDawn- oh, ma andiamo avanti.
Vi ripropongo le rapsodie ungheresi -non so e la volta scorsa le avete ascoltate, se sì, ricordate dove vi siete interrotti?- e vi auguro buona lettura.
Preparate i fazzoletti ;_;

De viro illustri
II


«Chi era?» Tommaso non resistette oltre e dovette interrompere il pathos della narrazione, si era teso così tanto che ormai non era quasi più seduto.
Marcus rimase in silenzio, aveva iniziato a colorare la parte centrale dell'affresco, lento e concentrato.
«Florian» disse in un soffio, prima di riprendere la narrazione.
«Non so quanto tempo passò, ma quando mi risvegliai provai una sete insostenibile. Aprii gli occhi e mi resi subito conto che ci trovavamo in una grotta; l'odore di muschio era talmente forte che arricciai il naso. Il bambino stava giocando con uno scoiattolo, vicino all'uscita. Si voltò e mi sorrise, mostrando due canini spropositatamente grandi per il suo piccolo viso.
Aveva due enormi occhi rossi, cerchiati da pesanti e violacee occhiaie. Si avvicinò tenendo in mano l'animale, che sembrava quieto tra le sue piccole e sottili mani, poi mi sorrise.
Si sedette accanto a me e finalmente riuscii a studiare per bene la sua figura paffuta e minuta, dai capelli di un biondo sfavillante.
«Cosa mi hai fatto?» gemetti, portandomi una mano sul collo, dove avvertii i segni di due piccole cicatrici circolari.
Lui prese delicatamente la mia mano e la strinse tra le sue, sussurrando: «hairto...» lo vidi mordersi un labbro e guardarsi intorno, come cercando un aiuto. Poi mi fissò intensamente e con le mani fece un gesto secco, come di arresto. Premette il palmo sul mio petto e poi ripeté l'azione.
«Il mio... hairto? Cos'è? Parli greco? Mi capisci?» ero disperato, non riuscivo a capire chi fosse o cosa fosse.
Il bambino sembrò indispettirsi per via del mio tono, prese lo scoiattolo e senza farsi troppi problemi lo aprì in due, mostrandomi il cuore ancora pulsante, lo indicò e ripeté: «hairto».
Paralizzato dallo stupore mi bloccai e finalmente capii: cuore.
Il mio cuore si era fermato, ero morto. Eppure stavo ancora respirando. Lo guardai interrogativo e lui sembrò placarsi, più compiaciuto continuò le sue spiegazioni. Fece segno di mangiare, poi indicò noi due, infine affondò la lingua nel corpo dell'animaletto, bevendone il sangue.
Beveva sangue, avrei dovuto bere sangue da quel momento in poi. Proprio come lui aveva fatto da me e da quei poveri disperati nella foresta.
Ero così confuso e agitato che non riuscivo neanche a parlare né provai a liberarmi e scappare via -avevo già capito che sarebbe stato più che facile, era solo un bambino.
Eppure non ci riuscii, continuavo a guardarlo negli occhi, mentre mi fissava con un sorriso tremendamente ingenuo e buono, nonostante la sua bocca fosse sporca di sangue.
Era un assassino e non era umano, mi aveva trasformato come lui, probabilmente senza neanche rendersene conto.
Posai una mano sul mio petto e dissi, lentamente: «Marcus». Poi lo fissai e aspettai, sperando avesse capito le mie intenzioni.
Lui sorrise, ma triste, poi si indicò e scosse la testa, senza emettere suono.
Non riuscii a capire subito, ma dopo un po' arrivai alla conclusione che neanche lui sapeva darsi un nome; mi guardai intorno e vidi che aveva fatto una piccola collana di fiori bianca, che aveva posato accanto a dove avevo giaciuto. Sorrisi tra me e gliela misi al collo, sussurrando: «Florian» »

Tommaso stava in silenzio e per un attimo sentì solo il suo respiro riecheggiare nella stanza; Marcus si era fermato, posando il pennello in un barattolo sporco e rovinato. Chiuse gli occhi e mormorò: «aveva sempre un incantevole odore di fiori, sembrava una donna, a volte, con quel suo profumo. Uccideva senza neanche rendersene conto, per lui non era esistita altra vita se non quella di vampiro. Non aveva ricordi o rimorsi o anche solo l'idea di essere stato un altro. Capisci?» si fermò e fissò a lungo il ragazzo.
Questi annuì, come spaventato dall'idea di non dargli ragione.
«Non esisteva male in lui né bene, niente. Solo ingenuità» disse Marcus in un soffio, mentre il viso si contraeva in una smorfia di dolore.
«Dov'è ora Florian?» sussurrò Tommaso, ritraendosi e sedendosi di nuovo al suo posto.
«Florian...» sospirò Marcus.
«Continuammo a vivere insieme, divenni suo padre e suo fratello. Nei primi tempi lo seguivo nella caccia: ci addentravamo nelle regioni sconosciute all'impero, rubando ai villaggi pochi dei loro abitanti. Durante il giorno ci chiudevamo all'ombra di qualche grotta; lui si stringeva a me e si lasciava avvolgere nel mio abbraccio. Ci muovevamo spesso, non fermandoci mai più di tanto nello stesso posto.
Alla fine divenne come mio figlio, per me... che ero la sua creatura! Non parlavamo spesso, ma i nostri gesti iniziarono a diventare il nostro linguaggio e bastavano poche occhiate per capire cosa pensassimo e cosa volessimo.
Non so quanto tempo passai con lui, in quello stato di totale abbandono al mio istinto, preoccupandomi soltanto di proteggermi e di proteggerlo. Ma quando andammo a est... tutto cambiò all'improvviso. Le foreste non erano più solo nostre e un odore nauseabondo ci colpiva spesso.
Sentivamo altre presenze intorno a noi, e la cosa iniziò a preoccuparmi.
Florian era spesso agitato e insofferente, piangeva spesso -nonostante non potesse versare anche solo una lacrima- e urlava. Cacciava con più lentezza e sembrava un altro.
A mia volta non riuscivo a stare tranquillo e capii il perché non appena li vidi.
Le loro figure erano bestiali e ferine, camminavano a quattro zampe e ruggivano. Fortunatamente ciò accadeva solo durante la luna piena. Avevamo deciso di allontanarci da quella zona, ma più ci inoltravamo verso est più il loro numero aumentava. Superati i monti del Caucaso non esisteva villaggio che non puzzasse in quel modo.
Era un avviso, lo sapevamo, Florian ancor meglio di me. Ogni volta che erano nei paraggi insisteva per passare le giornate sottoterra, anziché nei soliti rifugi all'aperto. Era la prima volta che lo vedevo così terrorizzato.
Quando calava il sole, uscivamo dai nostri nascondigli ci dirigevamo velocemente in qualche paesello, nutrendoci delle vittime che si trovavano nella periferia.
Ma facemmo un passo falso, scegliemmo una vittima sbagliata e la cosa ci costò cara»

«Chi erano?» Tommaso ormai si era alzato, Marcus non aveva detto niente neanche quando si era seduto a terra accanto a lui.
«Credi nelle leggende, ragazzo?» non spostò la testa dal dipinto, ma vide saettare i suoi tristi occhi rossi nella sua direzione.
«Voi siete una leggenda... sto credendo alla vostra storia, quindi sì» mormorò lentamente il giovane.
Marcus continuò a dipingere, senza fermarsi, ormai le gambe del ragazzo, con le tremende scarpe distrutte, erano totalmente colorate.
«Allora?» lo incalzò, curioso.
«Erano lupi mannari» sussurrò «quelle bestie di lupi mannari».

«Avevamo ucciso una donna del loro branco e stupidamente neanche ci eravamo preoccupati di nascondere il cadavere. Loro e il loro fiuto ci raggiunsero presto, quando ormai stavamo varcando il confine della Siberia.
Nevicava ed ero costretto a portare Florian sulle mie braccia, tanto la neve era profonda. Eravamo circondati di un bianco accecante e avevamo affrettato il passo. Non correvamo mai durante i nostri spostamenti, a Florian non piaceva. Lui correva solo quando era da solo e solo se conosceva l'ambiente che lo circondava.
Sentii i loro passi in lontananza, ma pensai che fosse un normalissimo branco di lupi. Eravamo controvento, quella notte, non ci giunse il loro puzzo. Ma le loro urla sì, tanto che ci mettemmo poco a capire che erano vicini. Fin troppo.
Affrettai il passo, mentre su di me Florian iniziava a smaniare, sinuosamente scese e si strinse al mio petto. Lo strinsi veloce e gli sussurrai qualche parola in latino, dolcemente.
«Mitesce, mitesce» glielo ripetevo continuamente, accarezzandogli i capelli. Era bardato in una folta pelliccia di orso, non che ne avesse bisogno. Non fisicamente. Avevo notato, negli anni, che l'unica cosa che veramente temeva era la nudità. Per lui non esisteva niente di più pauroso che l'essere privo di una coperta o dei vestiti o del mio abbraccio. Cercava il calore, ovunque, in qualunque situazione.
«Mitesce, Florian, mitesce»
Ma all'improvviso vidi un'ombra davanti a me allungarsi. Alzai lo sguardo e incontrai le fauci spalancate di un orrendo essere. La sua umanità era totalmente scomparsa, sostituita dalle forme ferine e bestiali. Ululava furioso e dalla sua bocca scendeva della bava viscosa, che sporcava la pelliccia folta e scura.
Indietreggiai istintivamente: non avevo mai veramente usato la mia forza. Con Florian non era mai stato necessario, per assurdo avevo conservato integra la mia umanità.
Lo stesso rumore animalesco mi giunse da dietro le spalle e mi fece sobbalzare. Erano troppi, veramente troppi. Ognuno di loro portava al collo un arto o una delle membra della donna che io e Florian avevamo ucciso.
«Marcus!» il bambino urlò, divincolandosi. Voleva scappare, ma sapevo che se fosse andato da solo sarebbe stato un suicidio.
Quelle bestie l'avrebbero preso in un istante, l'avrebbero direttamente divorato.
Lo tenne stretto tra le mie braccia, mentre mostrai le zanne ai lupi. Ringhiai, cercando di apparire il più minaccioso possibile. Non potevo sperare di uscire vivo da uno scontro, tanto meno che si allontanassero di loro scelta. Dovevo solo guadagnare tempo.
Ma Florian non lo capiva, Florian... Florian non aveva la più pallida idea di perché quei lupi fossero più grandi del solito o del perché fossero pericolosi.
Florian...»
Tommaso aveva posato una mano sulla gamba di Marcus, strinse leggermente la presa. Aveva capito che Florian era morto, che era successo qualcosa di terribile a quel bambino immortale. E ora piangeva, versando tutte quelle lacrime che parevano non poter uscire dagli occhi di Marcus.
«È...» iniziò, titubante.
«Lo uccisero non appena si liberò dalla mia stretta, correndo verso la foresta. Fu un attimo e vidi tutti i loro quattro corpi avventarsi contro di lui.
Lanciai un urlo che fece tremare i dintorni e come una furia mi gettai verso di loro, ringhiando. Ero diventato un animale, niente di più.
Provai a scansare alcuni di loro con la violenza, senza riuscirci mai totalmente. Tornavano, tornavano sui suoi resti.
Come dannatissimi avvoltoi che girano intorno alla carcassa così facevano loro, ma mi accorsi presto che i miei morsi li indebolivano e così, con tutte le mie forze, mentre stringevo le sue membra, continuai a morderli e a ferirli furioso.
Volevo che i miei denti squarciassero la loro pelle, così come le loro zanne avevano dilaniato quella di Florian.
Florian, che ora non aveva più forma e che giaceva tra le mie braccia scomposto, un semplice ammasso di carne morta. Non c'era sangue, solo della semplice polvere, che aveva scurito la neve»
«Co... cosa successe dopo?» Tommaso alzò lo sguardo, disperato. Non sapeva cosa l'avesse reso così triste o afflitto, se la storia o il semplice stare a guardare le espressioni di dolore del narratore.
Marcus prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e si fermò, non aveva dipinto poi tanto.
«Iniziai a essere stanco, poco alla volta riuscirono a strapparmi via ogni suo pezzo. Come un folle gli urlavo contro, cercavo di colpirli ma... ma le ferite che mi avevano inflitto non mi permettevano di tener loro testa. Alla fine non rimasi con nient'altro che polvere, polvere e basta.
La sera dopo vidi che in lontananza era stato fatto un falò e nell'aria c'era un tremendo e dolce profumo di fiori»
Ci fu una lunga pausa, durante la quale Tommaso affondò il proprio viso tra gli abiti morbidi di Marcus, completamente privo di vergogna, troppo intento a piangere. Al contrario, il vampiro, stava seduto impietrito, fissando il vuoto.
«Tornai a casa» disse in un soffio «tornai a casa per scoprire che erano morti tutti, che erano passati più di cent'anni e che non esisteva più niente del mio vecchio mondo. O per lo meno, non della mia intima esistenza. Ripresi a vivere nella mia vecchia casa, che era stata chiusa e lasciata abbandonata. Passavo le mie giornate a leggere e a cercare di riacquistare tutta la civiltà che avevo perso nei decenni precedenti e, come da giovane, i banchetti, il vino e le donne mi furono d'aiuto.
Non so... non so perché Florian passò così velocemente, perché fuggì dai miei ricordi più veloce di Mercurio alato. Ritornai a essere lo spensierato Marcus di sempre e credo che fu Caius a impedirmi di cadere in depressione, abbandonandomi al ricordo di Florian.
Caius, quell'uomo che raccolsi sulla spiaggia. Senza  nome, anche lui, senza una casa o una civiltà. Un uomo bambino, proprio come lo ero stato io in quelle foreste del nord.
Ma ora, Tommaso, non fare domande, lasciami parlare. La notte è quasi finita e i tuoi colori non sono ancora stati impressi su questa parete. Rilassati e posa la tua testa sul mio grembo, dormi, se vuoi. Ascoltami.
Lo incontrai e dopo poco incontrai anche Aro. Aro, che divenne il mio servo, il mio confidente e il mio allievo. Passavamo intere nottate a parlare e venni presto a scoprire che aveva una sorella, che definiva la più buona e la più bella di tutte le fanciulle.
Lo incitai a farla venire nella nostra casa, sperando che diventasse compagna di Caius, che sembrava sempre intento in elucubrazioni tristi e cupe.
Lui acconsentì senza problemi e, dopo che lo inviai con alcuni assi dal padrone della sorella, tornò con lei.
Fu... Oh, quel suo dolce viso, quello splendido raggio di sole! L'amai non appena i miei occhi si posarono sul suo viso e l'amai con tutto me stesso, perché capii che l'unica ragione nella mia esistenza era quella di amarla.
Dopo che trasformai Aro, tutto cambiò. Noi, il mondo. Capimmo presto che il mondo dei vampiri non era organizzato e pensammo che tutto ciò fosse assurdo se paragonato alla grandezza di Roma, del suo Impero. Come era possibile che una razza superiore come la nostra dovesse vivere alla stregua di degli animali?
Non c'era una cultura né un sapere comune, ben pochi sapevano che il solo morso procurava la trasformazione e il numero di vampiri orfani era assurdamente alto. Erano come una mandria di disperati che si aggiravano per il mondo senza una meta.
Bestie. Come quei lupi al nord. E noi tutti volevamo che questo finisse.
Forti dell'aver scoperto che ci era possibile uscire alla luce del sole -cosa che iniziai a fare molto spesso per puro piacere- iniziammo ad arruolare numerosi vampiri, prestando particolare attenzione a coloro che possedevano delle caratteristiche particolari.
Aro, soprattutto, pareva affascinato da tutto ciò. Sia lui che sua sorella detenevano un potere utile e io stesso, non appena iniziai a frequentare il mondo, mi accorsi di averne uno a mia volta.
In particolar modo mi accorsi dell'amore che le donne provavano nei miei confronti, della rabbia o dell'ammirazione degli uomini, dei molteplici sentimenti che nascevano dal cuore di Aro, da quelli puri di Didyme, da quelli burberi e sospettosi di Caius. E le nuove guardie che vennero ad abitare con noi, tanto che la casa divenne troppo piccola e ci dovemmo trasferire.
Vedevo i loro pensieri e l'amore che provavano per Didyme, che era il dolce fiore del nostro palazzo.
Tommaso, credi che io sia stato cattivo nello scordare Florian? Sia stato egoista e superficiale?
Io ci penso spesso, sai... e credo di essere stato punito per ciò»
Sorrise mestamente e posò il pennello, dopo che toccò l'affresco per l'ultima volta, colorando la pupilla del giovane.
«No... insomma, molta gente dimentica perché fa male» mormorò.
«Io non riesco a dimenticare, sai?»
«Chi, Florian?» domandò Tommaso, che si era messo seduto a gambe incrociate, sul marmo freddo.
«Anche... Didyme, non riesco a scordarla» sussurrò.
«La sposaste?»
«Sì, dopo alcuni anni che il fratello l'ebbe trasformata. Nessun amante ebbe mai più cura della sua donna di quanta io ne ebbi per lei e nessuno mai amò la propria compagna più di quanto feci io.
Era il mio nutrimento, la mia luce, la mia vita. Avevo costruito un impero con i miei fratelli e quando lei mi chiese di abbandonarlo, ritenendolo impuro e macchiato di menzogne e sangue la seguii. Capisci, Tommaso? Capisci a cosa ero pronto?
Avrei lasciato l'impero! Tutto!
Ma non feci in tempo, qualcuno, qualche nemico, uno dei tanti che erano insorti contro di noi, me la tolse.
E ora non faccio che ricordarla. Ricordo lei il suo sorriso e il suo profumo fresco di fiori, lo stesso profumo di Florian. Ricordo lei e il suo desiderio incompiuto di essere madre, di accudire qualcuno, di riempirlo del suo amore spropositato. Ricordo che lei, all'infuori di Aro e di te, fu l'unica a sapere la mia storia.
Ricordo il mio amore, sempre, costantemente e nel ricordo mi struggo. Li vedi questi dipinti, Tommaso, li vedi?» la voce si era fatta più sottile e agitata.
Il ragazzo era indietreggiato agitato a sua volta e lo fissava con occhi spalancati. Quel dolce uomo si era trasformato in un mostro dallo sguardo folle e perso, le cui mani tremavano di rabbia e disperazione.
«Li vedi, Tommaso?» ripeté, istericamente, mentre si alzava e lasciava cadere la tavolozza e i pennelli.
«Loro non soffrono più! Loro non sono costretti a vivere, e a vivere! Non sentono gli odori né vedono il mondo né lo sentono sulla loro pelle!» si avvicinò, sfiorandogli il viso con un'innaturale delicatezza «non ascoltano il canto degli uccelli né lo stridore dell'ultimo rantolo di un morto, non vengono toccati dalla tristezza né dai ricordi. Osservali Tommaso, osservali bene, la vedi?» alzò lo sguardo e inchiodò una piccola figura in alto, l'unica che sorrideva.
La donna, più una ragazza, dai lunghi ricci corvini salutava i due, con un'espressione tremendamente non adatta alla situazione.
«La vedi? Lei non può soffrire. La mia Didyme...» sussurrò, mentre il viso si contraeva in un'espressione di pianto.
Tommaso fece per parlare, per scappare, ma la presa di Marcus era troppo forte, non riuscì a sfuggirne.
«Lasciatemi» gemette, disperato.
Marcus si fermò, lo fissò per un secondo e altrettanto velocemente prese la sua vita.
Lasciando il cadavere a terra si alzò e rimase immobile, ignorando il cigolio leggero della porta che si apriva.
Aro stette fermo dietro a lui, aspettando a lungo prima di abbracciarlo -la sua figura esile e longilinea, stretta a quella muscolosa e decisa di lui- e sussurrargli, in un soffio, «mitesce, Marcus, mitesce».




Angolo Autrice:
probabilmente la morte di Florian è la prima morte che ho narrato non avvenuta a causa di Aro (LOL) Anche io ho pianto e mi sono disperata scrivendo della sua morte ;_; vi autorizzo a piangere, se volete, e a insultarmi ;_; Fare lo scrittore è peggio che fare il boia ç_ç"
Comunque, non so se si è capito Marcus e Aro si sono amati, in passato. Amati carnalmente. A differenza di Caius e Aro vedo il loro rapporto più come quello tra un maestro e un allievo, quel tipo di rapporto tipico in Grecia antica. Ora come ora si vogliono solo tanto, ma tanto bene.
Non ho molte note da fare, sono soddisfatta dalla one shot, spero che anche a voi sia piaciuta. Il prossimo sarà Aro e credo che sarà un po' più complicato scrivere di lui, le idee sono tante e devo assolutamente riassettarle nella mia testa. Non so quando la posterò, visto che mi sono iscritta a un contest che mi prenderà sicuramente molta ispirazione e tempo.
Mh, non credo di avere altro da dire. Ah, sì! mitesce vuol dire calmoti in latino (:
Questo è tutto, gente!
Ma prima di lasciarvi aprirò un piccolo spazio pubblicità -cosa che non faccio mai! Con la collaborazione di Dragana, OttoNoveTre  e vannagio abbiamo creato il "Circolo di Aro", un nuovo account dove posteremo tante storie crack sui Volturi -storie che la Meyer neanche si immagina! Spero di vedervi anche lì :D

Ora vi saluto sul serio!

Ho deciso di farmi un account facebook per chiunque mi volesse aggiungere e fare una chiacchierata Ulissae EFPaggiungetemi (:
Se avete un livejournal, questo è il mio: [info]ulissae
Idem per anobii (ha trovato il giochino, la bimba): Ulissae anobii
 

Se invece volete farmi una qualsivoglia domanda, ecco il mio formspring: Ulissae
 

   
 
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