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Autore: Aching4perfection    25/04/2011    3 recensioni
L'ex marito odioso che, nonostante la nuova fiamma, non riesce a smettere di pensarti;
il nuovo capo disposto a tutto per averti nel suo letto ancora una volta;
il migliore amico che ti ha sempre offerto una spalla su cui sfogarti;
il ragazzo della porta accanto che, degli altri uomini, non sa niente.
Quali sono i segreti per gettare solide fondamenta in una relazione con un uomo?
E come fare quando, di uomini da gestire, ce ne sono ben quattro?
E se uno di loro custodisse un segreto che, se rivelato, sconvolgerebbe tutto e tutti, senza eccezioni?
Forse, le donne hanno davvero bisogno di un promemoria per ricordarsi che il romanticismo non è morto e che, a volte, si è talmente fortunate da incontrare un uomo che sappia ancora cosa sia o come lo si crei. Ma quand'è che abbiamo smesso di credere nel gesto romantico del regalare una rosa al primo appuntamento o nell'accettare un conto già pagato, quando siamo diventate così ciniche?
Io ho sempre avuto una sola convinzione sui film romantici, che non sono mai belli quanto i loro trailer.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Satisfaction'
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Bad Memories

-Accidenti!
Il flash mi venne subito dopo che Andrew scese dalla macchina per dirigersi insieme alla sua maestra verso il portone della scuola elementare. Lo stavo guardando allontanarsi, poi lo sguardo mi cadde sul seggiolino di Lidia, dove lei stava ridendo per il rumore che faceva il sonaglino a forma di stella.
Mi ero completamente dimenticata di chiamare la babysitter. Porca puttana!
Passai mentalmente in rassegna tutte le persone che avrei potuto chiamare, scartandole una ad una, finché non rimase l'unica a cui affiderei anche la mia vita: Melanie. Lidia la conosceva e poi era bravissima coi bambini. Presi il cellulare dalla borsa e, prima di accendere l'auto, composi a memoria il suo numero, pregando circa una trentina di santi diversi per poter avere il loro appoggio e, possibilmente, una botta di culo.
-Dai, dai...ti prego...
-Pronto?
-Mel! Sono Eva!- ero talmente felice di sentire la sua voce che per poco non mi misi a urlare, invece il mio corpo rispose istintivamente a quella risposta, sobbalzando sul sedile in uno spasmo che non riuscii a controllare e che mi fece staccare il piede dalla frizione troppo in fretta, bloccando la macchina in mezzo alla strada e dando la possibilità a un fantastico esemplare dell'americano medio (che si era appena guadagnato tutto il mio odio) di ribadire, per l'ennesima volta nel corso della storia, quanto possano essere pericolose le donne al volante. Dopo averlo mandato a stendere con un'esclamazione che avrebbe potuto far imbarazzare persino Tyson ripresi in mano il telefono, il silenzio dall'altra parte della linea mi suggerì che ero riuscita ad ammutolire persino Mel.
-Wow, Eva! Hai dei bambini, che ti è successo di così grave da augurare una disgrazia del genere a quell'uomo? A quest'ora del mattino poi!- domandò basita, erano rare le occasioni in cui mi dimenticavo di mettermi la museruola, ma quella mattina tutti coloro che si sarebbero trovati al momento sbagliato nel posto sbagliato (ossia tra i miei piedi) avrebbero fatto bene a portarsi sempre appresso un corno o un rosario.
-Mel, sono nella merda più totale, è il mio primo giorno di lavoro e mi sono dimenticata di chiamare la babysitter per Lidia.
-Che sfiga... e che c'entro io?- in realtà lei sapeva già che cosa stavo per chiederle, però sperava che non lo avrei fatto. E invece...
-Me la puoi tenere? Solo per oggi, poi da domani ci sarà la babysitter. Ti supplico!
-Eva... io non posso tenerla qui con me mentre gestisco la reception. È molto sconveniente e Nicole mi fucilerebbe!- stavo pezzando come una capra dal panico, e la cosa più assurda era che, quando nacque Lidia, Nicole mi aveva detto che avrei potuto tenerla nel suo ufficio mentre svolgevo i miei turni. Ora niente più bambini.
-Porca miseria, e adesso?!
-...aspetta. Sean è arrivato al locale adesso, oggi non ha appuntamenti, posso chiedere a lui. Sean, vieni qui un secondo!
-Perfetto!

Se Sean avesse accettato di badare a Lidia mi sarei fermata alla pasticceria più cara di Los Angeles e gli avrei comprato la torta di pesche più grossa che avevano, come minimo! Anche se ero praticamente certa che, anche una torta per venti persone, tra le mani di Sean sarebbe finita in meno di un paio d'ore con la fogna senza fondo che quell'uomo si ritrovava al posto dello stomaco... infatti mi ero sempre chiesta come diamine fosse possibile che lui potesse mangiarsi tutte le schifezze che voleva senza mettere su neanche un grammo di pancia mentre io dovevo ammazzarmi di diete fai-da-te perchè qualsiasi cosa mangiassi mi restava tre minuti in bocca e poi andavano dritti dritti sul culo, dove ci restavano per almeno tre anni o il tempo necessario per la successiva influenza intestinale. Che creature bislacche...

Sean Bolen era il fratello maggiore di Melanie, anche se tutti li prendevano per gemelli, eppure lui aveva ben due anni in più. Iniziò a lavorare al 232 circa due mesi dopo di me e, prima che nascesse Lidia, passavamo ogni fine serata seduti al bancone bar del locale a chiacchierare e a svuotare le riserve di Champagne di Nicole. Mi era stato vicinissimo durante il divorzio, l'unica presenza maschile su cui potevo fare affidamento, mi era stato davvero di conforto e, in quei giorni in cui sguazzavo allegramente nella merda, era ciò di cui avevo più bisogno.
Andrew adorava Sean, quando veniva a trovarci nei i week-end passavo le ore a giocare a football in giardino e sembrava che si divertisse più lui di mio figlio. E poi era stata la prima persona a cui Lidia aveva sorriso, con grande rabbia di Daniel e immensa gioia mia.
-...ok, porta Lidia davanti al locale. Esce Sean e la porta a casa tua.
-Ok allora gli lascio direttamente le chiavi. Ci vediamo tra cinque minuti.
Schiacciai sul pedale dell'acceleratore con tutta la scarpa e per poco non investii una coppia di adolescenti che stava attraversando la strada proprio in quel momento. Purtroppo, quando ero di fretta diventavo un vero mostro al volante, mi era andata già di culo che in sette anni che avevo la patente non avevo mai fatto incidenti. Riuscii ad evitare i nove semafori che mi separavano dal 232 passando almeno quattro volte col giallo e, sull'ultima curva, a momenti non ruppi le pastiglie dei freni tanto sgommai forte. Questa volta una multa non me l'avrebbe tolta proprio nessuno...
Mi fermai a qualche metro dall'insegna rossa, inchiodando la macchina a pochi centimetri dal marciapiede e dal parcheggio nel quale non sarei entrata, non stavolta.

Mi fece un certo effetto essere davanti al 232 e non poterci entrare, e in un certo senso mi mancava. Gli orari assurdi che spesso e volentieri coprivano quasi tutta la notte, lo spogliatoio in cui noi ragazze ridevamo da matti mentre ci aiutavamo a vicenda a vestirci e a truccarci, il bar davanti a cui avevo passato ore intere, chiacchierando coi clienti e le altre ragazze. Alla fine della fiera, eravamo una grande famiglia felice, fatta essenzialmente di champagne e intimo francese.
-Sei contenta che oggi stai con lo zio Sean, eh cucciola?- le sorrisi mentre afferravo con una mano la borsa dei pannolini che stava in fondo al sedile. Dopo essermi passata la cinghia a tracolla slegai Lidia dal suo seggiolino e, tenendola sollevata col braccio libero, uscii dalla macchina.

Sean si stava lasciando alle spalle la porta a vetri del 232 proprio in quel momento, sistemandosi i folti capelli scuri con una mano ed esibendo un sorriso talmente luminoso e caldo che avrebbe potuto dare fuoco alle foglie secche.

Alto, fisico atletico e prestante, moro e due occhi azzurri in grado di lanciare sguardi più penetranti di una scavatrice, le labbra tumide e sottili, spalle da muratore e un culo da orgasmi a grappolo. Sean Bolen era sexy come il diavolo e più di una volta mi sorpresi a farmi dei viaggi degni del miglior film porno in cui mi faceva di tutto e anche di più. Ovviamente non c'entrava niente il fatto che, circa un anno fa, eravamo andati a letto insieme... no no, ero proprio io che, dopo il divorzio, ero diventata vittima di una delle peggiori crisi d'astinenza sessuale mai viste. Una volta ero anche arrivata a pensare di sedurre il postino che, in quel particolare pomeriggio assolato, mi era sembrato molto sexy con il suo alito di birra e la sua unica ciocca bianca di capelli col riportino... e qui lascio ben intendere quanto fossi messa male!

Ma finché non avrò il prossimo ciclo, che include automaticamente la prossima carica ormonale sparata a mille, credo che il genere maschile possa dormire sonni tranquilli; di una cosa sono certa però... se dovessi arrivare a quota sei mesi di astinenza me ne andrò a fare una passeggiata notturna in autostrada per darla via gratis...
-Sean, guarda chi ti ho portato!- esclamai sollevando un altro po' Lidia, sperando che la sua presenza mi potesse fare da scudo contro un'altra eventuale crisi da assenza di sesso che avrei rischiato di sfogare sul fratello della mia migliore amica. Sean ci raggiunse con le braccia protese in avanti e la prese subito in braccio tenendola su un fianco, con tutta l'aria di chi non vedeva l'ora di piazzarsi in poltrona e di fare zapping alla tv.
-Ehi scricciolina, come stai? Ciao Eva!- subito si chinò un poco per darmi un leggero bacio sulla guancia e io feci lo stesso, poi gli passai il borsone e lo aiutai ad infilarselo attorno alla spalla.
-Bene grazie, tu?
-Non mi lamento. Oggi non lavoro, così ne approfitto e mi riposo un pò. Lei ha già mangiato?- domandò indicando Lidia che, nel frattempo, stava giocando con la sua croce da uomo Comete. Le accarezzai piano la testolina bruna, cercando di guardarlo in faccia il meno possibile.
-Sì sì, non ti preoccupare. Il prossimo biberon preparaglielo per le due, dopo aver preparato il pranzo ad Andrew, dovrebbe addormentarsi fra un'oretta.
-Ook, invece Andrew cosa mangia?
-Quello che vuoi, lui mangia di tutto.
-Capito, ora vai che arrivi tardi.
-Ok, grazie mille Sean. Mi hai salvato la giornata! Ciao cucciola.- mi sollevai un poco sulle punte dei piedi per allungare un altro bacio sulla sua guancia, per poter avere almeno l'illusione di un altro contatto maschile, e poi mi avvicinai sfiorando con la punta del naso le gote di Lidia.
-Non c'è di che. Ci vediamo oggi pomeriggio!
-A dopo!- esclamai risalendo in macchina e chiudendo la portiera. Diedi loro un ultimo saluto attraverso il finestrino e poi rimisi in moto l'auto in direzione dell'edificio della Reynolds Group.


Mi presentai davanti all'ufficio di Darren con cinque minuti di anticipo, avevo avuto anche il tempo di fermarmi in un minimarket a prendere una confezione di succo pesca, arancia e mela per poter finalmente fare colazione con una sacrosanta e rovinosa dose di zuccheri di cui il mio sedere non si sarebbe mai più sbarazzato. Trovai Gabrielle Halverson seduta alla scrivania del suo ufficio, letteralmente circondata da schedari e fascicoli di ogni genere e alla terza tazza di caffè per nulla decaffeinato.
-Buongiorno Gabrielle- la salutai da dietro la porta del suo ufficio, senza però entrare.

Lei spostò lo sguardo dallo schermo del suo portatile e mi sorrise, forse erano quattro tazze.
-Ehi, buongiorno! Sei pronta per il tuo primo giorno?
-Sì, anche se non so ancora cosa devo fare. Stavo giusto andando da Darren a chiederglielo.
-Ok, adesso perdonami ma devo scappare, mi vedo con l'agente di Nikki Reed per discutere della sua festa di compleanno di domani sera... ci vediamo per pranzo? Di solito mi faccio portare i pasti in ufficio dalla mensa, se mi facessi compagnia mi farebbe piacere!- non feci neanche in tempo a risponderle che si alzò dalla sedia mettendosi sotto braccio una voluminosa cartelletta blu, dedicandomi un lieve gesto di saluto con la mano ed uscendo a grandi passi dall'ufficio, tirando fuori dalla borsa di pelle nera Chloe il suo Blackberry rosa che aveva già cominciato a suonare come un indemoniato. Poveretta, che stress.
-...o-ok!- sussurrai, anche se parlavo solo a me stessa. Mi guardai un attimo attorno, constatando tristemente che erano tutti nei rispettivi metri quadrati dietro alle scrivanie, oberati di lavoro, così girai i tacchi ed entrai nell'ufficio di Darren senza far rumore. Lo osservai per qualche secondo nella sua aderente camicia chiara, dove invece di “aderente” sarebbe stato meglio dire che “gli era stata praticamente cucita addosso e ora sembrava sul punto di esplodere”, perdendomi nel rilievo dei suoi pettorali attraverso il tessuto sottile e apparentemente costoso.

La pelle abbronzata che scintillava di piccole gocce d'acqua, lo stesso profumo che metteva religiosamente ogni giorno da anni mi permetteva di riconoscerlo anche quando avevo gli occhi bendati con la sua cravatta, piccolo gioco delle parti in cui potevo scegliere se essere protagonista o semplice comparsa. La presa forte delle sue dita sulla mia pelle che mi sconvolgeva senza arrecare dolore, dandomi dolci brividi che sembravano poter durare una vita intera. La seta che scivolava sulla mia pelle, cadendo sul pavimento ai miei piedi in un'onda liscia e silenziosa. La passione in ogni suo bacio, la potenza nel suo corpo.

Un uomo come pochi, quello che ogni donna sogna ma che nessuna vorrebbe davvero.
Dietro alla maschera dell'amante appassionato e irrefrenabile si nascondeva un'ombra oscura, invisibile ad occhi inesperti. Ma io l'avevo vista, sapevo fin dall'inizio della sua presenza in quel corpo paradisiaco e l'avevo comunque accolto nella mia vita, concedendogli di prendersi un piccolo pezzetto di me ad ogni nostro incontro.

-Incredibile, sei puntuale!- la sua voce mi riportò alla realtà come il riavvolgimento brusco di un nastro, sedando la mia carica ormonale e facendo rientrare il rivolino di saliva al suo giusto posto, nella mia bocca. Mi sorrise stirando lievemente le labbra, ma non fece di più. Al momento non sapevo nemmeno cosa rispondergli, immersa com'ero nei miei ricordi in cui avrei potuto annegare più che volentieri, poi mi tornò l'uso della parola.
-Ehm... s-sì, t-te lo avevo detto. Cosa devo fare?
-Allora, forse Gabrielle non ha avuto il tempo di accennartelo, impegnata com'è, comunque tu sarai assegnata all'ufficio del catering familiare.- mi spiegò aprendo uno dei tanti fascicoli sulla scrivania davanti a sé e svogliandolo di malavoglia.
-E in che cosa consiste?
-Non ti preoccupare, non è niente di impegnativo. Organizzazioni matrimoniali e feste comuni che necessitano di un organizzatore. Ora ti mostro la tua postazione.
Alla faccia del non impegnativo, organizzatrice di eventi?! Ma se non sapevo nemmeno organizzare i carichi della lavatrice a casa mia!
La porta alle mie spalle si spalancò facendo sbattere la maniglia metallica contro il vetro del muro adiacente e minacciando seriamente di frantumarlo. Una donna di colore tra i ventisette e i trent'anni di una bellezza a dir poco disarmante fece il suo discreto ingresso nell'ufficio, come se odiasse passare inosservata... infatti i suoi vestiti ultra griffati che, nel complesso, potevano tranquillamente valere quanto la mia macchina, urlavano “ignorami!”.
Solo un particolare stonava con tutta quell'eleganza, quella donna era incazzata come un pinguino e non lo dava certo a nascondere. Certo che se era la prima impressione quella che contava...
-Darren, abbiamo un problema!- esclamò con una voce che avevo sentito fuoriuscire solo da poche persone in vita mia: una era Nicole il giorno in cui mi licenziò, l'altra era mia sorella quando le dissi che ero incinta di Andrew. Entrambi episodi da dimenticare e che avevano seriamente rischiato di farmi perdere l'udito.
-Sì Pam, dimmi. Eva, chiudi quello che resta della porta e aspettami fuori.
Io annuii ed uscii da quell'ufficio il più velocemente possibile richiudendomi la porta alle spalle. Peccato che servisse ben poco, da qui li sentivo perfino respirare.
-Cosa c'è?
-C'è che sono nella merda e non ho la più pallida idea di come comportarmi!- esclamò lei, rasentando di molto poco l'isteria.
-Pamela, cosa è successo di così grave da metterti in agitazione in questo modo?
-Sono incinta, cazzo! Mi sposo fra tre mesi e sono incinta!
-...e il problema sta?
-Che ho eventi da organizzare un giorno sì e l'altro pure fino ai prossimi due anni e che ho un vestito di Vera Wang da tredicimila dollari che non potrò indossare!- minchia, tredicimila dollari... tanto di cappello.
-… i vestiti si allargano Pam, si è sempre fatto così.
-Darren non si allarga un vestito di Vera Wang, sei tu che ti restringi per entrarci! E se i geni di mia madre si metteranno all'opera allora sono destinata ad allargarmi a livelli esponenziali!
-Stai tranquilla che non ti allargherai prima di aver raggiunto almeno i tre mesi. Qualche settimana in più non farà ancora di te una balena.
-Ah sì? E tu come lo sai?- domandò Pamela, apparentemente un po' più calma.
-Ho tre figli, ecco come lo so. E ora, se non ti dispiace accompagno una ragazza nel settore del catering familiare.- sentii delle rotelle scivolare sul pavimento per un tratto molto breve, indicandomi che Darren si era finalmente alzato dalla sua poltrona di pelle.
-Cos'ha di così speciale per avere diritto delle tue attenzioni? Di solito, quello è compito mio.
-Ci potrà aiutare nell'innalzare la qualità dei nostri servizi, è italiana.
-Evviva, finalmente conosceremo il vero sapore della pasta. Ma che bisogno c'era di assumere Little Italy con l'equipe strapagata che abbiamo?- domandò con una nota di disapprovazione più che evidente. Little Italy?! Ma qual'era il suo problema?
-Pam, ho forse mai fatto delle scelte sbagliate?
-Direi di no o non saremmo qui.
-Esatto. Ora vado.- con quella frase decretò la fine della conversazione. Pamela fu la prima ad uscire e, vedendomi appoggiata al vetro separatore alla sua destra, mi squadrò da capo a piedi criticando mentalmente ogni cosa che indossavo e, sicuramente, non c'era l'ombra di un complimento in quello che potevo leggere nei suoi occhi.
Meglio dimostrarsi superiore in ogni caso ed evitare di fare uso di frecciate velenose.
-Piacere, Eva Van De Mason.- dissi porgendole la mano, lei me la strinse dopo avermi fatto aspettare quei tre secondi in più sufficienti ad imbarazzarmi.
-Pamela Marelli.
Beene, la socia in pari di Darren. Per fortuna avevo deciso di non risponderle a tono, altrimenti mi sarei già trovata col culo alla porta, per dirlo in termini terra a terra.
-Molto bene, visto che vi siete presentate posso cedere a Pam il compito di istruirti, così io potrò occuparmi della festa di Sports Illustrated. Penso che voi due andrete molto d'accordo!
Al suono di quell'ultima frase gli lanciai un'occhiataccia che poco aveva di umano: un misto di odio e panico e “questa me la pagherai carissima”. Come poteva abbandonarmi così con quel mostro in pelle di donna?
Solo dopo mi accorsi che Pamela aveva reagito allo stesso modo, come se il solo pensiero di avermi tra i piedi l'annoiasse. Ma che le avevo fatto?
Però secondo me era solo irritata per via del suo vestito di Vera Wang, io ero solo quella che era capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. In effetti, anche io mi sarei incazzata sapendo di aver appena buttato nel cesso tredicimila dollari; perché, anche se si facesse allargare il vestito, una donna incinta di quasi quattro mesi non sarebbe mai riuscita ad entrare in un Vera Wang che era già stretto di suo. Darren faceva tanto quello che la sapeva lunga perché aveva tre figli, ma non era stato lui a portarseli nell'utero per nove mesi, indi non conosceva proprio niente di quello che succedeva durante la gravidanza. Lui al limite avrà dovuto sopportare le voglie e le crisi isteriche di sua moglie ma, e qui ci metterei la mano sul fuoco, non sarebbe stato nemmeno in grado di mettere piede nella sala parto.

-Questa è la tua scrivania e questo è il tuo computer.- Pamela mi indicò un tavolo bianco corredato di un computer portatile Macintosh poggiato sulla superficie liscia e lucida. Per tutto il mese prossimo sarei rimasta nell'ufficio di Pamela e lei mi avrebbe siutata coi primi incarichi di catering familiare, solo dopo avrei avuto diritto ad un ufficio tutto mio due piani più in basso.
Non era più incazzata come prima... anzi, adesso mi sembrava quasi tollerabile, o almeno quasi umana. Aveva assunto il tipico carattere e portamento della guida severa che doveva insegnare le tecniche del mestiere all'ultimo arrivato, cosa che apprezzai molto.
Si sedette e accese il portatile, il quale si illuminò in una schermata che portava il nome e il logo dell'azienda, e aprì un'icona sul desktop con scritto “Organizzare Nuovo Evento”. Piuttosto esplicito.
-In ogni computer dell'azienda è installato un programma contenente la lista di tutto ciò che possiamo offrire ai clienti e di cui siamo a conoscenza. E per tutto intendo proprio tutto, dai campionari delle ricette per i menu ai dati dei vip, le location e...
-Aspetta un minuto... dati vip?- domandai incredula. Di colpo più interessata alle sue spiegazioni, mi chinai in avanti per poter vedere meglio lo schermo del portatile. Lei sospirò, come se avesse previsto la mia reazione, e proseguì aprendo il link “Celebrità” ed inserendo una password richiesta dal programma, poi sullo schermo apparve una lista completa e ordinata alfabeticamente di tutte le celebrità sulla faccia della Terra.
-Adesso ti faccio vedere. In questo programma, o database se preferisci, abbiamo anche tutte le informazioni occorrenti di ogni singola celebrità, informazioni che vengono aggiornate praticamente ogni ora da un gruppo di persone accuratamente selezionate per le loro conoscenze. Abbiamo praticamente tutto: numero di telefono del vip e del suo agente, indirizzo, data di nascita ed eventuale matrimonio, relazioni sentimentali, film girati, riviste preferite, allergie e intolleranze...
-Wow, che figata. Qual'è la password?- non avevo più capito niente dopo “celebrità”. Avrei potuto scoprire l'indirizzo di David Gandy... quel gran pezzo di dio greco sceso in terra... oppure di Hugh Jackman... oppure di tutti e due!
-Non ti eccitare Little Italy, il catering familiare non è autorizzato ad usufruire della categoria vip, quella è riservata agli eventi sociali delle aziende cinematografiche.
-Ah- a dir la verità, ci ero rimasta peggio per essere stata nuovamente chiamata Little Italy che per la password negata. Mi sa che quel soprannome non me lo sarei più scollata di dosso...
Addio David Gandy e Hugh Jackman...
-Hai qualche domanda?- mi chiese lei una volta uscita dalla categoria riservata del programma.
-In effetti sì. Se dovessi avere dei problemi, potrei lavorare da casa?
-Sarebbe cento volte preferibile che tu lavorassi qui, dove ti posso controllare e dare una mano nel caso in cui tu abbia bisogno.- le labbra dicevano di no, la voce diceva “assolutamente no”, traduzione: “Accetterei la tua assenza solo se fossi su una barella diretta all'obitorio, in caso contrario devi cementificare il culo su questa sedia”.

-Beh, se uno dei miei figli dovesse stare male non potrei venire...- sussurrai, nella speranza di crearmi un varco in quella rete di impedimenti. In teoria, la maternità avrebbe dovuto essere il mio jolly, anche se speravo caldamente che nessuno dei miei figli si beccasse a breve qualcosa; se questo lavoro era difficile come me lo mostravano, per i primi tempi avrei dovuto essere super concentrata e pronta a tutto.
Pamela spalancò gli occhi, sbalordita. Era l'ultima cosa che si aspettava che le dicessi e ora non sapeva che cosa rispondermi.
-H-hai dei figli?- mi domandò passandosi una mano tra i capelli scuri e ricomponendosi dal suo stato di sorpresa.
-Sì, ne ho due. Perché?
-Ma quanti anni hai scusa?- mi chiese allora appoggiando il gomito sullo schienale morbido della sedia. Sembrava sinceramente interessata.
-...ventiquattro.- risposi a mezza voce, leggermente in imbarazzo.
-Ah...- si bloccò, le sopracciglia stirate verso l'alto e la bocca semi spalancata.
-Questa cosa ti turba?
-No, è che non me lo aspettavo... insomma, sei così giovane...
-Capita... allora, qual'è il mio primo incarico?- e finalmente riuscii a cambiare discorso, concludendo quello che si stava trasformando in un interrogatorio sul perché avevo due figli alla mia età. Non mi piaceva parlare della mia vita, soprattutto con un persona che conoscevo da meno di un'ora, era una cosa che mi metteva a disagio e finivo inevitabilmente col sentirmi sotto giudizio.
Perché le persone giudicano, ohh... eccome se giudicano, parlare il meno possibile di sé è l'unica soluzione per salvarsi dai giudizi degli altri.
Prima non ero così, non ero una madre, non ero divorziata e non ero in difficoltà economiche... beh, quello sì. La verità era che avevo dovuto crescere in fretta, imparare forse troppo presto a prendermi cura di me e delle persone che amavo e che amo tutt'ora. Non mi pentivo di tutto quello che avevo fatto e che mi aveva portata fino a qui, o non avrei conosciuto Melanie e Sean, non avrei avuto Andrew e Lidia.

Il mondo divino ai piedi delle scale, era quella la mia missione sacra. Farli aprire tutti, aiutarli, in tanti modi diversi allontanare la loro paura fottendo. Lui sorride troppo, si fa piccolo in modo che io possa vedere che mi sta implorando. Solo una sbirciatina.
Lui freme per l'aria che lo circonda, catturando gli aliti di Zefiro che soffiano, e mi invita nel santuario della sua estasi privata.
Altri sono così timidi che posso assaporare la loro vergogna, perché questo è il mio dono, riuscire a percepire che cosa hanno dentro e di cosa hanno bisogno: corteggiamento, sottomissione, umiliazione.
Guardando ogni movimento, respirando con loro... ispira, espira.
-Ti prego, non fraintendermi... di solito non vengo in posti come questo.
-Allora magari non sei veramente qui. Può essere tutto quello che vuoi.

-Non dire così.

Di solito, le prime volte si sentivano sempre a disagio, e il mio compito era fare in modo che si sentissero accettati. Tra quelle quattro mura non avevamo regole, non avevamo costrizioni. Ma per lui non era la prima volta, eppure era chiuso, impenetrabile, difficile da decifrare.
-Perché mi guardi in questo modo?
-È così che conosco le persone, guardandole negli occhi.
-Non sei obbligata a conoscermi, non sarai mai obbligata a conoscermi.
Mi sfiorava la veste, afferrando delicatamente l'orlo del leggero tessuto tra due dita.
-Puoi togliertelo? Soltanto il kaftano.
-Tutto quello che vuoi Darren.
Stavolta era lui a studiarmi, ad analizzare ogni mio gesto volontario o involontario che fosse.
Cominciò ad accarezzarmi la pelle nuda delle spalle, delicatamente, come se fosse in esplorazione.
-Perché hai scelto un lavoro simile? È un lavoro segreto... qui può succedere di tutto.
-Solo se vogliamo che succeda.
Le sue dita viaggiavano sicure sulla mia pelle, risalendo nell'incavo delle spalle, poi sul collo, e infine sulla guancia, più rosea grazie al fard.
-Sei così bella... ma questo me lo aspettavo.
Io offrivo loro tutto quanto. Nessun limite, nessun tabù... questa era la mia promessa, andare ovunque con loro volontariamente; nelle foreste oscure, nei luoghi segreti, per poi portarli di nuovo al sicuro a casa.
Da loro stessi.
   
 
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