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Autore: ailinon    30/04/2011    3 recensioni
Se avete letto "Lex", e trovate che quella sia la vera fine delle leggende arturiane, ebbene ecco cosa successe alla corte di Camelot, mentre il prode Lancillotto e il grande re Artù, erano spariti nel nulla...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere, Gawain, Kai, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lex'
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CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED

CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED

 

Mordred decise che doveva dire due paroline a sua zia che, prima lo illudeva di far diventare re e poi gli affibbiava quella piattola di Galahad alle calcagna.

Che cosa aveva avuto in mente quando aveva ordito tutto quel piano? Perché era chiaramente un’idea sua (o forse di sua madre?). Ma la  cosa più sconvolgente era: come aveva convinto anche Bedivere e Kay?

Misteri delle donne decretò tagliando corto, mentre entrava negli appartamenti riservati alla gente delle Orcadi.

I suoi fratelli lo accolsero con grandi abbracci e pacche sulle spalle. Il vino girava a fiumi e tutti stavano festeggiando.

Principe Mordred lo chiamarono. Roba da ridere.

«Finalmente ce l’hai fatta!» esclamò Gaheris felice.

Gareth lo abbracciò fiero: «Re Mordred!»

Davanti agli occhi gentili del fratellino, Mordred provò quasi una lieve emozione.

Sapeva che tra tutti solo Gareth era sempre sincero.

 «Chissà che dirà Gawain di questo…» rispose pensieroso.

 «Che deve dire? Sarà felice!» ribatté Agravain, cingendogli le spalle.

Mordred si sciolse da lui e andò a sedersi su uno scranno. Non era così certo che il fratello maggiore avrebbe accolto bene quella notizia, ponderò cupo.

Agravain e i gemelli lo scrutarono, dubbiosi. Non capivano come mai il giovane non stesse festeggiando e invece, se ne stesse lì cupo.

«Insomma! Non startene lì a quel modo! Dovresti festeggiare!» sbottò Agravain, piantandosi le mani sui fianchi.

All’occhiata annoiata di Mordred, il fratello lo afferrò per un braccio ed affermò: «E’ tempo che tu prenda possesso dei tuoi diritti (mentre i cavalieri te lo permettono). Non puoi stare qui con noi»

 «Cosa intendi

«Sei il re, no? Ebbene hai delle stanze solo per te, ora!»

Mordred impallidì. Parlava delle stanze di Artù? Avrebbe dovuto andare a dormire negli appartamenti del padre?

Non era sicuro che la cosa gli piacesse molto. Era il contatto più ravvicinato che  avesse mai avuto con lui, col sommo re, in tutta la sua esistenza.

Beh salvo non si tenesse buona anche quella volta quando il padre aveva tentato di affogarlo (ma forse quella era meglio non calcolarla).

Agravain si piazzò davanti a lui e studiò le diverse emozioni che scorrevano sul volto del fratello. Per chiunque altro Mordred sarebbe apparso assolutamente apatico, ma lui ormai lo conosceva da anni, e lo sapeva leggere come fosse un libro aperto.

E infatti lo fraintese.

 «Non preoccuparti, nessuno oserà protestare se ti scorteremo tutti noi! E poi quelle stanze ti aspettano di diritto!»

E siccome Agravain non era uno che si perdeva in ciance, afferrò Mordred e se lo trascinò dietro per tutto il castello, con una scorta decisamente poco regale, fino agli appartamenti del monarca.

Trovarono ser Kay e alcuni valletti intenti a riassettare le stanze.

Il siniscalco accolse i principi con una smorfia depressa: «Non avete perso tempo»

Agravain si guardò attorno con aria soddisfatta e superiore: «Neanche voi, bravi. Mio fratello, il re, si trasferirà qui già da stasera»

Mordred si guardò attorno. La stanza era magnifica, con un’ampia finestra da cui si poteva ammirare tutti i tetti di Camelot. Tutto era grande e lussuoso, come lo stesso letto di Artù. Un magnifico baldacchino a due piazze, con coperte di piuma d’oca e lana.

Incrociando lo sguardo ostile del siniscalco, Mordred si ricordò che adesso era lui il re: «Grazie per il tuo lavoro, siniscalco» disse con quanta dignità aveva: «Adesso potete andare»

I valletti s’inchinarono e si affrettarono ad obbedire. Tutti tranne che Kay hir e i fratelli delle Orcadi.

Mordred li squadrò con un’occhiata dura: «Tutti!»

Sorpresi i parenti si guardarono tra loro: «Non intenderai anche noi?» parlò Agravain, che si era già messo a curiosare per la stanza.

Mordred fece una cosa che non faceva da anni. Sorrise.

Il sorriso pericoloso di un serpente: «Non vorrai dormire con me vero Agravain? E’ una cosa che non facciamo da anni. O hai ancora paura del buio?» sibilò.

Il volto del fratello divenne paonazzo. Si gettò il mantello su una spalla, ed indignato si rivolse agli altri: «Andiamocene! C’è chi si è montato la testa e ha dimenticato da dove viene»

Mordred li lasciò andare via, senza voltarsi, poi mormorò: «Affatto… Vengo dal mare e dalla torba»

 «Ed è bene che lo ricordi sempre»

Voltandosi come un felino, Mordred vide che ser Kay era rimasto a fissarlo dalla porta.

I due si squadrarono sospettosi.

Le parole che aggiunse il rosso Kay, furono come una pugnalata al cuore: «Non sarai mai Artù»

Il moro serrò i denti tanto da  farsi male alle gengive. «E non pretendo di esserlo. Io sono Mordred»

Il siniscalco lo guardò ancora, in silenzio, con i suoi occhi verdi profondi come quelli di un gatto: «Ti farò portare le tue cose qui» poi chinò il capo: «Buonanotte»

Mordred lo imitò, e restato solo, si voltò a guardare fuori dalla finestra la notte che scendeva sulla bella città creata dal re.

I fuochi si accendevano sulle merlature di guardia, e nella belle case di pietra e legno. Lungo le strade pulite e nelle locande animate.

La bandiera del grande drago sventolava ancora sulle alte torri nonostante il sommo re non ci fosse più.

E Mordred si chiese da quanto tempo avesse il coraggio di pronunciare fieramente il suo nome.

***

 

   
 
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