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Autore: aki_penn    25/04/2011    1 recensioni
Il capitano Emerald solca i mari a bordo della sua nave, ingloriosamente soprannominata La Sirena Baffuta dalla ciurma irriverente, come cacciatore di teste, ma quest’attività è solo una copertura per il contrabbando di lusso. La sirena Baffuta non commercia in gioielli, oro e pietre preziose… traffica sirene. [Storia in corso di revisione]
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Salve a tutti!! Ecco il secondo capitolo de La Sirena Baffuta, grazie mille a chi ha letto lo scorso capitolo e ha messo la storia tra le seguite :3, spero che questo proseguimento possa piacervi, fatemi sapere cosa ne pensate, nel bene o nel male mi farebbe piacere.

Mi sono presa la libertà di usare la parola papà, invece che padre, nel discorso diretto, perché proprio non riuscivo a farmi piacere la frase, nonostante il contesto. Vi prego di non farci troppo caso!! Aki_Penn

 

La Sirena Baffuta

Capitolo Secondo

La caccia alla sirena

 

Vance scese rumorosamente le scale che portavano sottocoperta. Long continuava a dargli ordini, il che non era davvero un male, quel cinese era il nostromo, il secondo del capitano Emerald, lui invece un marinaio qualunque, che occasionalmente aiutava il mozzo a pulire il ponte dagli escrementi dei gabbiani.

Ma comunque non poteva sopportare di dover sempre essere lui, quello a cui rifilava le reti da ricucire, dato che lui proprio non sapeva cucire!!

“Questa è roba da donne!” aveva protestato appena imbarcato, parecchio tempo prima.

“Questa è roba da marinai” aveva ribattuto cantilenante il nostromo Long, sbattendogli in braccio una pesante matassa di rete.

Nonostante il lungo periodo passato a bordo della Sirena Baffuta, Vance, non era riuscito a imparare a rammendare, ma si era fatto furbo. Tra i prigionieri, pirati per la maggior parte, c’era sempre qualcuno in grado di risistemare delle reti da pesca.

Sbatté i tacchi sui gradini trascinandosi dietro la rete martoriata, peccato solo che il loro ultimo bottino non fosse granché, l’unico che avesse una vaga idea di come si tenesse in mano un ago era il signor Brome, ma non era certo una sartina nemmeno lui. E Long aveva finito per sgridarlo.

Per fortuna la notte prima, tra i banditi che avevano maldestramente cercato di rubar loro la nave, c’era anche una donna. Non che avesse proprio l’aspetto di una sarta, ma sicuramente con l’ago se la sarebbe cavata meglio del signor Brome.

Passò davanti alla cella stretta dove stava chiuso Walford, quel tizio non gli piaceva nemmeno un po’, lo vedeva, come guardava Taro.

La sera prima stava per sbattere con lui anche la donna, ma la luce che gli aveva visto negli occhi l’aveva messo in agitazione, così alla fine Walford si era ritrovato insieme all’uomo biondo con la bandana, contro il quale, quella che sembrava essere una prostituta, si era avventata contro quando erano sul ponte.

Non era solito riservare tanta gentilezza ai prigionieri, non è che dovesse importargli granché se Walford voleva divertirsi con una puttana che aveva cercato di fregarli, ma non avevano mai avuto una donna a bordo, a parte Taro, e Vance era convinto che andassero trattate con una certa delicatezza.

A distrarlo dai suoi pensieri fu il rumore insistente di una tazza in metallo, usata di solito per mettere l’acqua, che il signor Brome stava battendo ininterrottamente da, Vance suppose, molto tempo.

“Vance” chiamò stancamente appoggiato con la schiena alle assi di legno della nave “portala via di qui, sono ore che non fa altro che piangere, questa puttana”sbottò Brome.

Vance lo guardò stancamente, prima di rispondere “Non mi pare di averti mai detto che questo fosse un viaggio comodo e divertante, Brome”.

Non glielo aveva assolutamente detto, anzi la prima volta che si erano incontrati l’aveva stordito con una botta in testa prima di portarlo nella stiva, e aveva perso così tanto sangue che per qualche tempo aveva davvero pensato di averlo ucciso.

In effetti, però, la donna dai lunghi capelli scuri che aveva trascinato nella stiva qualche ora prima, era seduta in un angolo della gabbia con le ginocchia strette al petto e il viso nascosto, a singhiozzare.

“Ehi tu” si fece notare Vance battendo le nocche sulle sbarre.

Brome si voltò a guardare interessato la nuova arrivata. Era curioso di sapere se, almeno, a uno dei marinai avrebbe dato ascolto, e si sarebbe zittita. Magari il Capitano Emerald aveva deciso di sbatterla insieme a Walford, in modo che quello schifoso la smettesse di guardare Taro.

“Ehi, sto parlando con te” sbottò a voce più alta il ragazzone. Fu allora che Francine si accorse che stavano parlando a lei e alzò la testa dalle ginocchia alle quali era appoggiata. Il bistro con il quale aveva truccato gli occhi le era colato lungo le guance, lasciandole due grosse strisce scure, dove erano passate le lacrime.

Quel ragazzo enorme stava parlando con lei, che cosa voleva? Se ne era andata dal bordello per farsi maltrattare gratuitamente da un branco di rozzi marinai? E Alvar era rimasto bloccato da solo al porto, mentre lei era ormai salpata. Alvar…

“Ho bisogno di te” continuò di cattivo umore “sai cucire vero?”

Francine lo guardò perplessa. Che razza di richiesta era?

“Ehi, ti ho chiesto se sai cucire” ripeté ancora. La donna annuì silenziosa, guardandolo dal basso.

Vance si compiacque “Bene, allora rammenda questa” ordinò aprendo in fretta la cella e lanciandole dentro la rete “Fai in fretta, ne avrò bisogno presto” aggiunse prima di andarsene a grandi passi.

Francine rimase a guardarlo andare via, prima di posare lo sguardo sul suo lavoro.

 

Sul ponte, nello stesso momento, regnava il caos, tutti parlavano ma nessuno capiva, perché Long aveva distribuito dei tappi di cera da mettere nelle orecchie. L’unico che si trovava a suo agio nel bel mezzo di quella Babilonia, era il Capitano Emerald, che sordo lo era per davvero, ed era anche l’unico in grado di leggere le labbra.

Accanto a lui, Long, manteneva una certa compostezza, intenzionato a infilarsi i tappi solo all’ultimo momento. Taro si era legata i lunghi capelli biondi in una crocchia, e aveva indossato nuovamente il vestito bordeaux lercio. Il trio guardava il mare piatto, il Capitano Emerald con l’aiuto di un cannocchiale, gli altri due a occhio nudo.

Il nostromo rimirava contento la sua nuova bussola fiammante, e Taro sgranocchiava una mela comprata, dal cinese, al mercato quella mattina.

“Long? Cosa hai da dirmi su questi cosiddetti banditi?” chiese poi il Capitano allontanando l’occhio dal cannocchiale, per guardare il suo secondo.

Long distolse di malavoglia l’attenzione dalla sua nuova, fantastica, bussola “Nulla. Sulla lista nera del governatore Collins non ci sono. Ho ragione di pensare che siano tre disperati che hanno tentato il loro primo colpo. Li buttiamo a mare?” domandò meritandosi un’occhiataccia di Taro e uno sbuffo del Capitano.

“Non mi piace uccidere le persone, se possono farlo gli altri. Se no appenderemmo i pirati per il collo, alla varea del pennone, come fanno gli altri!” esclamò.

“Oh” Long parve stupito “Pensavo che non lo facessimo perché i corpi in decomposizione fanno cattivo odore, Capitano” cantilenò allegro il nostromo.

Emerald sbuffò e proprio mentre lui si rimetteva a guardare dal cannocchiale, arrivò Mansel, il mozzo, che non rendendosi conto del reale volume della sua voce urlò in faccia a Long che il medico aveva finito di steccare il braccio rotto di Alberic.

Il nostromo lo liquidò con un sorriso un po’ tirato e un cenno della mano, era terribile che nessuno capisse se stava parlando a bassa voce o urlando. Anche Taro si era piuttosto indispettita per quell’improvviso frastuono, mentre il capitano concentrato sul mare, non aveva sentito assolutamente nulla.

Era bizzarro comunque, che Alberic si fosse rotto un braccio cadendo per le scale mentre andava a contare le bottiglie di rum, come il suo capitano gli aveva ordinato, dopo essersi lamentato per la sua spiccata simpatia per gli alcolici.

“Quella è l’isola, secondo quello che ha detto Taro” riprese Emerald, voltandosi nuovamente verso il cinese, giusto in tempo per non vedere il mozzo andarsene. Le indicazioni di Taro erano, come solito, molto vaghe, ma quella era la prima isola che avevano trovato seguendo la rotta indicata dalla ragazzina.

Era troppo piccola per essere abitata, e da quella distanza si poteva solo scorgere con il cannocchiale, una spiaggetta di sabbia scura.

“Dobbiamo circumnavigarla, in cerca di una grotta, di solito le sirene si nascondono nelle cavità di roccia, quando escono dall’acqua, e poi io mi avvierò da solo con la scialuppa, mentre voi mi aspetterete qui. Dov’è la rete che usiamo per le sirene?” domandò infine.

“L’ho data a Vance, andava rammendata” spiegò Long col suo solito accento orientale, rigirandosi tra le mani, orgoglioso la nuova bussola.

“Beh, allora  spero che l’abbia rammendata, non possiamo sapere quanto quella bestia pinnata rimarrà fuori dall’acqua” sbottò. Sia Long che Taro distolsero lo sguardo, era risaputo quanto al capitano non piacessero le sirene.

“E poi mettiti i tappi pure tu. Il comando della nave è nelle tue mani, finché e non ci sono io. E fai anche in modo che Taro non esca da sotto coperta” ordinò prima che il nostromo si dileguasse. Taro lanciò il torsolo di mela in mare, poi girò i tacchi afferrando il gatto a tre zampe che da anni viveva sulla nave, e che mangiava molto meglio dei marinai perché, il pesce, gli veniva dato crudo, e non cucinato da Cyrus, il cuoco.

 

Erano ancorati al largo dell’isoletta ormai da due ore e Long, preso possesso del cannocchiale del capitano, lo aveva seguito col lo sguardo, mentre remava all’indietro verso una cavità che avevano individuato nella scogliera. L’aveva visto sparire il quel cunicolo di roccia, e poi riapparire remando instancabile, ma accompagnato da un fagotto di squame che brillavano alla luce del sole.

Si rammaricò di non poterla vedere in viso, cercando di districarsi dalla rete nella quale il capitano l’aveva infilata, era finita a testa in giù nella scialuppa

Long schioccò la lingua, avrebbe dovuto aspettare di vederla da vicino per stimarne il prezzo.

Sorrise compiaciuto infilandosi il cannocchiale nella cintura che portava sopra al suo vestito orientale blu, non avrebbe dovuto aspettare ancora molto prima di vederla, e così pensando si voltò intenzionato ad andare a prendere, in cucina, una delle mele che aveva comprato quella mattina, ma rimase fermo a fissare l’altro capo della nave.

A poca distanza dal timone, dove Leonard puliva ignaro il pavimento, stava, come spuntato dal nulla, un bambinetto. Long suppose avesse dieci anni, più o meno.

Non gli ci volle molto per rendersi conto di cosa stava succedendo. Non riusciva a vedergli gli occhi da quella distanza, ma immaginò fossero vuoti come quelli di Alberic quando aveva sentito cantare la sirena. E probabilmente, anche se lui con la cera nelle orecchie non poteva sentirla, anche la sirena che aveva catturato il capitano, stava cantando.

Il bambino camminava lentamente  verso il parapetto.

“Leonard!!” urlò. L’interessato, sordo come lui, lo ignorò, continuando a lustrare con grande lena le assi di legno.

Resosi conto del problema, rimase qualche istante a bocca aperta preso alla sprovvista, poi si cacciò la mano nella tasca, afferrò la sua nuova bussola e la lanciò con grande precisione addosso a Leonard, che esalò un Ohuc addolorato e alzò la testa per vedere chi gli aveva giocato il brutto scherzo.

Vide il cinese fargli larghi gesti e indicare un punto alle sue spalle. Probabilmente stava anche urlando qualche cosa, ma era tutto maledettamente ovattato, era un po’ come vivere sott’acqua, dare la caccia alle sirene.

Si voltò e si ritrovò a guardare la schiena di quello che sembrava un bambinetto con una giacca troppo grande per la sua statura.

Un bambinetto che stava mettendo un piede tra le colonnine di legno che sorreggevano l’asse del parapetto, e che pareva avere tutta l’intenzione di buttarsi di sotto.

“Ehi!” urlò Leonard senza chiedersi oltre da dove diavolo fosse spuntato e lanciandosi a schiacciarlo per terra.

Il bambinetto fece una smorfia, il canto della sirena fu completamente coperto dal rumore della caduta a terra e dal dolore delle costole schiacciate dal peso del marinaio. Sentì diverse schegge di legno graffiargli la guancia. Come cavolo c’era finito lì? Fino a poco prima, ne era certo, era nascosto nella dispensa tra i sacchi di patate.

Leonard si alzò ansimante, si era preso un accidente, quella situazione gli aveva ricordato della prima volta che Alberic era andato a caccia di sirene, e se il bambinetto fosse caduto in acqua, come aveva fatto all’epoca il marinaio, lui non avrebbe potuto buttarsi rischiando che i tappi di cera, con l’acqua, gli uscissero dalle orecchie. Lo guardò accasciato a terra, con la faccia schiacciata contro il pavimento. Era davvero piccolo, non poteva avere più di dieci anni.

Long arrivò di corsa, facendo le scale che portavano alle zona sopraelevata del ponte a due a due, brandendo una corda.

“Che cacchio ci fa qui questo bambinetto!!” gli urlò Leonard, senza venir capito dal nostromo che vedendo gli occhi del ragazzino tornare vitrei gli passò una coda della corda.

“Legalo” ordinò. Leonard capì nonostante non potesse sentirlo.

Fu in quel momento che, disubbidendo agli ordini, Taro uscì da sotto coperta correndo, attirata dal violento rumore che proveniva dal ponte.

“Che succede?” urlò, ignorata da tutti. Mansel, il mozzo, le andò incontro cercando di fermarla, Leopold e Cyrus si apprestavano ormai a tirare su la scialuppa che ospitava il capitano e la nuova sirena.

Taro non aveva mai assistito all’arrivo, sulla nave, di una nuova sirena.

Rimase incerta, se guardare il bambinetto con gli occhi vitrei, come li aveva avuti Alberic, e la risalita faticosa della scialuppa fino al ponte.

Smise di seguire con gli occhi, Leonard che prima spintonava, poi si caricava di peso sulle spalle il bambinetto, per portarlo, sotto ordina gesticolato, di Long, nelle cucine, per portare lo sguardo a vedere il cappello del capitano, poi i suoi capelli, la sua barba, la sua giacca e la spada, agganciata alla cintura.

Emerald la guardò in silenzio. Non l’aveva mai sgridata in vita sua. Se Taro usciva dalla sua cabina, disubbidendo agli ordini che le aveva dato, aveva sicuramente i suoi motivi.

Senza pensarci oltre, afferrò malamente il fagotto che si trovava ai suoi piedi, come se fosse un oggetto inanimato, piantò un piede sul parapetto di legno e saltò sul ponte a piedi pari. Tra le sue braccia, quella che doveva essere la sirena si stava dimenando, tanto che il capitano stanco, la lasciò cadere a terra senza nessun riguardò.

Taro la guardò rotolare come un corpo morto e poi cominciare a muoversi come le code delle lucertole quando vengono staccate. I capelli neri che fino ad allora le avevano coperto la faccia, si scostarono, lasciando che Taro, che si era trovata la testa della donna-pesce ai suoi piedi potesse vederne gli occhi azzurri adirati. Rimase a guardarla per qualche secondo, senza sapere davvero cosa fare. Ma non fece in tempo ad allungare la mano verso il viso della sirena, perché il capitano l’afferrò per la vita, con inaudita enfasi e se la cacciò sulla spalla diretto sotto coperta.

“Questo non è posto per te, Taro, ci penseranno loro a portare la sirena nella sua stanza” disse semplicemente.

La ragazzina, con la testa rivolta verso il mare continuò a guardare la sirena dimenarsi e sgusciare via dalla presa del grasso Cyrus, finché la porta che divideva il ponte dalla stiva non si chiuse dietro di loro.

 

Più tardi, il capitano Emerald se ne stava seduto sugli scalini di legno che portavano alla parte sopraelevata del ponte, in silenzio, finalmente a riposare e a fumare dalla sua pipa intagliata. Long, seduto accanto a lui, giocava con i suoi due serpenti neri, la sua nuova splendida bussola, ormai rotta, riposava in tasca.

Emerald l’aveva lasciato ad aspettarlo al porto di Singapore, svariati anni prima, e quando era tornato a riprenderselo l’aveva trovato nella stessa posizione, ma con il braccio un cesto di vimini, che si era rivelato contenere due serpenti neri, dai quali il nostromo non aveva voluto assolutamente separarsi. Erano passati anni, quelli erano fatti accaduti prima che arrivasse Taro, che ormai aveva quasi quindici anni, ma i serpenti erano ancora lì, nella stessa cesta di vimini, e perfino il capitano che non amava particolarmente i rettili, ci aveva fatto l’abitudine.

“Chi è quel bambinetto, Long? Hai scoperto qualche cosa?” domandò dopo qualche minuto di silenzio, mentre vicino a loro Lambert, lo zoppo, ingollava rum, nonostante fosse mattina.

Il cinese scosse lentamente la testa, mentre il serpente più grosso gli si attorcigliava attorno al collo. Il capitano pensò che avrebbe potuto strangolarlo senza difficoltà, ma non lo fece.

“E’ giù, in cucina, Cyrus gli sta dando da mangiare, ma si rifiuta di parlare, credo sia muto”  spiegò tranquillo “Che facciamo? Lo buttiamo a mare?” aggiunse.

Lambert e il capitano gli scoccarono un’occhiataccia.

“Stavo scherzando!”  esclamò il cinese offeso, mai una volta che qualcuno capisse il suo umorismo.

Emerald sbuffò fumo “Rimane il fatto che non sappiamo come diavolo ci sia finito sulla Rose Mary II” commentò guardando il cielo.

Long alzò le spalle e disse “Ho visto la sir…” ma si interruppe vedendo che il suo interlocutore non lo stava guardando. Picchiettò con un dito sulla spalla del suo comandante e aspettò che si girasse “Ho visto la sirena che avete preso” proferì “Mi sembra splendida, potremmo venderla a un prezzo piuttosto alto” constatò.

Il capitano alzò la testa “La richiesta sta aumentando, credo che potremmo farci perfino un’asta  per alzare il prezzo” disse l’uomo.

Long, che quando sentiva parlare di soldi era sempre contento, sorrise accarezzando con più enfasi uno dei due serpenti che gli giacevano in grembo.

“Capitano…non crede che dovremmo darle da mangiare, se vogliamo venderla?” chiese Lambert alticcio, brandendo la bottiglia di liquore.

“Quelle bestie sono dure a morire, non ti preoccupare… da mangiare glielo porteremo domani, lasciamo che si calmi! ” sbuffò Emerald.

“A me un po’ dispiace, l’ho vista, è così bella” commentò il suo interlocutore prima di trangugiare un altro sorso dalla bottiglia che aveva in mano.

“Bah, quelle sono dei demoni, attirare gli uomini nell’acqua e ucciderli, solo per divertimento!!” disse quasi più a sé stesso, che allo zoppo.

“Lei dice così solo perché non le ha mai sentite cantare! Qualcuno che canta così non può di certo essere malvagio!!” esclamò Lambert ammonendolo con un dito alzato.

“Fesserie, Lambert! Non ho mai sentito neanche Taro suonare il violino, ma so che è bravissima!!” sbottò Emerald indignato.

Lo zoppo alzò gli occhi al cielo “Beato voi, che non l’avete mai sentita, Taro è portata per la musica quanto io lo sono per il ballo!” esclamò sarcastico battendo la gamba di legno sul ponte.

Emerald assottigliò gli occhi “Se non la pianti ti faccio buttare a mare, Lambert” fu la conclusione.

Lambert, pur sapendo che quella minaccia sarebbe caduta a vuoto, preferì dileguarsi.

Il capitano osservò il ponte in cerca della ragazzina, la trovò appoggiata al parapetto che guardava il mare, mentre il vento le faceva ondeggiare i capelli sfuggiti dalla crocchia. Si alzò lasciando la pipa nelle mani del nostromo e si affettò a raggiungerla.

Si appoggiò al parapetto con i gomiti, proprio come lei, e ne osservò l’espressione assente.

“Sei turbata per la sirena?” chiese l’uomo vedendola scura in volto.

“Morirà qualcuno” fu la risposta lenta e quasi assente. La mandibola era stretta e l’occhio triste.

“Chi e come?” chiese, preso alla sprovvista.

Taro scosse la testa sconsolata “Non lo so”

Il capitano guardò a sua volta il mare prima di raccomandarsi “Non dire nulla agli altri, nemmeno a Long”. Taro annuì.

“Mi dai la mano, Papà?” chiese.

 

 

 

 

   
 
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