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Autore: Kary91    23/04/2011    6 recensioni
[Tyroline. Post 2x14]
Sospesa
“Va bene se ho paura?”
Quella domanda infantile scaturì ingenuamente dalle labbra di Tyler, mentre il ragazzo si sforzava di controllare il tremolio della sua voce.
La vergogna si diffuse dentro di lui con insolenza, ma Cady la spazzò via all’istante stringendo con più energia la mano del ragazzo.
“Anche io ho paura.”
Ammise sorridendo con dolcezza.
“Ne ho sempre avuta e non provo vergogna a riguardo. Prima ti ho detto che trasformarsi diventerà un’abitudine, ma questo non significa che finirai per accettare ciò che la maledizione comporta. Noi siamo umani, Tyler. Se soffriamo, la nostra natura ci porta a domandarci perché siamo costretti a sopportare tutto quel dolore. Non è facile affrontarlo, ma sappi che quando succederà io sarò lì con te. Sono sufficientemente in grado di gestire al tempo stesso la paura di entrambi. Non sarai da solo Tyler. Questo posso promettertelo.”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Gilbert, Mason Lockwood, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood | Coppie: Caroline/Tyler
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'For better or Worse (I got you).'
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Chapter two

You were his daughter.

 

And now you've grown up
With this notion that you were to blame
And you seem so strong sometimes
But I know that you still feel the same


As that little girl who shined like an angel
Even after his lazy heart put you through hell

 

Broken Angel. Boyce Avenue

 

La bimba procedeva a passo lento arrancando dietro al padre, inciampando di tanto in tanto.

 

“Dove stiamo andando?”

 

La piccola mormorò con voce impastata di sonno. Con la manina libera si stropicciò un occhietto insonnolito e sbadigliò.

 

“Andiamo da mamma e Teddy?”

 

L’uomo non rispose. Continuò ad addentrarsi per la radura serrando con forza la propria mano attorno a quella della bambina che faceva del suo meglio per stare al passo.

 

Cady osservò con aria sempre meno intorpidita l’eleganza dei tronchi d’albero impilati in disordine ovunque attorno a lei.

Le piaceva quel bosco.

Si divertiva ad ascoltare il canto degli uccelli la mattina e il fruscio del vento a stretto contatto con le foglie la sera.

 

Ma erano mesi che trascorreva gran parte delle sue giornate da sola, in quella piccola casetta in mezzo al bosco che le ricordava un po’ quella di Hansel e Gretel.

 

Le mancava la mamma. Le mancava Teddy. Le mancava perfino l’asilo.

 

 “Papà quando torniamo a casa? Quando papà?”

 

L’uomo continuò a trascinare la bambina per mano ignorando il cinguettare innocente della sua voce.

 

Si muoveva di fretta, lo sguardo puntato contro un punto imprecisato della radura.

Da tempo si sforzava di non rivolgere nemmeno un’occhiata in direzione di quella creatura che condivideva con lui lo stesso sangue.

 

I suoi occhi fuggivano, evitando accuratamente quei capelli biondissimi, quelle orecchie leggermente a punta, da folletto. Quegli occhi ambrati dal taglio identico al suo.

 

Camminava. In fretta, per dimenticare che era di un angelo quella manina candida che stringeva la sua con disinvoltura.

 

Era di un angelo l’andatura che con pazienza rincorreva i suoi passi con saltelli incerti.

 

Un angelo che per mano sua era in procinto di tramutarsi in un mostro.

 

“Non torneremo a casa.”

 

Le parole risuonarono tetre nella penombra del mattino simili al latrato di un lupo ferito.

 

Ma la mamma…

 

“Tua madre non ti vuole più. Adesso stai zitta e cerca di camminare più in fretta.

 

Una piccola lacrima incolore solcò la guancia dell’uomo, mentre la piccola accelerava il passo, lo sguardo improvvisamente triste.

 

La scintilla che caratterizzava quegli occhi imperlati d’innocenza scomparve proprio quel giorno.

 

In quel momento, due parole terse di rimorso sfrecciarono nella testa del padre ma non furono sufficienti a cancellare l’orrore che stava per commettere.

 

Nessuna parola lo sarebbe stata.

 

Nessuna.

 

“Mi dispiace.”

 

“C’è qualcosa che non va?”

Tyler distolse lo sguardo dall’azzurra limpidezza del cielo e si voltò in direzione della tenda.

Era una di quelle giornate piacevolmente soleggiate che fanno spuntare un sorriso spontaneo non appena si mette  piede fuori casa.

 

Ma per Tyler, quella mattina, non era altro che una veglia angosciante verso uno dei dolori più laceranti della sua esistenza; quella sera ci sarebbe stata la luna piena e il ragazzo non si sentiva per nulla pronto ad affrontarla.

 

Era spaventato: la tensione lo costringeva a muoversi di continuo, non riuscendo a trovare una posizione in cui poter restare immobile per più di qualche minuto.

 

Sapeva solo che se si fosse fermato un attimo per riprendere fiato, il respiro si sarebbe smorzato e l’ansia avrebbe preso il sopravvento su di lui.

 

In tutta la sua vita, solo una volta aveva avvertito tutta quella paura cadergli addosso con la stessa intensità.

 

Era molto piccolo tre,quattro anni al massimo.

Una mattina si era svegliato e come tutti i giorni si era recato in bagno per lavarsi e pettinarsi con cura: fin da piccolo, Tyler era stato abituato all’ordine e alla disciplina, e quelle operazioni erano considerate sacre da ogni membro della sua famiglia.

 

Quella mattina, tuttavia Tyler si sentiva strano.

Era arrabbiato, anche se non sapeva il perché.

 

E spaventato. Talmente spaventato che desiderava piangere, anche se non aveva idea di cosa potesse essere successo.

 

Probabilmente era colpa di suo padre: era sempre colpa di suo padre.

 

Sicuramente il giorno precedente Tyler doveva aver ceduto un’altra volta alla tentazione di infilarsi nel suo studio e di curiosare fra le sue carte.

 

Sapeva che era proibito, e proprio per quello il desiderio di andare a giocare là dentro gli risultava incredibilmente allettante.

 

E disegnare. Oh, quanto era piacevole ripassare i bordi dei suoi documenti con i pastelli, ben sapendo che il padre sarebbe andato su tutte le furie.

 

Ogni giorno sgusciava di nascosto dentro lo stanzino silenzioso e spulciava fra le carte, finché non trovava un foglietto dimenticato all’angolo di qualche cassetto, e lo impregnava di colore.

 

L’idea di fare qualcosa che suo padre gli aveva vietato senza che lui riuscisse ad accorgersene era per il piccolo Tyler, la maggiore delle soddisfazioni.

 

Lo faceva sentire in gamba; molto più sveglio di quanto pensasse Richard.

La sua intraprendenza tuttavia, gli costò cara diverse volte. E in quelle particolari occasioni, Tyler fu costretto a ritirarsi nel letto con le lacrime agli occhi e il sedere bruciante di sculacciate.

 

Questo quando gli andava bene.

 

Quella particolare mattina, tuttavia, Tyler non si era svegliato dolorante. Eppure sentiva di avere paura. Avrebbe voluto correre a rifugiarsi nel letto della madre, ma nemmeno lei era in casa. Quel giorno si era svegliata presto per svolgere delle commissioni e il piccolo Lockwood era rimasto in casa da solo a vedersela con quella rabbia irrazionale che gli bruciava in petto.

 

Era furioso, aveva paura, e non c’era nessuno per lui a tentare di lenire lo sconforto.

 

In quel tiepido mattino di tredici anni dopo, Tyler si sentiva alla stessa maniera.

 

Si avvicinò con aria stanca a una delle tende sfilandosi con una mano il sudore che gli imperlava la fronte.

 

Cady sedeva a gambe incrociate sul tappetino d’ingresso osservando con aria vacua il nulla di fronte a sé.

Fra le mani reggeva un orsacchiotto di pezza ormai consunto.

 

“Stavo parlando con te.”

 

Cady si accorse solo in quel momento che il ragazzo la stava osservando con espressione tesa: il suo volto era così pallido, che la giovane pensò di vederlo svenire da un momento all’altro.

 

“Scusami. Mi ero incantata un attimo”.

 

La ragazza borbottò sbattendo un paio di volte le palpebre e concedendo un sorriso debole a Tyler.

 

“La vigilia della luna piena comporta sempre lo stesso giro di ricordi per me.”

 

 

Tyler decise di tentare la fortuna e di provare a restare fermo per qualche minuto sperando che la paura non prendesse il sopravvento. Si sistemò sul tappeto di fianco a Cady e si portò le ginocchia al petto. Dedicò i minuti successivi ad alternare il proprio sguardo dal cielo a Cady: il suo viso era così rilassato che Tyler avvertì quasi una leggera patina di conforto farsi strada dentro di lui.

 

“Pensavo a mio padre.”

 

Mormorò infine Cady portando l’orsacchiotto di fronte a sé ed osservandolo con aria stanca.

 

Anche io.”

 

Tyler fu sorpreso di ammettere una cosa del genere mentre lanciava un’occhiata bieca al pupazzo consunto.

 

Cady sorrise passando con tenerezza una mano callosa fra le orecchie dell’orso.

 

“È stato lui a trasformarmi.”

 

Annunciò con voce priva di espressione.

 

“Io ero il suo esperimento.”

 

Tyler sgranò gli occhi incredulo non riuscendo a comprendere a pieno ciò che la ragazza stava pronunciando.

 

 

“Mi stai dicendo che ti ha costretto a…

 

“Avevo quattro anni.”

 

Un guizzo divertito fece capolino sul volto di Cady e Tyler si agitò ulteriormente.

 

“Sapeva che per un discendente dalla stirpe dei licantropi commettere un omicidio avrebbe comportato l’innescarsi della maledizione,ma non sapeva quali sarebbero state le conseguenze. O per lo meno questo è ciò a cui ho deciso di credere. Ad ogni modo, non volendo rischiare scatenando la maledizione su di sé, deve aver pensato che io fossi la soluzione perfetta. Ero piccola, talmente piccola che non riusciva a ritenermi un pericolo. Perciò, mi ha portato via da casa e per un po’ mi ha cresciuta nel bosco,aspettando il momento giusto. Sono passati mesi, forse anni: non saprei dirlo con certezza. Credo che in realtà mio padre stesse semplicemente aspettando di trovare il coraggio per porre fine a tutta quella faccenda.

 

Concluse adagiandosi l’orsacchiotto sulle ginocchia. Fra i due ragazzi si sollevò un innaturale silenzio, lenito solamente dal vociare confuso di altri membri del branco che parlottavano in lontananza.

 

“Tutto questo è assurdo.”

 

Tyler scosse il capo con aria scettica dimenticando solo per qualche istante l’imminente arrivo della luna piena.

 

Era palese che Cady avesse vissuto la sua prima trasformazione da molto più tempo rispetto a lui; lo si poteva individuare nei suoi movimenti a tratti più animaleschi che umani o nella maniera aggressiva con cui si premurava di difendere tutto ciò che la riguardava. In molti degli atteggiamenti di Cady, Tyler riusciva a riconoscere alcune caratteristiche che gli ricordavano i lupi.

 

Tuttavia si rifiutava di accettare ciò che la ragazza gli aveva appena raccontato; portare una bambina in un bosco, privarla della propria famiglia e costringerla a dire addio alla sua umanità?

Nessuna persona avrebbe mai potuto fare una cosa simile alla propria figlia.

 

Perfino suo padre, quell’uomo egoista e tal volta crudele che l’aveva cresciuto, non gli avrebbe mai permesso di correre un rischio del genere al solo obbiettivo di soddisfare una propria curiosità.

 

La salute della propria famiglia viene prima di tutto.

 

Non era forse anche quella una delle innumerevoli frasi fatte di Richard Lockwood?

 

Non c’era padre che avrebbe potuto commettere una crudeltà simile: non si distrugge così una bambina.

 

Eppure, nonostante questa convinzione, Tyler non riuscì a ignorare un velo improvviso di tristezza depositatosi sugli occhi di Cady.

 

Era come se il bagliore di entusiasmo ed energia che caratterizzava il suo sguardo si fosse affievolito tutto a un tratto, mostrandogli il grigiore di una Cady che in quelle poche settimane trascorse all’accampamento non aveva mai incontrato.

 

Improvvisamente avvertì il violento bisogno di tornare a casa. Non riuscì a comprendere se fosse per via della luna piena o se la colpa spettasse alla rivelazione angosciante della ragazza.

 

Tutto ciò che sapeva era che per quanto si sforzasse, una parte di lui non riusciva ad adattarsi completamente a quella nuova vita.

 

Certo, era tutto più facile, lì.

All’accampamento non doveva delle spiegazioni a nessuno. I giorni si susseguivano con la stessa identica cadenza uno dietro l’altro e fintanto che Tyler non mettesse piede nella tenda del lupo alfa, non vi erano particolari regole da rispettare.

 

Era come una sorta di vacanza: una sosta momentanea dalla fitta matassa di problemi e preoccupazioni che occupavano il suo cuore sin dalla morte di suo padre.

 

Ma i pensieri non erano scomparsi: si era semplicemente premurato di accantonare tutto in un angolo.

 

Tyler fece per sollevarsi, quando invece si trovò a osservare con aria confusa l’orsacchiotto che ancora si trovava sulle gambe della ragazza.

 

“Quello è di quando eri piccola?”

 

Domandò indicandolo con un cenno del capo.

 

Cady sorrise dolcemente, sfilando con quel gesto la malinconia che si era arenata nel suo sguardo.

 

“Lui è Teddy.”

 

Spiegò la ragazza passando l’orsetto a Tyler che se lo rigirò fra le mani con aria imbarazzata.

 

“ E’ un regalo di Jules risalente ai miei primi giorni qui all’accampamento. Non ricordo molto di quel periodo, però mi hanno detto che non facevo altro che dormire e al mio risveglio snocciolavo le stesse parole una dietro l’altra, come se stessi intonando una filastrocca: mamma, papà, Teddy.

Jules pensò che mi stessi riferendo a un orsacchiotto di peluche, perciò fece un salto nel villaggio più vicino per procurarmene uno. Questo è lo stesso orsacchiotto che mi diede dieci anni fa e ha un significato speciale per me. Quando lo abbracciai per la prima volta, capii che forse c’era ancora qualcuno disposto a prendersi cura di me. Capii che nonostante la mia casa non fosse più di mattoni, ma di stoffa, io ero ancora una bambina come tutte le altre. E avevo un orsetto a dimostrazione di tutto ciò.

 

Non vi era risentimento nelle parole di Cady: solo un ingenuo alone di sincerità.

La conosceva appena da poche settimane, ma Tyler non riusciva a evitare di ascoltare con attenzione qualsiasi cosa frase fuoriuscisse dalle sue labbra sottili. La schiettezza con cui la ragazza-lupo esprimeva qualsiasi cosa gli passasse per la testa, lo disarmava. Essendo cresciuto all’ombra delle menzogne, per Tyler la verità non era altro che un potere meraviglioso e sconosciuto.

 

“Se Teddy non era un orsacchiotto di peluche… chi era allora? Il tuo animale domestico?”

 

Tyler domandò incuriosito, sentendosi un po’ stupido nell’azzardare una domanda simile.

Cady rise di gusto sollevandosi in piedi per sgranchirsi le ginocchia nodose.

 

“Teddy era mio fratello. Almeno credo. Non ricordo molto del mio passato, ero troppo piccola quando sono stata prelevata da casa mia. Però ricordo che c’era un Teddy.”

 

“Pensi che tuo padre abbia fatto lo stesso con lui?”

 

“No, credo di no. La mia trasformazione l’ha scosso, questo me lo ricordo. Anche in vesti di lupo ero un cucciolo, ma sono comunque riuscita a procurargli delle belle ferite. Ricordo di avergli quasi strappato via la mano a morsi...

 

“Le conseguenze di una curiosità divorante...

 

Doveva essere una battuta sarcastica, ma Cady scoppiò a ridere di gusto.

 

A Tyler non dispiaceva la sua risata. Suonava terribilmente… umana.

 

“Tutto bene voi due?”

 

Jules gridò loro da lontano schermandosi gli occhi con una mano per difendersi dalla luce del sole.  Tyler aggrottò le sopracciglia con aria scostante, mentre Cady sorrise vivacemente sollevando il pollice in direzione della donna.

 

Il licantropo alfa li osservò entrambi per un paio di istanti con qualcosa simile alla tenerezza incisa nello sguardo. Dopodiché Jules tornò sui suoi passi raggiunta immediatamente da altri due membri del branco.

 

“Come va con la luna piena?”

 

Cady domandò improvvisamente distogliendo lo sguardo dalla donna.

 

Un guizzo divertito fece capolino nello sguardo della giovane, mentre quel poco di colorito che era tornato volto di Tyler si assottigliava improvvisamente.

 

“Mi sembri un po’ giù di tono. Ad essere sinceri, la parola “terrore” è incisa a caratteri cubitali sulla tua faccia.”

 

“Smettila.”

 

Tyler la zittì bruscamente guardando da un'altra parte e infilandosi le mani in tasca. Il pensiero della notte incombente diffuse dentro di lui il panico che negli ultimi minuti era riuscito a ignorare con grande sforzo.

 

Cady prese a mordersi un’unghia tentando di nascondere dietro il pugno chiuso un sorrisetto sornione.

 

Prima o poi ci si abitua. Ci si abitua a tutto nel corso della vita. È nella natura di entrambi: gli uomini e i lupi.

 

Tyler dubitava che il suo corpo avrebbe mai potuto fare suo quel dolore insopportabile. L’incursione violenta di una seconda natura contro le sue ossa l’aveva dilaniato la prima volta e non era sicuro di poter resistere ad altre trasformazioni.

 

Era terrorizzato, ma questa volta gli veniva meno perfino il coraggio di ammetterlo.

 

Durante la notte, decine di esseri umani avrebbero subito la sua stessa metamorfosi, ma nessuno di loro si sarebbe occupato di lui come aveva fatto Caroline.

 

Erano un branco, ma nelle notti di luna piena si tramutavano in esseri tormentati dal proprio dolore: un dolore che non poteva essere condiviso.

 

“Non faremo del male a nessuno, vero?”

 

Non essendo in grado di sviscerare la sua paura più grande, Tyler ci girò intorno esponendo un’altra delle preoccupazioni che lo tormentava da un pezzo.

 

L’espressione di Cady si addolcì immediatamente.

 

“Non devi preoccuparti di questo.  C’è un posto speciale, un rifugio, preparato per le notti di luna piena. Non sono tanti i membri del branco che ne usufruiscono. Io sono una di loro: dopo quello che è successo quando ero piccola non sopporterei mai l’idea di fare del male a qualcuno. Hanno incominciato a portarmi lì quando ero ancora una bambina: ricordo che verso sera, un ragazzo di nome Mason mi prendeva in braccio e mi assicurava per bene alle catene in maniera che non fossero troppo strette. Dopodiché si sedeva accanto a me e giocavamo con Teddy, fino all’arrivo della luna. Teddy è così rovinato per quello: l’hanno dovuto rattoppare parecchie volte a causa dei miei morsi…

 

Mason hai detto?”

 

La mente di Tyler si era arenata su quel nome. Il cuore di Tyler ebbe un tremito, al pensiero di quanto fossero legati il suo destino e quello di Cady prima ancora di essersi conosciuti.

 

Faticò parecchio per ricacciare indietro una lacrima al pensiero di quanto sarebbe stato tutto più facile, se Mason fosse stato ancora lì. Se avesse ascoltato i suoi consigli e non si fosse intestardito così tanto per scoprire i segreti della pietra di luna.

 

Aveva bisogno di qualcuno che mettesse la sua sicurezza al primo posto.

Aveva bisogno della sua famiglia.

 

“Ti porterò con me. Si sta un po’ stretti, ma ti assicuro che saremo perfettamente al sicuro.

 

Cady terminò la frase sfiorando con delicatezza una mano di Tyler. In quel gesto, il ragazzo avvertì l’echeggiare di ricordi polverosi che gli infusero fiducia.

 

Ricordi appartenuti a un Tyler più giovane: il Tyler che credeva tutto possibile e che non si lasciava intimidire da nulla.

 

Gli mancava quella versione di se stesso.

 

 “Va bene se ho paura?”

 

Quella domanda infantile scaturì ingenuamente dalle sue labbra, mentre il ragazzo si sforzava di controllare il tremolio della sua voce.

 

La vergogna si diffuse dentro di lui con insolenza,  ma Cady la spazzò via all’istante stringendo con più energia la mano del ragazzo.

 

Anche io ho paura.”

 

Ammise sorridendo con dolcezza.  Finse di non notare le lacrime che pungevano lo sguardo di Tyler diretto con orgoglio verso un punto imprecisato alla loro destra.

 

“Ne ho sempre avuta e non provo vergogna a riguardo. Prima ti ho detto che trasformarsi diventerà un’abitudine, ma questo non significa che finirai per accettare ciò che la maledizione comporta. Noi siamo umani, Tyler. Se soffriamo, la nostra natura ci porta a domandarci perché siamo costretti a sopportare tutto quel dolore. Non è facile affrontarlo, ma sappi che quando succederà io sarò lì con te. Sono sufficientemente in grado di gestire al tempo stesso la paura di entrambi. Non sarai da solo Tyler. Questo posso promettertelo.”

 

Il ragazzo si limitò ad annuire non sentendosi in grado di pronunciare alcuna parola.

 

Un imponente fiotto di gratitudine aveva preso forma dentro di lui lenendo la paura che occupava ancora gran parte del suo animo.

 

Grazie.

 

Il suo non era un concetto poi così complicato da esprimere.

 

Ma per quanto si sforzasse, non riuscì a far sbocciare poco più che un timido sorriso appena abbozzato.

 

E per un attimo sentì che forse poteva farcela.

Era ancora impaurito e confuso.

 

E arrabbiato perfino.

 

Ma non era solo.

 

E quando Cady ricambiò il sorriso, seppe con certezza che non era necessario aggiungere qualcosa: quel “grazie”, seppure silenzioso, era stato recepito.

 

E le loro mani continuarono a sfiorarsi nella tiepida quiete del mattino.

 

 

"Volare mi fa paura"

stridette Fortunata alzandosi.
"Quando succederà, io sarò accanto a te"

miagolò Zorba leccandole la testa.

 

Da Storia di una Gabbianella

e del Gatto che le insegnò a volare.

 

“Come si chiama?”

La donna lupo tese le braccia per farsi passare quella bambina bionda candidamente addormentata fra le braccia del padre; sembrava tranquilla, ma le occhiaie bluastre e i mille tagli sulle manine paffute rivelavano cosa si nascondesse in realtà all’interno di quel corpicino gracile.

Il padre impiegò qualche minuto prima di rispondere all’interrogativo della donna lupo. Osservò la bambina con una freddezza che si tramutò in impacciata dolcezza man mano che il tempo scorreva.

“Cady.”

Dichiarò con voce ferma tentando di mantenere un certo contegno, abbandonando la piccola tra le braccia della donna.

“Cady sarà perfettamente al sicuro con il branco. Le cresceremo come se fosse uno dei nostri cuccioli.

Lo rassicurò lei osservando con tenerezza le ciglia frementi della bambina e le piccole labbra schiuse.

“Promettimelo.”

Il tono di voce del padre si fece d’un tratto feroce e aggressivo mentre nello sguardo un barlume color ambra appena percepibile indicò alla donna la seconda natura assopita in un angolo del suo animo.

“Promettimi che la proteggerai fino a quando non sarà adulta. Non la lascerai mai sola. Non dovrai farla fuggire. Promettimelo.”

La donna sapeva perfettamente che una promessa fra lupi non poteva essere infranta. Anche se uno dei due rinnegava la sua natura rifiutandosi di lasciarla scaturire.

Vi era un legame di fratellanza fra tutte le creature che portavano nel sangue lo stesso destino e voltare le spalle a quel vincolo equivaleva a uccidere.

Osservò quella bambina innocente. E osservò il padre, che non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figurina minuta tra le sue braccia. Le narici  della donna si impregnarono di un odore conducibile al rimorso. Rimorso mescolato a dolore: quell’uomo non avrebbe avuto una vita facile, da quel momento in poi.

“Lo prometto.”

Dichiarò infine tendendo la mano. Lui esitò a lungo prima di stringerla  anche quando le loro dita si intrecciarono, un’ombra di inquietudine e repulsione attraversò i suoi lineamenti fieri e impeccabili.

“Abbia cura di sé”.

Lo salutò la donna tentando di infondergli fiducia con un debole sorriso a mezzo volto. L’uomo aggrottò le sopracciglia e respirò forte prima di chinarsi per posare un ultimo bacio sulla fronte della bimba addormentata.

In quel frangente, la donna capì subito che un gesto del genere non  era qualcosa di usuale per lui.

“Addio.”

L’uomo rivolse un’ultima volta lo sguardo in direzione delle due figure e si allontanò verso il bosco in silenzio. Le mani strette a pugno e le braccia rigide lungo i fianchi.

Jules accarezzò con dolcezza il volto della piccola addormentata e le sorrise.

“Andrà tutto bene Cady.”

Mormorò prima di stringerla con delicatezza e di tornare all’accampamento.

 

Nota dell’autrice.

Ed ecco qui il secondo capitolo del mio folle esperimento. Questa volta il capitolo è quasi interamente dedicato a Cady. È la protagonista femminile del racconto, quindi c’era bisogno di raccontare almeno qual cosina su di lei. Il passato di Tyler e Cady farà capolino di frequente in questa storia, dunque preparatevi. Mi sono resa conto, che più scrivo, più i capitoli si allungano (mannaggia, mi succede sempre >.<). Il prossimo sarà ancora più lungo di questo e pero davvero di non annoiarvi. Nel prossimo faranno la loro prima comparsa anche Caroline e Jeremy, anche se sarà comunque maggiormente incentrato su Cady, tyler e l’accampamento. Prometto che poi dai successivi, Mystic Falls sarà sempre più presente.

La canzone che ho deciso di accostare al capitolo è una delle mie preferite. S’intitola Broken Angel e tratta di un rapporto conflittuale fra padre e figlia e la difficoltà di quest’ultima nell’accettare la delusione nei confronti dell’uomo che condivide il suo stesso sangue. Il testo l’ho trovato particolarmente adattabile alla situazione di Cady, e in particolare reputo perfettamente calzante la frase che ho citato. Per quanto riguarda il passaggio de “La gabbianella e il gatto”, è stata una mia debolezza, lo ammetto. Lo accosto sempre a Ttyler e ho voltuo inserirlo, mi sembrava ci si adattasse abbastanza bene.

 

Ringrazio in maniera esorbitante le persone che hanno recensito lo scorso capitolo :le ragazze del forum ( in ordine alfabetico Alys,Marty,Giuls,Glo), KimyKu, Miseichan e alister_. Le vostre parole sono importantissime per me, non smetterò mai di ripeterlo.

 

Grazie ancora anche a Fiery e al suo betaggio. E grazie anche ai pochi lettori silenziosi che passano di qui nella speranza di poter ricevere prima o poi qualche vostra parolina (Cady è parecchio curiosa di conoscervi).

 

Un abbraccio

 

Laura

 

 

 

   
 
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