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Autore: Lady Aquaria    01/05/2011    6 recensioni
Estratto dal capitolo 1:
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo."iniziò, cercando le parole più adatte."Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche d'odio all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
EDIT: Storia completamente revisionata! Vale
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Shunrei / Fiore di Luna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 16 rivisto  
Lo guardò, restando in silenzio qualche secondo incapace di profferire parola.
"…niente di più… fattibile in breve tempo?"
"Non scherzare, dai. Sono serio." sospirò Camus. "Non riesco a pensare ad altro che a te con la bimba in braccio, lì, vicina al camino. Pensavo che questa vita potrei viverla sempre senza alcun problema perché comunque avrei te al mio fianco. Facciamo un altro bambino."
"Non ho mica detto no." rispose Mei.
Camus spronò i cavalli.
"… so che hai appena avuto il lavoro e che con un eventuale bambino potresti avere problemi…"
"Il lavoro non è un problema." rispose, pensando alla donna incinta che aveva visto al dojo e che, come spiegato da Sheng, si occupava del corso di Qi Gong e Medicina Tradizionale. "La gravidanza non è un motivo valido per il licenziamento, ringraziando gli Dèi."
"E allora…? Se il problema è lo spazio in casa, potremmo anche trasferirci altrove… a nord di Parigi, vicino al Bois de Boulogne, ci sono bellissime villette su più piani che…"
"Non voglio lasciare quell'appartamento… è troppo importante per te." rispose Mei. A dire il vero, non trovava obiezioni valide per non prendere in considerazione quella richiesta: entrambi avevano un lavoro, guadagnavano abbastanza per mantenere un altro bambino e per vivere decorosamente. I problemi ai quali pensava Mei erano di diversa natura: sarebbe rimasta a casa fino a un certo punto, dopodiché avrebbe ripreso a lavorare e Camus avrebbe dovuto badare al bambino mentre lei lavorava. "Come farai col bambino quando riprenderò a lavorare? Un neonato prosciuga le energie."
Camus sentì un barlume di speranza scaldargli il petto.
"Ci sarebbe Freya a darmi una mano, lei non andrà a lavorare." rispose subito. "E comunque ci so fare con i bambini, lo sai."
"Su questo non nutro alcun dubbio." rispose Mei. "Ma hai idea di che cosa significa svegliarsi ogni tre ore per la poppata e dormire nei ritagli di tempo?"
"Imparerò."
Sorrise nel vedere la sua espressione.
"Hai idea di quanto mi stai rendendo felice?"
"E tu hai idea di che cosa significherà, per te, avere a che fare con me, incinta?"
Le cinse le spalle con un braccio, tirandola maggiormente a sé.
"Sarà una passeggiata." asserì, scoccandole un sorriso.
"No, non ne hai idea." sospirò Mei, capitolando. "Ti verranno i capelli bianchi."
"Li tingerò."
 
Fermò i cavalli davanti all'isba, per permettere a Mei di entrare più agilmente in casa senza prendere troppo freddo, sul volto ancora il sorriso a trentadue denti di poco prima.
"Vai dentro, qui ci penso io."
Mei si alzò, scrollando via il leggero nevischio che era rimasto attaccato alle gonne.
"In due si fa più in fretta." rispose, sporgendosi verso l'interno della trojka con l'intenzione di aiutarlo a portar dentro le provviste.
"Proprio non ti riesce di ascoltarmi, eh?" Camus scosse la testa, rassegnato, sentendo l'aria abbassarsi di un paio di gradi. "Sta per arrivare brutto tempo."
"Nevicherà?"
"Spero di no, sarebbe ancora troppo presto. Le prime nevicate di solito arrivano intorno al 30, 31 agosto, non prima… tuttavia sta arrivando il vento e non è proprio il caso, per te, di rimanere qui fuori col rischio di beccarti una polmonite."
Mei puntò le braccia sui fianchi.
"Perché, fin'ora non ho rischiato?" domandò, inarcando un sopracciglio. "Lo sentivo, il freddo, sai?"
Camus scese dalla trojka con un balzo.
"Ne hai percepito una minima parte." la corresse. "Perché c'era il mio Cosmo a proteggerti."
Sgranò gli occhi incredula.
"Ah… quella era la minima parte?"
Come prima a Kobotec, Camus l'aiutò a scendere dalla trojka.
"Agosto è il mese meno freddo dell'anno, ci sono settimane dove le temperature sono così basse che raggiungono i meno quaranta gradi."
"Accidenti."
"Pensa che in pieno inverno il latte è venduto in forme, come il formaggio."
"Adesso mi stai prendendo in giro."
"Ti assicuro che è la verità." le disse, sospingendola all'interno dell'isba. "Sistemo i cavalli e arrivo. Resta qui."
Nel mentre Mei ravvivò il fuoco nel camino, pensando alle parole di Camus: una richiesta più che legittima, considerando anche che entrambi si sentivano più che pronti per avere un altro figlio.
Lo sentì trafficare oltre la porta che dava sul locale che fungeva da stalla e si alzò dirigendosi in cucina maledicendo il nervosismo che, non sapeva perché, l'aveva colta appena entrata in casa. Camus entrò fischiettando qualcosa e sistemando le provviste al loro posto.
"Allora, ti piace qui?"
Come luogo dove staccare la spina qualche giorno sicuramente sì. Viverci in pianta stabile, sicuramente no.
"E' come vivere all'epoca della mia trisnonna. Bisogna esserci abituati." rispose, vaga.
Era una vita ovviamente diversa da quella che conduceva da quand'era nata: persino al Goro-Ho c'era acqua calda corrente, elettricità e gas costanti.
"Questo è sicuro. Però come ti ho detto prima, sarebbe una vita che personalmente sarei disposto a vivere. Entrando in casa ti ho sentita trafficare in cucina e ti ho guardata. Vestita così mi sei sembrata una di quelle donne dei dipinti del diciannovesimo secolo e… oh, prendimi per stupido, pensavo d'essere tornato indietro nel tempo. Ed è stata una bella sensazione." le spiegò. "Mi rendo anche conto, però, che non è una cosa possibile, intendo l'idea di vivere qui."
"Per brevi vacanze è fattibile, ma a dirla tutta non credo di potermi adattare alla mentalità maschilista del luogo. Da dove provengo ce n'è già abbastanza."
Sorrise.
"Beh, in effetti le donne del luogo non ricoprono certo incarichi come insegnanti di arti marziali…"
"No, non è solo per questo. E' che la mentalità pare essere rimasta all'epoca vittoriana, capisci? Donnine timorate, silenziose, miti… assoggettate totalmente ai loro uomini. Io non sarò mai niente di tutto ciò. Ho studiato e sudato parecchio per essere ciò che sono e per godere dei diritti che mi sono guadagnata. Per entrare in un certo argomento, sarei capacissima di farmi trovare nuda in casa, quando rientri dal villaggio o dalla stalla… anzi, avrei voluto farlo poco fa ma sei rientrato troppo in fretta e queste sono cose che richiedono una certa preparazione."
Camus sorrise sornione, afferrando il cappotto pesante.
"Quanto tempo ti occorre, esattamente?" le domandò, facendola ridere.
"Lascia stare quel cappotto, sciocco."
 
"Non avrei mai pensato di trovare fotografie del genere da Nazar. Non ci avevo mai fatto caso, eppure quel tabellone è sempre stato lì." Camus posò le foto sul tavolo badando a non sgualcirle. "Non… non dire a Hyoga che i suoi nonni si sono disinteressati di lui e di Natassia. Soffrirebbe per delle persone che valgono meno di niente."
Mei gli porse la tazza con il mors -che Kirill, su ordine di Zoya, aveva dato loro in un fiasco- a mo' d'accompagnamento per i biscotti rustici che stavano mangiando come dessert.
"Non c'era nemmeno bisogno di dirmelo, sai? Non ho l'abitudine di ferire le persone in questo modo. Neanche Hyoga."
"A proposito… andate davvero d'accordo voi due, vero? Cioè… non è una mera finzione messa in atto per mettermi a tacere, dico bene?" domandò Camus.
"Nessuna finzione." ribatté Mei, piccata.
"Non te la prendere. Per me è una cosa molto importante altrimenti non insisterei su quest'argomento." Camus le prese una mano tra le proprie. Sospirò. "Proverò a raccontarti una cosa: fa un po' male ricordare certe cose, ma farò uno sforzo. Quando ho visto Hyoga la prima volta aveva circa l'età di Lixue e io avevo a malapena tredici anni. Avevo finito l'addestramento già da tempo e lui era il secondo allievo affidatomi…"
"Bambini affidati ad altri bambini."

Camus annuì, quindi continuò.
"Quelli come noi smettono di essere bambini nel momento in cui vengono strappati alle madri. Comunque, tornando a Hyoga… quando lo portarono qui era scarno, pallido e con un febbrone da cavallo: all'orfanotrofio dove aveva vissuto dopo la morte della madre l'avevano trattato alla stregua di un animale, abituandolo al peggio della vita: parlava poco, non si fidava di nessuno. Nazar, il sant'uomo che hai conosciuto oggi, andò fino al paese vicino in piena notte e con una tormenta pazzesca, a chiamare un medico." Camus si fermò un istante per bere, perso nei ricordi. "Ora so per certo che non era esattamente un medico, ma un ciarlatano da fiera di paese, quello che qui definiscono sciamano... per molti versi, te ne sei già accorta, Kobotec è ancora piuttosto retrograda. All'epoca però mi mise una paura tale addosso, che ancora la rammento: entrò qui, diede un'occhiata a Hyoga e mi disse di non farmi illusioni, che difficilmente avrebbe superato la settimana perché la sua febbre era troppo alta e qualcosa gli impediva di guarire... i suoi astri sono oscuri, Maestro. Liberatevi di lui o la sua sventura ricadrà anche su di voi!  Non dormii per due notti, nella costante paura che Hyoga potesse morire sotto il mio naso mentre dormivo. Fortuna volle che il figlio maggiore di Nazar, quello emigrato in Canada per studiare, tornasse a casa in quel periodo per visitare i genitori e su richiesta di suo padre venne a visitare Hyoga. Mi disse che era messo parecchio male, debilitato da una forma di bronchite acuta causata dal freddo e da un'influenza mai curata, ma che non era in pericolo di vita… non ancora almeno."
Mei ascoltò tutto in silenzio, mogia.
"E come hai fatto a curarlo?"
Quel posto all'apparenza dimenticato dagli Dèi non era di certo come Parigi, dove c'era una farmacia ad ogni angolo.
"E' stata una bella sfida." convenne Camus. "Maksim, cioè il figlio di Nazar, non aveva granché con sè, mi diede un flacone di antipiretici che migliorarono appena un po' la situazione. La guarigione fu lunga, ricordo che mi disse di preparargli degli infusi di aglio, timo, artiglio del diavolo e non-ricordo-cos'altro nel latte."
"Aglio? Nel latte? Mia madre ci metteva il miele, nel latte." Mei fece una smorfia. "Se la tosse era particolarmente brutta ci metteva quello di castagno, ma l'aglio, mai. Bleah."
"Beh, non fu piacevole avere nell'aria più allicina che ossigeno, ma gli intrugli servirono allo scopo." rispose lui, ridacchiando. "Non ti ho raccontato tutto questo per tediarti, quanto per provare a farti capire anche solo minimamente quanto bene voglio a quel ragazzo, e quanto ne ho voluto anche a Isaak. Per me sono come figli, capisci?"
Annuì ma non replicò, preferendo tacere piuttosto che evocare il passato e con esso i brutti ricordi. Si schiarì la voce, iniziando a rassettare casa per tenersi occupata.
"Se il tempo tornerà tranquillo ti porterò al Bajkal, prima di tornare a Parigi." promise Camus, di punto in bianco. "Anche se non so quanto conviene sperarci, pare essere peggiorato nelle ultime due ore."
Il tempo, esattamente come pronosticato, verso sera cambiò in peggio: il cielo non era ancora carico di neve, ma le temperature si erano abbassate ancora e soffiava un vento gelido che Mei sentiva sibilare anche attraverso i doppi vetri delle imposte.
Chiuse il libro dopo essersi resa conto di aver riletto la stessa riga per la quinta volta.
L'agitazione di quel pomeriggio era svanita ma qualcosa le impediva di concentrarsi. Al contrario, Camus pareva piuttosto preso dalla propria lettura; seduto sul divano –le aveva lasciato la poltrona, più vicina al fuoco-, girava regolarmente le pagine, l'espressione rilassata, ma concentrata sul libro.
Si concesse qualche minuto per osservarlo, soffermandosi su quei tratti eleganti che tanto amava, finché lo sguardo di Camus si spostò dal libro per posarsi su di lei con curiosità proprio mentre lei scattava una foto.
"Ti sei girato… peccato, avevi una bella espressione assorta…" sospirò Mei, spegnendo la reflex di Camus e posandola con attenzione sul tavolo, insieme al libro.
"Vai già a dormire? E' presto!"
Mei gli posò un bacio sul collo dopo avergli scostato i capelli.
"Non proprio." rispose, vaga. "Non fare tardi."
"N-no, finisco il capitolo e arrivo." rispose, rabbrividendo.
"Fa' con calma." si sentì rispondere; corrugò la fronte, guardando Mei avviarsi alla scaletta con uno strano luccichio negli occhi.
"…Mei." sussurrò a mo' d'ammonimento, la voce roca.
"Sali tra cinque minuti, Cam. Non uno di più, non uno di meno." lo fermò lei. "Voltati, finisci il tuo capitolo, per adesso. Voltati, ho detto."
Fece come richiesto e rimase in assoluto silenzio, ascoltando i passi di Mei prima sulla scaletta, quindi sulle assi del piano superiore.
Finisci il tuo capitolo, gli aveva detto.
Sì, come no. E chi andava a pensare al libro, dopo quello scambio di battute e dopo una certa, inevitabile reazione fisica?
Per qualche minuto non avvertì nient'altro che il respiro affrettato e il battito accelerato del proprio cuore, quindi, ancora la voce di Mei.
"I cinque minuti stanno per scadere."
Si alzò dal divano teso e con una certa difficoltà a muoversi, notando una serie di oggetti –indumenti- a terra e sulla scaletta: i vestiti che Mei aveva indossato quel giorno.
"Dammi qualche secondo, sono in condizioni un po' particolari." le rispose, salendo al piano superiore: lo stava aspettando distesa prona sul letto, svestita nonostante la temperatura non proprio ideale della stanza.
"Alla fine ho impiegato solo cinque minuti, visto?"
"Sono costretto ad avvisarti che io non sarò così veloce."
 
*
 
Avevano trascorso parte della notte l'uno tra le braccia dell'altra, provando a mettere in cantiere quel bambino che entrambi desideravano e tutto era andato bene fino a quel momento, finché quel dannato incubo che sapeva perseguitare Mei –senza conoscerne il contenuto- non si era presentato così, di colpo.
Camus se ne accorse subito, non appena sentì il respiro di Mei farsi affannoso nel cuore della notte: sarebbero presto arrivati anche i tremiti e le urla, testimonianza che qualcosa a lui incomprensibile la stava ancora tormentando.
Scostò la tenda dalla piccola finestrella giusto in tempo per vederla gesticolare nel sonno, lamentandosi come se quel che stava vedendo lo stesse vivendo sul serio, proprio in quel momento.
"Mei?" sussurrò. Lei iniziò a piangere, lasciandolo indeciso sul da farsi. Lo chiamò più volte, nel sonno, con la voce sempre più carica di angoscia. "Mei, sono qui!"
Si accorse di non avere la più pallida idea di cosa fare. Svegliarla o lasciarla dormire aspettando che l'incubo scemasse?
Lo invocò ancora una volta, terrorizzata da qualcosa, e stavolta la vide posarsi una mano sul cuore, il respiro sempre più affannato, come se stesse rantolando.
A quel punto, pensò a un infarto. Quante probabilità c'erano che si manifestasse anche in soggetti sani come Mei?
"Mei, svegliati. Va tutto bene, sono qui!" le disse. "So che mi senti, svegliati!"
Blaterò qualcosa che non riuscì a capire e spalancò gli occhi, vitrei. Stavolta, l'afferrò per le spalle, scuotendola per strapparla al sonno.
"MEI!" gridò, emanando involontariamente il Cosmo.
Si svegliò, finalmente, dopo vari interminabili secondi, con un rantolo che gli ricordò quello di una persona rimasta troppo a lungo sott'acqua che riemerge pochi attimi prima della fine: gli occhi tornarono svegli e brillanti, il battito cardiaco quasi regolare.
"Cam?"
Pieno di sollievo, Camus affondò il volto nel petto di Mei.
"Pour Athéna, quelle frayeur. Quelle peur tu m'a fait essayer, bon sang!" Per Athena che spavento. Che paura mi hai fatto provare, dannazione!
"Non avevamo stabilito che in questi giorni avremmo parlato cinese per aiutarti con la pronuncia?" scherzò, sentendolo agitato come raramente accadeva.
Gli accarezzò la testa, tentando di capire che cosa fosse successo e perché fosse così sconvolto: avvertiva il suo cuore battere furioso senza capirne il motivo.
"Cos'è successo?" gli domandò, mentre le tornavano in mente frammenti del solito incubo. "Oh no. Ho di nuovo avuto l'incubo."
"Oui."
"Ho parlato nel sonno?"
"Parlato  non è il termine più appropriato." obiettò Camus.
Si coprì il volto con le mani.
"Quando ti deciderai a trovar pace? Quando, benedetta ragazza?"
"Di chi stai parlando?"
Mei si alzò, infilandosi la vestaglia di velluto pesante di Freya che durante la notte era scivolata giù dal letto.
"Un secondo, Camus, ho bisogno di qualcosa di forte." gli rispose, avviandosi alla scaletta.
"Semmai sono io ad averne bisogno, credevo stessi avendo un infarto!" la seguì lui.
La vide premersi le mani sulla testa, con una smorfia di dolore.
"Ah, quanto rimpiango la tisana di Shunrei in momenti come questo…" disse. "Quanto la rimpiango… ti rivolta lo stomaco, ma ti scaccia via qualunque problema, dal mal di testa all'influenza."
"Addirittura?" Camus frugò in un pensile. "Dovrei avere dei fiori di malva da qualche parte, ma non ne sono sicuro…"
"No, lascia stare… fossi a casa mi farei un bagno, ma qui non c'è l'acqua calda. Pazienza, passerà."
"Un bagno? Potevi dirlo, scaldo subito l'acqua."
"Ma no, lascia stare, davvero. Prima che si scalda, il mal di testa è bello che andato." rispose Mei. "Facciamolo dopo, ti va?"
"Dopo? Insieme?"
Mei sorrise divertita.
"Che cosa scandalosa, nevvero? Io e te in una tinozza, insieme." lo prese in giro. "Che domande, ovviamente intendevo insieme."
Le rispose con un gran sorriso, spillando acqua dal samovar.
 
Mei tenne la tazza bollente tra le mani per scaldarle, prima di dare una lunga sorsata al tè, lo sguardo fisso su un punto imprecisato della stanza mentre i pensieri tornavano all'incubo.
"Degél?" azzardò Camus, dopo un po'.
"No." rispose Mei, riscuotendosi. Alzò lo sguardo posandolo casualmente su di lui. "Per l'amor del cielo, mettiti qualcosa addosso, mi distrai."
Camus afferrò i jeans da una pila di vestiti sul divano, si sedette e l'invitò a sedersi accanto a sé.
"No, Degél non c'entra, povera anima." riprese Mei. "La natura di quegli incubi è strettamente personale. Al Goro-Ho, come in qualunque altro posto al mondo, circolano delle particolari credenze tipicamente locali alle quali uno è liberissimo di non credere… nel tuo caso, so per certo che sarà così, ma tieni presente che ogni leggenda ha sempre, al suo interno, un fondo di verità…"
"Mettimi alla prova."
"La prima volta che feci questo sogno, se così lo vogliamo chiamare, fu il giorno immediatamente successivo alla scalata del Santuario, dopo la mia visita, quando tu e gli altri Saint…" si interruppe; le era sempre difficile pronunciare ad alta voce certe cose.
"…eravamo morti?"
"I miei complimenti per il tuo tatto." sbottò Mei.
"Scusami, non t'interromperò più."
"Sulle prime lo attribuii allo shock e al dolore infinito provato nel vederti freddo e disteso su quel tavolo e non ci feci caso. Poi però, l'incubo divenne ricorrente: ogni notte la stessa scena…  stesso inizio, stessa fine... finché tempo dopo rifeci lo stesso sogno, ma… sognando una diversa versione dell'accaduto."
Camus corrugò la fronte, ma non la interruppe, lasciandola libera di proseguire.
"Ne parlai con Dohko, ero molto spaventata e non sapevo che cosa pensare a riguardo. Lui mi ascoltò pazientemente e mi fece raccontare esattamente tutto ciò che avevo visto sperando che, parlandone, l'incubo in qualche modo non tornasse più a tormentarmi. In effetti non fu più ricorrente, tuttavia continua a ripresentarsi di tanto in tanto."
"Prova a raccontarlo anche a me."
Si prese il volto tra le mani.
"Oddéi, come faccio a raccontartelo…?"
"Levando le mani dalla faccia, tanto per iniziare. Su, racconta. Che cosa vedi in questo incubo?"
Mei si schiarì la voce, quindi chiuse gli occhi, riportando alla mente immagini che conosceva anche fin troppo bene.
"Nella prima versione dell'incubo mi sveglio in un posto che tutt'ora non so riconoscere, addirittura non so nemmeno se esiste. Avverto chiaramente il mio corpo intorpidito, e ci metto un po' a tirarmi su. Scendendo delle scale mi accorgo che sono totalmente incrostate di ghiaccio e istintivamente mi aggrappo alla ringhiera per non scivolare. Solo dopo aver imboccato un corridoio a me familiare mi accorgo di trovarmi all'undicesima casa: stavolta corro senza curarmi di scivolare, sento il respiro accelerare ogni volta, sapendo con inquietante certezza che cosa troverò nella sala principale." spiegò Mei, riaprendo poi gli occhi, lucidi. "E trovo te, a terra."
"…"
"Poi di questo stesso incubo c'è anche il finale alternativo, quello che di solito mi fa svegliare di colpo, gridando come se mi stessero aprendo in due, almeno, a detta di Shiryu: arrivo nella sala principale, e il freddo è così intenso che persino i pensieri paiono sul punto di cristallizzarsi. Solo che una volta arrivata in sala, tu… sei ancora vivo! Sei pallido e freddo come un blocco di ghiaccio e io tento con ogni mezzo di salvarti la vita ma non ci riesco perché… muori tra le mie braccia!" spiegò ancora Mei, asciugandosi gli occhi con il dorso di una mano. "Allora grido e… di solito, mi sveglio a quel punto."
"Oh, Mei."
"Aspetta, aspetta… la seconda versione dell'incubo è ancora più strana, sai? Non è facile da spiegare o da capire perché in verità nemmeno io la capisco: a differenza dell'altro, stavolta mi sveglio in sala. Intorno a me c'è solo ghiaccio, di sicuro molto freddo, ma… stranamente non lo avverto. Mi accorgo di fluttuare sulla sala, come Degél, come se fossi uno spirito. Ti rialzi a fatica, ti vedo arrancare su per le scale con molta difficoltà, fino a trascinarti a forza in questa stanza dove vedo il mio cadavere a terra, piegato in posizione fetale… e tu…" si bloccò, notando un luccicone solcare la guancia di Camus. "Cosa c'è?"
"… io cerco di gridare, ma per qualche ragione non posso farlo." concluse per lei. "Questa era la cosa che temevo potesse succedere se fossi rimasta con me, quella volta. La stanza che vedi è in realtà la soffitta dell'undicesima casa. Io ci avevo anche pensato, sai, a nasconderti da qualche parte, ma poi? Sarebbe finita esattamente così… quest'incubo l'ho avuto per diverso tempo…" Camus si soffiò il naso, gli occhi rossi. "E ogni volta era una stilettata. Non capisco come abbiamo fatto ad avere lo stesso incubo."
"Ecco, secondo le leggende del Goro-Ho che mi ha raccontato Dohko, ognuno di noi nasce con otto anime: la nostra, quella che cioè abita il nostro corpo, e altre sette sparse in giro per lo Spazio e il Tempo, che abitano altrettanti corpi."
"Perché otto?"
"Beh, l'otto è un numero fortunato, da noi. Comunque queste anime vivono… come dire… "
"In dimensioni parallele?"
"All'incirca. Ma dato che non ci è possibile incontrare fisicamente questi alter ego, non possiamo sapere se vivono nella nostra stessa epoca o in altri secoli o anche in altre ere, non ci è dato sapere se sono tutt'ora viventi o no, non possiamo conoscere niente di quel che le riguarda. Tuttavia, a soggetti particolarmente sensibili, può capitare di entrare in connessione con una o più di loro. Dohko mi disse che, poiché sono capace di interagire con gli spiriti, probabilmente questo incubo era un'eco di vita vissuta da una di quelle anime che, ha percepito il nostro stato d'animo e ha voluto condividere quanto vissuto."
Camus parve pensarci su un istante.
"Cioè… correggimi se sbaglio: altri noi, in altre dimensioni temporali, hanno vissuto le nostre stesse situazioni e hanno condiviso con te le loro esperienze tramite contatto mentale?"
"Così è spiegato molto alla buona ma sì, diciamo che il succo del discorso è quello." rispose Mei. "Comunque l'hanno condiviso anche con te, visto che abbiamo avuto lo stesso incubo."
Dal canto suo Camus non era d'accordo, gli incubi o i sogni altro non erano che il parto del subconscio; tuttavia quel discorso faceva parte della rete di credenze di Mei, e le rispettava pur non condividendole.
"…magari attraverso il settimo o l'ottavo senso, o tramite il Cosmo, no?"
Si riscosse, accorgendosi improvvisamente di aver perso l'ultima parte del discorso di Mei.
"Non ti seguivo, scusami."
"Ho detto che, magari, il tuo alter ego ha condiviso con te quel che ha visto tramite il settimo o l'ottavo senso o proprio attraverso il Cosmo."
"Attraverso il Cosmo, magari. L'ottavo senso lo escludo a priori, non c'entra niente con tutto questo."
"So che non credi in niente di quanto ho appena detto, ma grazie per avermi ascoltato."
"Sono cose nelle quali tu credi e le rispetto per questo anche se non le condivido." rispose Camus, con diplomazia. "Ci siamo dunque incontrati anche in altre vite e in altre dimensioni, se una delle tue anime ha vissuto la tua stessa esperienza."
Mei ridacchiò nervosamente.
"Eh, pensa che gran fortuna hai avuto a incontrarmi anche in altre dimensioni temporali."
La trasse a sé, stringendola forte.
"Non dire così. Io mi sento davvero fortunato, ad averti incontrato."
 
**
 
Camus rientrò a casa con le braccia cariche, faticando a chiudere la porta d'ingresso.
"Non facciamo in tempo a staccare la spina che la buca delle lettere è già piena." sospirò, posando la posta e il sacchetto della panetteria sul tavolo in cucina.
"Ti sei ricordato le girelle all'uvetta?" domandò Mei, dal bagno.
"Sì, ne mancano un paio all'appello ma tu non farci caso." commentò Camus, smistando la posta. "Pubblicità, volantino di un nuovo messicano, ancora pubblicità… oh, la bolletta della luce. Che carini, cominciavo a preoccuparmi sai, da quanto tempo non avevo loro notizie…"
Separò conti e bollette in un cassetto della sua scrivania e gettò la pubblicità nel cestino della carta, quindi dedicò attenzione a due buste di diversa fattura.
Una color carta da zucchero con il mittente scritto in greco, l'altra di pregiata carta pergamenata con il mittente in giapponese. Corrugò la fronte e telefonò a Milo.
"…Milo hai ricevuto anche tu la busta azzur-… ah, arriva da parte di Lady Saori…" 
Mei si fermò sulla soglia dello studio in accappatoio, mentre con una mano si tamponava i capelli umidi con un asciugamano e con l'altra reggeva una brioche.
"Sia benedetto chi ha inventato le girelle all'uvetta… inzuppate nel caffèlatte sono la fine del mondo… comunque per quanto mi sia goduta il nostro bollente bagno a due in quella tinozza piccina di legno che, considerando cosa ha preceduto, ripeto, è stato romanticissimo, per carità… ma vuoi mettere una bella doccia con l'acqua calda corrente? Ti rimette al mondo!" scherzò, sorridendogli. Si accorse del telefono e si zittì. "Oddèi! Chi c'è al telefono?"
"Milo." rispose Camus.
"Bollente bagno a due?"
"Possibile che tu abbia captato solo quelle parole su tutto il discorso?" domandò Mei.
"Ma allora è per questo che siete andati a Kobotec?"
"Certo che sì." rispose Mei, precedendo Camus. "Non siamo nemmeno usciti di casa, l'abbiamo fatto giorno e notte ininterrottamente su ogni superficie disponibile."
"Beh non proprio, ci siamo fermati anche per mangiare, ogni tanto." interloquì Camus.
"Bravi ragazzi!"
"Milo, ti richiamo più tardi, ciao." lo salutò. "Una domandina al volo: greco o giapponese?"
"…calcolando che del Giappone mi piace solo il sushi… direi greco."
Camus aprì la prima busta: si trattava di un invito nuziale.
"Marin e Aiolia." esordì, sventolandolo.
"Visto che parlavi con Milo, per un attimo ho sperato che la tua risposta fosse Milo e Shaina." rispose Mei. "Non che non sia contenta per Marin e Aiolia, ma…"
Camus sorrise, porgendole l'invito.
"Oh, non temere. Arriverà anche quel momento." le rispose. "Milo corteggia Shaina da anni, da prima che ti conoscessi, pensa."
"E ancora non ha ceduto? Al suo posto non direi no a Milo."
"Ah sì?"
"Sì, ma non pensare male, ho specificato al suo posto, intendendo dire che se fossi in Shaina, uno come Milo me lo terrei ben stretto." rispose Mei. "Ma io sono Mei, ho te e ringrazio gli Déi ogni giorno per questo. Oh, Marin ci tiene a precisare che sarà un matrimonio greco tradizionale. Ma lei non è giapponese?"
"Sì, ma è una lunga storia. Matrimonio greco tradizionale con conseguente festa superkitsch: fonti certe mi assicurano che sarà un'esperienza molto divertente."
"Per superkitsch che cosa intendi? Che cosa mi devo aspettare?"
"Tu, una cinefila accanita, non hai mai visto Il mio grosso grasso matrimonio greco ?"
"… no, al momento è ancora segnato nella lista dei film da vedere."
"Allora credo sia giunto il momento, ti pare?"
"Dici?"
"Eccome. Non so che cosa accade durante un matrimonio cinese, ma in Grecia ci sono tante curiose usanze che a occhi poco abituati possono sembrare strane a dir poco."
Mei ci pensò su.
"Più strane dell'uso di legare i piedi della sposa per evitare che fugga prima della cerimonia?" domandò. "Sì, anticamente la sposa, nella portantina, aveva i piedi legati per evitare ogni possibile fuga. Sai com'è, non a tutte andava sempre bene. O aspetta, fammi pensare… più strana ancora del rutto libero durante il ricevimento?"
Camus storse la bocca in una smorfia.
"Stai scherzando."
"Magari. Avresti dovuto essere al matrimonio di mia cugina: nemmeno all'Oktoberfest un concerto del genere…" rispose Mei, rabbrividendo. "Quando saremo noi a sposarci impedirò questa cosa a dir poco schifosa. E l'altra busta?"
"Anche l'altra busta contiene un invito, ma è sicuramente più noioso. Ci sarà un ballo, il primo settembre, in occasione del compleanno di Lady Saori. Sarà la tua occasione per conoscerla."
"L'ho già conosciuta."
"E quando?!"
"Al Santuario, anni fa, al vostro fu-… in una certa occasione." rispose. "E dove si terrà questa festa?"
"A villa Kido, a Tokyo."
Mei fece finta di pensarci su.
"Oh, no che peccato: per l'epoca sarò su un volo per il Canada… non fare quella faccia, non posso certo disdire la mia presenza a casa di Keanu per andare al compleanno di Saori." disse Mei, fingendosi dispiaciuta. "Okay. Ritorno seria."
"Sarà un ballo e cito testualmente, in bianco e nero."
"Oh beh… non sembra tanto male." rifletté Mei.
"Aspetta a dirlo." Camus lesse le postille scritte dietro l'invito. "Lady Saori è sempre piuttosto eccentrica quando si tratta di dare feste: una volta, mi dissero, ne diede una a tema Star Wars."
"E come mai tu non c'eri?"
"Perché ero a Pechino, mentre la mia fidanzata si laureava."
Mei gli rispose con un gran sorriso.
"Oh, ecco qual era l'impegno che avevi disertato." arrossì. "Però devo ammettere che mi sarebbe piaciuto vederti nei panni di Maestro Jedi… o meglio ancora, di un Sith: Darth Camus. La Forza è potente in te. Un potente Sith tu diventerai."
Camus la guardò torvo.
"Mei, giuro che chiedo il divorzio."
"E come? Non siamo nemmeno sposati."
"Lo chiedo lo stesso, come misura preventiva." rispose Camus. 
"Come to the dark side: villains do it better!" ridacchiò Mei. "Dai, come sarebbe questo ballo?"
"Uno in bianco, l'altro in nero."
"Cioè… uno dei due dovrà vestirsi di bianco e l'altro di nero?"
"Esattamente."
Ci fu un secondo di silenzio, dopodiché entrambi parlarono quasi nello stesso istante.
"Nero!"
"Io prendo il nero!"
"No, l'ho detto prima io!" esclamò Camus, trionfante.
"Bugiardo mascalzone!"
"Papà ha ragione, l'ha detto prima lui!" interloquì Lixue, dalla sua stanza.
"Ma… oh, cielo. Io non posso vestirmi di bianco, lo indosso solo ai funerali." spiegò Mei. "E poi… il bianco ti starebbe bene, esalta il rosso dei capelli."
Camus si alzò e, fischiettando un valzer, le girò intorno atteggiando qualche passo insieme a Lixue.
"Niente da fare. Io in nero, tu in bianco."
Mei sorrise, quindi gli prese il volto tra le mani, stampandogli un gran bacio sul naso.
"Tesoro, non preoccuparti. Saremo in due ad andare in bianco."
 
***
Lady Aquaria's corner
(capitolo riguardato e corretto in data 22 ottobre 2014)
-Allicina: il principio attivo dell'aglio, ovvero il principale responsabile del cattivo odore che l'aglio lascia in bocca.
-L'incubo che perseguita Mei è spuntato fuori durante l'ennesima visione del maledetto episodio 67. Che sia dannato quell'episodio.
-Le leggende del Goro-Ho le ho inventate di sana pianta. Vedete che significa mangiare parmigiana di melanzane a cena? Non dormi e t'inventi ste cose :P
-Sì, avete letto bene. Il rutto durante un ricevimento nuziale, a quanto ho letto su questo sito è d'obbligo in un matrimonio cinese (così come gli sputi allontana-diavolo per i greci).
 
Note piccine come mi capita ultimamente, ma i ringraziamenti rimangono invariati.
Alla prossima.
Lady Aquaria
 
   
 
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