La coppa delle
case.
Nick Autore: Gigettina
Casa: Serpeverde
Titolo: Athazagoraphobia
Personaggi: Pansy Parkinson, Mirtilla Malcontenta. Accenno
a Draco Malfoy.
Pairing: Draco/Pansy accennata.
Genere: Introspettivo.
Rating: Verde.
Avvertimenti: One shot.
Tema: Tema 1 – Mirtilla, Foresta Proibita,
Giratempo, «L’amavi? Era la mia vita. Come aveva nome?
Illusione»
Introduzione: Ogni tanto desiderava essere una sirena; le sarebbe piaciuto avere
davvero la forza di andare avanti come se nulla fosse successo, e magari sarebbe
anche riuscita ad ammaliare l’unica persona che avesse mai amato seriamente,
costringendola a rimanere con lei. Nella vita o nella morte. […] La paura di
essere dimenticata era sempre stata punto debole di quel fiore selvatico e
spinosamente delicato.
NdA: Dunque, parto dal titolo. Athazagoraphobia è la paura di essere
dimenticati. Il tema è ripreso nella storia, direttamente e indirettamente. La
storia è un’introspezione di Pansy durante il settimo anno, l’anno della
battaglia. E’ un giorno qualunque, e lei si rinchiude nel bagno di Mirtilla per
pensare. Ci sono tre momenti leggermente distinti: il primo, quando Pansy
riflette osservando la pioggia e la Foresta Proibita; il secondo, in cui
riflette sul tempo e sui ricordi, parlando anche delle sue paure; il terzo, dove
c’è un dialogo con Mirtilla e una riflessione su Draco e sul futuro che li
attende. Ho cercato di legare tutti i prompt che ci hai dato, anche se ogni
tanto la storia cade nel nonsense perché l’ho scritta tutta di getto e non
sapevo nemmeno io dove volevo andare a parare. A parte questo, spero davvero che
ti piaccia. Io sono abbastanza soddisfatta di com’è uscita. Buona lettura!
Athazagoraphobia
La pioggia scendeva fitta e ininterrotta. Pansy osservava il temporale
abbattersi sulla Foresta Proibita in religioso silenzio.
Aveva sempre amato la pioggia, le donava una sensazione di potenza e
purezza che nessun altro fenomeno atmosferico era in grado di darle. Nemmeno la
neve, così candida e soffice: sebbene le piacesse la sensazione di gelo sulla
pelle, aveva la tendenza a diffidare dei fiocchi che l’avvolgevano in inverno.
La neve si sporca irreparabilmente. Sempre.
Le sarebbe piaciuto fare una passeggiata, magari sfogarsi senza paura di
essere notata. Avere le gote bagnate è normale, se rimani ferma sotto l’acqua
battente.
Pensieri sconnessi le vorticavano nella testa senza darle pace.
Era fuggita da tutto e tutti, quel pomeriggio. Si era rinchiusa
nell’unico luogo in cui nessuno avrebbe osato raggiungerla – a cercarla, forse,
ci avrebbero provato solo uno o due.
Il bagno di Mirtilla Malcontenta era il luogo ideale per essere usato
come nascondiglio. E lì, seduta in solitudine sul marmo freddo del davanzale,
osservava il temporale abbattersi in tutta la sua maestosità sul parco di
Hogwarts. Se avesse avuto più coraggio, probabilmente si sarebbe anche spinta
oltre, verso la Foresta – verso l’oblio.
Quel posto le incuteva timore, rappresentava per lei un luogo di non
ritorno. Il perché, non lo aveva mai saputo.
Avrebbe tanto voluto fuggire dalla scuola e da quella guerra imposta da
sconosciuti non esattamente tali. Ci aveva provato, lei, a pensarla come loro. I suoi pensieri, quelli che
potevano essere definiti profondi, tentavano di colmarle gli occhi di lacrime;
un simile orrore non era sopportabile.
Si era sempre vantata di sapersi godere la vita, festeggiare e regalare
sorrisi – quelli veri, rari – a chi se lo meritava. Hogwarts le aveva insegnato
che, dopotutto, c’è del buono in ognuno di noi, e le differenze non erano poi
così marcate, se si riusciva a tralasciare il conto alla Gringott.
Superficiale e materialista, le dicevano, ed era vero. Pansy era una
creatura talmente materialista da essere riuscita a farsi del male solo per
dimostrare a se stessa che era viva, che aveva un’anima – per quanto
sbrindellata potesse essere.
Nessuno era a conoscenza di quel piccolo segreto.
La prima volta era successo proprio nella Foresta, una notte d’inverno,
quando la neve aveva ormai ricoperto ogni cosa. Era inciampata, e nel cadere si
era graffiata un braccio, sporcando quel manto candido e fresco.
Fu in quel momento che se ne rese conto. Lei era come la neve, pura
all’apparenza ma talmente fragile da poter essere imbrattata in un solo battito
di ciglia – magari nere e folte come le sue.
Per questo odiava la neve. Le ricordava se stessa, quella che era stata e
quella che non sarebbe mai diventata.
*
Non seppe mai quanto tempo trascorse lì, ferma, ad osservare la pioggia.
Il cielo, in quell’ultimo periodo, era sempre
scuro.
Non esisteva una distinzione tra giorno e notte; forse, però, era lei a
non volerla vedere. Da quel maledetto giorno in cui Silente era morto, la vita
di Pansy era inesorabilmente cambiata.
La scuola non era più alla sua mercé, era lei a dover imparare a stare a
galla in quel lago di coccodrilli.
Ogni tanto desiderava essere una sirena; le sarebbe piaciuto avere
davvero la forza di andare avanti come se nulla fosse successo, e magari sarebbe
anche riuscita ad ammaliare l’unica persona che avesse mai amato seriamente,
costringendola a rimanere con lei. Nella vita o nella morte.
In fin dei conti, Pansy era una Serpeverde, e il suo bisogno di amare e
di essere amata le avrebbe fatto fare di tutto. Di nuovo, si rese conto della
sua superficialità e del suo materialismo. Egoista, ma a modo
suo.
Sapeva di non essere realmente sola. Accanto a lei vi erano Blaise,
Theodore, Daphne, Millicent.. I suoi amici, la sua famiglia. Gli unici che
probabilmente l’avrebbero capita, se solo avesse deciso di sfogarsi con loro. Il
suo problema era la troppa riservatezza. Un bocciolo chiuso e piegato su se
stesso, in attesa della luce per aprirsi e mostrare il suo splendore.
Fino a quel momento aveva mostrato solo le spine.
Qualche volta le sarebbe piaciuto avere una Giratempo; modificare gli
avvenimenti, prevenire la tristezza.. non avere rimpianti. Eppure sapeva bene
che era impossibile. Sarebbero state diverse le cose se Voldemort non fosse mai
esistito. Avrebbe potuto vivere una vita aristocratica, storcendo amabilmente il
nasino e banchettando di villa in villa, accompagnata da un marito perfetto e da
due bambini, un maschio e una femmina. Si sarebbero chiamati Scorpius e Juniper,
per rispettare le tradizioni delle due famiglie.
Non passava istante in cui non pensasse a Draco. Lui non era tornato a
scuola, non era tornato da lei. Il viaggio sull’espresso di Hogwarts le era
sembrato infinito, come se la meta non fosse più importante. Aveva perso il suo
unico amore, strappatole dal peso del potere e dal ricatto. Quella sarebbe stata
la sua vita d’ora in poi. Nessuno da amare, nessuno a cui appoggiarsi
silenziosamente. Nessun gioco di sguardi o attimi rubati alla routine, nessuna
battuta maliziosa o scia di profumo dell’altro che rimane addosso dopo aver
fatto l’amore. Niente, solo il vuoto più nero.
Con un solo gesto si sarebbe potuto cancellare un passato indegno di tale
nome, perfezionare il presente e rendere più roseo il futuro. Tuttavia, Pansy si
ritrovò a pensare che non sarebbe mai riuscita a fare una cosa simile. Non ne
aveva il coraggio. Sebbene quello fosse un periodo buio, non avrebbe mai buttato
al vento le uniche certezze rimaste per dirigersi verso l’ignoto.
La paura di essere dimenticata era sempre stata punto debole di quel
fiore selvatico e spinosamente delicato.
*
Un fruscio la destò dal flusso di pensieri.
Sforzandosi di mettere a fuoco la realtà, vide Mirtilla Malcontenta
osservarla silenziosamente. Non avevano mai parlato, loro, ma Pansy sapeva che
Mirtilla era stata la confidente di Draco per tutto il sesto anno. Quando
l’aveva scoperto aveva provato invidia. Sapere che Draco, il suo Draco, aveva
preferito confidare i suoi sentimenti ad un’estranea piuttosto che a lei l’aveva
gettata nel panico. Era davvero così labile il loro legame? Pensava davvero che
sarebbe stato giudicato senza alcuna pietà? Evidentemente sì. E qualcosa – così
insopportabilmente fastidioso, come una vocina nella testa – le diceva che sì,
lei l’avrebbe giudicato. Non per cattiveria, ma perché era il suo comportamento
naturale.
«L’amavi?» chiese Mirtilla d’un tratto.
Non vi era bisogno di mettere un soggetto. Pansy sapeva a cosa si
riferiva il fantasma.
La sua voce, in quel momento, era poco più che un sussurro. Le note
leggermente acute che solitamente accompagnavano i suoi lamenti sembravano
smorzate, come se in quel bagno, quella sera, il tempo e lo spazio fossero stati
annullati per magia.
Era come se le due ragazze si trovassero nella Giratempo, bloccate in
quell’istante eterno di dolore.
«Era la mia vita»
Pansy non riusciva a guardarla negli occhi. Sapeva che avrebbe ricordato
un Draco pallido, scavato, disperato. Ne sentiva quasi le urla, anche a distanza
di tempo e spazio. Negli anni aveva imparato a conoscerlo bene, forse più di
quanto lui non conoscesse se stesso.
«Come aveva nome?»
Mirtilla pensava – sapeva, in
realtà, da brava Corvonero – che la ragazza dai capelli corvini aveva
bisogno di sfogarsi ad alta voce. Doveva urlare, piangere, scomporsi. Fare tutto
tranne che tenere tutto dentro. Da quando Draco, l’anno prima, l’aveva eletta a
confidente, aveva iniziato a osservare Pansy. I due, a modo loro, si amavano
profondamente. E altrettanto profondamente si stavano lacerando, ignari di cosa
stesse capitando all’altro.
Le parole non dette, le occhiate silenziose, quei piccoli gesti
quotidiani per loro erano tutto.
Due metà perfette, divise e fatte a pezzi da avvenimenti più grandi di
loro, che volevano usarli come pedine di una partita cruenta e sanguinosa per
non sporcarsi le mani.
«Illusione»
Sì, era stata solo illusione. La bolla in cui vivevano fino a poco tempo
prima era scoppiata, sbattendo in faccia di tutti la cruda realtà,
l’imperfezione del loro mondo perfetto.
Pansy non era in grado di sopportare tutto quello, ne era cosciente. I
graffi sulla sua pelle, il vuoto nel suo cuore e nella sua anima avevano
un’estensione tale da non poter essere colmati mai
più.
Draco, invece, sarebbe sopravvissuto, pur con gravi e profonde ferite
nell’anima. Nonostante tutto, sarebbe riuscito a rimettersi in piedi,
ricominciando da zero.
Una cosa, però li accomunava. Nessuno dei due avrebbe mai dimenticato
l’altro, perché le emozioni provate insieme erano state così potenti da lasciare
tracce indelebili sui loro corpi e nei loro cuori.
La loro paura di essere dimenticati sarebbe stata
sconfitta.