Mi devo scusare, per aver
disseminato anche questa storia di nomi improbabili… è più
forte di me! Come i capelli di colori assurdi…
Questo capitolo temo non mi sia
venuto molto bene, ma purtroppo anche volendo riscriverlo non saprei come
sistemarlo, spero che non sia troppo brutto ç__ç
Capitolo Primo
La guerra delle patate
“Nellyyyy??” strepitò
Carola dal palazzo di fronte.
Nel sospirò alzando la testa per guardarla, mentre spingeva
il pulsante del walkie talkie e se lo avvicinava alla bocca.
“Carola,
devi premere il pulsante rosso, ti sento solo perché stai urlando come
una forsennata” disse con voce tranquilla afferrando una bomboletta di
colore spray e migliorando la linea di contorno della H di Hope,
che aveva disegnato sul muro.
“Così??” strillò Carola dalla terrazza e dal walkie
talkie. Nel strizzò gli occhi, probabilmente
aveva perso parte dell’udito, per colpa di quell’urlo.
Ne
aprì uno sottecchi alzandolo a guardare la macchia fucsia che si
stagliava in alto, affacciata a una terrazza del palazzone popolare, di fronte
al parco dove era lei.
“Non
c’è bisogno di urlare, Carola” disse stancamente.
“Meglio?”
chiese Carola con un tono di voce normale. Nel si grattò la testa
sospirando “Sì, grazie”
“Allora, l’hai finito? Fai una foto che voglio vederla!”
esclamò con rinnovato entusiasmo, alzando di nuovo il volume della voce,
con grande rammarico dell’amica.
Nel
sbatté la scarpa di tela sull’asfalto del
cortile “Oh, Carola, quando
la finiremo con questa buffonata degli effluvi delle bombolette spray! Non succede niente al feto, se mi guardi da lontano!”
sbottò andando comunque a prendere lo zaino, abbandonato per terra a
pochi metri da lei, per estrarne la macchina fotografica.
“Non chiamarlo feto! Sia chiama Laura!!”
esclamò Carola piccata, uscendo in tutta la sua personalità, dal
walkie talkie, che Nel aveva appoggiato distrattamente a terra, di fianco allo
zaino.
“E
se avrai presto un figlio anche tu, da buone amiche li costringeremo a sposarsi
e saremo tutti una famiglia felice” aggiunse in tono derisorio.
“Dillo
un’altra volta e non siamo più amiche” sbottò seria
Nel. Carola rispose con una grassa
risata.
Si
chinò, appoggiando un ginocchio sull’asfalto. Fece una smorfia
sentendo la consistenza fredda e ruvida, del terreno, con il ginocchio nudo che
usciva dallo strappo sui jeans.
Mise
a fuoco il disegno, attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica.
Il
muro del parchetto era pieno di opere d’arte, anche se da quella
posizione vedeva solo la scritta Hope, sapeva che la maggior parte dei lavori che
c’erano, disegnati a spray, erano mille volte meglio del suo.
Sospirò premendo col dito il pulsante per scattare la foto.
Carola,
dalla sua terrazza vide il fulmine del flash. Da quella distanza, Nel poteva
sembrare un maschio, con i capelli tagliati corti e l’andatura non troppo
femminile.
“Nelly? Mi stai ascoltando?” chiese accorgendosi di
parlare da sola.
“Certo
che ti sto ascoltando” risposero dall’altra parte appena in tempo.
“Ti
ho chiesto se vieni a mangiare i nachos da me, sta
sera” ripeté Carola. Nel alzò gli
occhi al cielo per individuare il balcone da cui parlava la sua migliore amica.
“Ti lamenti per le bombolette spray e poi
mangi i nachos? Secondo me quella roba è radioattiva. Comunque va bene, ora
devo solo accompagnare mia sorella in un posto. Ci vediamo dopo cena”
concluse rimettendosi lo zaino sulle spalle e facendole larghi saluti con la
mano .
“A
dopo!!” urlò Carola con tutto il fiato
che aveva in gola sbracciandosi, completamente dimentica del walkie talkie.
Nel se ne andò senza girarsi, sbattendosi
una mano sulla fronte sentendo la voce di un uomo che rispondeva a tono a
Carola “Ma la vogliamo finire con questi schiamazzi! Chiamo la polizia se non la smetti? Tra te e
quei debosciati dell’interno quattordici non so
chi sia peggio!”
Superò
il muro di cinta del parchetto a grandi passi, mentre gli inquilini dell’interno quattordici rispondevano a tono. Ma si
fermò subito sul marciapiede, senza poter attraversare la strada.
Una
figura conosciuta le sbarrava la strada. Non poteva guardarlo negli occhi,
perché portava degli occhiali scuri, nonostante il sole stesse ormai
calando. Il suo sguardo scivolò critico sulla giacca di pelle che teneva
aperta e sui capelli che avrebbero avuto bisogno dell’intervento di un barbiere.
Rimasero
per qualche secondo a guardarsi, finché Nel sbottò
“Papà, che vuoi?”
Patrizio
si rimpettì sentendosi chiamare. “Perché un padre non
dovrebbe avere voglia di vedere la propria figlia? E
poi tra un po’ sarà buio, e sai che questa è una brutta
zona! Sono qui per proteggerti!” esclamò
alzandosi gli occhiali da sole con fare teatrale.
Nel
fece una smorfia e si sistemò meglio lo zaino
nero sulla spalla, prima di ribattere “Se sei qui per proteggermi, allora
dov’eri quando la mamma è andata all’anagrafe e mi ha chiamato
Chanel?”.
Patrizio,
distolse lo sguardo e si morsicò l’interno della guancia. Sua
figlia era sempre piuttosto stizzosa quando si toccava quell’argomento.
“A
mia discolpa: pensavo scherzasse. E poi comunque è
proprio perché non ti piace il tuo nome, che ti chiamiamo tutti Nel ” concluse convinto di aver
risolto. Invece, sua figlia, si fece ancora più cupa
“Papà…sai cos’è nel nell’analisi
grammaticale?”
L’uomo sospirò, colpito e affondato, di nuovo “No, ma ho capito cosa intendi. E vabbé, non
possiamo continuare a piangere sul latte versato. Pensa che i Pinto hanno chiamato la loro
secondogenita Erato,
e quando qualcuno fa l’appello la scambia per un maschio!”
esclamò convinto che sua figlia non avrebbe potuto ribattere.
“Erato è
una musa, io mi chiamo come una cipria!” fu la risposta. Patrizio giunse
quindi alla conclusione che fosse meglio cambiare argomento.
“A
parte tutto, Nel luce dei miei occhi” strisciò un po’
“ pensavo che potessimo cenare insieme sta sera” buttò
lì, come per caso.
Nel
chinò la testa da una parte “Papà,
tu hai l’affidamento per il mercoledì, lo sai. E poi ho promesso a
Tiffany che la accompagnavo a comprare una borsa, dovrebbe arrivare a
momenti” disse un po’ cantilenante, giocherellando con
l’anello d’argento a forma di rosa che portava al pollice.
“Pff!” fece suo padre con aria di chi la sa lunga
“A Tiffany ci ho già pensato io, Tesoro, non ti
preoccupare!”
Nel alzò un sopracciglio, evidentemente allarmata,
seguendolo involontariamente verso il taxi bianco parcheggiato poco lontano.
“Cosa
vorresti dire con a Tiffany ci ho già pensato io?”
domandò con la voce grossa, prima che dal finestrino del taxi si
sporgesse una ragazzina scalmanata.
“Ciao,
Neeel!” esclamò una voce conosciuta. Nel
si voltò giusto in tempo per vedere sua sorella, che si allungava, su un
uomo con un gran sorriso e un gran riporto, per mostrarle una borsa
clamorosamente rosa.
Tiffany
le strizzò l’occhio e Nel li alzò al cielo.
“Su,
campionessa, andiamo a mangiare dai Pinto sta sera!” esclamò Patrizio allegro
inforcando di nuovo gli occhiali da sole, e aprendo galantemente la portiera a
sua figlia.
Nel
s’infilò nel posto del passeggero di malavoglia, sbuffando.
“Buona
sera, Nel!” esclamò Ismaele, che con gli anni aveva iniziato a
perdere copiosamente i capelli, ma non certo il buonumore.
“Ismaele,
questa non è una buona sera dato che vengo a mangiare a casa tua!”
sbottò acida.
Ismaele
incrociò le braccia fingendosi toccato dalle parole della ragazzina,
quando in realtà era abituatissimo alle
rispostacce della figlia del suo migliore amico.
“Su,
su, Nel, non dire che non ti sei mai divertita a casa mia!!” esclamò teatrale.
Nel
si voltò verso di lui aggrappandosi col braccio al sedile
“Sì, mi sono divertita quella volta che Carmela ha fatto lo
zampone e poi abbiamo giocato tutti insieme a Hotel” disse.
Sul
viso dell’uomo si allargò un largo sorriso vittorioso “Vedi
che…” iniziò a dire prima di rendersi conto di una cosa, che
fino a pochi secondi prima gli era sfuggita “Ma quella volta Daniele non
c’era… era a Barcellona in gita di classe” esclamò
inorridito.
“Per
l'appunto” fu la risposta serafica di Nel che si stava mettendo la
cintura. Ismaele sbuffò e si mise a guardare fuori dal finestrino,
mentre Patrizio, dopo aver finalmente risintonizzato
la sua radio preferita, che però aveva il viziaccio di non prendere
praticamente da nessuna parte, metteva in moto il taxi.
Nel
si voltò nuovamente verso il sedile posteriore con aria arcigna.
“Tiffany?” chiamò con un tono che non prometteva nulla di
buono.
“Sì?”
rispose sua sorella senza guardarla, e accarezzando con indifferenza la sua
nuova borsa rosa.
“Non dovevo accompagnarti a fare spese? Perché ti sei portata
dietro mio padre e il ginecologo col riporto?” domandò scura in
volto.
“Io
non ho il riporto!” esclamò Ismaele sistemandosi il più volte citato riporto.
Tiffany,
in risposta, sventolò per la seconda volta, la borsa rosa, davanti al
naso della sua interlocutrice. Nel la spostò di prepotenza per poterla
guardare in faccia “Mi hai venduto per una borsa!!”
sbottò. Fu a quel punto che la ragazzina si degnò di incrociare
il suo sguardo, sfoderando l’espressione più innocente del suo
repertorio “Ti ho venduto a tuo padre, mica ai terroristi!”
“Avrei
preferito loro!” sbottò di nuovo lei, rimettendosi a sedere
composta e assumendo un’espressione ancora più scusa di quella che
aveva poco prima.
Patrizio sospirò rassegnato alle parole
della figlia e Ismaele urlò “Insomma ragazzi! Cosa sono queste facce scure? Carmela sta sera
prepara il polpettone!!”
La
prima cosa che faceva in casa Pinto, dopo aver
salutato Erato e Carmela (Ismaele era sempre presente
da prima, in un modo o nell’altro), era cercare di accaparrarsi un posto
tra le donne della famiglia, il più lontano possibile da suo padre e
Ismaele, e di certo il più lontano possibile da Daniele Pinto, il primogenito dei Pinto.
Il
fatto che i suoi piani venissero sempre bellamente sventati, non le faceva
perdere la voglia di provare comunque a fuggire ogni qual volta le capitasse
l’occasione.
Anche
quella sera, comunque, con un abile movimento di sedie, giro di piatti, di
spinte, e di finti malori, ai quali la signora Pinto
rispondeva con una sofferentissima alzata di occhi al
cielo, suo padre e Ismaele erano riusciti a cacciarla dove volevano loro, e lo
stesso valeva per Daniele.
All’inizio
provavano sempre a non guardarsi negli occhi, Nel rimirava il suo braccialetto
borchiato, l’anello con la rosa, o fingeva di rammaricarsi perché
le si era sbeccato lo smalto nero.
Daniele
invece guardava la televisione, e a volte, imperterrito, la fissava anche dopo
che Ismaele la spegneva per fargli dispetto e costringerlo a dialogare
civilmente con la sua futura sposa.
Dopo
un po’ di tempo passato a ignorarsi però la situazione si faceva
più difficile, non guardare una persona che ti stava davanti, a pochi
centimetri di distanza, diventava complicato, anche solo per una questione di dolore
al collo, costretto in una posizione scomoda.
Tra
l’altro, le voci di corridoio dicevano, che il signor Pinto
avesse voluto cambiare il tavolo per comprarne uno più stretto, solo per
farli stare più vicini. Il rispuntato era solo un gran pestaggio di
piedi volontario, tra Daniele e Nel, e involontario tra gli altri commensali, e
alle cene di Natale si andava avanti tra uno scusami e un a chi ho pestato
l’alluce?
Per
non parlare di nonna Linda, che con gli anni e la vedovanza aveva perso in
parte, il senno, e passava le cene in famiglia a fare piedino a tutti i
presenti, credendoli Vincenzo, il suo fidanzatino del dopo guerra.
Tiffany
era stata strategicamente posizionata a capo tavola, in modo da impedire a
Daniele una vista comoda del televisore, e perché no, facilitare la
conversazione tra i due. I risultati però non erano dei migliori.
Non
solo Nel e Daniele si ignoravano, ma ignoravano pure lei, che aveva finito per
indisporsi alle risposte monosillabiche della sorella maggiore, che nemmeno la
guardava. Che cosa c’era di tanto interessante nello smalto sbeccato?
Nel appoggiò il gomito sul tavolo, con aria distratta, mentre
il suo sguardo scivolava veloce sulla figura femminile, che con una pentola in
mano le si avvicinava a grandi passi.
Spostò
subito le braccia, e si allontanò dalla tavola, appoggiandosi allo
schienale, permettendo a Carmela di riempirle il piatto del tanto favoleggiato
polpettone di cui parlava suo marito.
“Ci
sono anche le patate al forno che ti piacciono tanto” disse versandone
cinque accanto alla carne. Nel ringraziò e
sorrise, per poi guardare il ragazzo che sedeva proprio davanti a lei.
E
lui la stava proprio guardando di rimando. La ragazza gli regalò un
sorriso beffardo, come per dire hai
visto? Ha servito prima me!
Una
scaramuccia stupida, che però, Tiffany, in mezzo a due fuochi, sapeva,
si sarebbe trasformata in qualche cosa di molto peggiore di una gara di
smorfie.
Daniele
non era un brutto ragazzo, Nel lo sapeva, ma gli occhi azzurrissimi e i capelli
mossi di un castano acceso non glielo rendevano più simpatico. Non lo
sopportava, erano anni che non lo sopportava. Suo padre aveva un bel da dire
che all’asilo giocavano insieme per ore. A parte il fatto che per quanto
ne sapeva lei poteva essere anche una frottola, era piuttosto scettica che il
fatto che a quattro anni andassero d’accordo fosse un motivo ragionevole
per dire che dovevano sposarsi.
Carmela,
servendo Tiffany, ignorò volontariamente le occhiate che si stavano
lanciando i due, era fin troppo abituata a quelle scaramucce silenziose, non ci
sarebbe voluto ancora molto perché per un motivo o per l’altro iniziassero
a sussurrarsi insulti, e poi a calciarsi sotto il tavolo.
Passò
poi con aria tecnica al primogenito, finalmente si allontanava da quel
triangolo delle Bermuda, alzò la testa sentendosi chiamare dalla figlia,
mentre dispensava patate a Daniele.
Sia
lui che Nel le contarono mentre cadevano nel piatto. Quattro, cinque, sei,
sette.
Carmela
si allontanò con in mano la padella,
intenzionata a servire finalmente anche sé stessa.
Il
ragazzo nel frattempo alzò gli occhi dalla pietanza per fissarli dritti
in quelli di Nel che gli stava di fronte. Sorrise, con la stessa smorfia che
gli aveva riservato poco prima lei.
“Sette”
sussurrò. La ragazza aveva assunto un’espressione che non
preannunciava nulla di buono.
Daniele
gongolò un po’ dondolandosi sulla sedia, senza smettere di
guardarla.
Tiffany
decretò che fosse meglio lasciarli perdere e si mise a trangugiare con
eccessiva ingordigia il polpettone.
Il
ragazzo ci rimase un po’ male quando Nel punzonò una delle sue
patate con la forchetta e se la mise in bocca con aria di sfida. Non era
neanche riuscito a realizzare cosa stava per fare.
Così
erano a sei patate pari, ma Daniele aveva ricevuto un grosso smacco.
Allungò la mano per afferrarne una, fregandosene del galateo, ma la spostò
appena in tempo per non venire colpito da una forchettata.
I
rebbi della posata sbatterono con violenza sul tavolo coperto dalla tovaglia a
fiori che aveva ricamato nonna Linda.
Daniele
si ritrasse preso di sorpresa, appoggiandosi allo schienale della sedia, forse
inconsciamente per starle il più lontano possibile, ma poi fece un altro
dei suoi sorrisetti, che facevano andare in bestia Nel.
“Mi
hai mancato omaccione” disse,
abbastanza piano da non essere sentito da Tiffany, coperto dal rumore delle
mandibole, ma abbastanza forte da essere udito dalla sua sorella maggiore.
Vide
gli occhi della ragazza aprirsi in maniera davvero spropositata, e le labbra
stringersi in una smorfia piuttosto adirata.
“IO,
sono una signora, e se osi dire un’altra volta il contrario ti faccio
ingoiare i denti!!” rispose con aria minacciosa,
ma sempre sussurrando, calciandolo sotto il tavolo.
Tiffany
strinse i denti, ma a tradirla fu l’espressione sofferente che le si
dipinse in volto, quando sua sorella calciò lei e non Daniele.
“Scusa”
sussurrò Nel colpevole appoggiandole una mano sul braccio, mentre
Tiffany annuiva dolorante.
Sospirò,
lo stava facendo per la borsa, senza le finanze del signor Patrizio non avrebbe
mai potuto permettersela, quindi se qualche calcio era il prezzo,
l’avrebbe pagato. Per sicurezza però infilò le gambe sotto
la sedia. Martire sì, ma non masochista.
Non
ci volle molto per distruggere il momento di tenerezza fraterna, bastò
un altro fastidioso sussurro.
“Mancato. Di nuovo…”
gongolò Daniele, che sembrava al settimo cielo.
Nel per tutta risposta gli rubò un’altra patata e la
masticò lentamente guardandolo negli occhi. Lei gliene aveva già
rubate due, lui non era ancora riuscito ad acchiapparne nessuna invece. Dalla
sua però aveva il fatto di non aver gambizzato sua sorella per sbaglio.
In
quel momento però, l’interesse prioritario era salvaguardare la
cena.
Tiffany
aveva sempre pensato che Daniele Pinto fosse un figo. Era un bel
ragazzo, e piaceva come minimo alla metà della sua classe.
Aveva
fascino, portava sempre gli occhiali da sole, e la giacca di pelle (che
pensandoci era anche l’abbigliamento tipico del signor Patrizio, ma
addosso a lui non faceva proprio lo stesso effetto), era bravo a scuola e stava
con una delle rappresentanti d’istituto. Nonostante tutte queste cose
andassero a suo favore, Tiffany non poteva fare altro che provare un lieve
senso di nausea, nel vederlo leccare beatamente la propria cena, in modo da
impedire a Nel di mangiargliela, per poi gustarsela con tranquillità.
“Fai
schifo” sussurrò Nel, dando voce al suo pensiero e a quello della
sorella, che si voltò con discrezione a guardare un mobile lì
accanto. Il vaso in vetro di murano, che la signora
Carmela teneva sulla credenza, non le era mai sembrato così bello.
“Io
almeno non ho le dita sporche di spray azzurro, e non sogno di andare
all’Accademia di Belle Arti solo
perché faccio due graffiti sbilenchi” disse con più
cattiveria di tutto quello che aveva detto in precedenza, alzando la testa dal
piatto.
Carmela
vide la mano della ragazza stringersi spasmodica attorno alla saliera, e disse
la prima cosa che le veniva in mente pur di non vedere le sue ceramiche volare
per la sala.
“Nel?”
chiamò. La ragazza si voltò di scatto e lasciò andare la
saliera rendendosi conto solo in quel momento di averla afferrata.
“Sì?”
chiese un po’ imbarazzata. Sapeva che l’avevano vista inforchettare il tavolo.
E la cosa era abbastanza imbarazzante, anche se succedeva piuttosto spesso non
ci aveva fatto ancora l’abitudine. Del canto suo la signora Carmela
aspettava che quei due lo rompessero, per poter comprare un tavolo nuovo,
quello che aveva scelto suo marito non le piaceva per niente.
“Erato mi ha detto che avete bisogno di punti di credito extra scolastici per l’esame dell’anno
prossimo. Tu cosa hai intenzione di fare?”
domandò senza vero interesse a saperlo, e anche un po’ a disagio.
“Oh”
fece presa alla sprovvista “Credo… il gruppo di teatro…il
corso…sembra divertente”rispose con la prima cosa che le venne in
mente.
“Bene”
continuò Carmela senza più sapere cosa dire. Ismaele
tossicchiò e chiese a Patrizio di passargli l’insalata. Carmela
sorrise materna a Nel, prima di tornare a guardare il piatto.
La
ragazza sorrise a sua volta e fece lo stesso.
Oltre
al polpettone e le patate però, c’era anche la mano di Daniele Pinto che brandiva la saliera e la scuoteva sulla sua cena.
Con tutto il sale che c’era caduto era diventata sicuramente
immangiabile.
“Io
ti ammazzo!!” urlò fuori di sé.
Bussò
piano contro il vetro sfumato che divideva, per privacy, il balcone dei Pinto da quello del vicino, nel palazzone popolare di
periferia.
“Carola?”
chiamò stancamente.
Non
ci volle molto perché dall’altra parte sbucasse una chioma di
capelli troppo lunghi, troppo lisci e troppo fucsia.
“Di
solito suoni il campanello quando vieni a mangiare i nachos”
fece notare Carola appoggiandosi coi gomiti al parapetto. Sembrava uscita da un
cartone animato.
Nel sospirò “Mio padre mi ha
trascinato dai Pinto. Di nuovo…”
“Come
è andata?” chiese allegra l’amica
porgendole un’insalatiera piena di sfoglia di mais.
“Il solito. Ho pestato mia sorella, inforchettato mio padre
– Ismaele gli sta disinfettando la ferita – e Daniele si è
dato tante arie perché a differenza della sottoscritta che vuole andare
all’Accademia di Belle Arti,
sceglierà un indirizzo quale Ingegneria bio medica!!”sbuffò.
“E
non ho mangiato niente perché quell’idiota mi ha riempito di sale
il polpettone…” concluse scocciata.
Carola
le avvicinò di nuovo l’insalatiera “Prendi un nachos”
“Comunque
domani esco con uno…” continuò
guardando il prato buio che si estendeva parecchi piani sotto di loro. Faceva
un po’ freddo, solo con la maglietta addosso, ma non le andava di tornare
in casa a prendere la giacca.
“E
chi sarebbe?” chiese Carola sovraeccitata sporgendosi dalla balaustra con
enfasi, Nel dal balcone accanto, la ricacciò coi piedi per terra.
“Alfieri”
ammise infine.
Carola si accigliò “Ma chi? Quello che durante
l’occupazione si è lanciato dalla finestra del primo piano su un materassone della palestra?” esclamò.
Nel alzò gli occhi al cielo “Perché tutti se
lo ricordano solo per questo?” sospirò.
“Ha
fatto altro?”
“In effetti no…”
Prima di tutto mi scuso immensamente
per il ritardo, ma questo è un periodo un po’ incasinato. Temo che
anche il secondo capitolo ci metterà un po’ ad arrivare, dato che
devo conciliare lo studio con il lavoro, credo che per la cultura dovrò
tagliare un po’ del tempo che di solito uso per scrivere.
Oltretutto, dato che ho avuto la
furbissima idea di cimentarmi in due long alla volta, credo che anche
l’altra dovrà essere aggiornata XD
Scusatemi…
Ringrazio tutti quelli che hanno
letto lo scorso capitolo, e che sono arrivati a leggere fino a qui!! Grazie mille davvero, spero vi sia piaciuto almeno un
po’!!
Aki_Penn