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Autore: Aribea398    23/04/2011    2 recensioni
Cassandra, vampira sempre abituata a vivere nei sotterranei di Venezia, è a capo, insieme al suo patrigno Edgard, di tutti i vampiri che abitano il nostro mondo moderno.
Dopo una notte di caccia per le vie della città rischia di uccidere un ragazzo, Florenzo, che, scoprendo il loro segreto, diviene il "padrone" di Cassandra.
Lei all'inizio è scettica, ma ritornerà a vivere grazie ai suoi occhi cobalto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Blackout"

 

Cancellai per l'ennesima volta la stessa guglia sbuffando sonoramente.

Florenzo stava leggendo sottovoce la lezione di storia: la prima rivoluzione industriale, me la ricordavo bene.

Ero sdraiata sulla moquette a pancia in giù facendo dondolare le gambe avanti e indietro. Soffiai i trucioli di gomma che volarono per gran parte della stanza. Mi mancava solo la guglia principale, la più grande e poi avrei finito. Iniziai a fischiettare un motivetto del periodo romantico mentre cercavo di lottare contro la frangetta che non mi permetteva di vedere. Ero abbastanza arrugginita nel disegno, non ero io quella brava in famiglia. Stranamente lo era Sebastian: quando teneva in mano il pennello e la tavolozza tutta imbrattata di colore riusciva a controllare meglio la sua forza. Nei primi anni durante la sua trasformazione non riusciva neanche a tenere in mano un bicchiere senza che si frantumasse. Nella stanza del trono c'è un'affresco che lui continua a ritoccare quasi ogni settimana a causa dell'umidità, che regna nelle segrete, dove sono raffigurati i sei membri della famiglia. Sembra un dipinto del settecento e difatti lo è.

Quando raggiunsi il pezzo più allegro del brano che stavo eseguendo fischiando mi arrivò in testa un libro enorme e pesante: non mi fece niente, ma procurò un grande tonfo.

<< Non fare rumore, Viola sta dormendo nell'altra stanza. Anche se siamo in soggiorno non vuol dire che possiamo fare rumore. >> Mi disse sibilando fra i denti.

Gli allungai il dizionario di latino che aveva usato a mo' di pietra lapidaria.

Mi alzai facendo leva sui gomiti e presi da terra il foglio e le varie matite per poi dirigermi svogliatamente verso il tavolo dove studiava il ragazzo.

<< Tieni, ho fatto quello che ho potuto… >> Gli posai il foglio sopra al libro costringendolo a smettere di leggere e iniziai a sfregarmi stancamente il volto.

<< Ma voi vampiri non dovreste essere mai stanchi? Da quando ti conosco sarà la decima volta che ti strofini gli occhi. >> Mi disse alzando un sopracciglio chiaro per poi osservare con occhio esperto la tavola del Duomo.

<< Noi non dormiamo mai, ma a volte ci capita, quando siamo stanchi o stressati di cadere in un limbo. Hai presente Dracula e la sua bara? Il concetto è lo stesso solo che a volte è inevitabile e ci ritroviamo a cadere come pere cotte. Succede soprattutto ai vampiri che quando cacciano non uccidono la "preda". Ho una teoria al riguardo: un secondo prima della morte il cervello rilascia nel sangue una forte dose di adrenalina ed è proprio quest'ultima che ci permette di rimanere svegli per sempre. La mia famiglia, non assumendo a pieno l'adrenalina di voi umani rimane più debole, ma comunque ci sono i nostri poteri a compensarci. >> Presi una mela rossa dal cesto e ne staccai un grosso morso. Mi pulii con una manica l'angolo della bocca perché un po' del succo era colato.

<< E quali poteri sarebbero, oltre leggere nella mente? >> Aveva posato il foglio da un lato e aveva tolto il tappo ad un evidenziatore giallo per sottolineare una parola sul libro.

<< Perdonami, ma adesso non ne ho voglia di elencarli tutti, sarà per la prossima volta, ti va bene? >> Annuì un po' deluso e ricominciò a studiare, con più trasporto di prima.

Quando finii di rosicchiare il torsolo della mela la buttai nel cestino che il ragazzo mi aveva indicato. Cominciai a camminare avanti e indietro sbuffando e soffiando come un animale in gabbia. Dopo un'occhiataccia del mio padrone e il suo ordine di stare ferma mi sdraiai sul divano sfondato abbandonando il capo su un bracciolo e incrociando le braccia sul petto: era una posizione rilassante, mi mettevo sempre così quando sentivo che il periodo di limbo, o meglio definito "momento di stasi", stava arrivando.

Le palpebre non mancarono di farsi sentire pesanti e mi sentii pian piano sprofondare, il filo che mi teneva collegato alla realtà diventava sempre più labile fino a spezzarsi con uno schiocco secco e tutto diventò nero.  

Immagini vorticarono davanti a me, chiare e voluttuose al mio sguardo. Poi pian piano tutto divenne più delineato e mi ritrovai ad osservare tutte le mie esperienze, dalla prima all'ultima, da quando ero solo una bambina a quando quella maledetta notte avevo incontrato Florenzo. La zona di limbo era la cosa più vicina al sogno che noi potevamo raggiungere, ci permetteva di ragionare su quello che facevamo, ci aiutava a migliorarci mostrandoci sotto una lente di ingrandimento tutte le nostre azioni, che fossero misericordiose o malvagie.

Ripercorrendo tutte le fatiche e le negazioni che io ed Edgard avevamo affrontato per diventato quello che siamo diventati non fece altro che accrescere il mio rancore verso quel ragazzo, che in per sé non aveva fatto niente, ma mi aveva rovinato l'esistenza.

A un certo punto sentii qualcosa di caldo sfiorarmi la mano per poi concentrarsi sul polso, velocemente si staccò per posarsi sul mio cullo e poi sul mio cuore. Quella cosa cominciò a smuovermi e con un altro suono secco, simile al suono di un coro in una cattedrale ritornai alla realtà spalancando gli occhi per poi socchiuderli a causa della forte luce che aleggiava nella stanza.

Di fronte a me c'era un viso di donna, che identificai come la madre di Florenzo.

<< Oh, cara! Grazie al cielo ti sei svegliata. Proviamo da non so quanto tempo a farti svegliare. Poi non riuscivo a sentire il tuo battito… La tua pelle era così dura e fredda che pensavo fossi morta. Oh Dio! Ho avuto così tanta paura! >> La donna iniziò a singhiozzare: la potevo comprendere, una ragazza morta in casa non farebbe piacere a tutti e poi era molto stressata a causa delle condizioni di Viola, sua figlia.

Cercai di rassicurarla come meglio potevo a cercai di rialzarmi, ma le piccole mani di madre mi obbligarono a ristendermi.

<< Cara, sono un'infermiera. Quando si hanno cali di pressione così importanti bisogna stare sdraiati e aspettare che tutto ritorni nella norma. >> Detto questo si incamminò verso la piccola cucina verde e con movimenti sicuri prese un bicchiere che riempì d'acqua e in seguito da un contenitore bianco e giallo prese dello zucchero: ho capito cosa voleva fare.

Bevvi il liquido estremamente dolce e mi sistemai il cuscino sotto i piedi che mamma Rosa (così si chiamava) mi aveva porso.

Nel frattempo il ragazzo sogghignava e a stento riusciva a trattenere le risa nonostante le mie occhiate tutt'altro che amorevoli.

La signora Rosa insistette di chiamare a casa mia, ignara che vivevo in una segreta. Gli dissi l'unico numero che avevamo visto che rifiutavamo ogni tipo di cellulari e oggetti elettronici annessi. La donna si meravigliò che avessimo un numero di telefono composto quasi da soli zeri e le mentii dicendole che quel numero apparteneva già a mio nonno, sorvolando sul fatto che era stata proprio io a firmare il contratto per il servizio molti anni addietro.

Mi passò la cornetta del telefono a disco e mi immaginai dall'altra parte Edgard con in mano il nostro vecchio telefono a muro di legno.

<< Pronto, posso aiutarla? >> Notai divertita che non aveva detto nessun cognome o il nome della casata: non lo avevamo ancora deciso dopo secoli e secoli.

<< Salve Serena, mi può passare mio "padre", Edgard? >>

<< Certo signorina Cassandra. >> Aspettai qualche istante e la sua voce mi arrivò un po' distorta a causa dell'oggetto antico, il quale il mio colloquiatore stava adoperando.

<< Ciao papà, sono a casa di Florenzo e sono svenuta, mi puoi venire a prendere? >> Dissi quella frase sperando che capisse quello che in realtà gli volevo dire.

<< Tu mi manderai al manicomio. Arrivo subito, oggi abbiamo finito il passaggio. >> Riagganciai la cornetta e mi sdraiai di nuovo cercando di pensare ad altro pur di non ricadere di nuovo in stasi.

Dopo pochi minuti sentii il citofono emettere un suono sgraziato che mi costrinse a coprirmi le orecchie con le mani. Ero ancora troppo sensibile a causa del risveglio improvviso.

Chiusi gli occhi e mi rilassai leggermente quando un dito mi tamburellò sulla fronte. I miei occhi caddero in quelli azzurro cielo di Angelica che mi sorrise per poi cercare con lo sguardo Florenzo.

<< Ciao, tu devi essere Florenzo. Io sono la sorellina di Cassandra, piacere. >> Gli strinse calorosamente la mano e iniziò una fitta conversazione chiedendogli tutti gli aspetti della sua vita. Cercai di salvare il ragazzo dall'interrogatorio, ma nel frattempo Edgard stava tranquillizzando la signora Rosa sul fatto che io stessi bene e che mi succedeva raramente.

Per rendere credibile il fatto che fossi solo svenuta mi feci prendere in braccio dal mio patrigno fingendo che mi girasse la testa. Eravamo già dalla porta quando ci rendemmo conto che Angelica parlava ancora col ragazzo. Riuscimmo a staccarla da lui solo dopo che la voce autorevole di Edgard l'avvertì che ce ne stavamo andando via.

Mi scappò un sorriso nel vedere che Florenzo era rimasto come abbagliato da quella vampira così solare tanto che mi passò per la mente che si fosse preso una cotta. Chissà Richart quando lo verrà a sapere… Sorrisi di nuovo a quell'idea per poi ritornare ad avere un'atteggiamento consono ad una ragazza appena svenuta. Mi strinsi di più al petto del mio patrigno e chiusi gli occhi per ricadere nel limbo.

Mi svegliai sul mio letto.

Mi guardai un po' attorno e mi resi conto che ero sola. Avrei potuto pensare ad ogni cosa in quel momento, ma mi salto alla mente il disegno che il ragazzo mi aveva regalato. Era nella tasca sinistra della giacca, piegato in quattro, me lo ricordavo bene.

Gattonai fino al bordo del letto per poi posare i piedi a terra e dirigermi verso il muro dove attaccavo i fogli con tutte le scritte e le frasi celebri che mi piacevano di più.

Presi un pezzo di scotch e lo attaccai in un punto libero conscia del fatto che ora quella era la mia nuova vita, obbligata a servire Florenzo.

   
 
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