Salve
a tutti!! Ecco il secondo capitolo de
Mi
sono presa la libertà di usare la parola papà, invece che padre,
nel discorso diretto, perché proprio non riuscivo a farmi piacere la
frase, nonostante il contesto. Vi prego di non farci troppo caso!! Aki_Penn
Capitolo Secondo
La caccia alla sirena
Vance scese rumorosamente le scale che portavano
sottocoperta. Long continuava a dargli ordini, il che non era davvero un male,
quel cinese era il nostromo, il secondo del capitano Emerald, lui invece un
marinaio qualunque, che occasionalmente aiutava il mozzo a pulire il ponte
dagli escrementi dei gabbiani.
Ma comunque non poteva sopportare di dover sempre
essere lui, quello a cui rifilava le reti da ricucire, dato che lui proprio non
sapeva cucire!!
“Questa è roba da donne!” aveva
protestato appena imbarcato, parecchio tempo prima.
“Questa è roba da marinai” aveva
ribattuto cantilenante il nostromo Long, sbattendogli in braccio una pesante
matassa di rete.
Nonostante il lungo periodo passato a bordo della Sirena Baffuta, Vance, non era riuscito
a imparare a rammendare, ma si era fatto furbo. Tra i prigionieri, pirati per
la maggior parte, c’era sempre qualcuno in grado di risistemare delle
reti da pesca.
Sbatté i tacchi sui gradini trascinandosi
dietro la rete martoriata, peccato solo che il loro ultimo bottino non fosse
granché, l’unico che avesse una vaga idea di come si tenesse in
mano un ago era il signor Brome, ma non era certo una sartina nemmeno lui. E
Long aveva finito per sgridarlo.
Per fortuna la notte prima, tra i banditi che
avevano maldestramente cercato di rubar loro la nave, c’era anche una
donna. Non che avesse proprio l’aspetto di una sarta, ma sicuramente con
l’ago se la sarebbe cavata meglio del signor Brome.
Passò davanti alla cella stretta dove stava
chiuso Walford, quel tizio non gli piaceva nemmeno un po’, lo vedeva,
come guardava Taro.
La sera prima stava per sbattere con lui anche la
donna, ma la luce che gli aveva visto negli occhi l’aveva messo in
agitazione, così alla fine Walford si era ritrovato insieme
all’uomo biondo con la bandana, contro il quale, quella che sembrava
essere una prostituta, si era avventata contro quando erano sul ponte.
Non era solito riservare tanta gentilezza ai
prigionieri, non è che dovesse importargli granché se Walford voleva
divertirsi con una puttana che aveva cercato di fregarli, ma non avevano mai
avuto una donna a bordo, a parte Taro, e Vance era convinto che andassero
trattate con una certa delicatezza.
A distrarlo dai suoi pensieri fu il rumore
insistente di una tazza in metallo, usata di solito per mettere l’acqua,
che il signor Brome stava battendo ininterrottamente da, Vance suppose, molto
tempo.
“Vance” chiamò stancamente
appoggiato con la schiena alle assi di legno della nave “portala via di
qui, sono ore che non fa altro che piangere, questa puttana”sbottò
Brome.
Vance lo guardò stancamente, prima di
rispondere “Non mi pare di averti mai detto che questo fosse un viaggio
comodo e divertante, Brome”.
Non glielo aveva assolutamente detto, anzi la prima
volta che si erano incontrati l’aveva stordito con una botta in testa
prima di portarlo nella stiva, e aveva perso così tanto sangue che per
qualche tempo aveva davvero pensato di averlo ucciso.
In effetti, però, la donna dai lunghi
capelli scuri che aveva trascinato nella stiva qualche ora prima, era seduta in
un angolo della gabbia con le ginocchia strette al petto e il viso nascosto, a
singhiozzare.
“Ehi tu” si fece notare Vance battendo
le nocche sulle sbarre.
Brome si voltò a guardare interessato la
nuova arrivata. Era curioso di sapere se, almeno, a uno dei marinai avrebbe
dato ascolto, e si sarebbe zittita. Magari il Capitano Emerald aveva deciso di
sbatterla insieme a Walford, in modo che quello schifoso la smettesse di
guardare Taro.
“Ehi, sto parlando con te”
sbottò a voce più alta il ragazzone. Fu allora che Francine si
accorse che stavano parlando a lei e alzò la testa dalle ginocchia alle
quali era appoggiata. Il bistro con il quale aveva truccato gli occhi le era
colato lungo le guance, lasciandole due grosse strisce scure, dove erano
passate le lacrime.
Quel ragazzo enorme stava parlando con lei, che
cosa voleva? Se ne era andata dal bordello per farsi maltrattare gratuitamente
da un branco di rozzi marinai? E Alvar era rimasto bloccato da solo al porto,
mentre lei era ormai salpata. Alvar…
“Ho bisogno di te” continuò di
cattivo umore “sai cucire vero?”
Francine lo guardò perplessa. Che razza di
richiesta era?
“Ehi, ti ho chiesto se sai cucire”
ripeté ancora. La donna annuì silenziosa, guardandolo dal basso.
Vance si compiacque “Bene, allora rammenda
questa” ordinò aprendo in fretta la cella e lanciandole dentro la
rete “Fai in fretta, ne avrò bisogno presto” aggiunse prima
di andarsene a grandi passi.
Francine rimase a guardarlo andare via, prima di
posare lo sguardo sul suo lavoro.
Sul ponte, nello stesso momento, regnava il caos,
tutti parlavano ma nessuno capiva, perché Long aveva distribuito dei
tappi di cera da mettere nelle orecchie. L’unico che si trovava a suo
agio nel bel mezzo di quella Babilonia, era il Capitano Emerald, che sordo lo
era per davvero, ed era anche l’unico in grado di leggere le labbra.
Accanto a lui, Long, manteneva una certa compostezza,
intenzionato a infilarsi i tappi solo all’ultimo momento. Taro si era
legata i lunghi capelli biondi in una crocchia, e aveva indossato nuovamente il
vestito bordeaux lercio. Il trio guardava il mare piatto, il Capitano Emerald
con l’aiuto di un cannocchiale, gli altri due a occhio nudo.
Il nostromo rimirava contento la sua nuova bussola
fiammante, e Taro sgranocchiava una mela comprata, dal cinese, al mercato
quella mattina.
“Long? Cosa hai da dirmi su questi cosiddetti
banditi?” chiese poi il Capitano allontanando l’occhio dal
cannocchiale, per guardare il suo secondo.
Long distolse di malavoglia l’attenzione
dalla sua nuova, fantastica, bussola “Nulla. Sulla lista nera del
governatore Collins non ci sono. Ho ragione di pensare che siano tre disperati
che hanno tentato il loro primo colpo. Li buttiamo a mare?”
domandò meritandosi un’occhiataccia di Taro e uno sbuffo del
Capitano.
“Non mi piace uccidere le persone, se possono
farlo gli altri. Se no appenderemmo i pirati per il collo, alla varea del
pennone, come fanno gli altri!” esclamò.
“Oh” Long parve stupito “Pensavo
che non lo facessimo perché i corpi in decomposizione fanno cattivo
odore, Capitano” cantilenò allegro il nostromo.
Emerald sbuffò e proprio mentre lui si
rimetteva a guardare dal cannocchiale, arrivò Mansel, il mozzo, che non
rendendosi conto del reale volume della sua voce urlò in faccia a Long
che il medico aveva finito di steccare il braccio rotto di Alberic.
Il nostromo lo liquidò con un sorriso un
po’ tirato e un cenno della mano, era terribile che nessuno capisse se
stava parlando a bassa voce o urlando. Anche Taro si era piuttosto indispettita
per quell’improvviso frastuono, mentre il capitano concentrato sul mare,
non aveva sentito assolutamente nulla.
Era bizzarro comunque, che Alberic si fosse rotto
un braccio cadendo per le scale mentre andava a contare le bottiglie di rum,
come il suo capitano gli aveva ordinato, dopo essersi lamentato per la sua
spiccata simpatia per gli alcolici.
“Quella è l’isola, secondo
quello che ha detto Taro” riprese Emerald, voltandosi nuovamente verso il
cinese, giusto in tempo per non vedere il mozzo andarsene. Le indicazioni di
Taro erano, come solito, molto vaghe, ma quella era la prima isola che avevano
trovato seguendo la rotta indicata dalla ragazzina.
Era troppo piccola per essere abitata, e da quella
distanza si poteva solo scorgere con il cannocchiale, una spiaggetta di sabbia
scura.
“Dobbiamo circumnavigarla, in cerca di una
grotta, di solito le sirene si nascondono nelle cavità di roccia, quando
escono dall’acqua, e poi io mi avvierò da solo con la scialuppa,
mentre voi mi aspetterete qui. Dov’è la rete che usiamo per le
sirene?” domandò infine.
“L’ho data a Vance, andava
rammendata” spiegò Long col suo solito accento orientale,
rigirandosi tra le mani, orgoglioso la nuova bussola.
“Beh, allora spero che l’abbia rammendata, non
possiamo sapere quanto quella bestia
pinnata rimarrà fuori dall’acqua” sbottò. Sia
Long che Taro distolsero lo sguardo, era risaputo quanto al capitano non
piacessero le sirene.
“E poi mettiti i tappi pure tu. Il comando
della nave è nelle tue mani, finché e non ci sono io. E fai anche
in modo che Taro non esca da sotto coperta” ordinò prima che il
nostromo si dileguasse. Taro lanciò il torsolo di mela in mare, poi
girò i tacchi afferrando il gatto a tre zampe che da anni viveva sulla
nave, e che mangiava molto meglio dei marinai perché, il pesce, gli
veniva dato crudo, e non cucinato da Cyrus, il cuoco.
Erano ancorati al largo dell’isoletta ormai
da due ore e Long, preso possesso del cannocchiale del capitano, lo aveva
seguito col lo sguardo, mentre remava all’indietro verso una
cavità che avevano individuato nella scogliera. L’aveva visto
sparire il quel cunicolo di roccia, e poi riapparire remando instancabile, ma
accompagnato da un fagotto di squame che brillavano alla luce del sole.
Si rammaricò di non poterla vedere in viso,
cercando di districarsi dalla rete nella quale il capitano l’aveva
infilata, era finita a testa in giù nella scialuppa
Long schioccò la lingua, avrebbe dovuto
aspettare di vederla da vicino per stimarne il prezzo.
Sorrise compiaciuto infilandosi il cannocchiale
nella cintura che portava sopra al suo vestito orientale blu, non avrebbe
dovuto aspettare ancora molto prima di vederla, e così pensando si
voltò intenzionato ad andare a prendere, in cucina, una delle mele che
aveva comprato quella mattina, ma rimase fermo a fissare l’altro capo
della nave.
A poca distanza dal timone, dove Leonard puliva
ignaro il pavimento, stava, come spuntato dal nulla, un bambinetto. Long
suppose avesse dieci anni, più o meno.
Non gli ci volle molto per rendersi conto di cosa
stava succedendo. Non riusciva a vedergli gli occhi da quella distanza, ma
immaginò fossero vuoti come quelli di Alberic quando aveva sentito
cantare la sirena. E probabilmente, anche se lui con la cera nelle orecchie non
poteva sentirla, anche la sirena che aveva catturato il capitano, stava
cantando.
Il bambino camminava lentamente verso il parapetto.
“Leonard!!” urlò.
L’interessato, sordo come lui, lo ignorò, continuando a lustrare
con grande lena le assi di legno.
Resosi conto del problema, rimase qualche istante a
bocca aperta preso alla sprovvista, poi si cacciò la mano nella tasca,
afferrò la sua nuova bussola e la lanciò con grande precisione
addosso a Leonard, che esalò un Ohuc
addolorato e alzò la testa per vedere chi gli aveva giocato il brutto
scherzo.
Vide il cinese fargli larghi gesti e indicare un
punto alle sue spalle. Probabilmente stava anche urlando qualche cosa, ma era
tutto maledettamente ovattato, era un po’ come vivere sott’acqua,
dare la caccia alle sirene.
Si voltò e si ritrovò a guardare la
schiena di quello che sembrava un bambinetto con una giacca troppo grande per
la sua statura.
Un bambinetto che stava mettendo un piede tra le
colonnine di legno che sorreggevano l’asse del parapetto, e che pareva
avere tutta l’intenzione di buttarsi di sotto.
“Ehi!” urlò Leonard senza
chiedersi oltre da dove diavolo fosse spuntato e lanciandosi a schiacciarlo per
terra.
Il bambinetto fece una smorfia, il canto della
sirena fu completamente coperto dal rumore della caduta a terra e dal dolore
delle costole schiacciate dal peso del marinaio. Sentì diverse schegge
di legno graffiargli la guancia. Come cavolo c’era finito lì? Fino
a poco prima, ne era certo, era nascosto nella dispensa tra i sacchi di patate.
Leonard si alzò ansimante, si era preso un
accidente, quella situazione gli aveva ricordato della prima volta che Alberic
era andato a caccia di sirene, e se il bambinetto fosse caduto in acqua, come
aveva fatto all’epoca il marinaio, lui non avrebbe potuto buttarsi rischiando
che i tappi di cera, con l’acqua, gli uscissero dalle orecchie. Lo
guardò accasciato a terra, con la faccia schiacciata contro il
pavimento. Era davvero piccolo, non poteva avere più di dieci anni.
Long arrivò di corsa, facendo le scale che
portavano alle zona sopraelevata del ponte a due a due, brandendo una corda.
“Che cacchio ci fa qui questo
bambinetto!!” gli urlò Leonard, senza venir capito dal nostromo
che vedendo gli occhi del ragazzino tornare vitrei gli passò una coda
della corda.
“Legalo” ordinò. Leonard
capì nonostante non potesse sentirlo.
Fu in quel momento che, disubbidendo agli ordini,
Taro uscì da sotto coperta correndo, attirata dal violento rumore che
proveniva dal ponte.
“Che succede?” urlò, ignorata da
tutti. Mansel, il mozzo, le andò incontro cercando di fermarla, Leopold
e Cyrus si apprestavano ormai a tirare su la scialuppa che ospitava il capitano
e la nuova sirena.
Taro non aveva mai assistito all’arrivo,
sulla nave, di una nuova sirena.
Rimase incerta, se guardare il bambinetto con gli
occhi vitrei, come li aveva avuti Alberic, e la risalita faticosa della scialuppa
fino al ponte.
Smise di seguire con gli occhi, Leonard che prima
spintonava, poi si caricava di peso sulle spalle il bambinetto, per portarlo,
sotto ordina gesticolato, di Long, nelle cucine, per portare lo sguardo a
vedere il cappello del capitano, poi i suoi capelli, la sua barba, la sua
giacca e la spada, agganciata alla cintura.
Emerald la guardò in silenzio. Non
l’aveva mai sgridata in vita sua. Se Taro usciva dalla sua cabina,
disubbidendo agli ordini che le aveva dato, aveva sicuramente i suoi motivi.
Senza pensarci oltre, afferrò malamente il
fagotto che si trovava ai suoi piedi, come se fosse un oggetto inanimato,
piantò un piede sul parapetto di legno e saltò sul ponte a piedi
pari. Tra le sue braccia, quella che doveva essere la sirena si stava
dimenando, tanto che il capitano stanco, la lasciò cadere a terra senza
nessun riguardò.
Taro la guardò rotolare come un corpo morto
e poi cominciare a muoversi come le code delle lucertole quando vengono
staccate. I capelli neri che fino ad allora le avevano coperto la faccia, si
scostarono, lasciando che Taro, che si era trovata la testa della donna-pesce
ai suoi piedi potesse vederne gli occhi azzurri adirati. Rimase a guardarla per
qualche secondo, senza sapere davvero cosa fare. Ma non fece in tempo ad
allungare la mano verso il viso della sirena, perché il capitano
l’afferrò per la vita, con inaudita enfasi e se la cacciò
sulla spalla diretto sotto coperta.
“Questo non è posto per te, Taro, ci
penseranno loro a portare la sirena nella sua stanza” disse
semplicemente.
La ragazzina, con la testa rivolta verso il mare
continuò a guardare la sirena dimenarsi e sgusciare via dalla presa del
grasso Cyrus, finché la porta che divideva il ponte dalla stiva non si
chiuse dietro di loro.
Più tardi, il capitano Emerald se ne stava
seduto sugli scalini di legno che portavano alla parte sopraelevata del ponte,
in silenzio, finalmente a riposare e a fumare dalla sua pipa intagliata. Long,
seduto accanto a lui, giocava con i suoi due serpenti neri, la sua nuova
splendida bussola, ormai rotta, riposava in tasca.
Emerald l’aveva lasciato ad aspettarlo al
porto di Singapore, svariati anni prima, e quando era tornato a riprenderselo
l’aveva trovato nella stessa posizione, ma con il braccio un cesto di
vimini, che si era rivelato contenere due serpenti neri, dai quali il nostromo
non aveva voluto assolutamente separarsi. Erano passati anni, quelli erano
fatti accaduti prima che arrivasse Taro, che ormai aveva quasi quindici anni,
ma i serpenti erano ancora lì, nella stessa cesta di vimini, e perfino
il capitano che non amava particolarmente i rettili, ci aveva fatto
l’abitudine.
“Chi è quel bambinetto, Long? Hai
scoperto qualche cosa?” domandò dopo qualche minuto di silenzio,
mentre vicino a loro Lambert, lo zoppo, ingollava rum, nonostante fosse
mattina.
Il cinese scosse lentamente la testa, mentre il
serpente più grosso gli si attorcigliava attorno al collo. Il capitano
pensò che avrebbe potuto strangolarlo senza difficoltà, ma non lo
fece.
“E’ giù, in cucina, Cyrus gli
sta dando da mangiare, ma si rifiuta di parlare, credo sia muto” spiegò tranquillo “Che
facciamo? Lo buttiamo a mare?” aggiunse.
Lambert e il capitano gli scoccarono un’occhiataccia.
“Stavo scherzando!” esclamò il cinese offeso, mai una
volta che qualcuno capisse il suo umorismo.
Emerald sbuffò fumo “Rimane il fatto
che non sappiamo come diavolo ci sia finito sulla Rose Mary II” commentò guardando il cielo.
Long alzò le spalle e disse “Ho visto
la sir…” ma si interruppe vedendo che il suo interlocutore non lo
stava guardando. Picchiettò con un dito sulla spalla del suo comandante
e aspettò che si girasse “Ho visto la sirena che avete
preso” proferì “Mi sembra splendida, potremmo venderla a un
prezzo piuttosto alto” constatò.
Il capitano alzò la testa “La
richiesta sta aumentando, credo che potremmo farci perfino un’asta per alzare il prezzo” disse
l’uomo.
Long, che quando sentiva parlare di soldi era
sempre contento, sorrise accarezzando con più enfasi uno dei due
serpenti che gli giacevano in grembo.
“Capitano…non crede che dovremmo darle
da mangiare, se vogliamo venderla?” chiese Lambert alticcio, brandendo la
bottiglia di liquore.
“Quelle bestie sono dure a morire, non ti preoccupare…
da mangiare glielo porteremo domani, lasciamo che si calmi! ”
sbuffò Emerald.
“A me un po’ dispiace, l’ho
vista, è così bella” commentò il suo interlocutore
prima di trangugiare un altro sorso dalla bottiglia che aveva in mano.
“Bah, quelle sono dei demoni, attirare gli
uomini nell’acqua e ucciderli, solo per divertimento!!” disse quasi
più a sé stesso, che allo zoppo.
“Lei dice così solo perché non
le ha mai sentite cantare! Qualcuno che canta così non può di
certo essere malvagio!!” esclamò Lambert ammonendolo con un dito
alzato.
“Fesserie, Lambert! Non ho mai sentito
neanche Taro suonare il violino, ma so che è bravissima!!”
sbottò Emerald indignato.
Lo zoppo alzò gli occhi al cielo “Beato
voi, che non l’avete mai sentita, Taro è portata per la musica
quanto io lo sono per il ballo!” esclamò sarcastico battendo la
gamba di legno sul ponte.
Emerald assottigliò gli occhi “Se non
la pianti ti faccio buttare a mare, Lambert” fu la conclusione.
Lambert, pur sapendo che quella minaccia sarebbe
caduta a vuoto, preferì dileguarsi.
Il capitano osservò il ponte in cerca della
ragazzina, la trovò appoggiata al parapetto che guardava il mare, mentre
il vento le faceva ondeggiare i capelli sfuggiti dalla crocchia. Si alzò
lasciando la pipa nelle mani del nostromo e si affettò a raggiungerla.
Si appoggiò al parapetto con i gomiti,
proprio come lei, e ne osservò l’espressione assente.
“Sei turbata per la sirena?” chiese
l’uomo vedendola scura in volto.
“Morirà qualcuno” fu la risposta
lenta e quasi assente. La mandibola era stretta e l’occhio triste.
“Chi e come?” chiese, preso alla
sprovvista.
Taro scosse la testa sconsolata “Non lo
so”
Il capitano guardò a sua volta il mare prima
di raccomandarsi “Non dire nulla agli altri, nemmeno a Long”. Taro
annuì.
“Mi dai la mano, Papà?” chiese.