Bad Memories
-Accidenti!
Il flash mi venne subito
dopo che Andrew scese dalla macchina per dirigersi insieme alla sua
maestra verso il portone della scuola elementare. Lo stavo guardando
allontanarsi, poi lo sguardo mi cadde sul seggiolino di Lidia, dove
lei stava ridendo per il rumore che faceva il sonaglino a forma di
stella.
Mi ero completamente dimenticata di chiamare la
babysitter. Porca puttana!
Passai mentalmente in rassegna tutte
le persone che avrei potuto chiamare, scartandole una ad una, finché
non rimase l'unica a cui affiderei anche la mia vita: Melanie. Lidia
la conosceva e poi era bravissima coi bambini. Presi il cellulare
dalla borsa e, prima di accendere l'auto, composi a memoria il suo
numero, pregando circa una trentina di santi diversi per poter avere
il loro appoggio e, possibilmente, una botta di culo.
-Dai,
dai...ti prego...
-Pronto?
-Mel! Sono Eva!- ero talmente
felice di sentire la sua voce che per poco non mi misi a urlare,
invece il mio corpo rispose istintivamente a quella risposta,
sobbalzando sul sedile in uno spasmo che non riuscii a controllare e
che mi fece staccare il piede dalla frizione troppo in fretta,
bloccando la macchina in mezzo alla strada e dando la possibilità a
un fantastico esemplare dell'americano medio (che si era appena
guadagnato tutto il mio odio) di ribadire, per l'ennesima volta nel
corso della storia, quanto possano essere pericolose le donne al
volante. Dopo averlo mandato a stendere con un'esclamazione che
avrebbe potuto far imbarazzare persino Tyson ripresi in mano il
telefono, il silenzio dall'altra parte della linea mi suggerì che
ero riuscita ad ammutolire persino Mel.
-Wow, Eva! Hai dei
bambini, che ti è successo di così grave da augurare una disgrazia
del genere a quell'uomo? A quest'ora del mattino poi!- domandò
basita, erano rare le occasioni in cui mi dimenticavo di mettermi la
museruola, ma quella mattina tutti coloro che si sarebbero trovati al
momento sbagliato nel posto sbagliato (ossia tra i miei piedi)
avrebbero fatto bene a portarsi sempre appresso un corno o un
rosario.
-Mel, sono nella merda più totale, è il mio primo
giorno di lavoro e mi sono dimenticata di chiamare la babysitter per
Lidia.
-Che sfiga... e che c'entro io?- in realtà lei sapeva già
che cosa stavo per chiederle, però sperava che non lo avrei fatto. E
invece...
-Me la puoi tenere? Solo per oggi, poi da domani ci
sarà la babysitter. Ti supplico!
-Eva... io non posso tenerla
qui con me mentre gestisco la reception. È molto sconveniente e
Nicole mi fucilerebbe!- stavo pezzando come una capra dal panico, e
la cosa più assurda era che, quando nacque Lidia, Nicole mi aveva
detto che avrei potuto tenerla nel suo ufficio mentre svolgevo i miei
turni. Ora niente più bambini.
-Porca miseria, e adesso?!
-...aspetta. Sean è arrivato al locale adesso, oggi non ha
appuntamenti, posso chiedere a lui. Sean, vieni qui un secondo!
-Perfetto!
Se Sean avesse accettato di badare a Lidia mi sarei fermata alla pasticceria più cara di Los Angeles e gli avrei comprato la torta di pesche più grossa che avevano, come minimo! Anche se ero praticamente certa che, anche una torta per venti persone, tra le mani di Sean sarebbe finita in meno di un paio d'ore con la fogna senza fondo che quell'uomo si ritrovava al posto dello stomaco... infatti mi ero sempre chiesta come diamine fosse possibile che lui potesse mangiarsi tutte le schifezze che voleva senza mettere su neanche un grammo di pancia mentre io dovevo ammazzarmi di diete fai-da-te perchè qualsiasi cosa mangiassi mi restava tre minuti in bocca e poi andavano dritti dritti sul culo, dove ci restavano per almeno tre anni o il tempo necessario per la successiva influenza intestinale. Che creature bislacche...
Sean Bolen era il fratello maggiore di
Melanie, anche se tutti li prendevano per gemelli, eppure lui aveva
ben due anni in più. Iniziò a lavorare al 232 circa due mesi dopo
di me e, prima che nascesse Lidia, passavamo ogni fine serata seduti
al bancone bar del locale a chiacchierare e a svuotare le riserve di
Champagne di Nicole. Mi era stato vicinissimo durante il divorzio,
l'unica presenza maschile su cui potevo fare affidamento, mi era
stato davvero di conforto e, in quei giorni in cui sguazzavo
allegramente nella merda, era ciò di cui avevo più bisogno.
Andrew
adorava Sean, quando veniva a trovarci nei i week-end passavo le ore
a giocare a football in giardino e sembrava che si divertisse più
lui di mio figlio. E poi era stata la prima persona a cui Lidia aveva
sorriso, con grande rabbia di Daniel e immensa gioia mia.
-...ok,
porta Lidia davanti al locale. Esce Sean e la porta a casa tua.
-Ok
allora gli lascio direttamente le chiavi. Ci vediamo tra cinque
minuti.
Schiacciai sul pedale dell'acceleratore con tutta la
scarpa e per poco non investii una coppia di adolescenti che stava
attraversando la strada proprio in quel momento. Purtroppo, quando
ero di fretta diventavo un vero mostro al volante, mi era andata già
di culo che in sette anni che avevo la patente non avevo mai fatto
incidenti. Riuscii ad evitare i nove semafori che mi separavano dal
232 passando almeno quattro volte col giallo e, sull'ultima curva, a
momenti non ruppi le pastiglie dei freni tanto sgommai forte. Questa
volta una multa non me l'avrebbe tolta proprio nessuno...
Mi
fermai a qualche metro dall'insegna rossa, inchiodando la macchina a
pochi centimetri dal marciapiede e dal parcheggio nel quale non sarei
entrata, non stavolta.
Mi fece un certo effetto essere davanti al
232 e non poterci entrare, e in un certo senso mi mancava. Gli orari
assurdi che spesso e volentieri coprivano quasi tutta la notte, lo
spogliatoio in cui noi ragazze ridevamo da matti mentre ci aiutavamo
a vicenda a vestirci e a truccarci, il bar davanti a cui avevo
passato ore intere, chiacchierando coi clienti e le altre ragazze.
Alla fine della fiera, eravamo una grande famiglia felice, fatta
essenzialmente di champagne e intimo francese.
-Sei contenta che
oggi stai con lo zio Sean, eh cucciola?- le sorrisi mentre afferravo
con una mano la borsa dei pannolini che stava in fondo al sedile.
Dopo essermi passata la cinghia a tracolla slegai Lidia dal suo
seggiolino e, tenendola sollevata col braccio libero, uscii dalla
macchina.
Sean si stava lasciando alle spalle la porta a vetri del 232 proprio in quel momento, sistemandosi i folti capelli scuri con una mano ed esibendo un sorriso talmente luminoso e caldo che avrebbe potuto dare fuoco alle foglie secche.
Alto, fisico atletico e prestante, moro e due occhi azzurri in grado di lanciare sguardi più penetranti di una scavatrice, le labbra tumide e sottili, spalle da muratore e un culo da orgasmi a grappolo. Sean Bolen era sexy come il diavolo e più di una volta mi sorpresi a farmi dei viaggi degni del miglior film porno in cui mi faceva di tutto e anche di più. Ovviamente non c'entrava niente il fatto che, circa un anno fa, eravamo andati a letto insieme... no no, ero proprio io che, dopo il divorzio, ero diventata vittima di una delle peggiori crisi d'astinenza sessuale mai viste. Una volta ero anche arrivata a pensare di sedurre il postino che, in quel particolare pomeriggio assolato, mi era sembrato molto sexy con il suo alito di birra e la sua unica ciocca bianca di capelli col riportino... e qui lascio ben intendere quanto fossi messa male!
Ma finché non avrò il prossimo ciclo,
che include automaticamente la prossima carica ormonale sparata a
mille, credo che il genere maschile possa dormire sonni tranquilli;
di una cosa sono certa però... se dovessi arrivare a quota sei mesi
di astinenza me ne andrò a fare una passeggiata notturna in
autostrada per darla via gratis...
-Sean, guarda chi ti ho
portato!- esclamai sollevando un altro po' Lidia, sperando che la sua
presenza mi potesse fare da scudo contro un'altra eventuale crisi da
assenza di sesso che avrei rischiato di sfogare sul fratello della
mia migliore amica. Sean ci raggiunse con le braccia protese in
avanti e la prese subito in braccio tenendola su un fianco, con tutta
l'aria di chi non vedeva l'ora di piazzarsi in poltrona e di fare
zapping alla tv.
-Ehi scricciolina, come stai? Ciao Eva!- subito
si chinò un poco per darmi un leggero bacio sulla guancia e io feci
lo stesso, poi gli passai il borsone e lo aiutai ad infilarselo
attorno alla spalla.
-Bene grazie, tu?
-Non mi lamento. Oggi
non lavoro, così ne approfitto e mi riposo un pò. Lei ha già
mangiato?- domandò indicando Lidia che, nel frattempo, stava
giocando con la sua croce da uomo Comete. Le accarezzai piano la
testolina bruna, cercando di guardarlo in faccia il meno possibile.
-Sì sì, non ti preoccupare. Il prossimo biberon preparaglielo
per le due, dopo aver preparato il pranzo ad Andrew, dovrebbe
addormentarsi fra un'oretta.
-Ook, invece Andrew cosa mangia?
-Quello che vuoi, lui mangia di tutto.
-Capito, ora vai che
arrivi tardi.
-Ok, grazie mille Sean. Mi hai salvato la giornata!
Ciao cucciola.- mi sollevai un poco sulle punte dei piedi per
allungare un altro bacio sulla sua guancia, per poter avere almeno
l'illusione di un altro contatto maschile, e poi mi avvicinai
sfiorando con la punta del naso le gote di Lidia.
-Non c'è di
che. Ci vediamo oggi pomeriggio!
-A dopo!- esclamai risalendo in
macchina e chiudendo la portiera. Diedi loro un ultimo saluto
attraverso il finestrino e poi rimisi in moto l'auto in direzione
dell'edificio della Reynolds Group.
Mi presentai davanti all'ufficio di
Darren con cinque minuti di anticipo, avevo avuto anche il tempo di
fermarmi in un minimarket a prendere una confezione di succo pesca,
arancia e mela per poter finalmente fare colazione con una sacrosanta
e rovinosa dose di zuccheri di cui il mio sedere non si sarebbe mai
più sbarazzato. Trovai Gabrielle Halverson seduta alla scrivania del
suo ufficio, letteralmente circondata da schedari e fascicoli di ogni
genere e alla terza tazza di caffè per nulla decaffeinato.
-Buongiorno Gabrielle- la salutai da dietro la porta del suo
ufficio, senza però entrare.
Lei spostò lo sguardo dallo schermo del
suo portatile e mi sorrise, forse erano quattro tazze.
-Ehi,
buongiorno! Sei pronta per il tuo primo giorno?
-Sì, anche se
non so ancora cosa devo fare. Stavo giusto andando da Darren a
chiederglielo.
-Ok, adesso perdonami ma devo scappare, mi vedo
con l'agente di Nikki Reed per discutere della sua festa di
compleanno di domani sera... ci vediamo per pranzo? Di solito mi
faccio portare i pasti in ufficio dalla mensa, se mi facessi
compagnia mi farebbe piacere!- non feci neanche in tempo a
risponderle che si alzò dalla sedia mettendosi sotto braccio una
voluminosa cartelletta blu, dedicandomi un lieve gesto di saluto con
la mano ed uscendo a grandi passi dall'ufficio, tirando fuori dalla
borsa di pelle nera Chloe il suo Blackberry rosa che aveva già
cominciato a suonare come un indemoniato. Poveretta, che stress.
-...o-ok!- sussurrai, anche se parlavo solo a me stessa. Mi
guardai un attimo attorno, constatando tristemente che erano tutti
nei rispettivi metri quadrati dietro alle scrivanie, oberati di
lavoro, così girai i tacchi ed entrai nell'ufficio di Darren senza
far rumore. Lo osservai per qualche secondo nella sua aderente
camicia chiara, dove invece di “aderente” sarebbe stato meglio
dire che “gli era stata praticamente cucita addosso e ora sembrava
sul punto di esplodere”, perdendomi nel rilievo dei suoi pettorali
attraverso il tessuto sottile e apparentemente costoso.
La pelle abbronzata che scintillava di piccole gocce d'acqua, lo stesso profumo che metteva religiosamente ogni giorno da anni mi permetteva di riconoscerlo anche quando avevo gli occhi bendati con la sua cravatta, piccolo gioco delle parti in cui potevo scegliere se essere protagonista o semplice comparsa. La presa forte delle sue dita sulla mia pelle che mi sconvolgeva senza arrecare dolore, dandomi dolci brividi che sembravano poter durare una vita intera. La seta che scivolava sulla mia pelle, cadendo sul pavimento ai miei piedi in un'onda liscia e silenziosa. La passione in ogni suo bacio, la potenza nel suo corpo.
Un uomo come pochi, quello che ogni
donna sogna ma che nessuna vorrebbe davvero.
Dietro alla maschera
dell'amante appassionato e irrefrenabile si nascondeva un'ombra
oscura, invisibile ad occhi inesperti. Ma io l'avevo vista, sapevo
fin dall'inizio della sua presenza in quel corpo paradisiaco e
l'avevo comunque accolto nella mia vita, concedendogli di prendersi
un piccolo pezzetto di me ad ogni nostro incontro.
-Incredibile, sei puntuale!- la sua voce
mi riportò alla realtà come il riavvolgimento brusco di un nastro,
sedando la mia carica ormonale e facendo rientrare il rivolino di
saliva al suo giusto posto, nella mia bocca. Mi sorrise stirando
lievemente le labbra, ma non fece di più. Al momento non sapevo
nemmeno cosa rispondergli, immersa com'ero nei miei ricordi in cui
avrei potuto annegare più che volentieri, poi mi tornò l'uso della
parola.
-Ehm... s-sì, t-te lo avevo detto. Cosa devo fare?
-Allora, forse Gabrielle non ha avuto il tempo di accennartelo,
impegnata com'è, comunque tu sarai assegnata all'ufficio del
catering familiare.- mi spiegò aprendo uno dei tanti fascicoli sulla
scrivania davanti a sé e svogliandolo di malavoglia.
-E in che
cosa consiste?
-Non ti preoccupare, non è niente di impegnativo.
Organizzazioni matrimoniali e feste comuni che necessitano di un
organizzatore. Ora ti mostro la tua postazione.
Alla faccia del
non impegnativo, organizzatrice di eventi?! Ma se non sapevo nemmeno
organizzare i carichi della lavatrice a casa mia!
La porta alle
mie spalle si spalancò facendo sbattere la maniglia metallica contro
il vetro del muro adiacente e minacciando seriamente di frantumarlo.
Una donna di colore tra i ventisette e i trent'anni di una bellezza a
dir poco disarmante fece il suo discreto ingresso
nell'ufficio, come se odiasse passare inosservata... infatti i suoi
vestiti ultra griffati che, nel complesso, potevano tranquillamente
valere quanto la mia macchina, urlavano “ignorami!”.
Solo un
particolare stonava con tutta quell'eleganza, quella donna era
incazzata come un pinguino e non lo dava certo a nascondere. Certo
che se era la prima impressione quella che contava...
-Darren,
abbiamo un problema!- esclamò con una voce che avevo sentito
fuoriuscire solo da poche persone in vita mia: una era Nicole il
giorno in cui mi licenziò, l'altra era mia sorella quando le dissi
che ero incinta di Andrew. Entrambi episodi da dimenticare e che
avevano seriamente rischiato di farmi perdere l'udito.
-Sì Pam,
dimmi. Eva, chiudi quello che resta della porta e aspettami fuori.
Io annuii ed uscii da quell'ufficio il più velocemente possibile
richiudendomi la porta alle spalle. Peccato che servisse ben poco, da
qui li sentivo perfino respirare.
-Cosa c'è?
-C'è che sono
nella merda e non ho la più pallida idea di come comportarmi!-
esclamò lei, rasentando di molto poco l'isteria.
-Pamela, cosa è
successo di così grave da metterti in agitazione in questo modo?
-Sono incinta, cazzo! Mi sposo fra tre mesi e sono incinta!
-...e il problema sta?
-Che ho eventi da organizzare un
giorno sì e l'altro pure fino ai prossimi due anni e che ho un
vestito di Vera Wang da tredicimila dollari che non potrò
indossare!- minchia, tredicimila dollari... tanto di cappello.
-…
i vestiti si allargano Pam, si è sempre fatto così.
-Darren non
si allarga un vestito di Vera Wang, sei tu che ti restringi per
entrarci! E se i geni di mia madre si metteranno all'opera allora
sono destinata ad allargarmi a livelli esponenziali!
-Stai
tranquilla che non ti allargherai prima di aver raggiunto almeno i
tre mesi. Qualche settimana in più non farà ancora di te una
balena.
-Ah sì? E tu come lo sai?- domandò Pamela,
apparentemente un po' più calma.
-Ho tre figli, ecco come lo so.
E ora, se non ti dispiace accompagno una ragazza nel settore del
catering familiare.- sentii delle rotelle scivolare sul pavimento per
un tratto molto breve, indicandomi che Darren si era finalmente
alzato dalla sua poltrona di pelle.
-Cos'ha di così speciale per
avere diritto delle tue attenzioni? Di solito, quello è compito mio.
-Ci potrà aiutare nell'innalzare la qualità dei nostri servizi,
è italiana.
-Evviva, finalmente conosceremo il vero sapore della
pasta. Ma che bisogno c'era di assumere Little Italy con l'equipe
strapagata che abbiamo?- domandò con una nota di disapprovazione più
che evidente. Little Italy?! Ma qual'era il suo problema?
-Pam,
ho forse mai fatto delle scelte sbagliate?
-Direi di no o non
saremmo qui.
-Esatto. Ora vado.- con quella frase decretò la
fine della conversazione. Pamela fu la prima ad uscire e, vedendomi
appoggiata al vetro separatore alla sua destra, mi squadrò da capo a
piedi criticando mentalmente ogni cosa che indossavo e, sicuramente,
non c'era l'ombra di un complimento in quello che potevo leggere nei
suoi occhi.
Meglio dimostrarsi superiore in ogni caso ed evitare
di fare uso di frecciate velenose.
-Piacere, Eva Van De Mason.-
dissi porgendole la mano, lei me la strinse dopo avermi fatto
aspettare quei tre secondi in più sufficienti ad imbarazzarmi.
-Pamela Marelli.
Beene, la socia in pari di Darren. Per
fortuna avevo deciso di non risponderle a tono, altrimenti mi sarei
già trovata col culo alla porta, per dirlo in termini terra a terra.
-Molto bene, visto che vi siete presentate posso cedere a Pam il
compito di istruirti, così io potrò occuparmi della festa di Sports
Illustrated. Penso che voi due andrete molto d'accordo!
Al suono
di quell'ultima frase gli lanciai un'occhiataccia che poco aveva di
umano: un misto di odio e panico e “questa me la pagherai
carissima”. Come poteva abbandonarmi così con quel mostro in pelle
di donna?
Solo dopo mi accorsi che Pamela aveva reagito allo
stesso modo, come se il solo pensiero di avermi tra i piedi
l'annoiasse. Ma che le avevo fatto?
Però secondo me era solo
irritata per via del suo vestito di Vera Wang, io ero solo quella che
era capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. In effetti,
anche io mi sarei incazzata sapendo di aver appena buttato nel cesso
tredicimila dollari; perché, anche se si facesse allargare il
vestito, una donna incinta di quasi quattro mesi non sarebbe mai
riuscita ad entrare in un Vera Wang che era già stretto di suo.
Darren faceva tanto quello che la sapeva lunga perché aveva tre
figli, ma non era stato lui a portarseli nell'utero per nove mesi,
indi non conosceva proprio niente di quello che succedeva durante la
gravidanza. Lui al limite avrà dovuto sopportare le voglie e le
crisi isteriche di sua moglie ma, e qui ci metterei la mano sul
fuoco, non sarebbe stato nemmeno in grado di mettere piede nella sala
parto.
-Questa è la tua scrivania e questo è il
tuo computer.- Pamela mi indicò un tavolo bianco corredato di un
computer portatile Macintosh poggiato sulla superficie liscia e
lucida. Per tutto il mese prossimo sarei rimasta nell'ufficio di
Pamela e lei mi avrebbe siutata coi primi incarichi di catering
familiare, solo dopo avrei avuto diritto ad un ufficio tutto mio due
piani più in basso.
Non era più incazzata come prima... anzi,
adesso mi sembrava quasi tollerabile, o almeno quasi umana. Aveva
assunto il tipico carattere e portamento della guida severa che
doveva insegnare le tecniche del mestiere all'ultimo arrivato, cosa
che apprezzai molto.
Si sedette e accese il portatile, il quale
si illuminò in una schermata che portava il nome e il logo
dell'azienda, e aprì un'icona sul desktop con scritto “Organizzare
Nuovo Evento”. Piuttosto esplicito.
-In ogni computer
dell'azienda è installato un programma contenente la lista di tutto
ciò che possiamo offrire ai clienti e di cui siamo a conoscenza. E
per tutto intendo proprio tutto, dai campionari delle ricette per i
menu ai dati dei vip, le location e...
-Aspetta un minuto... dati
vip?- domandai incredula. Di colpo più interessata alle sue
spiegazioni, mi chinai in avanti per poter vedere meglio lo schermo
del portatile. Lei sospirò, come se avesse previsto la mia reazione,
e proseguì aprendo il link “Celebrità” ed inserendo una
password richiesta dal programma, poi sullo schermo apparve una lista
completa e ordinata alfabeticamente di tutte le celebrità sulla
faccia della Terra.
-Adesso ti faccio vedere. In questo
programma, o database se preferisci, abbiamo anche tutte le
informazioni occorrenti di ogni singola celebrità, informazioni che
vengono aggiornate praticamente ogni ora da un gruppo di persone
accuratamente selezionate per le loro conoscenze. Abbiamo
praticamente tutto: numero di telefono del vip e del suo agente,
indirizzo, data di nascita ed eventuale matrimonio, relazioni
sentimentali, film girati, riviste preferite, allergie e
intolleranze...
-Wow, che figata. Qual'è la password?- non avevo
più capito niente dopo “celebrità”. Avrei potuto scoprire
l'indirizzo di David Gandy... quel gran pezzo di dio greco sceso in
terra... oppure di Hugh Jackman... oppure di tutti e due!
-Non ti
eccitare Little Italy, il catering familiare non è autorizzato ad
usufruire della categoria vip, quella è riservata agli eventi
sociali delle aziende cinematografiche.
-Ah- a dir la verità, ci
ero rimasta peggio per essere stata nuovamente chiamata Little Italy
che per la password negata. Mi sa che quel soprannome non me lo sarei
più scollata di dosso...
Addio David Gandy e Hugh Jackman...
-Hai qualche domanda?- mi chiese lei una volta uscita dalla
categoria riservata del programma.
-In effetti sì. Se dovessi
avere dei problemi, potrei lavorare da casa?
-Sarebbe cento volte
preferibile che tu lavorassi qui, dove ti posso controllare e dare
una mano nel caso in cui tu abbia bisogno.- le labbra dicevano di no,
la voce diceva “assolutamente no”, traduzione: “Accetterei la
tua assenza solo se fossi su una barella diretta all'obitorio, in
caso contrario devi cementificare il culo su questa sedia”.
-Beh, se uno dei miei figli dovesse stare
male non potrei venire...- sussurrai, nella speranza di crearmi un
varco in quella rete di impedimenti. In teoria, la maternità avrebbe
dovuto essere il mio jolly, anche se speravo caldamente che nessuno
dei miei figli si beccasse a breve qualcosa; se questo lavoro era
difficile come me lo mostravano, per i primi tempi avrei dovuto
essere super concentrata e pronta a tutto.
Pamela spalancò gli
occhi, sbalordita. Era l'ultima cosa che si aspettava che le dicessi
e ora non sapeva che cosa rispondermi.
-H-hai dei figli?- mi
domandò passandosi una mano tra i capelli scuri e ricomponendosi dal
suo stato di sorpresa.
-Sì, ne ho due. Perché?
-Ma quanti
anni hai scusa?- mi chiese allora appoggiando il gomito sullo
schienale morbido della sedia. Sembrava sinceramente interessata.
-...ventiquattro.- risposi a mezza voce, leggermente in
imbarazzo.
-Ah...- si bloccò, le sopracciglia stirate verso
l'alto e la bocca semi spalancata.
-Questa cosa ti turba?
-No,
è che non me lo aspettavo... insomma, sei così giovane...
-Capita... allora, qual'è il mio primo incarico?- e finalmente
riuscii a cambiare discorso, concludendo quello che si stava
trasformando in un interrogatorio sul perché avevo due figli alla
mia età. Non mi piaceva parlare della mia vita, soprattutto con un
persona che conoscevo da meno di un'ora, era una cosa che mi metteva
a disagio e finivo inevitabilmente col sentirmi sotto giudizio.
Perché le persone giudicano, ohh... eccome se giudicano, parlare
il meno possibile di sé è l'unica soluzione per salvarsi dai
giudizi degli altri.
Prima non ero così, non ero una madre, non
ero divorziata e non ero in difficoltà economiche... beh, quello sì.
La verità era che avevo dovuto crescere in fretta, imparare forse
troppo presto a prendermi cura di me e delle persone che amavo e che
amo tutt'ora. Non mi pentivo di tutto quello che avevo fatto e che mi
aveva portata fino a qui, o non avrei conosciuto Melanie e Sean, non
avrei avuto Andrew e Lidia.
Il mondo divino ai piedi delle scale,
era quella la mia missione sacra. Farli aprire tutti, aiutarli, in
tanti modi diversi allontanare la loro paura fottendo. Lui sorride
troppo, si fa piccolo in modo che io possa vedere che mi sta
implorando. Solo una sbirciatina.
Lui freme per l'aria che lo
circonda, catturando gli aliti di Zefiro che soffiano, e mi invita
nel santuario della sua estasi privata.
Altri sono così timidi
che posso assaporare la loro vergogna, perché questo è il mio dono,
riuscire a percepire che cosa hanno dentro e di cosa hanno bisogno:
corteggiamento, sottomissione, umiliazione.
Guardando ogni
movimento, respirando con loro... ispira, espira.
-Ti prego, non
fraintendermi... di solito non vengo in posti come questo.
-Allora
magari non sei veramente qui. Può essere tutto quello che vuoi.
-Non dire così.
-Perché mi guardi in questo modo?
-È così che conosco le persone, guardandole negli occhi.
-Non sei obbligata a conoscermi, non sarai mai obbligata a conoscermi.
Mi sfiorava la veste, afferrando delicatamente l'orlo del leggero tessuto tra due dita.
-Puoi togliertelo? Soltanto il kaftano.
-Tutto quello che vuoi Darren.
Stavolta era lui a studiarmi, ad analizzare ogni mio gesto volontario o involontario che fosse.
Cominciò ad accarezzarmi la pelle nuda delle spalle, delicatamente, come se fosse in esplorazione.
-Perché hai scelto un lavoro simile? È un lavoro segreto... qui può succedere di tutto.
-Solo se vogliamo che succeda.
Le sue dita viaggiavano sicure sulla mia pelle, risalendo nell'incavo delle spalle, poi sul collo, e infine sulla guancia, più rosea grazie al fard.
-Sei così bella... ma questo me lo aspettavo.
Io offrivo loro tutto quanto. Nessun limite, nessun tabù... questa era la mia promessa, andare ovunque con loro volontariamente; nelle foreste oscure, nei luoghi segreti, per poi portarli di nuovo al sicuro a casa.
Da loro stessi.