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Autore: yuki013    02/05/2011    2 recensioni
In fondo nella mia vita non avevo provato altro che una dolorosa solitudine. Sin da quando ero nata non avevo avuto uno scopo diverso da quello di essere la cavia per gli esperimenti di una strega.[...]
Ma ciò che avvenne dopo non lo immaginava nessuno, io per prima. Io, e il freddo imperturbabile.
La rosa nera del deserto.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Crona, Death the Kid
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unsymmetrical Perfection'
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Krona

Mi sentivo più scombussolata che mai.
La notte precedente era stata… come descriverla con le parole? Mi risultava impossibile.
Era come se ogni particella del mio essere si fosse risvegliata, iniziando a vorticare come le api ronzano intorno ai fiori. Io ero l’ape, Kid la bellissima rosa che mi attirava con il suo nettare puro, chiaro, troppo suadente.
Quella mattina ci eravamo alzati intorno alle undici, così avevo rinunciato alla scuola per una volta. Per un po’ avevo osservato il ragazzo addormentato al mio fianco: sembrava avere così tanti problemi e pensieri da sveglio, che da assopito  mi dava l’impressione di essere fragile come il cristallo. Mentre sospiravo con le mani sulla sua pelle si era svegliato.
«Buongiorno, di nuovo». Aveva detto con quel suo sorriso devastante, lasciandomi inebetita per qualche istante.
«Umh, buongiorno a te», avevo ricambiato concedendogliene uno a mia volta.
Si era messo seduto dandomi un bacio appena percettibile, guardandomi dritto negli occhi.
«Devo dirti una cosa. Niente panico però, non c’è nulla di male».
Avevo iniziato a preoccuparmi.
«Beh, ecco… stamattina le ragazze sono passate da casa e… beh, sì insomma ci hanno visti. Insieme». Era diventato rosso fino alle orecchie.
«Sul serio, mi hai terrorizzata. Pazienza, lo diranno soltanto a Maka e Tsubaki. Spero».
Lui si era voltato sconvolto, mentre io parlavo. «Tanto lo capiranno subito quando vedranno la mia faccia, e comunque ci vedranno ins… Sempre che tu non voglia che si sappia in giro». Ero stata presuntuosa.
In fondo, cosa mi faceva credere che lui davvero mi amasse come diceva? Forse voleva che io fossi la sua amante, una con la quale nascondersi di giorno e divertirsi di notte. Il panico per quel pensiero era arrivato dritto al petto e allo stomaco. Ma io lo amo…
Mi ero ritrovata fra le sue braccia, imprigionata dal suo mento nell’incavo del mio collo.
«Ma sei scema o cosa?! Tutti devono sapere che sto con te, che ti voglio accanto e che ti amo, piccola Krona – chan. E se non lo accetteranno, farò come se non esistessero. Disprezzerò chiunque non ti accetterà come mia ragazza».
«R- ragazza?», avevo sussurrato. Lui si era avvicinato di più al mio orecchio.
«Preferisci che ti chiami fidanzata?».
Sobbalzando mi ero allontanata da lui. «Waaaah!! No okay va bene… ragazza».
Ridendo mi aveva scompigliato i capelli, poi era sceso dal letto e mi aveva lanciato una delle sue felpe. «Và nella stanza di Liz e Patty, è la porta di fronte. Troverai di sicuro qualcosa che ti stia bene».
Senza farmi vedere da lui, che era scomparso dietro l’anta dell’armadio, presi il reggiseno dal pavimento e me lo rimisi velocemente. A quel punto avevo tentato di alzarmi, ma ero ricaduta sul letto, massaggiandomi le gambe.
«Tutto bene?», aveva chiesto Kid.
«S- sì. Sono un po’ indolenzita, ecco tutto». Lui aveva sogghignato mentre uscivo dalla stanza avvolta nella felpa nera.

Che ci troverà mai da ridere? Certo è stato molto dolce e gentile, ma non ci è andato mica leggero… Forse però la colpa è anche mia che l’ho praticamente assalito.
Mentre entravo nella camera delle sorelle avevo ripensato alle sue labbra che salivano piano sulla mia pelle, accompagnate dalle grandi mani quasi bollenti e dalla lingua che…
Basta, basta! Maledizione, sto diventando una pervertita!
Avevo scacciato in fretta quei pensieri concentrandomi sulla missione: trovare qualcosa che mi stesse decentemente, giusto perché dovevo tornare a scuola per rimettermi i miei soliti abiti.
Se l’abbigliamento della spilungona Liz era puntato sulle scollature, quello della piccola Patty era pieno di pance scoperte e pantaloncini. Dopo qualche minuto di indecisione avevo chiamato Kid perché mi aiutasse, decidendo infine per dei jeans a tre quarti, una maglia marrone con le bretelle sottili – che a dirla tutta mi lasciava un po’ la schiena scoperta, un paio di calze nere e delle semplici Converse classiche.

Meglio che andare in giro per Death City con il vestito da sera.
Io e Kid avevamo rimesso a posto la stanza e raccolto tutti i miei vestiti in una borsa, tranne il fiocco. «Questo lo tengo io», aveva detto lui.
«Kid, il vestito è di Tsubaki».
«Ne ricomprerò uno identico e glielo porterò io stesso». E silenziosamente mi aveva spinto fuori dalla villa, portandomi a fare colazione da Deathbucks e poi girando un po’, parlando della quotidianità reciproca.
«Mi dispiace di non averti mostrato la casa come si deve».
«Beh, la strada dall’ingresso a camera tua l’ho vista benissimo». Immediatamente mi ero pentita di quella affermazione tanto audace, perché lui mi aveva già stretta a sé.
Tutto questo al centro esatto di Death City, sotto gli occhi di tutti.
«Vieni a stare da me. Ti prego». Il suo sguardo era implorante.
Avevo immaginato come sarebbe stato svegliarsi ogni mattina in quella casa, ricevendo il buongiorno di altre persone, fare colazione con lui e le sorelle Thompson, ridere di ogni piccolo gesto casalingo, e poter stare con lui quando volevo. Troppo, troppo bello.
«Domani. Lasciami il tempo di riposarmi e raccogliere le mie cose».
I suoi occhi si erano illuminati mentre mi sollevava da terra per baciarmi. Davvero stavolta, fregandosene di chi mormorava alle nostre spalle. Si sottrasse dal contatto, rivolgendosi alle persone vicine.
«Qualcosa da dire, forse?», chiese alzando un sopracciglio. Il silenzio era tombale.
«Perfetto, perché lei è l’unica che amo, l’unica che non permetterò mai a nessuno di odiare». Quella volta la stretta al cuore era tornata, ma non faceva più male. Era piacevole.
Mi aveva riaccompagnata a scuola, sfortunatamente in tempo per incrociare il nostro gruppo che usciva da lezione. Lui fu portato via da Soul e Black Star, mentre io fui costretta a raccontare alle due ragazze quel che Patty e Liz già sapevano. Tsubaki era tanto contenta che insistette perché mi tenessi il vestito, e Maka mi soffocò con un abbraccio.
Ma andava bene, andava tutto benissimo.
Così quella sera ero andata a ringraziare Shinigami – sama dell’ospitalità ricevuta finora e per la disponibilità ad accogliermi in casa sua, cercando di non pensare che poche ore prima avevo dormito con suo figlio.
Sistemando la mia roba capii di avere davvero poche cose da portarmi dietro.
L’oggetto più prezioso era una fotografia: Maka amava immortalare i bei momenti “per renderli eterni”, diceva lei, e in primavera durante un picnic avevamo fatto una foto di gruppo, tutti insieme. Alle mie spalle intento ad ingozzarsi di tramezzini c’era Ragnarok.
Non lo davo a vedere, ma mi mancava da morire. Non avevo nessuno con cui parlare quando ero triste, e lui c’era sempre stato. Piansi, ma solo un po’.
Aveva dato la sua vita perché io fossi felice, mi avrebbe presa a pugni vedendomi in lacrime.
Nonostante fosse ancora presto, misi il borsone da parte e mi addormentai, cercando di non pensare che quella era la mia ultima notte alla Shibusen.

 

Death the Kid

 «Che significa questo?».
«Kid, non scaldarti. Significa che ci mandano in una semplice missione di ricognizione, tutto qua». Liz cercava di convincermi, ma ero irremovibile.
«In quanto vostro Meister non posso lasciarvi andare da sole. Non se ne parla».
«Seriamente, vuoi che la tua bella arrivi qui e trovi la casa deserta?».

Merda. Non ci avevo pensato.
«Tra l’altro Patty ha dimostrato di avere forza fisica a sufficienza. Kid, è una decisione di tuo padre, lo sai bene».
Non avevo più come controbattere. Avrei dovuto separarmi dalle mie Weapons e lasciarle partecipare ad una missione senza di me.
«D’accordo, ma vedete di non farvi ammazzare».
«Kid» - disse Patty mettendomi una mano sulla spalla - «so che sei preoccupato, ma fidati di noi. Prima di conoscerti eravamo davvero spaventose, hehe».
Sorrisi, in fondo sapevano quel che facevano. «Me lo ricordo bene».
Liz si stiracchiò dandomi un bacio sulla guancia. «Io vado a letto, bisogna essere sempre riposati prima di partire. ‘Notte Kid, e non fare troppo il Casanova in nostra assenza!».
Arrossii. Quelle battutine ormai andavano avanti da tutto il pomeriggio.
Patty mi diede un bacio a sua volta. «Oyasumi, hentai!». Sparirono su per le scale.

Hentai? Al diavolo lei e il suo giapponese!
Cercai su un dizionario in biblioteca il significato di quella parola. Eccola qua.
«….».
«PATTY IO TI UCCIDO!!!!!».

 

***************************

 

Le lezioni dell’indomani furono davvero monotone senza le mie partner. Fui costretto ad ammettere che mi mancavano, e l’ansia stava iniziando ad impadronirsi di me.
L’unico rimedio ai miei attacchi isterici era Krona. Si era seduta accanto a me, con un filo di imbarazzo, adorabile come sempre, cercando di tirarmi su di morale. A fine giornata eravamo andati insieme nei sotterranei per prendere la sua borsa, e lei mi era sembrata un po’ triste. «Sei pentita?». Le avevo domandato. Scosse la testa.
«Qui ci sono dei bei ricordi, ma la maggior parte sono brutti. Non mi dispiace andarmene».
Immaginai che stesse pensando a Ragnarok. Una sola lacrima le scese mentre si richiudeva la porta alle spalle, un singolo diamante sulla pelle chiara. «Andiamo», disse poi allegra.
Le mostrai la sua stanza, la seconda camera a destra del primo piano, proprio accanto alla mia. Mi ero messo d’impegno la sera prima con le ragazze per rinnovare quella che era una delle tre camere degli ospiti mai utilizzate, cambiando le tende e facendo prendere aria alla stanza. Il pavimento in legno era stato lucidato, così come i mobili, lo specchio e le finestre. Il profumo di pulito veniva dalle lenzuola rosse del letto a due piazze, e dalla calura estiva che portava all’interno un leggerissimo odore di prato. A lei era piaciuto.
«Kid, è bellissima», aveva detto sinceramente sbalordita.
«Speravo che ti piacesse. Che ne dici se mentre tu ti ambienti io vado a prendere una pizza?».
Lei mi guardò di traverso. «Pizza?».
Le diedi un bacio fugace. «Si mangia, ti piacerà. Io vado, tu aspettami qui e fai come… beh, fai un giro per la casa». Scorsi il suo sorriso prima di sparire di nuovo.
Mi era sembrata davvero contenta di essere a casa mia. Volevo che lo fosse, desideravo che si sentisse amata e protetta in una vera casa, non in una cella.
Presi un paio di scorciatoie per arrivare da Tony, il pazzoide italiano che vent’anni prima aveva aperto un modesto locale in città, riscuotendo un gran successo.
Fu passando per questi vicoli che percepii un’anima umana che scompariva nel nulla.

Un uovo di Kishin? Camminai verso il luogo in cui avevo percepito l’anima svanire.
Al centro della stradina c’era un essere dalle sembianze umane femminili, con il volto coperto da una maschera teatrale. Rimasi bloccato lì.

Non riesco a crederci. Un demone… simmetrico?
Quello senza pensarci troppo mi attaccò colpendomi dritto in faccia. Non riuscivo a bloccarlo, perso com’ero nella perfezione del mio avversario.
Patty e Liz non ci sono quindi non posso combattere, e la sua simmetria non mi permette di difendermi… che dovrei fare?
L’ultimo colpo mi scaraventò contro il muro. L’essere sguainò due spade. Identiche.
Sono morto. Che stupido… non ho preso le pizze. Krona…
Chiusi gli occhi sul mio carnefice. Non accadde nulla.
Solo un cozzare di lame.
Riaprii gli occhi, sgranandoli per l’immensa sorpresa. «Krona».
Il suo braccio destro si era trasformato in una lama nera, forte abbastanza da bloccare il demone. Con un colpo della spalla lo respinse sbalzandolo su un cassonetto vicino, poi si voltò verso di me aiutandomi a rialzarmi.
«Sentivo la tua lunghezza d’onda a tratti. Mi hai spaventata, stupido».
«Krona, il tuo braccio…». Lei sfiorò il metallo freddo.
«Non l’ho deciso io, è stato istintivo». Davanti a noi però l’uovo di Kishin era pronto per tornare alla carica. «Kid, sarò la tua arma», disse lei convinta.
«M- ma sarai asimmetrica. Non ce la farò». Mi terrorizzava anche solo l’idea.
«Fidati, troverò il modo. La simmetria non risiede solo nel corpo». Mi sfidava.
Sospirai. «Bene. Vediamo che sai fare, Shimizu», dissi porgendole la mano.
Lei l’afferrò saldamente, svanendo in una scia di luce bianca che pian piano prese forma di bastone, poi spada e ascia, cercando un modo per essere compatibile con chi l’avrebbe utilizzata. La luce divenne accecante, mostrando la sua vera forma.
Il bastone era nero avvolto da strisce diagonali violette, e terminava con un cono appuntito in basso: verso l’alto un anello separava l’asta dalla lama, anzi dalle lame, una a destra e una a sinistra. Bellissime, di colore nero con tre strisce bianche per lato impresse a rilievo. Al centro tra le due faceva la sua bella figura il simbolo di mio padre, il teschio degli Shinigami. No, era il mio simbolo, viste le tre strisce sulla cima.

Un’anima perfetta, abbracciata da una mente perfetta e da un corpo perfetto.
E da un’arma perfetta.
Eccola lì, l’arma definitiva.
«Sveglia, Kid! Quello arriva!». La sua voce proveniva dall’enorme falce a mezzaluna.
Senza sapere come, sollevai l’arma tranquillamente e colpii l’essere con il bastone, difendendomi e attaccando contemporaneamente, parando e piantando un paio di colpi.
Sentii Krona spazientirsi. «Ma insomma! Proviamo la Risonanza». Osservai la falce.
«È la prima volta che combattiamo insieme. È difficile che riesca».
«Vuoi dirmi che siamo così poco in sintonia, dopo tutto quello che abbiamo vissuto?». Aveva più che ragione. Mi concentrai sulla sua lunghezza d’onda, e lei faceva lo stesso.
«Risonanza delle Anime!».
La forza d’urto sprigionata dalle nostre essenze mi travolse, lasciandomi boccheggiante. In quella Risonanza potevo sentire la stima, l’affetto tra di noi, le speranze che l’uno riponeva nell’altro. Sapevo tutto di Krona, e lei conosceva tutto di me, anche i dettagli della mia infanzia, a quel punto. Era un’unione completa, come quando avevamo fatto l’amore.
Sentii la mia forza trasmettersi alla falce, che si infranse con un boato. Ne comparve una ancora più grande, circondata da un aura blu scuro, accompagnata da quegli esseri neri che mi fluttuavano intorno. Spettacolare.
«Screech Scythe, Sentenza». Le lame urlarono e si abbatterono violente sull’essere di fronte a me, tranciandolo a metà di netto prima che esplodesse senza lasciare traccia.
Il simbolo al centro della falce assorbì l’anima di color vermiglio. «Buona», disse Krona tornando al suo normale aspetto.
La avvicinai a me posandole le mani sui fianchi. «E da quando sei una Weapon?».
«Non lo sapevo. Credo sia un’eredità del sangue nero. Hai visto di che colore divento no? E poi quell’attacco, lo Screech Scythe… era molto simile agli attacchi di Ragnarok».
«Forse sapendo di lasciarti disarmata, ha reso te un’arma. È come se fosse sempre qui».
Lei abbassò gli occhi. «Già, magari è così. A questo punto, che ne dici di prendere questa “pizza”?», disse alzandosi sulle punte per baciarmi.
La presi per mano, rimandando all’indomani la questione, perché sapevo di doverne parlare con mio padre il prima possibile.
Ciò che mi premeva ancora di più però erano loro: Liz e Patty Thompson.

Che razza di persona sarei se le rimpiazzassi proprio adesso?

 


 




N.d.A. Io a scuola non ci torno più ù-ù
Carissimi, eccomi qui per un altro capitolo di Incantevoli spine. Quasi quasi mi sono pentita per Ragnarok ç__ç ma non potendo fare come Crilin e sperare nel provvidenziale arrivo del drago Shenron, ho pensato di farlo rivivere come lascito all'interno di Krona.
Vi è piaciuta la falce? Hehe perfetta per un dio della morte, o almeno così la penso io.
Ho fatto pure un disegnino *-* se volete vederlo ---> http://fav.me/d3ff0x9
Spero che questa febbre malefica mi permetta di scrivere in questi giorni -.- sappiate che tra qualche capitolo la storia si concluderà. Essì, dovremo lasciare i piccioncini al loro destino.
O forse no? MUAHAHAH non mi capisco neanche io.
Buona settimana a tutti, un bacio =3
-Yuki♥
   
 
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