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Chapter two
You were his
daughter.
And now you've grown up
With this notion that you were to blame
And you seem so strong sometimes
But I know that you still feel the same
As that little girl who shined like an angel
Even after his lazy heart put you
through hell
Broken
Angel. Boyce Avenue
La bimba procedeva a passo lento
arrancando dietro al padre, inciampando di tanto in tanto.
“Dove stiamo andando?”
La piccola mormorò con voce impastata
di sonno. Con la manina libera si stropicciò un occhietto insonnolito e
sbadigliò.
“Andiamo da mamma e Teddy?”
L’uomo non rispose. Continuò ad
addentrarsi per la radura serrando con forza la propria mano attorno a quella
della bambina che faceva del suo meglio per stare al passo.
Cady osservò con aria sempre meno
intorpidita l’eleganza dei tronchi d’albero impilati in disordine ovunque
attorno a lei.
Le piaceva quel bosco.
Si divertiva ad ascoltare il canto
degli uccelli la mattina e il fruscio del vento a stretto contatto con le
foglie la sera.
Ma
erano mesi che trascorreva gran parte delle sue giornate da sola, in quella
piccola casetta in mezzo al bosco che le ricordava un po’ quella di Hansel e
Gretel.
Le mancava la mamma. Le mancava Teddy.
Le mancava perfino l’asilo.
“Papà quando torniamo a casa? Quando papà?”
L’uomo continuò a trascinare la bambina
per mano ignorando il cinguettare innocente della sua voce.
Si muoveva di fretta,
lo sguardo puntato contro un punto imprecisato della radura.
Da tempo
si sforzava di non rivolgere nemmeno un’occhiata in direzione di quella
creatura che condivideva con lui lo stesso sangue.
I suoi occhi fuggivano, evitando
accuratamente quei capelli biondissimi, quelle orecchie leggermente a punta, da
folletto. Quegli occhi ambrati dal taglio identico al suo.
Camminava. In fretta, per dimenticare
che era di un angelo quella manina candida che stringeva la sua con
disinvoltura.
Era di un angelo l’andatura che con
pazienza rincorreva i suoi passi con saltelli incerti.
Un angelo che per mano sua era in
procinto di tramutarsi in un mostro.
“Non torneremo a casa.”
Le parole risuonarono tetre nella
penombra del mattino simili al latrato di un lupo ferito.
“Ma la mamma…”
“Tua madre non ti vuole più. Adesso
stai zitta e cerca di camminare più in fretta.”
Una piccola lacrima incolore solcò la
guancia dell’uomo, mentre la piccola accelerava il passo, lo sguardo
improvvisamente triste.
La scintilla che caratterizzava quegli
occhi imperlati d’innocenza scomparve proprio quel giorno.
In quel momento, due parole terse di
rimorso sfrecciarono nella testa del padre ma non furono sufficienti a
cancellare l’orrore che stava per commettere.
Nessuna parola lo sarebbe stata.
Nessuna.
“Mi
dispiace.”
“C’è
qualcosa che non va?”
Tyler
distolse lo sguardo dall’azzurra limpidezza del cielo e si voltò in direzione
della tenda.
Era
una di quelle giornate piacevolmente soleggiate che fanno spuntare un sorriso
spontaneo non appena si mette piede fuori casa.
Ma
per Tyler, quella mattina, non era altro che una veglia angosciante verso uno
dei dolori più laceranti della sua esistenza; quella sera ci sarebbe stata la
luna piena e il ragazzo non si sentiva per nulla pronto ad affrontarla.
Era
spaventato: la tensione lo costringeva a muoversi di continuo, non riuscendo a
trovare una posizione in cui poter restare immobile per più di qualche minuto.
Sapeva
solo che se si fosse fermato un attimo per riprendere fiato, il respiro si
sarebbe smorzato e l’ansia avrebbe preso il sopravvento su di lui.
In
tutta la sua vita, solo una volta aveva avvertito tutta quella paura cadergli
addosso con la stessa intensità.
Era
molto piccolo tre,quattro anni al massimo.
Una
mattina si era svegliato e come tutti i giorni si era
recato in bagno per lavarsi e pettinarsi con cura: fin da piccolo, Tyler era
stato abituato all’ordine e alla disciplina, e quelle operazioni erano
considerate sacre da ogni membro della sua famiglia.
Quella
mattina, tuttavia Tyler si sentiva strano.
Era
arrabbiato, anche se non sapeva il perché.
E
spaventato. Talmente spaventato che desiderava piangere, anche se non aveva
idea di cosa potesse essere successo.
Probabilmente
era colpa di suo padre: era sempre colpa di suo padre.
Sicuramente
il giorno precedente Tyler doveva aver ceduto un’altra volta alla tentazione di
infilarsi nel suo studio e di curiosare fra le sue carte.
Sapeva
che era proibito, e proprio per quello il desiderio di andare a giocare là
dentro gli risultava incredibilmente allettante.
E
disegnare. Oh, quanto era piacevole ripassare i bordi dei suoi documenti con i
pastelli, ben sapendo che il padre sarebbe andato su tutte le furie.
Ogni
giorno sgusciava di nascosto dentro lo stanzino silenzioso e spulciava fra le
carte, finché non trovava un foglietto dimenticato all’angolo di qualche
cassetto, e lo impregnava di colore.
L’idea
di fare qualcosa che suo padre gli aveva vietato senza che lui riuscisse ad
accorgersene era per il piccolo Tyler, la maggiore delle soddisfazioni.
Lo
faceva sentire in gamba; molto più sveglio di quanto pensasse Richard.
La
sua intraprendenza tuttavia, gli costò cara diverse
volte. E in quelle particolari occasioni, Tyler fu costretto a ritirarsi nel
letto con le lacrime agli occhi e il sedere bruciante di sculacciate.
Questo
quando gli andava bene.
Quella
particolare mattina, tuttavia, Tyler non si era svegliato dolorante. Eppure
sentiva di avere paura. Avrebbe voluto correre a rifugiarsi nel letto della
madre, ma nemmeno lei era in casa. Quel giorno si era svegliata presto per
svolgere delle commissioni e il piccolo Lockwood era rimasto in casa da solo a
vedersela con quella rabbia irrazionale che gli bruciava in petto.
Era
furioso, aveva paura, e non c’era nessuno per lui a tentare di lenire lo
sconforto.
In
quel tiepido mattino di tredici anni dopo, Tyler si sentiva alla stessa
maniera.
Si
avvicinò con aria stanca a una delle tende sfilandosi con una mano il sudore
che gli imperlava la fronte.
Cady
sedeva a gambe incrociate sul tappetino d’ingresso osservando con aria vacua il
nulla di fronte a sé.
Fra
le mani reggeva un orsacchiotto di pezza ormai consunto.
“Stavo
parlando con te.”
Cady
si accorse solo in quel momento che il ragazzo la stava osservando con
espressione tesa: il suo volto era così pallido, che la giovane pensò di
vederlo svenire da un momento all’altro.
“Scusami.
Mi ero incantata un attimo”.
La
ragazza borbottò sbattendo un paio di volte le palpebre e concedendo un sorriso
debole a Tyler.
“La
vigilia della luna piena comporta sempre lo stesso giro di ricordi per me.”
Tyler
decise di tentare la fortuna e di provare a restare fermo per qualche minuto
sperando che la paura non prendesse il sopravvento. Si sistemò sul tappeto di
fianco a Cady e si portò le ginocchia al petto. Dedicò
i minuti successivi ad alternare il proprio sguardo dal cielo a Cady: il suo
viso era così rilassato che Tyler avvertì quasi una leggera patina di conforto farsi strada dentro di lui.
“Pensavo
a mio padre.”
Mormorò
infine Cady portando l’orsacchiotto di fronte a sé ed
osservandolo con aria stanca.
“Anche io.”
Tyler
fu sorpreso di ammettere una cosa del genere mentre lanciava un’occhiata bieca
al pupazzo consunto.
Cady sorrise passando con tenerezza una mano callosa fra le
orecchie dell’orso.
“È
stato lui a trasformarmi.”
Annunciò
con voce priva di espressione.
“Io
ero il suo esperimento.”
Tyler
sgranò gli occhi incredulo non riuscendo a comprendere a pieno ciò che la
ragazza stava pronunciando.
“Mi
stai dicendo che ti ha costretto a…”
“Avevo
quattro anni.”
Un
guizzo divertito fece capolino sul volto di Cady e Tyler si agitò
ulteriormente.
“Sapeva
che per un discendente dalla stirpe dei licantropi commettere un omicidio
avrebbe comportato l’innescarsi della maledizione,ma
non sapeva quali sarebbero state le conseguenze. O per lo meno questo è ciò a cui ho deciso di credere. Ad ogni modo, non volendo
rischiare scatenando la maledizione su di sé, deve aver pensato che io fossi la
soluzione perfetta. Ero piccola, talmente piccola che
non riusciva a ritenermi un pericolo. Perciò, mi ha portato via da casa e per
un po’ mi ha cresciuta nel bosco,aspettando il momento
giusto. Sono passati mesi, forse anni: non saprei dirlo con certezza. Credo che
in realtà mio padre stesse semplicemente aspettando di trovare il coraggio per
porre fine a tutta quella faccenda.”
Concluse
adagiandosi l’orsacchiotto sulle ginocchia. Fra i due ragazzi si sollevò un
innaturale silenzio, lenito solamente dal vociare confuso di altri membri del
branco che parlottavano in lontananza.
“Tutto
questo è assurdo.”
Tyler
scosse il capo con aria scettica dimenticando solo per qualche istante
l’imminente arrivo della luna piena.
Era
palese che Cady avesse vissuto la sua prima trasformazione da molto più tempo
rispetto a lui; lo si poteva individuare nei suoi
movimenti a tratti più animaleschi che umani o nella maniera aggressiva con cui
si premurava di difendere tutto ciò che la riguardava. In molti degli
atteggiamenti di Cady, Tyler riusciva a riconoscere alcune caratteristiche che
gli ricordavano i lupi.
Tuttavia
si rifiutava di accettare ciò che la ragazza gli aveva appena raccontato;
portare una bambina in un bosco, privarla della propria famiglia e costringerla
a dire addio alla sua umanità?
Nessuna
persona avrebbe mai potuto fare una cosa simile alla propria figlia.
Perfino
suo padre, quell’uomo egoista e tal volta crudele che l’aveva cresciuto, non
gli avrebbe mai permesso di correre un rischio del
genere al solo obbiettivo di soddisfare una propria curiosità.
La salute della propria famiglia viene
prima di tutto.
Non
era forse anche quella una delle innumerevoli frasi fatte di Richard Lockwood?
Non
c’era padre che avrebbe potuto commettere una crudeltà simile: non si distrugge
così una bambina.
Eppure,
nonostante questa convinzione, Tyler non riuscì a ignorare un velo improvviso di
tristezza depositatosi sugli occhi di Cady.
Era
come se il bagliore di entusiasmo ed energia che caratterizzava il suo sguardo
si fosse affievolito tutto a un tratto, mostrandogli il grigiore di una Cady
che in quelle poche settimane trascorse all’accampamento non aveva mai
incontrato.
Improvvisamente
avvertì il violento bisogno di tornare a casa. Non riuscì a comprendere se
fosse per via della luna piena o se la colpa spettasse alla rivelazione
angosciante della ragazza.
Tutto
ciò che sapeva era che per quanto si sforzasse, una
parte di lui non riusciva ad adattarsi completamente a quella nuova vita.
Certo,
era tutto più facile, lì.
All’accampamento
non doveva delle spiegazioni a nessuno. I giorni si susseguivano con la stessa
identica cadenza uno dietro l’altro e fintanto che Tyler non mettesse piede
nella tenda del lupo alfa, non vi
erano particolari regole da rispettare.
Era
come una sorta di vacanza: una sosta momentanea dalla fitta matassa di problemi
e preoccupazioni che occupavano il suo cuore sin dalla morte di suo padre.
Ma
i pensieri non erano scomparsi: si era semplicemente premurato di accantonare
tutto in un angolo.
Tyler
fece per sollevarsi, quando invece si trovò a osservare con aria confusa
l’orsacchiotto che ancora si trovava sulle gambe della ragazza.
“Quello
è di quando eri piccola?”
Domandò
indicandolo con un cenno del capo.
Cady
sorrise dolcemente, sfilando con quel gesto la malinconia che si era arenata
nel suo sguardo.
“Lui
è Teddy.”
Spiegò
la ragazza passando l’orsetto a Tyler che se lo rigirò fra le mani con aria
imbarazzata.
“ E’ un regalo di Jules risalente ai miei primi giorni qui
all’accampamento.
Non ricordo molto di quel periodo, però mi hanno detto che non facevo altro che
dormire e al mio risveglio snocciolavo le stesse parole una dietro l’altra,
come se stessi intonando una filastrocca: mamma, papà, Teddy.
Jules
pensò che mi stessi riferendo a un orsacchiotto di peluche, perciò fece un
salto nel villaggio più vicino per procurarmene uno. Questo è lo stesso
orsacchiotto che mi diede dieci anni fa e ha un significato speciale per me.
Quando lo abbracciai per la prima volta, capii che forse c’era ancora qualcuno
disposto a prendersi cura di me. Capii che nonostante la mia casa non fosse più
di mattoni, ma di stoffa, io ero ancora una bambina come tutte le altre. E
avevo un orsetto a dimostrazione di tutto ciò.”
Non
vi era risentimento nelle parole di Cady: solo un ingenuo alone di sincerità.
La
conosceva appena da poche settimane, ma Tyler non
riusciva a evitare di ascoltare con attenzione qualsiasi cosa frase
fuoriuscisse dalle sue labbra sottili. La schiettezza con cui la ragazza-lupo
esprimeva qualsiasi cosa gli passasse per la testa, lo disarmava. Essendo
cresciuto all’ombra delle menzogne, per Tyler la verità non era altro che un
potere meraviglioso e sconosciuto.
“Se
Teddy non era un orsacchiotto di peluche… chi era
allora? Il tuo animale domestico?”
Tyler
domandò incuriosito, sentendosi un po’ stupido nell’azzardare una domanda
simile.
Cady
rise di gusto sollevandosi in piedi per sgranchirsi le ginocchia nodose.
“Teddy
era mio fratello. Almeno credo. Non ricordo molto del mio passato, ero troppo
piccola quando sono stata prelevata da casa mia. Però ricordo
che c’era un Teddy.”
“Pensi
che tuo padre abbia fatto lo stesso con lui?”
“No,
credo di no. La mia trasformazione l’ha scosso, questo me lo ricordo. Anche in
vesti di lupo ero un cucciolo, ma sono comunque riuscita a procurargli delle
belle ferite. Ricordo di avergli quasi strappato via la mano a morsi...”
“Le
conseguenze di una curiosità divorante...”
Doveva
essere una battuta sarcastica, ma Cady scoppiò a
ridere di gusto.
A
Tyler non dispiaceva la sua risata. Suonava terribilmente…
umana.
“Tutto
bene voi due?”
Jules
gridò loro da lontano schermandosi gli occhi con una
mano per difendersi dalla luce del sole.
Tyler aggrottò le sopracciglia con aria scostante, mentre Cady sorrise
vivacemente sollevando il pollice in direzione della donna.
Il
licantropo alfa li osservò
entrambi per un paio di istanti con qualcosa simile alla tenerezza incisa nello
sguardo. Dopodiché Jules tornò sui suoi passi raggiunta immediatamente da altri
due membri del branco.
“Come
va con la luna piena?”
Cady
domandò improvvisamente distogliendo lo sguardo dalla donna.
Un
guizzo divertito fece capolino nello sguardo della giovane, mentre quel poco di
colorito che era tornato volto di Tyler si assottigliava improvvisamente.
“Mi
sembri un po’ giù di tono. Ad essere sinceri, la
parola “terrore” è incisa a caratteri cubitali sulla tua faccia.”
“Smettila.”
Tyler
la zittì bruscamente guardando da un'altra parte e infilandosi le mani in
tasca. Il pensiero della notte incombente diffuse dentro di lui il panico che
negli ultimi minuti era riuscito a ignorare con grande sforzo.
Cady
prese a mordersi un’unghia tentando di nascondere dietro il pugno chiuso un sorrisetto sornione.
“Prima o poi ci si abitua. Ci si abitua a tutto nel corso
della vita. È nella natura di entrambi: gli uomini e i lupi.”
Tyler
dubitava che il suo corpo avrebbe mai potuto fare suo
quel dolore insopportabile. L’incursione violenta di una seconda natura contro
le sue ossa l’aveva dilaniato la prima volta e non era sicuro di poter
resistere ad altre trasformazioni.
Era
terrorizzato, ma questa volta gli veniva meno perfino il coraggio di
ammetterlo.
Durante
la notte, decine di esseri umani avrebbero subito la sua stessa metamorfosi, ma
nessuno di loro si sarebbe occupato di lui come aveva fatto Caroline.
Erano
un branco, ma nelle notti di luna piena si tramutavano in esseri tormentati dal
proprio dolore: un dolore che non poteva essere
condiviso.
“Non
faremo del male a nessuno, vero?”
Non
essendo in grado di sviscerare la sua paura più grande, Tyler ci girò intorno
esponendo un’altra delle preoccupazioni che lo tormentava da un pezzo.
L’espressione
di Cady si addolcì immediatamente.
“Non
devi preoccuparti di questo. C’è un
posto speciale, un rifugio, preparato per le notti di luna piena. Non sono
tanti i membri del branco che ne usufruiscono. Io sono una di loro: dopo quello che è successo quando ero piccola non sopporterei mai
l’idea di fare del male a qualcuno. Hanno incominciato a portarmi lì quando ero ancora una bambina: ricordo che verso sera, un
ragazzo di nome Mason mi prendeva in
braccio e mi assicurava per bene alle catene in maniera che non fossero troppo
strette. Dopodiché si sedeva accanto a me e giocavamo con Teddy, fino
all’arrivo della luna. Teddy è così rovinato per quello: l’hanno dovuto
rattoppare parecchie volte a causa dei miei morsi…”
“Mason hai
detto?”
La
mente di Tyler si era arenata su quel nome. Il cuore di Tyler ebbe un tremito,
al pensiero di quanto fossero legati il suo destino e quello di Cady prima
ancora di essersi conosciuti.
Faticò
parecchio per ricacciare indietro una lacrima al pensiero di quanto sarebbe
stato tutto più facile, se Mason fosse
stato ancora lì. Se avesse ascoltato i suoi consigli e
non si fosse intestardito così tanto per scoprire i
segreti della pietra di luna.
Aveva
bisogno di qualcuno che mettesse la sua sicurezza al primo posto.
Aveva
bisogno della sua famiglia.
“Ti
porterò con me. Si sta un po’ stretti, ma ti assicuro che saremo perfettamente
al sicuro.”
Cady
terminò la frase sfiorando con delicatezza una mano di Tyler. In quel gesto, il
ragazzo avvertì l’echeggiare di ricordi polverosi che gli infusero fiducia.
Ricordi
appartenuti a un Tyler più giovane: il Tyler che credeva tutto possibile e che
non si lasciava intimidire da nulla.
Gli
mancava quella versione di se stesso.
“Va bene se ho paura?”
Quella
domanda infantile scaturì ingenuamente dalle sue labbra, mentre il ragazzo si
sforzava di controllare il tremolio della sua voce.
La
vergogna si diffuse dentro di lui con insolenza, ma Cady la spazzò via all’istante
stringendo con più energia la mano del ragazzo.
“Anche io ho paura.”
Ammise
sorridendo con dolcezza. Finse di non
notare le lacrime che pungevano lo sguardo di Tyler diretto con orgoglio verso
un punto imprecisato alla loro destra.
“Ne
ho sempre avuta e non provo vergogna a riguardo. Prima ti ho detto che
trasformarsi diventerà un’abitudine, ma questo non significa che finirai per
accettare ciò che la maledizione comporta. Noi siamo umani, Tyler. Se
soffriamo, la nostra natura ci porta a domandarci perché siamo costretti a
sopportare tutto quel dolore. Non è facile affrontarlo, ma sappi che quando
succederà io sarò lì con te. Sono sufficientemente in
grado di gestire al tempo stesso la paura di entrambi. Non sarai da solo Tyler.
Questo posso promettertelo.”
Il
ragazzo si limitò ad annuire non sentendosi in grado di pronunciare alcuna
parola.
Un
imponente fiotto di gratitudine aveva preso forma dentro di lui lenendo la
paura che occupava ancora gran parte del suo animo.
Grazie.
Il
suo non era un concetto poi così complicato da esprimere.
Ma
per quanto si sforzasse, non riuscì a far sbocciare poco più che un timido
sorriso appena abbozzato.
E
per un attimo sentì che forse poteva farcela.
Era
ancora impaurito e confuso.
E
arrabbiato perfino.
Ma
non era solo.
E
quando Cady ricambiò il sorriso, seppe con certezza che non era necessario
aggiungere qualcosa: quel “grazie”, seppure silenzioso, era
stato recepito.
E le
loro mani continuarono a sfiorarsi nella tiepida quiete del mattino.
"Volare mi fa paura"
stridette Fortunata
alzandosi.
"Quando succederà, io sarò accanto
a te"
miagolò
Zorba leccandole la testa.
Da Storia di una Gabbianella
e del Gatto che le insegnò a
volare.
“Come
si chiama?”
La
donna lupo tese le braccia per farsi passare quella bambina bionda candidamente
addormentata fra le braccia del padre; sembrava tranquilla, ma le occhiaie
bluastre e i mille tagli sulle manine paffute rivelavano cosa si nascondesse in
realtà all’interno di quel corpicino gracile.
Il
padre impiegò qualche minuto prima di rispondere all’interrogativo della donna
lupo. Osservò la bambina con una freddezza che si tramutò in impacciata
dolcezza man mano che il tempo scorreva.
“Cady.”
Dichiarò
con voce ferma tentando di mantenere un certo contegno, abbandonando la piccola
tra le braccia della donna.
“Cady
sarà perfettamente al sicuro con il branco. Le cresceremo come se fosse uno dei
nostri cuccioli.”
Lo
rassicurò lei osservando con tenerezza le ciglia frementi della bambina e le
piccole labbra schiuse.
“Promettimelo.”
Il
tono di voce del padre si fece d’un tratto feroce e
aggressivo mentre nello sguardo un barlume color ambra appena percepibile
indicò alla donna la seconda natura assopita in un angolo del suo animo.
“Promettimi
che la proteggerai fino a quando non sarà adulta. Non la lascerai mai sola. Non
dovrai farla fuggire. Promettimelo.”
La
donna sapeva perfettamente che una promessa fra lupi non poteva essere
infranta. Anche se uno dei due rinnegava la sua natura rifiutandosi di
lasciarla scaturire.
Vi
era un legame di fratellanza fra tutte le creature che portavano nel sangue lo
stesso destino e voltare le spalle a quel vincolo equivaleva a uccidere.
Osservò
quella bambina innocente. E osservò il padre, che non riusciva a distogliere lo
sguardo dalla figurina minuta tra le sue braccia. Le narici della donna si impregnarono di un
odore conducibile al rimorso. Rimorso mescolato a dolore: quell’uomo non
avrebbe avuto una vita facile, da quel momento in poi.
“Lo
prometto.”
Dichiarò
infine tendendo la mano. Lui esitò a lungo prima di stringerla anche quando le loro
dita si intrecciarono, un’ombra di inquietudine e repulsione attraversò i suoi
lineamenti fieri e impeccabili.
“Abbia
cura di sé”.
Lo
salutò la donna tentando di infondergli fiducia con un debole sorriso a mezzo
volto. L’uomo aggrottò le sopracciglia e respirò forte prima di chinarsi per
posare un ultimo bacio sulla fronte della bimba addormentata.
In
quel frangente, la donna capì subito che un gesto del genere non era qualcosa di
usuale per lui.
“Addio.”
L’uomo
rivolse un’ultima volta lo sguardo in direzione delle due figure e si allontanò
verso il bosco in silenzio. Le mani strette a pugno e le
braccia rigide lungo i fianchi.
Jules
accarezzò con dolcezza il volto della piccola addormentata e le sorrise.
“Andrà
tutto bene Cady.”
Mormorò
prima di stringerla con delicatezza e di tornare all’accampamento.
Nota dell’autrice.
Ed ecco
qui il secondo capitolo del mio folle esperimento. Questa volta il capitolo è
quasi interamente dedicato a Cady. È la protagonista femminile del racconto,
quindi c’era bisogno di raccontare almeno qual cosina su di lei. Il passato di
Tyler e Cady farà capolino di frequente in questa storia, dunque preparatevi.
Mi sono resa conto, che più scrivo, più i capitoli si allungano (mannaggia, mi succede sempre >.<).
Il prossimo sarà ancora più lungo di questo e pero davvero di non annoiarvi.
Nel prossimo faranno la loro prima comparsa anche Caroline e Jeremy, anche se
sarà comunque maggiormente incentrato su Cady, tyler
e l’accampamento. Prometto che poi dai successivi, Mystic Falls sarà sempre più
presente.
La
canzone che ho deciso di accostare al capitolo è una delle mie preferite. S’intitola
Broken Angel e tratta di un rapporto
conflittuale fra padre e figlia e la difficoltà di quest’ultima nell’accettare la
delusione nei confronti dell’uomo che condivide il suo stesso sangue. Il testo
l’ho trovato particolarmente adattabile alla situazione di Cady, e in
particolare reputo perfettamente calzante la frase che ho citato. Per quanto
riguarda il passaggio de “La gabbianella e il gatto”,
è stata una mia debolezza, lo ammetto. Lo accosto sempre a Ttyler
e ho voltuo inserirlo, mi sembrava ci si adattasse
abbastanza bene.
Ringrazio
in maniera esorbitante le persone che hanno recensito lo scorso capitolo :le ragazze del
forum ( in ordine alfabetico Alys,Marty,Giuls,Glo), KimyKu, Miseichan e alister_. Le vostre parole sono importantissime per me, non smetterò mai di
ripeterlo.
Grazie
ancora anche a Fiery e al suo betaggio.
E grazie anche ai pochi lettori silenziosi che passano di qui nella speranza di
poter ricevere prima o poi qualche vostra parolina (Cady è parecchio curiosa di
conoscervi).
Un
abbraccio
Laura