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Autore: Exelle    24/04/2011    2 recensioni
Di tutti i futuri possibili, Severus Piton ha scelto il peggiore.
Quello in cui i suoi desideri si realizzano.
"Il potere di controllare il futuro è nell'uomo più avido"
E.J.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black, Voldemort
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo Sei
Il Prezzo


… Di tutte le pozioni abbiette e viscide che l’animo mago sembra aver prodotto, l’Amorentia o Fiele di Ashwinder, è sicuramente fra le peggiori miscele che un vero Pozionista deve rifuggire.
La creazione di un sentimento artificioso in provetta è, fin dall’epoca del Concilio Imago del 1004, un argomento dibattuto e controverso, soprattutto per l’incapacita di imbottigliare qualcosa di effimero e sciocco come l’amore, tanto da considerarsi illegale.
Il vero Pozionista sa che l’Amorentia non è altro che schiavitù liquida e il suo degenero in apatia, crisi melanconiche e decorsi insalubri per la mente di colui o colei su cui essa viene usata, sono solo meritate conseguenze di una creazione così poco onorevole.


Severus Piton chiuse il libro e lo ricacciò nello scaffale, le sopracciglia aggrottate, una linea scura sulla fronte pallida. Stanco, provò ad appoggiarsi al muro scrostato, ma la punta di chiodo sporgente lo punse, strappandogli una smorfia di dolore e un sibilo aspro, che nascose la sua poco articolata imprecazione.
“Che c’è adesso?”
Parte della testa di Caractus Burke fece capolino da una pila di fiale dai liquidi dai colori poco allegri, affastellate in sghembi sostegni di legno. Severus gli lanciò un’occhiata contrita, arricciando il labbro sui denti giallastri.
“Niente” borbottò, cercando di reclinare il capo, lasciando che l’ombra nascondesse i suoi occhi cupi, ma Burke non si lasciò intimorire da certi giochetti. Si avvicendò nello stretto corridoio, facendo gemere le assi polverose ed esponendo il suo corpo torto e l‘ancor più sgradevole metà del suo viso, alla luce delle candele. Era un uomo minuto, incurvato dal disprezzo, con gli occhi di due grandezze diverse. Il naso, fin troppo sproporzionato per quel viso piccolo e scarno, aveva una vistosa cicatrice che gli attraversava il setto, le cui estremità scomparivano tra le macchie che punteggiavano le guance butterate.
Non aveva capelli, a parte delle ciocche filacciose di un improbabile color carota, più fitte nella parte destra del cranio, tenute appiccicate alla testa con forcine e attaccature posticce.
“Avete trovato ciò di quello che necessitavate, signore?” gracchiò, gli occhi lampeggianti nella scarsa luce, più preoccupato dall’evidente disordine che Piton aveva messo tra i libri che per la sua stessa grammatica. Piton commise l’errore di concedersi uno sguardo di sbieco sulla costa di “Pozioni poco Probabili per Tipi poco Raccomandabili e Viceversa” che Burke afferrò di scatto, con il suo braccio più lungo.
Lo sfogliò rapido, passandosi la lingua nera sul pollice calloso per sfogliare velocemente le pagine logore.
Piton lo gratificò di uno sguardo gelido, aggiustandosi nervosamente i polsini delle maniche della veste.
Burke tossì, sputando un po‘ di saliva appiccicosa sulle pagine che stava consultando.
“Che cerca un grande mago come voi, in un libro così esiguo?”
“Qualcosa di così esiguo che in un libro per un grande mago non può stare” replicò Piton, cercando di dare alla frase una cadenza annoiata, abbastanza per suggerire a Burke di non insistere in quella direzione.
Il vecchio chiuse il libro con uno scatto, provocando uno sbuffo denso di polvere che si levò dalle pagine incartapecorite, infilandono al suo posto. “Posso chiedervi se avete trovato ciò che cercavate, infine?” disse abbassando le palpebre e dilatando le narici,  come se andasse fiutando la risposta di Severus.
Piton si aggiustò il mantello sotto al collo e inclinando leggermente il capo, disse, a denti stretti:
“Non mi scuserò per avervi fatto aprire il negozio a quest’ora della notte, ad Halloween, ma…”
Burke spalancò l’occhio più grande, così che i lineamenti già segnati del suo viso sembrarono solchi ancora più neri e profondi, “Non mi frega delle scuse. Perché Tom ti ha mandato qui? Di che diavolo ha bisogno adesso? Altri teschi di megere per il nostro Signore?”
Piton sfoderò la bacchetta e la sfoggiò non molto distante dalla cicatrice che sfregiava il naso del vecchio Caractus. L’uomo impassibile, sorrise, mettendo in mostra, nella scarsa luce delle candele, una chiostra di denti bianchi, grandi e perfetti, simili a lapidi.
“Attento a come parli” gli intimò. “L’Oscuro…”
Il petto di Caractus fu scosso da una risata secca e rasposa. “Non dò rispetto a chi non ne riserva a me, Mangiamorte, soprattutto non ad un ladro assassino.”
“Come se i ladri e gli assassini non fossero vostri clienti” borbottò Piton di rimando, sentendo che il suo braccio si stava irrigidendo, a forza di tenere la bacchetta sollevata.
Burke si esibì in uno sfavillante ghigno beffardo. La fiamma delle candele brillò liquida sui suoi denti candidi e regolari.
“Se sono ladri e assassini che non arrecano disturbo a me, possono campare fin che vogliono, ma il caro Tom, dipendente modello, non ha mai appreso bene questa parte del contratto. Sinister è stato troppo gentile a congedarlo, ma io ho occhi e orecchie buoni, molto buoni. Io non dimentico i torti, Piton.”
La linea scura delle sopracciglia si ridisegnò sulla fronte di Severus, gli occhi divennero opachi.
“Però è grazie all’influenza del Signore Oscuro se il vostro negozio non è controllato dall’Ordine.”
Burke si strinse nelle spalle, poco convinto. “L’Ordine sta per chiudere i battenti, non è così?”
“Non parlare di cose che non conosci” disse Piton in tono basso. “Non di cose che non interessano a te.”
Burke tossì, sputandosi altro catarro sul polsino della manica logora.
“Se Tom manda qualche sua pecorella nel mio onorevole seppur modesto negozio, chi sono io per non interessarmene?”
“Non mi ha mandato lui” rispose Severus, accigliato dalla mancanza di discrezione del vecchio negoziante.
“A-ha. Una pecorella smarrita, dunque.”
Caractus, con una manata, spinse via la bacchetta di Piton. Ci furono un paio di scintille, ma niente più.
“Potrebbe arrivare il giorno in cui il nostro Signore non sarà così fortunato e avrà bisogno anche di me, Piton. A quanto pare…” Burke schioccò il dito e il libro che Piton aveva consultato gli schizzò di nuovo in mano, aprendosi sulle pagine dell’Amorentia. “… tu ti sei sistemato così bene che cerchi filtri d’amore per accasarti, ma sappi che c’è altra gente che cerca di stare a galla, oggigiorno. Anche a scapito di altri. Ficcatelo in testa.”
Severus, in un gesto inconsulto, colpì il libro, facendolo cadere dalle braccia di Burke. Il volume cadde sul pavimento logoro, sollevando altra polvere, in un pulviscolo fastidioso che odorava di vecchio.
Alcune pagine si staccarono, rotearono e finirono, svolazzando, sotto agli scaffali.
“Quello me lo ripaghi” grugnì Burke, passandosi la mano sotto al grosso naso, inspirando rumorosamente.
“Oltre a pagare il disturbo che mi hai dato per aprire il negozio per tali sciocchezze, Mangiamorte.”
Gli occhi di Piton lampeggiarono.
Doveva arrivare al dunque, la situazione in cui si era messo era fin troppo sgradevole.
“Ho bisogno di denaro” sibilò, pentendosene all’istante. Esistevano frasi più delicate per dire una cosa del genere, ma aveva la sensazione -il viso di Lily gli balenò nella mente, illuminato da un lampo verde- che non ci fosse abbastanza tempo per perdere tempo a sbandierare l’arte delle sottigliezze.
“Denaro?”
Il luccichio negli occhi Caractus divenne più penetrante e deciso, quasi ferino, avrebbe detto Severus, ma era in dubbio data la sproporzione delle orbite e l’evidente cataratta che offuscava il bulbo destro.
“Non ne abbiamo forse bisogno tutti??” sussurrò viscidamente. “O è una scusa per non pagare ciò che hai rotto, Mezzo-Mangiamorte?”
“Come vi permettete…?” disse Severus, offeso e furibondo. Burke rise.
“Ho tirato ad indovinare. Allora dimmi. Quanto ti occorre?”
Piton assunse un’espressione misera, cominciando a farfugliare una risposta incoerente. Si maledì. Era sempre così quando parlava di soldi. Maledetti schifosi.
Si domandava sempre se il possederne quanto Potter, l’avrebbe reso più desiderabile agli occhi di Lily.
Soldi e bell’aspetto, ecco cosa rendeva attraente quel damerino arrogante. Il pensiero che probabilmente a quell’ora della notte, James Potter poteva giacere esanime a terra, non lo sfiorò minimamente.
“Cosa sei disposto a cedere, Mangiamorte?” insistè Burke, riportandolo alla realtà.
Piton sollevò lo sguardo e lo guardò, risoluto. “Tutto ciò che ho.”
Burke gli scoccò un occhiata poco simmetrica e poco convinta. “Non è un granché.”
Piton sbuffò, irritato e parlando a denti stretti.
“Casa mia. I miei libri. Ogni cosa. Posso…”
Burke chiuse gli occhi e annuì, dondolando il capo, mormorando cose a fior di labbra.
“Seguimi” disse, avviandosi a strascichi fuori dalla fila di scaffali. Riemersero nella parte centrale del negozio, dove le candele erano più numerose, più sciolte sui sostegni e dedite ad illuminare cose più costose che i libri nell’ala scura dove si era rinchiuso Severus.
Mentre seguiva il vecchio Burke oltre il bancone pendente, si pentì di aver avuto l’idea di impegnare tutti i suoi averi. Ma dopotutto, aveva bisogno di denaro, ed … Evitare di pensare a ciò che stava accadendo in una parte sperduta dell’Inghilterra.
Sentì la sua dignità andare in pezzi mentre, a malincuore, solcava l’ingresso dell’ufficetto buio e male in arnese di Burke, il quale, accomodatosi alla sua scrivania -l’unica cosa sgombra da libri contabili e, stranamente, pulita- lo guardava dall’alto delle sue dita nodoso ed intrecciate sotto al mento pronunciato.
“Allora Piton, accomodati.”
Burke battè la mano sul piano della scrivania, e una scomoda sedia, precipitò dal soffitto, atterrando rumorosamente sul pavimento e facendo tintinnare le catene scure che la tenevano ancorata alle travi.
Severus si avvicinò rigidamente, evitando di lanciare occhiate sospette.
Burke posò le braccia sui braccioli della sua sedia, visibilmente più comoda, seppur malconcia, rispetto a quella del suo ospite. Piton vide che una della braccia sporgeva di almeno due spanne, rispetto alla lunghezza del bracciolo. Distolse lo sguardo, infastidito dall’esibita asimmetria del corpo del vecchio, concentrandosi sulle pile traballanti di fascicoli contabili alle sue spalle, apparentemente in procinto di cadere, spargendo fogli e cifre.
Burke, indifferente al disagio di Piton battè una mano sul banco, biascicando qualcosa che suonò come:
“Pegg.”
Gli occhi di Burke rotearono al cielo. “Pegg, diamine.”
Con uno schiocco, un brutto elfo domestico dalla vistosa gobba attraversata da nervature e il viso, distorto da una brutta cicatrice che doveva avergli causato la perdita dell’occhio sinistro, apparve sulla scrivania.
Piton soffocò un grido, ritraendosi, spaventato dalla creatura e dalle lunghe, lunghissime dita che agitava, cercando di evitare che strisciassero  sul ripiano laccato della scrivania.
Incurante del disagio poco mascherato di Piton, Burke afferrò l’elfo per un braccino scheletrico, facendolo ruzzolare per terra, fra una pila di libri contabili che lo seppellirono. L’elfo si lasciò andare a qualche soffio scomposto, ma non gridò e non pianse. Fogli e polvere gli volteggiarono intorno, ma non osò alzarsi finchè Burke non lo chiamò con un cenno.
“Dove abiti, Piton?” gli chiese, continuando a guardare l’elfo dalla pelle ossea. Teneva le braccia a penzoloni, e le lunghe dita stridevano contro il pavimento di assi.
Severus guardò Burke, smarrito. “Come?”
Burke distorse il brutto grugno in una smorfia di sufficienza. “Dovrò pur vedere la merce, prima di concludere un contratto, no? Pegg andrà a fare qualche valutazione, tanto per vedere se le tue cose valgono il mio tempo.”
Piton sussurrò a malincuore il suo indirizzo, in direzione della disgraziata creatura, evitando di guardarla.
Poi, benchè restio all’idea di lasciare entrare in casa sua quell’essere abbietto, la vide sparire con uno schiocco. Nell’attesa, Burke si sollevò dalla sedia e cominciò a trascinarsi in un angolo della stanza. Piton sentì un tintinnio di vetri, e quando il mercante tornò a sedersi alla scrivania, stringeva tra le grinfie un sudicio bicchiere ricolmo di liquido arancione che bevve rumorosamente, a lenti sorsi.
Non offrì nulla a Piton, a parte intense occhiate di curiosità mista a disprezzo.
Severus lo ignorò accuratamente.
Dieci minuti dopo, con un altro schioccò secco, l’elfo chiamato Pegg  ricomparve, stringendo tra le lunghe dita torte, una tavoletta di legno a cui, tramite una catenella, era assicurata una piuma di fagiano spelacchiata. Con delicatezza, tenendo la tavoletta tra pollice e indice, la porse a Burke con un inchino. Abbassò anche le lunghe orecchie dai bordi irregolari, quando sentì la mano del padrone avvicinarsi e afferrare il rettangolo di legno. Piton vide che sopra vi era assicurato un foglio su cui, con calligrafia minuta, l’elfo aveva scritto vari elenchi.
Probabilmente non ci aveva messo granchè, a stilare un inventario delle scarse cose possedute da Severus, tanto più che quelle che avevano un reale valore si contavano sulla punta delle dita di una mano.
La faccia asimmetrica di Burke rimase concentrata sulla tavoletta per brevi, densi attimi. Non cambio espressione, cosa che inquietò non poco Severus.
Eppure, doveva esserci qualcosa che poteva interessarlo…
“Interessante” grugnì Burke tirando la tavoletta sulla scrivania, facendo svolazzare il foglio sotto agli occhi di Piton. “Mai vista tanta robaccia inutile.”
“C-Cosa?” boccheggiò Severus sentendo il sangue affluire alla faccia, imbarazzandosi in modo sconveniente e sentendo il sangue scorrere più bollente nelle vene.
“Robaccia, Mangiamorte” gorgheggiò Burke fissandolo di sbieco e allungando una mano alla sua destra. Si udì scorrere un cassetto, in cui il mercante cominciò a rovistare, a suon di smorfie e versi insoddisfatti. Infine, estrasse un paio di occhialetti senza astine, che incastrò sulla gobba del grosso naso. Le pupille, irresistibilmente attratte da quelle microscopiche lenti sporche, convergerono al centro, cosicchè ora, oltre che brutto, Burke appariva anche strabico.
“Non c’è nulla che valga la pena possedere, ergo, non c’è nulla di buono per me da acquistare.”
“Ma… io, la mia casa… varrà pur qualcosa!”
Burke tirò su rumorosamente col naso, accentuando con una smorfia sgradevole un’espressione già di per sé dubbiosa.
“Una casa in…” lanciò uno sguardo diffidente al foglio, “ Spinner’s End? Immagino che una casa laggiù vada a ruba. Certo, non mi mancherebbero acquirenti disperati, ma, per il Grande Goslard…” I denti perfetti di Burke si aprirono in un sorriso malevolo: “Dovrò pur campare anch’io.”
Piton irrigidito dalla rabbia, dall’imbarazzo e dalla sua stupidità che l’aveva portato a sprecare la notte più importante della sua vita in quel surrogato di banco dei pegni, si alzò dalla sedia, aggiustandosi il mantello nervosamente. Diede la schiena a Burke, passando accanto all’elfo, immobile in un angolo, rigido come una statuetta di sale, brutta e storta.
Era quasi alla soglia che dava sul negozio, quando la voce del vecchio lo raggiunse.
“Cento galeoni per le tue piante, i tuoi libri e per il resto.”
Piton si voltò di scatto, sgomento. “Come?”
“Cento galeoni per la tua robaccia, Piton. Prezzo non trattabile”, sogghignò Burke.
Piton sentì la gola arida. Valeva davvero così poco? Si sentì svuotato, mentre a passi lenti avanzava verso la linda scrivania del vecchio Burke, le mani rese appicicaticcie dal sudore.
“Stai per dire che è troppo poco? Che le tue cose valgono di più, vero?” Burke lo guardò di sottecchi, arricciando il labbro. Sembrava già pregustare la vittoria, mentre faceva cenno a Severus di riaccomodarsi. Il giovane mago acconsentì e non rispose.
“Ti voglio raccontare qualcosa, Piton. E magari farti un offerta” Dietro alle piccole lenti, gli occhi verdastri di Caractus furono attraversati da furbe luci nebulose.
Piton annuì, cercando di asciugarsi le mani nella veste e di calmare le fantasie di disperazione che avevano cominciato ad assalirlo, nel sentire i suoi progetti sul suo futuro con Lily, sfumare come polvere nell’acqua.
“Venne da me una donna, un giorno. Forse, somiglia a quella per cui penavi su quel libro..” sussurrò Burke. Piton lo guardò con disprezzo, resistendo alla sua stessa volontà di estrarre la bacchetta e di farlo bruciare nell’Ardemonio. Dal canto suo, Burke rise dell’agitazione di Piton e riprese a parlare.
“Faceva freddo. O forse era estate, non lo ricordo. Ma mi piace pensare che quella disgraziata, e il piccolo mostriciattolo che teneva in grembo, avessero vagato nella neve, prima di accasciarsi a inzaccherare la mia porta. Una sciagurata Mezzosangue, probabile…” Burke si alzò, e prese a passeggiare per la stanza, facendo scricchiolare le assi del pavimento. L’elfo, che aveva preso a sibilare sommessamente, non lo sentì arrivare, e le buscò di nuovo dal padrone che lo chiuse sbuffando, lamentandosi per le giunture dolenti, in un armadietto, prima di ricominciare a raccontare.
“Si è seduta lì dove stai tu adesso e mi rincresce dirlo ma…” Burke si risiedette.
“Mi offrì qualcosa che valeva molto di più di te e delle tue cianfrusaglie. Qualcosa con un valore.”
Burke congiunse le mani sotto al mento e lo fissò, avido al solo ricordo.
“L’affare della mia vita. Dieci galeoni per qualcosa che non aveva prezzo. E sai perché, Piton?”
“No” mormorò Severus interdetto, incapace di capire dove il vecchio volesse andare a parare.
“Per disperazione.”
Gli occhi di Burke si assottigliarono ancora di più, rimanendo tuttavia vistosamente diversi per la loro grandezza. “Siete altrettanto disperato, Severus Piton?”
Piton esibì la sua migliore espressione indecifrabile, cosa che suscitò un ennesimo sorriso ilare in Burke.
“Immagino di sì, per questo farò un patto con te. Trecento Galeoni.”
“E in cambio?” sussurrò Piton, fiutando un inganno.
“In cambio? Nulla” disse Burke. “Solo recuperare un oggetto che disgraziatamente mi è stato sottratto, seppur... Indirettamente, diciamo. Mi ero impegnato a rivenderlo per una cifra equa ma, ecco.. Vicissitudini. Nulla di rilevante per un nobile Mangiamorte come voi” concluse Burke, untuoso.
Piton inspirò, sentendo la decisione franargli sotto i piedi. Si stava davvero cacciando in qualcosa di molto più grande di lui. Una vecchia faida, probabilmente. E il peggio, era che conosceva già la risposta alla domanda che ora rivolse a Burke.
“A chi?”
Il viso di Burke divenne di pietra. “Tom Riddle. Il caro, caro Tom. Un impiegato modello devo dire, fino a quando non gli è preso quel brutto vizio di allungare le mani dove non doveva.”
Piton annuì lentamente e Burke lo interpretò come un assenso incondizionato.
“Il Medaglione di Salazar Serpeverde. Probabilmente Tom è convinto di esserne l’erede legittimo e ora lo tiene nascosto. Ma è mio…” gli occhi di Caractus s’illuminarono di una luce dura. “E lo rivoglio.”
“E il nostro accordo?”
“Duemila Galeoni e Cinquecento Falci. Prova a immaginarteli Piton, ma stai attento a non svenire” grugnì Burke con una smorfia sgradevole dipinta in viso. La faccia grottesca che l’uomo aveva per volto, ora non spaventava più Severus, ma quando il giovane mago allungò la mano per stringere quella del socio di Sinister, un moto di terrore si riverberò dagli occhi alla pancia, in modo quasi doloroso.
Firmò il contratto per i trecento galeoni senza pensarci, sentendo la vista annebbiarsi. Non aveva idea delle sue cose che sparivano, sotto al peso di quelle lettere d’inchiostro. Forse non erano mai state sue. Tutto sembrava sciocco e spregevole, infimo e irrilevante.
Quando si ritrovò fuori nel vicolo umido, con grossi cumuli di neve sui tetti sbilenchi pronti a cadere sull’acciottolato di Notturn Alley in sbuffi bianchi, a respirare l’odore gelido della notte, misto a quello acre del fumo dei comignoli neri, Severus si sentì insicuro. Le monete tintinnanti nella borsa e l’alba, ancora lontana dall’arrivare, erano garanzie vane in quel mondo di cenere e pioggia che la sua mente andava creando.




Cari Lettori!!! Che schifoso quel Caractus, eh?? Smozzica, truffa, sputa e picchia O__O
Non so se sono più spregevole io o Severus! Colgo l'occasione per presentarvi questo capitolo, scritto tra un dolce e un altro. Innanzitutto, se ho ancora dei... come dire... fan (??? Dio, che Ambiziosa Ambizione!)), sarò lieta di rispondere alle vostre recensioni. Inoltre, colgo l'occasione per scusarmi con NatalieS, Emlily e Spluccica per l'incresciosisssimo ritardo! Anche per te, lettore senza nome che hai penato per un capitolo qualsiasi! Ora, non garantisco che il prossimo capitolo sia già in cantiere, ma nell'eventualità che QUALCOSA accada...
Ecco a voi un estratto del prossimo scritto!
Vorrei concedermi l'ebbrezza di fare Spoiler più espliciti, ma sono le 17.00, è tempo per me di recarmi a dormire, grazie al cielo.
..............Un saluto! Vi direi 'A Presto', ma sarebbe troppo lontano dalla vera verità.



Lily era oltre quella porta.
Il semplice pensiero gli portò via la capacità di respirare, di vedere le cose in modo chiaro e distinto. Non c’erano punti fermi a cui aggrapparsi, perché tutto ora era fatto di vetro e di fragili forme. Severus sapeva che quella era la sensazione che si aveva stando nei sogni, eppure era vero, lo sentiva, ce l’aveva fatta. Immaginò il cuore di lei battere, al di là dei fregi che intarsiavano la porta scura. Lei era distesa lì, come se lo aspettasse. Severus respirò piano, socchiudendo gli occhi.
Le mani gli tremavano, mentre le cose intorno riacquistavano colore e un soffio d’aria gli risollevava il petto. Incapace di riflettere sul fatto che lui non aveva fatto alcunchè, per arrivare a quella presunta situazione di trionfo, per nulla interessato alle ferite che quel giorno avevano lacerato la realtà di ben più di una persona, ferite destinate ad infettarsi sempre di più, Severus Piton si avviò lentamente verso la porta della camera, spinto dalla vile gioia, di coloro che amano le cose conquistate per l’abbandono altrui.
Lucius Malfoy, contemplò quel disdicevole spettacolo al riparo di una delle arcate, le sopracciglia pallide aggrottate.
Aveva cercato di avvisarlo, di attutire il colpo, ma Piton non lo aveva voluto ascoltare.
Ora non aveva più importanza, era come se avessero preso strade diverse.
In fondo, essere Mangiamorte voleva dire scegliere, avere la capacità di esercitare il libero arbitrio. L’alternativa era morire.
Lucius non aveva fatto nulla di sbagliato. Aveva aiutato Severus nel portare a termine, anzi, nel compiere l’obbiettivo che si era prefissato. Le conseguenze, pur malevole che fossero, non lo riguardavano.
Non più.

  
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