Molliccio.
Severus
“Potresti
uscire dall’aula, Severus, per favore? Mi distrai i ragazzi” la voce di Remus Lupin
rimbombava per l’aula di Difesa delle Arti Oscure.
“State
facendo i Mollicci?” chiesi, alzando un sopracciglio.
I
ragazzini del terzo anno, tra cui Potter e la sua combriccola, mi guardavano
ridacchiando.
“Si,
ma ci vuole concentrazione.”
Mi
indicò la porta, con un gesto gentile della mano, una strana luce negli occhi.
Sorrisi
mellifluo e me ne uscii con uno svolazzo del mantello.
Sentii
dall’altra parte Lupin che iniziava a parlare…
“Allora,
Neville, cosa ti fa più paura?”
****
Remus
Un
leggero rumore attirò la mia attenzione, e dei leggeri passi risuonarono aldilà
della porta di legno chiaro del mio ufficio, nel corridoio.
Presi
la bacchetta per precauzione, ma fu inutile.
La
porta si spalancò rivelando due occhi corvini, un naso adunco e dei capelli
unticci.
“Severus,
che piacere…” sorrisi.
In
fondo provavo molta pena e molta compassione per quella creatura.
Un
licantropo che prova compassione per un uomo normale…che ridere…
Eppure
l’uomo di fronte a me aveva sofferto quanto il sottoscritto.
Perché
non sentirmi uguale?
Condividevamo
lo stesso dolore.
Severus
Piton era giovane, ma dimostrava una ventina di anni in più della sua reale
età, proprio come me.
Piccole
rughe già solcavano il suo volto olivastro, pallido, e le labbra erano tirate.
Non sorrideva, ma non mi sorprese.
Aveva
un aria stanca, di chi ha vissuto troppo e non trova
più un motivo reale per vivere.
“La
tua pozione, Remus.”
Disse,
poggiando il calice prezioso con il blasone di Hogwarts che teneva in mano sul
mio tavolo.
“Ho
aggiunto della salvia, dovrebbe essere più bevibile e non altererà gli…effetti.”
“Grazie
mille. Non avrei questo lavoro senza il tuo aiuto.”
“Non
andarlo a dire in giro, ho una reputazione, lupo.”
Sorrisi.
Sempre
lo stesso acido, antipatico, triste Severus.
“Il
giovane Harry pensa che tu mi stia avvelenando.”
Sorrise
tirato.
Sapevo
quanto gli costasse ricordare.
“Buona
nottata, Remus” ghignò.
Lo
osservai oltrepassare la porta, ma lo richiamai.
Era
ora di parlare.
“Severus.”
Si
girò.
“Sai
perché oggi ti ho fatto uscire dall’aula.”
“Non
mi serve la tua protezione dal mio peggior ricordo, Lupin.”
“Non
tanto per te, ma per il ragazzo. Cosa credi che avrebbe pensato vedendo sua
madre morta a terra di fronte a te? Tra tutti i ragazzini presenti nell’aula
oggi pomeriggio, noi eravamo quelli che hanno più
paure perché abbiamo visto di più, e troppo. Il molliccio avrebbe preso di mira
noi.”
Mi
fissò con occhi vuoti e l’espressione spenta.
“Ho
smesso di ricordare, Remus. Tanto tempo fa.”
“Sai
benissimo che non è vero.” Ribattei. “Non puoi dimenticare, e lo sai.”
Calcai
le ultime parole, assicurandomi che capisse che io sapevo.
Un’espressione
di dolore si dipinse sul suo volto, e mi sembrò di intravedere una luce in
fondo ai suoi occhi.
“La sogno tutte le notti da tredici anni. Quando potrò
vederla di nuovo sarà un sollievo.”
“Silente
si fida di te. Anche io.” Annunciai.
Annuì,
assorto.
“Il
molliccio è ancora lì?” chiese poi, con voce strana.
“Si.”
Risposi. “Ma non farti del male così. Non serve”
“Grazie,
Remus.”
Si
voltò e uscì, facendo ondeggiare il mantello, la bacchetta in mano.
Mi
girai verso la mia scrivania, dove il calice mi aspettava.
Ingurgitai
tutta la pozione antilupo, e cominciai a tremare, andando incontro alla cosa
che più temevo al mondo.
La
luna piena splendeva alta nel cielo.
Stavolta
ululai di dolore alla luna.
Era
troppo difficile ricordare.
E
troppo doloroso.
Severus
La
porta dell’aula di trasfigurazione si chiuse alle mie spalle e mi diressi verso
l’armadio in fretta.
Tremavo,
ma non di freddo.
Come
sarebbe stato?
Aprii
l’anta con un colpo di bacchetta.
E ne
uscì lei.
Lily.
I
capelli rossi scendevano morbidi lungo le spalle, indossava solo una veste
bianca, e gli occhi verdi erano lucidi.
Piangeva?
No, amore, non farlo.
Io mi tormento tutte le notti
da tredici anni, gridandoti in sogno di scappare. Nessuna pozione placa la mia
sofferenza, nessun incantesimo mi impedisce di vedere.
Vederti morta a terra, fredda
e pallida, l’urlo di terrore ancora sulle labbra, il bambino che alle tue
spalle piange senza sosta, con una cicatrice in fronte…
Quella
notte, la notte della tua morte, arrivai prima io di Black e Hagrid.
Arrivai
io per primo, appena svanito il Signore Oscuro.
Arrivai
io, a vegliare il tuo corpo e a ricoprirlo di lacrime.
Fui
io il primo a toccare il Bambino Che E’ Sopravvissuto,
a prenderlo in braccio. Un’ulteriore lacrima scese sul mio volto, quando smise
di piangere non appena fu tra le mie braccia.
E
mi guardava con i tuoi occhi.
Mi
fissò dolce per un secondo, la mia Lily, poi un lampo di luce verde, ed era a
terra.
Eccola,
la scena che si ripeteva ogni notte nella mia mente, nei miei sogni.
Le
presi una mano, sedendomi al suo fianco.
Sembrava
vera.
Ed
era fredda.
Iniziai
a singhiozzare sommessamente, poi sempre più forte, fino a che non gridai.
E il
mio grido si confuse con un ululato ben udibile dall’altra parte del castello.
Era
troppo difficile ricordare.
E
troppo doloroso.