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Autore: Thalia_Like_Alan    26/04/2011    1 recensioni
Dal Primo capitolo:
- Mallory POV -
"Fu solo quando la porta di vetro oscurato della doccia si aprì che capì di non essere sola. Cacciai un urlo, spaventata, quando vidi Ian uscire completamente nudo dalla MIA doccia.
- Che diamine ci fai nel mio bagno!? –
Lui prese subito il grande asciugamano appeso alla parete e se lo legò in vita.
- E da quando?! –
- Da sempre! Maledizione! –
Ci misi qualche secondo per collegare le cose. Lo sguardo di Ian era fisso su qualcosa che di certo non erano i miei occhi. All’improvviso mi ricordai di essere nuda e cacciai un altro urlo. Con una velocità impressionante aprì la porta del bagno e lo spinsi fuori con solo l’asciugamano addosso."
- Ian POV -
"Ragazze.
Si credono belle e indispensabili.
Io dico che servono solo per una cosa.
Nel caso di Mallory…
Be’, credo che lei non sia buona nemmeno per quello.
Cosa ci vedrà mai quel dottore o chi diavolo è?
Cazzi loro, non me ne fotte niente.
Fu così che mi addormentai.
Ovviamente solo dopo che Miss Racchia abbassò il volume dello stereo."
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mio Padre, Suo Marito e Il Mio Fratellastro

Capitolo 1

 

- Mallory POV -

Quando la sveglia suonò, quasi mi rifiutai di alzarmi. Ero dannatamente stanca e avevo dormito pochissimo.  Lentamente scivolai fuori dalle coperte e un brivido di freddo mi percorse la schiena. Era già marzo ma a Boston faceva ancora dannatamente freddo. Presi la felpa dalla sedia e me la mise sulle spalle. Infilai le mie adorate ciabatte pelose e giganti a forma di coniglio e scesi al piano inferiore. All’ingresso della cucina un odore di cialde al miele mi invase le narici facendomi sorridere. Entrai e mi sedetti davanti al piatto fumante accompagnato da una tazza di latte caldo.

- Grazie Leonard. Sei fantastico. -

Ringraziai il mio secondo padre e cominciai a mangiare quella deliziosa colazione.

- Non c’è di che. -

- Papà si è già alzato? - –

- No, sta ancora dormendo. -

Annuii. Oggi non doveva andare al lavoro. In fondo all’Università non c’era lezione tutti i giorni.

- Tu devi andare al centro questa sera?  -

Mi chiese senza distogliere lo sguardo dai fornelli.

- Mmh…ho il turno delle sei e mezza, conto di essere a casa per le otto. -

- Allora ceneremo più tardi. –

Finì in silenzio di mangiare e misi i piatti nel lavello.

- Vado a prepararmi. –

Gli schioccai un bacio sulla guancia e tornai in camera mia. Ancora mezza addormentata estrassi dal cassetto della biancheria degli slip e un reggiseno pulito e mi diressi in bagno. Entrando non mi accorsi nemmeno dello scrosciare lento e regolare dell’acqua. Appoggiai le mie cose su un ripiano del lavandino e mi spogliai pronta per la mia solita doccia mattutina. Fu solo quando la porta di vetro oscurato della doccia si aprì che capì di non essere sola. Cacciai un urlo, spaventata, quando vidi Ian uscire completamente nudo dalla MIA doccia.

- Che diamine ci fai nel mio bagno!? –

Lui prese subito il grande asciugamano appeso alla parete e se lo legò in vita.

- E da quando?! –

- Da sempre! Maledizione! –

Ci misi qualche secondo per collegare le cose. Lo sguardo di Ian era fisso su qualcosa che di certo non erano i miei occhi. All’improvviso mi ricordai di essere nuda e cacciai un altro urlo. Con una velocità impressionante aprì la porta del bagno e lo spinsi fuori con solo l’asciugamano addosso.

- Ehi! Fammi entrare devo prendere la mia roba!

La individuai sullo scaffale e gliela lanciai fuori.

- Grazie, molto gentile!

Evitai di cogliere la sua provocazione e mi chiusi nella doccia. Se la mattina sembrava essere cominciata bene con la colazione ora stava di sicuro peggiorando. Oddio, non che l’averlo visto nudo fosse stato davvero uno schifo, ma il fatto che lui avesse visto me nuda costituiva di per se un’enorme figuraccia per di più imbarazzante.

Venti minuti più tardi ero fuori dal bagno: lavata,vestita e truccata, pronta per una giornata pesante all’inverosimile. Tornai al piano inferiore e salutai mio padre e Leonard prima di mettermi in macchina. L’accesi e misi la retro ma mi accorsi presto di non poter uscire dal vialetto di casa causa una Volkswagen nera che mi ostruiva il passaggio. Scesi dalla mia Ka e rientrai in casa.

- Qualcuno sa di chi è la macchina parcheggiata nel vialetto, oltre la mia ovviamente? –

Mio padre mi rispose dal salone.

- è di Ian! –

Sbuffai sonoramente per farmi sentire.

- E dove diamine è quello squilibrato? –

- è già uscito, è passato un suo amico a prenderlo…

Alzai gli occhi al cielo cercando di non farmi prendere dal nervoso.

- E io come esco dal vialetto? –

- Passa sull’erba ma stai attenta a non schiacciare le rose!

- Dio! Se lo prendo lo uccido! –

Urlai infastidita. Dovevo calmarmi o rischiavo di rovinargli la carrozzeria con le chiavi della mia auto.

Uscì di casa sbattendo la porta.

Erano le otto e dieci quando finalmente riuscì a venire fuori da quel detestabile vialetto. Ero dannatamente in ritardo considerato che le lezioni iniziavano alle otto e venti e che mi ci voleva un quarto d’ora per arrivare a scuola!

Alle otto e mezza varcai la porta della mia classe. La professoressa mi guardò in malo modo intimandomi di sedermi e non interrompere la sua lezione. Neanche fossi arrivata urlando!

Cercai in tutti i modi di stare attenta ma la lezione sui poeti del ‘700 proprio non era non di mio gradimento. Senza contare che ancora stavo cercando un modo per sfogare la rabbia repressa di quella mattina.

Ora dopo ora il nervosismo sciamò senza lasciare stracce del suo passaggio. All’ultima ora, quella che in assoluto preferivo di più, ero quasi di buon umore.

Seduta al primo banco dell’aula di matematica seguivo entusiasta la spiegazione del professor Kenneth. Nessuno, me compresa, riusciva a spiegarsi l’interesse verso questa materia. Di sicuro il basket e la matematica non andavano a braccetto ma erano comunque due delle cose che preferivo. E poi ero brava, molto brava.

Quando la campanella che segnava la fine delle lezioni suonò mi sentii quasi triste. Raccattai le mie cose e le sistemai nell’armadietto prendendo i libri che mi sarebbero serviti l’indomani. Lo richiusi e girandomi, vidi passare Ian. Mi incamminai sperando che non mi avesse notato ma non mi lasciò sfuggire.

- Ehi, sorella. Come sono andate le lezioni? –

Mi chiese ignorando completamente lo sguardo omicida che gli rivolsi.

- …Bene…almeno fino a un secondo fa… -

- Oh…siamo di cattivo umore? Poverina…ci vediamo a casa… -

- Contaci….Stronzo. –

Mi allontanai lasciando che assimilasse l’insulto appena ricevuto.

Ero sicura di averlo visto sorridere mentre mi allontanavo nella folla del corridoio principale.

Nel parcheggio faticai a trovare la mia macchina: non ricordavo dove l’avevo parcheggiata! Dopo dieci minuti buoni di ricerche mi venne in mente di averla lasciata in strada poiché non c’era più un posto disponibile. Mi avviai verso il viale e la vidi subito. Salii a bordo lanciando la tracolla sul sedile posteriore e mi misi a guidare come una pazza verso il centro cinofilo della città. Lavoravo in quel posto da un anno come volontaria ma ricevevo lo stesso un compenso in crediti scolastici. Mi divertivo a prendermi cura dei cagnolini. Almeno, quello era il mio compito principale. Assicurarmi che i cuccioli bevessero e mangiassero regolarmente dopo lo svezzamento dalle madri.

Salutai tutti e mi misi il camice bianco che tanto mi piaceva indossare perchè mi forniva un’aria altamente professionale. Quando feci il mio ingresso nel grosso salone rustico in cui si trovavano i cuccioli venni accolta da un’abbaiare comune. Risi contenta e sentì la rabbia scivolarmi via. Con calma mi assicurai che ognuna delle dieci pesti avesse mangiato e poi mi misi a giocare con loro. Una mezzoretta dopo, mi lasciai andare esausta sul pavimento e, circondata da tutti loro mi misi ad accarezzarli e a parlare della mia giornata. Parlai con loro come se avessero potuto capirmi e compatirmi. Stavo riflettendo ad alta voce sul carattere del mio appena acquisito fratello quando una voce familiare mi fece sobbalzare.

- E così Leonard ha un figlio… -

Il Dottor Damon Jenson era il vice-direttore del centro e l’uomo più bello e affascinante che avessi mai conosciuto. Aveva ventisette ma ne dimostrava sette in meno. Era dannatamente attraente e mi ritrovavo ad arrossire ogni volta che mi rivolgeva la parola. In un certo senso si poteva definire come il mio amore segreto.

- Già…lo conosco da meno di ventiquattro ore e già lo odio con tutta me stessa… -

- Non dovresti parlare di odio se lo conosci da così poco tempo, non credi? L’odio è un sentimento che si crea in fretta ma che non si cancella altrettanto velocemente… -

Ribadì mentre si sistemava sulla panca posta al centro della stanza.

Mi voltai a guardarlo: era bellissimo come sempre. I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda che gli ricadeva sulle spalle larghe e i bellissimi occhi verdi erano coperti dalle lenti degli occhiali che indossava sempre. Indossava dei calzoni scuri e una t-shirt blu coperti dal camice bianco.

- ….Mi ha chiamata Pel di Carota… -

Dichiarai mettendo il broncio come una bambina. Il Dottore rise alle mie parole. Sapeva che mi dava fastidio essere chiamata in quel modo. Lui stesso lo aveva sperimentato la prima volta che ci eravamo visti. Non mi voleva intorno e aveva cercato ogni espediente per far si che me ne andassi da sola ma io, testarda come mai, ero riuscita a fargli capire che non ero inutile.

- Ma i tuoi capelli sono rossi, non arancioni. Non è forse così? –

- Esatto! Non capisco perché la gente si ostini a dire quella cosa…. –

Rise ancora, questa volta per il tono infantile con cui mi ero espressa. Trascinata dalla sua risata genuina e contagiosa, risi anche io.

Più tardi, quando fu ora di andare, mi accompagnò all’uscita.

- Vuoi che ti accompagni a casa? Fuori è già buio. –

Avrei tanto voluto fingere di essere a piedi per farmi riaccompagnare a casa da lui ma ero consapevole di non poter abbandonare lì la mia povera macchinina.

- Ti ringrazio ma sono in macchina. –

Dissi mostrandogli le chiavi dell’auto.

- Che peccato. Stai attenta.

- …Certo… -

Lo guardai storta cercando di capire cosa voleva dire con quel “Peccato”. Lui fece finta di ignorarmi e lascai perdere. Lo salutai e mi incamminai verso il veicolo. Quando girai la chiave nel cruscotto mi accorsi che posteggiata dietro di me c’era una macchina familiare. Quando accese gli abbaglianti quasi mi accecai. Con un grande sforzo riuscì a voltarmi e a vedere Ian seduto al posto del guidatore. Scesi dalla mia Ka e mi avvicinai alla Volkswagen che aveva il finestrino aperto.

- Che diamine ci fai qui? –

- I papà mi hanno mandato a farti da scorta. –

- Come se ne avessi bisogno… -

Sbuffai e lo guardai male. Lui mi fissava come se si aspettasse una qualche spiegazione.

- Che vuoi? –

- Ti sei divertita a stare tutta sola soletta con quel tizio?  -

- Di che parli? –

- Ma sì, del tizio che ti voleva riaccompagnare a casa. –

In quel momento, mentre mi fissava con insistenza, notai accanto a lui una ragazza. Non l’avevo mai vista e non era nemmeno la stessa della sera precedente.

- Non la vorrai portare a casa spero… -

Dissi indicandola poco educatamente.

- Eh? Perché no? In fondo è anche casa mia…posso starci con chi voglio. –

Inarcai un sopracciglio, infastidita.

- Ci abiti da un giorno appena. E poi non hai il mio permesso. –

Ian sorrise divertito.

- Adesso mi serve anche il permesso della mia sorellastra per scoparmi una tipa? –

Assunsi un’espressione disgustata a quelle parole. Come poteva essere così schietto mentre la ragazza che voleva “scoparsi” gli stava seduta a fianco?

- Sì, ti serve dato che sono io quella che sente i gemiti e le urla di questa tizia. –

- Oh, andiamo sul pesante. E io che pensavo di farlo silenziosamente… -

Alzai una mano in segno di resa. Ero troppo schifata per continuare quel discorso.

- Come vuoi. –

Feci dietrofront e me ne tornai alla mia auto. Partii e lui fece altrettanto standomi appiccicato per tutto il tragitto. Quando arrivammo sul vialetto lascai che fosse lui a posteggiare per primo almeno l’indomani mattina non avrei avuto problemi a uscire.

Entrai in casa seguita a ruota da Ian e dalla ragazza. Mi fermai in cucina e mi sedetti al tavolo senza dire nulla. Lui entrò, salutò entrambi i nostri padri e tirò dritto fino al piano superiore. Mi sporsi dalla porta e lo vidi palpeggiare il sedere della tizia senza ritegno.

- Bleah. –

Leonard e Marcus mi guardarono preoccupati.

- Che c’è Mal? –

- Ma tuo figlio ha sempre fatto così? –

Chiesi contorcendo il viso in una smorfia.

- Più o meno… -

- Il suo comportamento mi da il volta stomaco… -

Dissi mentre addentavo un pezzo della mia pizza ai wurstel.

- L’appetito però non te lo toglie, eh? –

Disse mio padre facendoci ridere tutti e tre.

Una mezzoretta dopo mi decisi a salire in camera mia. Fino a quel momento non si era sentito nulla ma, man mano che mi allontanavo dal frastuono della cucina e mi avvicinavo alle scale certi rumori cominciarono a farsi sentire. Ancora una volta mi ritrovai a pensare con disdegno al comportamento di entrambi.

Nella mia stanza, che era esattamente a fianco della sua, certi suoni si fecero insopportabili. Scossi il capo schifata e mi diressi verso la pila dei Cd. Cercai fin quando il mio album preferito degli Skillet “Awake” non mi finì tra le mani. Lo misi nello stereo, alzai il volume al massimo e prima di premere il tasto play mi avvicinai alla parete, sferrai un pugno potente e urlai:

- Sei hai finito di scoparti questa tizia io dovrei studiare!!! Coglione! –

Con il telecomandino del lettore premetti Paly lasciando che Monster si diffondesse a tutto volume nella casa.

 

“…I feel it deep within, it’s just beneath my skin!”

“…I must confess that I feel like a Monster! "

 

- Ian Pov –

 

Ovviamente, quella doveva disturbare proprio nel momento migliore, no?

Però, forse non è stato così male (anche se non la ringrazierò mai per averlo fatto).

D’altronde ero stanco.

Quella tizia era asfissiante.

Dovevo mandarla via.

Quindi, uscì da sotto le coperte, fregandomene altamente di essere o no maleducato.

«Ma che fai?» ridacchiò divertita cercando di trascinarmi di nuovo dentro.

Era inutile inventarsi qualche strana scusa.

«Sono stanco ed ho sonno. Puoi benissimo andare, per stasera».

Non mi guardò con rabbia, più che altro sembrava perplessa.

Si aspettava che aggiungessi altro? Mi dispiace, non l’avrei fatto.

Presi i boxer da terra, me li infilai e mi rimisi sul letto, come a voler dormire.

Ma lei era ancora lì.

«Problemi?».

«Dimmi solo come mi chiamo».

Cazz… Jessica? Mariah? No… Leah? COURTNEY!

«Courtney» risposi con tutta la semplicità e tranquillità di questo mondo.

Mi riservò uno sguardo che sapeva di dolce, si alzò, si rivestì e, prima di uscire, chiese «Mi richiamerai mai?».

«Forse».

Andò via sbattendo la porta.

Fare lo stronzo non è poi così male.

 

Ragazze.

Si credono belle e indispensabili.

Io dico che servono solo per una cosa.

 

Nel caso di Mallory…

Be’, credo che lei non sia buona nemmeno per quello.

Cosa ci vedrà mai quel dottore o chi diavolo è?

Cazzi loro, non me ne fotte niente.

Fu così che mi addormentai.

Ovviamente solo che dopo Miss Racchia abbassò il volume dello stereo.

 

 

Mi svegliai di soprassalto.

Qualcuno aveva dato dei forti pugni alla porta, non era così difficile immaginare chi fosse stato, dopotutto.

Quando aprii la porta, me la ritrovai di fronte.

Sembrava allegra. Impossibile.

La squadrai da capo a piedi.

«Vedo che stavolta sei vestita» risi appoggiandomi allo stipite.

«Potrei dire la stessa cosa di te – rispose con una buona dose di acidità nonostante il sorriso – Tuo padre ti aspetta giù. Non farlo attendere ancora, pover’uomo, è già una disgrazia avere un figlio come te», concluse chiudendosi la porta del bagno dietro le spalle. Quella volta aveva fermato la porta a chiave.

Mi costa troppo ammetterlo.

Uno a zero per lei.

 

Papà stava cucinando le sue classiche uova con il bacon mentre Marcus stava leggendo il quotidiano.

«’Giorno, ragazzi».

«Oh ecco, Ian, cercavo giusto te».

«Successo qualcosa?» chiesi prendendo una ciotola ed i cereali.

In cuor mio, sapevo che non avrebbe fatto nessun riferimento a ciò che era accaduto ieri sera, e l’altro ieri sera, e la sera prima ancora… Non l’aveva mai fatto e dubitavo che mai l’avrebbe fatto.

«Niente di che. Solo che oggi hai la macchina sequestrata».

Mi venne un colpo.

«Sequestrata?! In che senso?!».

«Devi solo prestarmela per un po’».

«La tua che fine ha fatto?».

«E’ dal carrozziere».

«Ma stasera la riavrò indietro, no?».

«Mi dispiace, ma no. Marcus stasera ha una cena con i suoi colleghi di lavoro ed è ovvio che io debba andare con lui» rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«E allora perché non andate tutti insieme nella stessa macchina?» proposi.

«Ma guarda tu quante storie. Oggi mi serve la tua macchina. Punto e basta».

 

Quando finii di fare colazione, Miss Simpatia zampettò giù dalle scale tutta sorridente.

Per quale diamine di motivo quella mattina lei poteva essere felice ed io no?

 

«Mal, ho bisogno di chiederti un favore» attaccò suo padre.

«Quale?».

«Oggi devi accompagnare Ian a scuola» rispose con fare indifferente.

Gli occhi di Mallory schizzarono fuori dalle orbite.

Bingo.

Adesso avevo anche io un motivo per essere felice.

«Oh, sì, e devo anche andare a lezione questo pomeriggio» dissi con la voce più tranquilla che potessi avere.

Sono sicuro che, se avesse potuto, mi avrebbe volentieri incenerito in quello stesso momento.

Fortuna che non avesse gli occhi laser!

Aspettavo che esplodesse da un momento all’altro, non la conoscevo da molto, anzi, non la conoscevo per nulla, ma sapevo che era una pazza isterica. Una matta da legare. Uno spasso, insomma.

E invece, si spostò una ciocca rossa dal viso e disse: «Si, non c’è problema».

«Anche per oggi pomeriggio?» domandai stranito.

«Anche per oggi pomeriggio» ripose sicura… Ma soprattutto calma!

 

«Dimmi un po’, che gioco stai giocando?» chiesi poggiando i piedi sul cruscotto.

«Prima di tutto, scendi quei piedi. E non è un invito. Prendilo piuttosto come un ordine» iniziò gelida.

«Addio bella calma».

«Secondo, se pensi di riuscire a farmi apparire come l’intollerante della situazione, creando attorno a te un alone di puro vittimismo, ti sbagli di grosso, mio caro».

«E terzo?».

«Esci dalla mia vita, coglione!» sclerò di brutto.

Diedi uno sguardo fuori da finestrino.

«Credimi, lo farei. Ma purtroppo, non posso far altro, per ora, che uscire dalla portiera e avviarmi verso la mia classe. Oggi tocca a Tiffany».

La vidi sbiancare.

«Ti-Tiffany? Ma non puoi! Tiffany è così carina, gentile, delicata…».

Risi fragorosamente.

«Non l’hai vista a letto».

Resto in silenzio per un attimo, pensavo si fosse arresa, ma fu solo per un istante, perché poi riprese: «Appunto, a letto! Ti ricordo che stasera non hai la macchina ed io la mia non te la cedo di certo!».

«Letto? Chi ha bisogno del letto? Hai mai provato i bagni della scuola?».

Stavolta rimase zitta. Non aveva niente da aggiungere, nemmeno qualcosa di offensivo.

Scesi dalla macchina ridendo ancora.

«Ah, ci vediamo qui davanti all’uscita. Vieni a prendermi con l’auto, a me i piedi servono».

Due a uno per me.

 

Knock Knock!

 

Buonsalve gente! :D

Purtroppo per voi, Alan è appena approdata qui... Eeeeh già.

Allora, cos'ho da dire?

Ah, sì.

In questa storia, tutti i POV di Mallory sono scritti dalla mia super socia Thalia, mentre io mi occupo del maniaco sess... Ehm... Ian xD

Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto e... Cos'altro? Speriamo che qualcuno continui a seguirci :D

Grazie a chi legge, recensisce, preferisce, ricorda, segue... E anche a chi apre solo la pagina!

Alla prossima

 

Alan

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