titolo: Miracle in My Pocket (Un Miracolo nella Mia Tasca)
autrice: LibertySun
traduttrice: Kyelenia
pairing: B/J (ovviamente ;))
link alla storia: QUI
Capitolo 3. Una realtà da sogno
Un immenso
abisso di oscurità lo circondava da tutte le parti. Si sentiva inghiottito
ininterrottamente da quella cosa sconosciuta mentre si sforzava di ascoltare.
Un'esclamazione
angosciosa fu emessa da una voce facilmente riconoscibile. Quella di Gus.
"Aspetta!" gridò.
Finché non
aveva sentito la supplica di suo figlio, Brian non si era accorto di non essere
in grado di vedere. Un brivido di terrore percorse il suo corpo. Scosse la
testa parecchie volte prima di realizzare che non era lui, ma piuttosto era la
stanza a non essere visibile.
Stranamente,
era in piedi, non più a letto. Non più collegato a nessun dispositivo medico.
'Cosa cazzo sta succedendo?'
"Sono
morto?" bisbigliò.
"Qualcosa
del genere." disse una voce familiare che Brian non aveva sentito per
anni.
E improvvisamente
l'oscurità, come era arrivata, sparì. Brian adesso era in piedi nella stanza
214. Con un'illuminazione sorprendente, si accorse che nello stesso momento era
anche sdraiato sul letto.
Non riuscì a
spiegarselo. Si girò per chiedere all'altra cosa una spiegazione.
"Cosa
cazzo sta succedendo, Vic?" chiese con
preoccupazione "Perché sei qui? Dov'è questo qui? Cosa sta facendo
Gus?" le sue domande vennero sparate in una raffica serrata.
"Sono
qui perché il bambino mi ha invitato. Qui
è nel mezzo, e lui sta mettendo il suo miracolo nella tua tasca." le
risposte di Vic vennero sparate allo stesso modo.
Entrambi
guardarono il ragazzo superare tutti quanti, salire sul letto di Brian e
infilare una piccola scatola argentata nella tasca del camice di suo padre.
Brian guardò
nuovamente Vic, "Nel mezzo?" chiese non
appena ebbe registrato l'affermazione.
"Sembra
che fossero tutti pronti per lasciarti andare," cominciò, poi scosse la
testa con ammirazione, "questo finché tuo figlio non ha chiesto un
miracolo. Tutto merito del piccolo uomo d'affari che hai come figlio."sorrise
Vic.
La mente di
Brian stava vorticando. Non sapeva se stava sognando, soffrendo gli effetti
collaterali delle medicine, o se in qualche modo quello (qualunque cosa fosse) stava realmente accadendo.
Vide Justin
piangere e avrebbe voluto consolarlo. Avrebbe voluto dirgli che lui era lì. Ma
non era in grado di fare una sola dannatissima cosa.
Se possibile
sarebbe morto per il cuore in frantumi, mentre guardava Justin e suo figlio
salire sul letto al suo fianco ognuno da un lato.
Se stava sognando voleva davvero
svegliarsi. Proprio. In quel cazzo. Di momento.
"Cosa
succederà adesso?" chiese all'altro uomo.
"Ora vai
nel posto a cui sei sempre appartenuto." Vic
rispose in modo alquanto criptico.
Brian
deglutì. "L'inferno?" bisbigliò a malapena.
Gli occhi di Vic si sollevarono, sembrava... arrabbiato.
"Dannazione
Brian! Non dire una cosa del genere. Te l'ho detto da quando avevi quattordici
anni che la tua anima è buona. Fidati di me, quando sarà il momento sarai
decisamente diretto verso il Nord."
"Quando
è il momento? Adesso?"
Vic roteò gli occhi. "Non mi hai
ascoltato ragazzo? Gus ha richiesto una visita, Ta-da!
Eccomi!" Vic indicò se stesso e agitò i fianchi.
Brian si
limitò a sbattere le palpebre. 'Quegli
antidolorifici producevano sogni pericolosamente vividi.'
"Quei
ragazzi non sono pronti per lasciarti andare, tu non sei pronto per lasciare
andare loro. La tua anima non appartiene più interamente a te. Sia Justin che
Gus ne posseggono un pezzo. Se morissi adesso, uccideresti anche una parte di
loro. Ora, che Angelo sarei se ignorassi il desiderio di un bambino? sorrise e
sembrò sparire. Portando quella realtà onirica con sé.
Brian si
strinse la radice del naso e ascoltò. Un'oscurità infinita e un silenzio
assordante lo avvolsero nuovamente.
- - - - -
Quando i
dottori lasciarono libera la stanza, Justin lo notò a malapena. Ormai senza di lui niente era degno della sua
attenzione.
La solitudine
trapelò attraverso i pori nella sua anima e si riversò fuori attraverso le
ferite del suo cuore.
Non era
giusto. Quella non era la fine che secondo lui meritava Brian, che secondo lui
meritavano entrambi. 'La Storia di
Noi Due' scritta per sempre, letta per sempre. Le parole incise sui loro cuori.
Sessanta secondi.
Il tempo che era passato da quando l'anima di Brian era stata baciata dalla
fine eterna. 'Era finito tutto?' Justin avrebbe voluto credere diversamente.
Era certo che quell'indescrivibile angoscia
sarebbe stata presente per tutta la vita.
Quel dolore
apparentemente senza fine che stava viaggiando attraverso il vuoto
apparentemente senza fondo della sua esistenza vuota.
Cinquanta-nove
secondi prima Justin Taylor era stato ancora intero. Un. Fottutissimo. Secondo.
Un mero lampo di tempo. Si era ritrovato frantumato. Distrutto. Ridotto in
polvere. Evaporato.
Maledì il
mondo per essere andato avanti. Come osava continuare a girare senza di lui.
Justin voleva
farlo fermare. Fermare ogni cosa per un dannato secondo cosi avrebbe potuto semplicemente respirare.
Non sapeva se
si sarebbe mai sentito di nuovo bene. 'Perché
avrebbe dovuto continuare a respirare una volta che Brian non poteva più.'
Gli sembrava
egoista, in un certo qual modo. Gli sembrava come se lo stesse tradendo.
La sua
tristezza crebbe maggiormente quando Gus dichiarò ad alta voce che lui era 'Arrabbiato a morte col suo Miracolo'.
Non sapeva
cosa dire. In verità, non c'era niente da
dire. Nessuna parola avrebbe mai alleviato il dolore. Né di Gus, né il suo.
Non poteva
più distinguere tra i momenti prima e
quelli dopo il respiro finale di
Brian. Ogni ricordo sempre avvelenato dalla sua perdita, anche quelli che
riscaldavano il cuore. La felicità era riuscita a trasformarsi in disperazione.
Anche se
aveva provato senza tregua, non era capace di amarlo a tal punto da riportarlo
in vita. Immaginò che fosse perché il suo cuore non era più vivo.
Non voleva
ascoltare le parole di Debbie (o di chiunque altro) 'E' ancora qui nel tuo cuore'. Stronzate.
No. Se n'era andato, e aveva portato il battito del cuore del biondo con sé.
Aveva
cominciato a malapena a piangere per il suo compagno; non aveva pensato un
secondo di più alla morte del suo cuore.
- - - - -
Gus sentiva
una pletora di emozioni mentre stava steso con le gambe al petto di fianco a
suo padre. Sentiva rabbia e tristezza, confusione e sconforto.
'Perché non aveva funzionato?' Lui aveva fallito. 'Stupidi miracoli rotti.'
Il suo papà
si stava ancora trasferendo in Paradiso. Aveva appena cominciato il suo lungo
sonno. Gus si chiese se suo padre l'avrebbe sognato.
Prese la mano
di Brian nella sua e desiderò che potesse muoversi, soltanto un poco. Come quella volta quando lui e papà Justin
avevano fatto il solletico a suo papà con una piuma mentre dormiva, soltanto
per guardarlo agitarsi. 'Quello sarebbe
stato sicuramente divertente.' Tracciò
delicatamente con i polpastrelli un disegno sul braccio di suo padre. Non si
muoveva. Il suo sonno era davvero profondo.
Ascoltò
Justin singhiozzare lievemente e il rumore lo rese triste. Gus non aveva ancora
pianto. No. Ogni volta che papà Justin era triste il suo papà lo faceva sentire
meglio. Suo papà era forte, allora lo sarebbe stato anche lui.
Il bambino
allungò amorevolmente la mano verso il biondo, e scostò i capelli che gli erano
caduti sugli occhi umidi. (Aveva visto suo papà farlo un migliaio di volte).
Quando Justin
incrociò gli occhi di Gus, il bimbo sorrise. "Andrà tutto bene, Raggio di
sole," sussurrò. (Aveva sentito un migliaio di voltesuo
papà dirlo).
Gus si sentì
felice ancora una volta. Era stato d'aiuto, papà Justin stava sorridendo.
Sospirò con
soddisfazione e mise la testa sul petto di suo papà. Gus poteva quasi sentirlo
respirare. Poteva quasi sentire il suo battito.
Áspetta, NON QUASI. Lui POTEVA.'
"Ascolta!"
il suo urlo fece trasalire gli occupanti ammutoliti della stanza. "Il
cuore di papà, i respiri nel sonno di papà fanno sicuramente un suono
bizzarro." dichiarò notando il leggero raspare che li accompagnava.
Justin
spalancò gli occhi e subito poggiò l'orecchio sul petto di Brian.
"Brian?"
riuscì a dire Justin in sillabe strozzate.
Si guardò
attorno, il suo partner non era più attaccato al respiratore o al
cardiofrequenzimetro. Non aveva alcuna prova medica che lui e suo figlio non
stessero soltanto condividendo una delusione causata dal dolore.
Allora lo sentì. Evidente come un dannato giorno.
Chiaro come il dannato crystal.
"I miei
ragazzi," sospirò la voce più bella.
Un sollievo
incredibile si dispiegò come i petali in primavera.
"Brian!" "Papà!" esclamarono
contemporaneamente le due voci.
Nell'emergere
lentamente dal suo velo di solitudine, Brian seguì il suono della vita. Dell'amore.
Quando i suoi
occhi si aprirono di nuovo per la prima volta, sorrise. Brian Kinney era tornato a vivere. La sua anima appena purificata
si era ricollegata con le sue controparti. Questa volta sarebbe vissuto per loro. Abbracciò quella inconsueta sensazione
di pienezza.
L'infermiera carina entrò nella stanza con uno
sguardo incredulo. Quando si avvicinò al letto scuoteva continuamente la testa
da un lato all'altro.
"Signor Kinney?" chiese delicatamente "Come si
sente" chiese ma non aspettò una risposta. "O mio Dio. Non riesco a
crederci." continuò senza rivolgersi a nessuno in particolare, "E' un
miracolo." concluse, mentre cominciava a controllare i segni vitali di
Brian
Brian si era
reso acutamente conto degli sguardi saputi e dei sorrisi da togliere il respiro
che si erano scambiati suo figlio e il suo compagno alla menzione della parola 'Miracolo'.
Aveva così
tanto da dire, ma la gola gli doleva e il suo corpo stava lottando contro la
sonnolenza. Lasciò che gli occhi trovassero la finestra.
Mentre
osservava la vista ispirante che si
godeva dalla stanza 214, sospirò. Non riusciva più a capire se si trattasse di
neve o di stelle che cadevano dal Paradiso, sebbene avesse sentito sufficiente
magia perché fossero le seconde.
Il Medico gli
si avvicinò e per l'ennesima volta sentì la parola 'Miracolo'.
Istintivamente,
tirò le due persone che aveva a fianco il più vicino possibile, per quanto
riusciva a fare fisicamente. Non erano state vicine abbastanza. Da quel momento
in avanti, loro erano l'unica cosa, erano tutto ciò che esisteva di importante.
'Ogni parola che avrebbe mai
pronunciato, avrebbe contenuto un alito di loro due, ogni pensiero, un
barlume.'
Mentre la sua
mano incontrava la piccola scatola argentata, le lacrime trovarono i suoi
occhi.
Il miracolo
che aveva in tasca era nulla se
paragonato ai due che teneva stretti tra le braccia.
FINE