21 – Bella e maledetta
Ci
allontanammo velocemente da Madison, lasciando tutto dietro di noi; la clinica,
i miei pazienti abbandonati a se stessi, la piccola Alice in balia dei desideri
di Lucien, l’investigatore privato che stava cercando Esme, e che forse non
avrebbe rinunciato a seguire le nostre tracce.
Mi
trascinai dietro solo la mia angoscia per la sorte misteriosa e inquietante
della giovane Alice.
Non
so quante volte, nei mesi successivi, indugiai col pensiero su di lei, sul modo
in cui mi ero trovato costretto ad abbandonarla, e mi sentii inetto per il mio
comportamento. Lasciare qualcosa di incompiuto nel mio lavoro mi faceva sentire
inadeguato, come se fossi un perdente. Mi opprimeva un senso di fallimento, e
prendevo quest’ultima fuga come un insuccesso assai più personale, che
professionale. Non era più solo lavoro, forse non lo era mai stato.
Non
era una missione da portare a termine; oltre al riscatto di me stesso, all’evoluzione
che tendevo a perseguire nella ricerca di una pace talvolta quasi impossibile,
erano scattati altri sentimenti, in qualche modo, più terreni e umani.
Mi
sentivo fragile e insoddisfatto e mi chiedevo se il senso d’imbarazzo non
derivasse dalla mia vanità mortificata.
Forse
avevo sbagliato fin dall’inizio a prendere tanto a cuore la vicenda singolare
di Alice, ma il mio coinvolgimento era stato tale e profondo, che non avevo
potuto restare indifferente.
La
sua esistenza intrecciata misteriosamente a quella di Lucien mi riguardava
troppo da vicino per non sentirmi responsabile verso di lei.
E
così, mi ero mosso per evitare ciò che mi sembrava l’epilogo più terribile per
la vita di quella fanciulla piena di speranze e sogni per il futuro.
Ma
il vento che spingeva la mia esistenza in direzioni sempre diverse,
improvvisamente aveva soffiato dalla parte opposta, e come al solito, non avevo
potuto oppormi a ciò che era più forte della mia banale presunzione.
Alla
fine, tornavo sempre a fare i conti con la condizione raminga della mia vita.
Non
avremmo mai avuto radici, né io, né la mia famiglia. Ero ormai rassegnato a
questa costante della nostra tortuosa esistenza. Avrei dovuto evitare di
affezionarmi a un luogo più di un altro, a persone e situazioni contingenti. Ma
non so, se per carattere o acute attitudini, non riuscivo a mantenere la giusta
distanza dall’umanità con cui entravo in contatto.
Edward,
tra noi, era quello che sapeva mantenere maggior distacco da tutto. Esercitava
una fermezza di spirito quasi stoica. Lasciò Madison senza mai guardarsi
indietro, come aveva sempre fatto in precedenza.
Senza
tentennamenti, obbiezioni.
Un
po’ gli invidiavo questa sua capacità di adattamento, unita all’apparente
freddezza, anche se qualche volta sospettavo che fingesse. Tanta glaciale
indifferenza veniva poi tradita da bruschi cambiamenti d’umore e dalle tensioni
più o meno intense che si accendevano tra noi.
In
alcuni momenti mi pareva di cogliere un’ ombra appena velata di tristezza nel
suo sguardo, ma durava sempre lo spazio di un istante; dopo, la sua espressione
tornava quasi indecifrabile e senza sfumature.
Esme
era senz’altro quella che soffriva di più, almeno agli inizi; le dispiaceva
interrompere nuove attività avviate con successo e zelo, o non finire un
trimestre scolastico in dirittura di arrivo, ma non protestava mai, perché
comprendeva sempre la situazione che si presentava ogni volta.
“La
tua comprensione cara, è un sollievo enorme per me. Sei davvero sicura che
questi repentini spostamenti non ti pesino? Puoi dirmelo, lo capirei.”
“Carlisle,
ma cosa stai dicendo? Ho compreso da tempo la situazione; - e dicendolo, Esme
si stringeva al mio corpo guardandomi negli occhi con convinzione. - Certo,
all’inizio non è stato facile adattarmi a questa vita. Ma io ti seguirò sempre,
perché nessun posto lontano da te, sarebbe casa per me.”
Bastavano
le sue parole a scacciare ogni mia incertezza. Esme aveva una consapevolezza
che a me ancora mancava.
Erano
anni particolari quelli che stavamo attraversando, anni difficili e violenti.
Li
avevo sentiti scivolarmi addosso con i loro piccoli e grandi drammi che
condizionavano gli uomini, ma non turbavano l’esistenza dei vampiri. Noi
saremmo passati in mezzo al fuoco più devastante senza raccogliere bruciature
sulla nostra pelle.
C’era
la Grande Depressione, una crisi economica e sociale che avrebbe investito
l’Europa, e nell’arco di un decennio avrebbe portato il vecchio continente e
poi l’America, verso il disastro della seconda guerra mondiale.
Il
boom economico seguito al primo conflitto d’inizio secolo, con la crescita
della produzione industriale e dei consumi, si era rivelato solo un fuoco di
paglia, e il venerdì nero del ‘29 con il crollo della borsa di Wall Street, era
stato il colpo di grazia; la crisi finanziaria aveva arrestato l’economia del
paese facendo fallire imprese, industrie e anche l’agricoltura. Tredici milioni
di persone persero il lavoro e tre/quarti dei contadini furono ridotti alla
fame; non era inusuale vedere file lunghissime di gente per comperare il pane.
C’erano
stati i ruggenti anni ‘20 con i loro balli scatenati come il Charleston e la
musica jazz, e ormai stava per finire anche l’epoca del proibizionismo con i
suoi divieti. [1]
Testimone
silenzioso e impotente del mio tempo, impermeabile alla storia che plasma e
costruisce le vite degli uomini, sapevo che quando all’uomo viene negata una
qualsivoglia libertà, scatta sempre in lui, il rifiuto delle regole e delle
restrizioni; così le bevande alcoliche non cessarono di essere prodotte,
vendute o consumate, favorendo in quegli anni la crescita della malavita
organizzata, capeggiata da gangs mafiose di origini italiane o irlandesi di cui
si potevano leggere le gesta sui giornali di tutto il paese. Era in atto una
vera e propria guerra tra i trafficanti e i contrabbandieri di liquori, e lo
stato che cercava di far rispettare le leggi.
In
questo clima instabile, arrivammo a Rochester, una cittadina situata a sud del
lago Ontario, nello stato di New York presso la contea di Monroe nei primi mesi
del 1930. L’ avevamo scelta come località ideale perché le estati del posto
erano molto brevi e gli inverni, lunghi, freddi e nevosi. Inoltre la zona in
prossimità del lago sarebbe stata un perfetto terreno di caccia per noi
vampiri.
Agli
inizi del ‘900, la città si era sviluppata attraverso una fiorente industria
tessile, ma anche qui, la crisi si era fatta sentire; diverse attività avevano
chiuso per fallimento, mandando molte persone sul lastrico. Questo non era un
problema che poteva toccare l’alta borghesia che deteneva il controllo delle
banche.
Una
delle famiglie più influenti della città erano i King, banchieri da varie
generazioni. Elargivano sostanziose donazioni all’ospedale dove lavoravo come
chirurgo, e naturalmente davano lavoro a molte persone nella comunità. Erano
considerati dei veri e propri benefattori, e in realtà avevano troppi interessi
legati a svariate attività che garantivano loro il sostegno pressoché
incondizionato di tutta la città.
Tra
i dipendenti del signor King, c’era il padre di quella che era considerata a
ragione, una delle più belle ragazze della città, se non di tutto lo Stato di
New York; la fanciulla si chiamava Rosalie Lilian Hale.
La
famiglia Hale apparteneva alla media borghesia; il padre della giovane lavorava
presso una delle banche del signor King. Benché benestanti, i genitori di
Rosalie riponevano nell’avvenenza della figlia tutte le loro speranze per un
futuro, se possibile, ancora più luminoso. Come tutti gli arrivisti, miravano
quasi certamente a elevare il già discreto tenore di vita, puntando ai massimi
vertici che si potessero raggiungere in quegli anni. Probabilmente volevano per
lei un marito facoltoso con un’ottima posizione sociale, e si prodigarono per ottenere
questo risultato, facendo in modo che la figlia venisse notata dal miglior
partito presente sulla piazza.
Incontrai
Rosalie in sporadiche occasioni, ma compresi quanto bastava della sua
personalità e psicologia, perché Edward ebbe accesso immediato alla sua mente
semplice, dal momento che per quasi tre anni, frequentarono la stessa scuola
anche se in corsi diversi. Mio figlio non la trovava particolarmente attraente,
soprattutto sul piano intellettuale, ma ho sempre pensato che nel suo giudizio
ci fosse un po’ di arroganza.
“Rosalie
Hale; la sua mente è un lago quieto e poco profondo. – Commentava con una punta
di supponenza. - È quasi sorprendente, visto il tipo di persona che è, ma non
le piacciamo; considera la nostra bellezza innaturale. Una volta deve avere
visto Esme mentre usciva da scuola; le da fastidio il fatto che siamo più
avvenenti di lei.”
“La
cosa deve sorprenderti molto. Forse non è una persona così banale come tu
credi.” Notai.
“In
realtà, mi sento sollevato; almeno, non ha i pensieri molesti delle giovani
umane incantate dal nostro aspetto, ma non riesce a spiegarsi come mai, mi
risulti indifferente e non susciti in me l’ammirazione che evoca in tutti gli
altri.”
“Penso
davvero non sia una ragazza comune.” Conclusi.
Sì,
forse la nostra presenza a Rochester toglieva un po’ di luce a Rosalie, e
questo magari la rendeva vagamente insicura, ma credo che se non si fosse
lasciata abbagliare dalle false adulazioni, se non avesse goduto dell’invidia
che suscitava, il nostro metterla in ombra avrebbe potuto darle modo di
riflettere maggiormente su se stessa, e su chi aveva attorno.
D’altronde
Rosalie non era pienamente consapevole di tutta quell’aspettativa attorno alla
sua persona; era solo una giovane, bellissima donna senza grandi ambizioni che
sognava cose semplici e vere, come l’amore di un uomo, una bella casa e dei
figli da allevare e accudire. L’unico suo errore era credere che per ottenerle
bastasse essere e apparire come la creatura più desiderabile.
Lei
non doveva fare nessuno sforzo per questo.
Non
c’erano domande da porsi sul cosa fosse davvero importante, se l’obbiettivo o
il percorso per raggiungerlo, sul cosa volesse dire essere dei privilegiati in
un momento storico dell’America segnato da difficoltà e disperazione.
Nella
sua ingenuità adolescenziale, non si rendeva conto che certi doni, niente hanno
a che fare con i meriti e possono diventare sventure; nel suo mondo tutto era
una favola è lei era la principessa di un regno che sembrava perfetto: vita e
famiglia perfetta, amici perfetti, fidanzato perfetto. Nella sintesi, un quadro
idilliaco guastato però da un briciolo d’invidia per la sua amica d’infanzia
Vera, che alla sua stessa età, ma con molte meno attrattive e risorse, era già
sposata con un figlio.
Rosalie
a diciotto anni, era una giovane forse un po’ superficiale e vanesia, un poco
immatura e innamorata dell’idea astratta dell’amore, che amava essere al centro
delle attenzioni, a cui piaceva in sommo grado essere ammirata dagli uomini. E
in questo, in fondo, non c’era neppure nulla di male; una ragazza consapevole
del suo grande fascino, può diventare una donna matura, forte e sicura di sé, e
in tale atteggiamento, spesso non c’è nulla di premeditato.
C’è
solo un pizzico di compiacimento femminile che esiste in varia misura in tutte
le donne.
Una
donna con le potenzialità di Rosalie avrebbe potuto ottenere tutto dalla vita,
affinando intelletto, fascino e carisma; forse col tempo e l’esperienza,
accompagnate dalla maturità avrebbe capito che il luccichio che stordisce i sensi
e il cuore, spesso non è altro che oro fasullo e ingannatore. Ma Rosalie non
ebbe il tempo di fare tesoro delle lezioni della vita e si ritrovò travolta
dalla sorte che altri tentarono di costruirle addosso. E ancora adesso, mi
inquieta pensare a quanto l’influenza pesante dei suoi genitori abbia
contribuito alla sua disgrazia.
A
Rosalie furono tarpate quelle ali che avrebbero potuto portarla in alto, e la
dannazione a cui fu condannata partì da più lontano, rispetto a quell’ ultima
notte in cui io la trovai devastata dalla crudeltà umana.
Fu
la madre, tanto orgogliosa della sua bellezza, che la spinse senza nessuna
remora tra le braccia di quello che avrebbe dovuto diventare il marito, il
ricco e facoltoso Royce King, rampollo ed erede affascinante di tutte le
immense sostanze della famiglia d’origine. Ma se Royce poteva apparire sulla
carta un’ottima prospettiva per avere il futuro più splendido assicurato, nella
realtà non era l’uomo che voleva far credere. Edward lo incrociò poche volte,
ma gli furono sufficienti a farsi un’idea precisa ed esatta di quello che era.
Ricopriva
Rosalie di regali costosi, gioielli, bei vestiti e mazzi di fiori; la
introdusse nei saloni del bel mondo, portandola a feste e ricevimenti di
personaggi importanti, trattandola come una regina da mettere in mostra.
Naturalmente,
di tutto questo la giovane era compiaciuta; come avrebbe potuto non esserlo?
Sembrava che tutti i sogni dovessero realizzarsi per lei, senza il minimo
sforzo. Non sapeva ancora di averli riposti nella persona sbagliata.
Edward
che riusciva a leggere la sua anima nera, ne era irritato in maniera
spaventosamente violenta.
“Royce
King è uno schifoso maniaco debosciato; ha una mente crudele e depravata
attraversata da pensieri innominabili. È un bastardo, violento e meschino; è
andato con alcune prostitute solo per prendersi il gusto di picchiarle a
sangue. Quando beve diventa anche peggio. La signorina Hale non immagina neppur
lontanamente cosa l’aspetta, se davvero si sposerà con quel tizio. Ogni volta
che i suoi pensieri maligni attraversano la mia mente, avverto il bestiale
desiderio di ucciderlo, ma prima forse lo torturerei molto lentamente. Gli
farei provare la vera autentica perversione.”
Le
reazioni di mio figlio mi allarmarono più del consueto; gli consigliai di non
farsi coinvolgere, ma non ero sicuro bastassero le mie parole a calmarlo.
Avvertivo con preoccupazione lo sforzo estremo che faceva per controllare i
suoi impulsi. In effetti, in poche altre occasioni, avevo visto Edward così
provato dalla rabbia; il pensiero di Royce King lo faceva diventare furioso. Fu
molto vicino a perdere il controllo.
Un
pomeriggio tornò a casa da scuola sconvolto perché per un momento, si era
lasciato sedurre dal pensiero di rapire e far sparire velocemente il fidanzato
di Rosalie.
Edward
era uscito da scuola molto prima dei suoi compagni e si era ritrovato solo nel
piazzale davanti all’ingresso, dove a pochi metri di distanza stava
l’automobile di Royce; appoggiato alla fiancata della sua auto, nel suo
elegantissimo completo grigio e un enorme mazzo di rose in mano, l’uomo
attendeva l’uscita di Rosalie dall’edificio scolastico.
Immagini
terrificanti e vermiglie lo avevano assalito.
Rose
rosse gettate su un letto che si tingevano di sangue, e spine nella sua mente,
che graffiavano la pelle bianca come porcellana, e penetravano con forza nella
carne delicata della ragazza stesa sotto di lui.
Gli
era bastato un attimo e la tentazione di assecondare la sua natura omicida, si
era fatta strada senza difficoltà come un fulmine che attraversa il buio;
nessun testimone, un lavoro rapido e pulito, nessuno si sarebbe accorto di
niente.
La
legittimazione di un atto che avrebbe reso un servigio alla comunità, era
bastato a giustificare il desiderio di uccidere e gli aveva procurato una
sensazione di potere.
Edward
aveva mosso un passo, guidato da un istinto troppo forte; poi si era arrestato
di botto, stringendo i pugni in maniera violenta ai lati del corpo immobile e
rigido come una statua.
Non
seppe dire neppure lui, cosa lo avesse trattenuto; forse, il timore di
deludermi.
Forse,
la consapevolezza e la paura che se fosse precipitato, nessuno, neppure io
avrei arrestato la sua caduta verso il baratro. Non erano altro che le prime
avvisaglie di ciò che doveva accadere, ma io non volli vederle.
Si
era trattenuto, e a me questo bastava per credere che non sarebbe mai successo.
Non
si sarebbe mai perso perché era mio figlio, e in lui mi ostinavo a vedere la
mia stessa forza.
Ero
uno stolto.
Non
ero altro che uno stupido, presuntuoso vampiro che non voleva accettare la
realtà che ci fossero tra noi, quelli che devono scendere nel buio più profondo
e lasciarsi inghiottire da esso, per trovare la loro luce. Edward era fra
questi.
E
arrivò anche quella maledetta sera del 1933.
Una
serata scura e senza luna, una di quelle sere fameliche in cui escono solo i
lupi a caccia di prede.
Una
notte da vampiri travestiti da uomini, annidati nei vicoli putridi con gli
occhi offuscati dall’alcool, pronti a uscire dal loro nascondiglio per assalire
la loro vittima ignara. Belve assetate di sangue, mostri senza coscienza
accecati dagli impulsi più disumani.
Avevo
finito il mio turno in ospedale; ricordo la luce fredda dei lampioni che
illuminavano le strade e i fari delle poche macchine che viaggiavano all’epoca.
Per
gli umani era l’ora della cena che vede le famiglie riunite intorno a un tavolo
a dividere il cibo guadagnato col sudore del proprio lavoro. Anch’io stavo
tornando dalla mia famiglia; non c’era una tavola apparecchiata ad attendermi,
ma solo un figlio tormentato dalle sue pulsioni e una vampira innamorata che mi
avrebbe raccontato dei suoi alunni diligenti e dell’entusiasmo che le
procuravano.
Potevo
dire che mi bastava e che era comunque più di quello che mi sarei aspettato da
quella strana esistenza.
Stavo
prendendo la via di casa con il cuore leggero, quando avvertii l’odore
inconfondibile.
Arrivò
come una nota confusa e dolente di vita strappata.
D’istinto
cambiai strada per seguire quella scia che aveva l’essenza inquietante del
tormento più atroce. E purtroppo, ero quasi certo di quello che avrei trovato.
Seguii con angoscia quel percorso che mi portò davanti a ciò che si potrebbe
definire solo orrore. Lo scempio fisico e morale di una donna innocente.
Qualcosa
che forse è peggio della morte stessa.
Rosalie
era andata a trovare la sua amica Vera, quella sera. Non abitavano distanti.
Non
tornò mai a casa.
La
violenza sulle donne è un abominio incomprensibile, uno di quei misteri
insondabili che farebbero arrabbiare con Dio, anche l’uomo più devoto.
Per
questo, dopo tanti anni, mi pesa ancora sugli occhi l’immagine di Rosalie
agonizzante.
Perché
non ci può essere accettazione e neanche perdono, e nonostante tutto, questi
sentimenti esistono nella mia natura, e vivono nella più profonda
contraddizione.
Trovai
il suo corpo in un lago di sangue, seviziato in un modo che non si può dire e
che mente normale non potrebbe concepire, abbandonato come un rifiuto dentro un
vicolo squallido e oscuro.
La
morte, per fortuna o purtroppo, non aveva avuto ancora pietà di lei e del suo
cuore martoriato.
Non
ho mai saputo cosa sarebbe stato meglio. E non so neppure cosa avrei fatto io,
se fossi arrivato lì, un attimo prima. Ma so cosa avrebbe preferito lei.
Quante
volte ero stato testimone di simili scempi nel corso della mia lunga esistenza;
venivo da un secolo oscuro che non concedeva diritti né giustizia al mondo
femminile, e in oltre duecento anni non mi ha mai abbandonato quel senso di
amarezza che avverto di fronte a certe brutture che sembrano non cambiare mai.
Non
era rimasto nulla della Rosalie che tutti conoscevano, la ragazza avvenente
piena di sogni che camminava per strada con passo sicuro, orgogliosa di
attirare gli sguardi dei giovanotti, che sorrideva colma di speranze alla vita.
Tutto il suo essere era stato annientato dalla violenza che aveva subito. I
sogni erano stati abbattuti come uccelli in volo e le speranze erano crollate
come castelli di sabbia travolti dalla bufera.
Sollevai
da terra quel corpo brutalizzato e presi a correre velocissimo verso casa.
Mentre correvo, potevo sentire il suo cuore che lentamente andava spegnendosi,
mentre il suo sangue ancora caldo mi macchiava i vestiti e il suo aroma
invadeva le mie narici, e non fu senza dolore che pensai che sarei stato causa
di una pena ben più terribile.
E
mi angustiavo all’idea che per mano mia sarebbe morta di nuovo nell’arco di tre
giorni terrificanti.
La
morsicai al collo, ai polsi e alle caviglie, per regalarle la sorte dannata che
avevo già concesso ad altri della mia famiglia, ma nell’animo c’era qualcosa
cui anelavo inconsciamente. Strani sentimenti si agitavano nella mia coscienza;
covavo un forte risentimento sconosciuto per coloro che si erano macchiati di
quel delitto che costringeva me, ora a compiere il mio. Se Rosalie avesse potuto
fermarmi, lo avrebbe fatto. Lei più di Edward, non ha mai voluto questa vita e
non l’avrebbe voluta.
Se
avesse potuto scegliere, avrebbe scelto diversamente. Fin dall’inizio.
Ma
quasi tutto, nella sua esistenza mortale e immortale fu determinato da altri.
Esme,
appena la vide, ebbe parole di pietà per la ragazza.
“Povera
cara; ma chi può averle fatto una cosa così spaventosa?”
“Dovevano
essere in tanti; un uomo solo non potrebbe fare una cosa simile. Quando l’ho
trovata, doveva essere appena accaduto.”
“Vuoi
tenerla con noi?” mi chiese.
“Sarà
libera di restare o andarsene per la sua strada. Non la costringerò a fare
nulla.”
Quando
Edward quella sera rientrò a casa non fu contento della mia iniziativa di
trasformare Rosalie.
“Non
hai esagerato, questa volta? Rosalie Hale! È troppo nota. Non dovevi portarla
qui. Muoveranno mari e monti per trovarla.”
La
voce concitata di mio figlio tradiva l’esasperazione che provava.
“Non
potevo lasciarla lì, in quello stato. È vergognoso e riprovevole quello che le
hanno fatto.” Ribattei con assoluta decisione.
“Lo
so, ma nessuno sospetterà mai di quel maniaco, né dei suoi degni compari. Un
branco di canaglie schifose, che meriterebbero di morire tra atroci tormenti.”
Dalla
sua voce rabbiosa, capivo che lo avrebbe fatto volentieri trascinato
dall’emotività. Cercai di esercitare il controllo su di lui; ultimamente, certe
sue reazioni non mi facevano stare tranquillo.
“Edward,
non è compito nostro intervenire nelle faccende umane. – sospirai sull’ultima
frase. - Vedi chi è stato?”
“Certo.
È tutto ancora vivo nella sua mente. Le facce di quegli animali, ogni
raccapricciante dettaglio.”
Durante
la trasformazione, Rosalie coglieva a sprazzi i nostri discorsi, ma il veleno
che bruciava la sua carne non la faceva pensare quasi a nient’altro che il
dolore.
Ci
supplicò svariate volte di ucciderla.
Io
le rispondevo che presto tutto sarebbe finito.
Le
tenevo una mano e rimasi accanto a lei per tre giorni; ad ogni grido di dolore le
chiedevo scusa, mentre le spiegavo quello che le stava accadendo e cosa
eravamo.
Non
si lasciò convincere, finché non si rese conto lei stessa che il suo corpo
mutava e diventava più duro e forte.
Rosalie
era stata un’ umana già molto bella, ma la trasformazione stava esaltando e
accendendo la sua bellezza in un modo impensabile. Stava diventando magnifica.
Alla
fine del terzo giorno, Rosalie, bella come una dea, si risvegliò nella sua
nuova vita con gli occhi rossi che bruciavano di un fuoco che non era
semplicemente quello della sete.
Le
spiegai nuovamente tutto quello che era accaduto e cosa era diventata e lei mi
ascoltò apparentemente calma; ma quel fuoco che ardeva nel suo sguardo non si
placava neppure dopo una battuta di caccia. C’era un desiderio in lei che non
si sarebbe estinto, e io non me la sentii di provare a soffocarlo.
Non
ne ebbi il coraggio.
E
non sapevo quanto fosse giusto soffocarlo.
Avevo
il sospetto di qualcosa che stava per accadere e non sono sicuro di non averlo
in parte determinato.
O
forse, di averlo permesso, e magari desiderato in qualche piega oscura del mio
spirito dannato.
Rosalie
restò abbagliata dalla sua bellezza, ma fu qualcosa che la distrasse per
pochissimo tempo; era un’altra l’ossessione che la dominava e che avrebbe
finito per soddisfare. Sapevo che Edward la sentiva. Ma tra lui e Rosalie c’era
un tacito silenzio che gridava con furia, che soffiava su un tormento troppo
profondo e impietoso per poterlo estinguere. Feci finta di non vedere e
comprendere quello che si agitava nel suo animo di vampira neonata.
Non
mi azzardai a convincerla di nulla. Evitai qualsiasi tipo di frase fatta.
Non
avevo risposte né soluzioni e lei non ne chiedeva.
Un
vampiro dimentica la sua vita umana, resta nella sua mente solo una debole traccia
di qualcosa che fu.
Ma
come già la storia di Lucien mi aveva insegnato, certe tragedie che colpiscono
l’uomo sono incancellabili.
Rosalie
non avrebbe mai dimenticato nulla.
Avrebbe
ricordato per sempre ogni dettaglio di quella notte fatale e dannata. Le
sarebbe pesata addosso per l’eternità come un macigno pesantissimo; se un
vampiro può soffocare, quello l’avrebbe soffocata. Ci sarebbe stato un solo
modo per alleggerire quel fardello quasi insostenibile.
Non
potevo immaginare come e quando.
Era
un’ ipotesi che galleggiava sospesa fra noi, come una barca vuota trasportata
dall’acqua che deve toccare terra; non sai quando questo accadrà, ma sai che
dovrà accadere.
Non
sapevo come mi sarei sentito io dopo il fatto, e un po’ temevo di scoprire le
mie sensazioni, perché forse avrei provato qualcosa di simile al piacere.
Solo
di una cosa ero certo: Rosalie avrebbe perseguito e attuato la sua vendetta su
chi le aveva rubato tutti i suoi sogni e indirettamente, l’aveva resa
bellissima e maledetta.
Continua…
Salve a tutte. Eccomi qui.
Sono stata veloce questa volta. O almeno, più veloce del solito.
Spero prima di tutto che abbiate passato una Buona Pasqua, e poi
che il capitolo vi sia piaciuto.
Avrete notato che è più corto di quelli che scrivo di solito, ma
ho preferito non appesantirlo troppo. Mi è servito per introdurre qualche cenno
sull’epoca storica che ci dà lo scorrere del tempo vissuto dai Cullen, oltre
naturalmente il personaggio di Rosalie che vorrei approfondire meglio nel
prossimo capitolo. Avrete anche notato che ho ridotto molto i dialoghi, spero
non vi dispiaccia, ma qui non mi sembravano essenziali. Io spero che qualcuno
sia ancora lì a seguirmi e che magari voglia dirmi come ha trovato questo
capitolo. Come sempre, anche se l’ho già fatto singolarmente, vi ringrazio per
le vostre recensioni (pochine nell’ultimo, ma grazie lo stesso). Ringrazio chi continua a seguire questa
storia in una delle liste e anche chi legge soltanto senza farsi sentire, ma un
segno di vita anche piccolo, sarebbe gradito. Spero di sentirvi.
Ninfea.
[1] Proibizionismo; periodo che va circa dal 1920 al 1933, dove in
America era vietata la vendita e il consumo di alcolici.